Introduzione e traduzione di Monia Benini
Veolia è una multinazionale francese che da qualche anno ha invaso l'Europa comprando azioni di maggioranza di aziende di servizi essenziali come acqua (aumentandone le tariffe anche del 1000% come accaduto ad Aprilia)e rifiuti, oppure costruendo inceneritori in tutta Italia con risultati al vaglio della magistratura, come a Brindisi e Pietrasanta:
Ma di cos'altro si occupa Veolia? Le attività sono descritte sul sito ufficiale, ma si può trovare qualche informazione utile anche attraverso la rete.
Una società francese gestisce i servizi di autobus israeliani negli insediamenti
Adri Nieuwhof e Daniel Machover, The Electronic Intifada.
La campagna internazionale “Far deragliare Veolia e Alstom” sta acquistando slancio, attraverso il coordinamento degli sforzi per esercitare pressione sui giganti del trasporto francese Veolia e Alstom affinchè si ritirino dal progetto israeliano della tramvia di Gerusalemme che corre illegalmente in territorio palestinese. Con il suo coinvolgimento in questo progetto, Veolia è direttamente coinvolta nel mantenimento degli insediamenti illegali nei territori palestinesi occupati e la società svolge un ruolo fondamentale nel tentativo di Israele di annettersi irreversibilmente Gerusalemme Est (palestinese).
Veolia, per esempio, è fortemente coinvolta nel progetto con una quota del cinque per cento nel Consorzio City Pass che detiene il contratto con lo Stato di Israele per la costruzione della tramvia. La società francese ha anche un contratto di 30 anni in qualità di gestore della tramvia. Gli attivisti e gli avvocati provenienti da Israele, Palestina, Australia, Francia, Paesi Bassi, Norvegia, Sud Africa, Spagna, Svezia, Svizzera e Regno Unito, condividono le informazioni e lavorano insieme per informare il pubblico, influenzare i governi locali e i politici, e intraprendere un'azione legale su questo problema.
Le attività di trasporto ferroviario leggero di Veolia a Gerusalemme non sono solo in violazione del diritto internazionale, ma anche in contrasto con gli impegni della società per quanto riguarda i codici di condotta e le convenzioni che regolano l'attività delle imprese multinazionali. Come società transnazionale, Veolia deve essere conforme alle norme internazionali che disciplinano la responsabilità delle imprese in materia di diritti umani. Questi includono: la Dichiarazione tripartita dei Principi sulle Imprese Multinazionali e la Politica Sociale (2000); le Norme delle Nazioni Unite sulla responsabilità delle imprese transnazionali (2003); le Linee guida dell'OCSE per le imprese multinazionali (2000), comprese le linee guida in materia di zone con governance debole; il Global Compact delle Nazioni Unite (2000).
È da notare che Veolia non è solo uno dei partecipanti al Global Compact delle Nazioni Unite, ma (ironia della sorte, ndr) ha anche contribuito alla Fondazione per il Global Compact. I suoi primi due principi stabiliscono che le imprese dovrebbero sostenere e rispettare la protezione dei diritti umani internazionali nelle loro sfere di influenza, e assicurarsi che non siano complici di violazioni dei diritti umani. E’ evidente che attraverso la partecipazione nella costruzione e nella manutenzione del tram a Gerusalemme, Veolia si pone in flagrante violazione di tali disposizioni.
La dolorosa perdita da parte di Veolia di un contratto di $ 4,5 miliardi a Stoccolma è riecheggiata in Scandinavia. Alla fine del febbraio 2009 la commissione finanziaria della città di Oslo ha adottato una politica di chiusura delle attività con le aziende coinvolte in violazioni del diritto internazionale. Tale proposta politica deve essere ratificata dal Consiglio Comunale. I partiti a favore della scelta politica - il partito Laburista, il Partito Socialista di Sinistra e il Partito della Sinistra - detengono la maggioranza nel consiglio comunale. La forza trainante di questa posizione politica è lo storico membro del consiglio comunale della città Erling Folkvord del Partito Rosso. In un'intervista con la rivista elettronica Frontlinjer, Folkvord ha dichiarato: "questo sistema di trasporto stile apartheid rafforza l'occupazione e l'annessione di terre palestinesi. In questo modo il progetto contribuisce alla colonizzazione del territorio palestinese". Veolia ha un contratto per la raccolta dei rifiuti a Oslo. Secondo Folkvord la nuova politica avrà conseguenze per Veolia a Oslo.
Veolia è non solo coinvolta nell'illegale tramvia a Gerusalemme. Nel dicembre 2008, The Electronic Intifada ha riportato i risultati del “Chi approfitta dell'Occupazione?”, da cui emerge che Veolia è anche coinvolto nel dumping illegale di rifiuti provenienti da Israele e dalla discarica degli insediamenti di Tovlan nella valle del Giordano. Veolia si rivela essere un fedele partner per Israele nella colonizzazione della Palestina. Dopo aver ricevuto un consiglio da qualcuno che partecipa alla campagna “Far deragliare Veolia”, la ricerca effettuata da “Chi approfitta dell’Occupazione?” conferma che Veolia ha in gestione i servizi di autobus 109 e 110 da Gerusalemme Ovest agli insediamenti nella West Bank; l'autobus Connex 110 passa attraverso la strada 443 in Cisgiordania e serve gli insediamenti di Mevo Horon e Givat Zeev. Gli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi occupati (OPT) e l'annessione di Gerusalemme est sono illegali secondo il diritto internazionale. Numerose risoluzioni delle Nazioni Unite e il parere consultivo della Corte internazionale di giustizia del 2004 sul muro di Israele in Cisgiordania hanno confermato che gli insediamenti violano l'articolo 49 della Quarta Convenzione di Ginevra, in cui si afferma che "la potenza occupante non deve portare o trasferire parte della propria popolazione civile nel territorio che occupa ". Eseguendo servizi di autobus Veolia è direttamente coinvolta nel mantenimento degli insediamenti illegali negli OPT.
Nel dicembre del 2005, Amnesty International in Francia ha invitato Veolia a discutere le sue risultanze circa l'illegittimità della tramvia. La società rifiutò l'invito di Amnesty, ma informò di aver nominato un esperto legale indipendente per lo studio del file. A distanza di tre anni si può concludere che Veolia non è più tornata sulla questione delle attività illegali di Israele, che facilitano l'occupazione della Palestina.Gli attivisti ritengono che un giusto dibattito pubblico su questi temi potrebbe essere illuminato dalla pubblicazione da parte di Veolia dei pareri ricevuti: dopo tutto, che cosa ha da nascondere Veolia se è orgogliosa delle sue attività economiche nei Territori Palestinesi Occupati?
martedì 31 marzo 2009
lunedì 30 marzo 2009
Hotelicopter
Marco Cedolin
Non esistono limiti alla ricerca del lusso e dell’esclusività, nelle sue varie forme ogni giorno più avveniristiche, elitarie e permeate di gigantismo. La crisi economica, il progressivo assottigliarsi delle risorse energetiche non rinnovabili ed il disastro ambientale attualmente in atto, ben lungi dal rappresentare un deterrente nei confronti dei progetti più costosi, capricciosi ed energivori, li caratterizza come maggiormente esclusivi e pertanto ambiti da chiunque intenda affermarsi come parte di un’elite che può permettersi tutto ciò che risulta negato ai “comuni mortali”. Il capriccio fine a sé stesso, la sete di dominio sulla natura, l’edonismo consumista e la perdita di ogni senso del limite, si vestono così di nuovo fascino e crescono di pari passo con il numero delle operazioni commerciali finalizzate a creare i presupposti per un’esclusività sempre più esclusiva.
Le faraoniche navi da crociera, vere e proprie metropoli galleggianti la potenza dei cui motori basterebbe ad alimentare una città di 200.000 abitanti, stanno conoscendo un successo senza precedenti. Tale da far si che di fronte al costante aumento dei passeggeri, tutti i maggiori armatori mondiali stiano incrementando le proprie flotte attraverso il varo di sempre nuove unità, più grandi, lussuose e sofisticate rispetto a quelle che le hanno precedute.
Il paradiso artificiale di Dubai, con gli hotel che girano inseguendo la luce del sole, le piste da sci collocate dentro ad una cupola che sfida i 50° del deserto, le spiagge con la sabbia refrigerata, gli arcipelaghi di isole artificiali nate dal nulla e gli alberghi sottomarini, si è ormai affermato come la nuova frontiera del lusso e dell’esclusività. A tal punto da far si che il continuo aumento dei turisti facoltosi attratti da questo “non luogo” in grado di sovvertire gran parte delle leggi della natura, è stato in grado d’indurre lo sceicco Mohammed a sostenere la progettazione di un nuovo ciclopico aeroporto (Dubai World Central) destinato a diventare il più grande del mondo.
Sono sempre più numerose le società (Eads Astrium e Mojave Aerospace Venture su tutte) che traendo spunto dal progetto della Stazione Spaziale Internazionale stanno portando avanti iniziative commerciali tanto avveniristiche quanto energivore, volte a proporre ad un’elite di clienti multi miliardari crociere nello spazio e perfino soggiorni all’interno di hotel spaziali all’insegna dell’esclusività.
Hotelicopter, costruito dalla società Hotelicopter Company, che già conta un nutrito gruppo di oltre 800 fan su facebook ed è stato soprannominato il Titanic dei cieli, potrebbe essere solamente una bufala diffusa ad arte sotto forma di pesce d’aprile anticipato, ma s’inserisce perfettamente all’interno della follia visionaria della società del “capriccio” che cerca di appagare il proprio desiderio di esclusività attraverso la grandezza ciclopica, i consumi smodati e l’assoluto spregio per l’ambiente.
Stando ad un articolo comparso ieri sul sito del Corriere della Sera, Hotelicopter rappresenterebbe un vero e proprio “hotel volante” a cinque stelle dotato di ogni confort, sotto forma di un mega elicottero lungo 42 metri ed alto 14. A bordo del quale ci dovrebbero essere 18 suite complete di ogni servizio d’intrattenimento, compresa vasca con idromassaggio, lezioni di yoga, massaggi shiatzu, sauna e giardinetto per il tè.
L’elicottero gigante che peserebbe 100 tonnellate e potrebbe raggiungere i 255 km/h, con un’autonomia di volo di 1296 km, dovrebbe fare il proprio volo inaugurale il 26 giugno, partendo da New York per un tour di 14 giorni che lo vedrebbe fare scalo alle Bahamas, in Giamaica e nella Repubblica Dominicana. Successivamente sarebbe già prevista una seconda “crociera” di 16 giorni con destinazione Europa e scalo nelle maggiori capitali europee, Roma compresa.I prezzi per potere vivere l’esperienza senza paragoni consistente nel godere del confort di un hotel extra lusso che veleggia fra le nuvole, bruciando migliaia di litri di quel carburante di cui sulla terra vi è sempre più penuria, anziché restare “noiosamente” ancorato al suolo di una spiaggia tropicale o di una capitale europea non sono stati ancora resi noti. Un mistero, quello dei prezzi, probabilmente creato ad arte per alimentare il fascino dell’operazione commerciale, dal momento che anche il prezzo, sicuramente esorbitante, potrebbe contribuire a rendere l’esperienza del soggiorno a bordo di Hotelicopter, un capriccio ancora più esclusivo e gratificante. Sempre che Hotelicopter esista veramente, ma nel caso si trattasse di una burla siamo certi che non mancheranno i soggetti commerciali disposti a raccogliere l’idea per tradurla in pratica, dal momento che nulla come l’esclusività è in grado di garantire ampi margini di profitto.
Le faraoniche navi da crociera, vere e proprie metropoli galleggianti la potenza dei cui motori basterebbe ad alimentare una città di 200.000 abitanti, stanno conoscendo un successo senza precedenti. Tale da far si che di fronte al costante aumento dei passeggeri, tutti i maggiori armatori mondiali stiano incrementando le proprie flotte attraverso il varo di sempre nuove unità, più grandi, lussuose e sofisticate rispetto a quelle che le hanno precedute.
Il paradiso artificiale di Dubai, con gli hotel che girano inseguendo la luce del sole, le piste da sci collocate dentro ad una cupola che sfida i 50° del deserto, le spiagge con la sabbia refrigerata, gli arcipelaghi di isole artificiali nate dal nulla e gli alberghi sottomarini, si è ormai affermato come la nuova frontiera del lusso e dell’esclusività. A tal punto da far si che il continuo aumento dei turisti facoltosi attratti da questo “non luogo” in grado di sovvertire gran parte delle leggi della natura, è stato in grado d’indurre lo sceicco Mohammed a sostenere la progettazione di un nuovo ciclopico aeroporto (Dubai World Central) destinato a diventare il più grande del mondo.
Sono sempre più numerose le società (Eads Astrium e Mojave Aerospace Venture su tutte) che traendo spunto dal progetto della Stazione Spaziale Internazionale stanno portando avanti iniziative commerciali tanto avveniristiche quanto energivore, volte a proporre ad un’elite di clienti multi miliardari crociere nello spazio e perfino soggiorni all’interno di hotel spaziali all’insegna dell’esclusività.
Hotelicopter, costruito dalla società Hotelicopter Company, che già conta un nutrito gruppo di oltre 800 fan su facebook ed è stato soprannominato il Titanic dei cieli, potrebbe essere solamente una bufala diffusa ad arte sotto forma di pesce d’aprile anticipato, ma s’inserisce perfettamente all’interno della follia visionaria della società del “capriccio” che cerca di appagare il proprio desiderio di esclusività attraverso la grandezza ciclopica, i consumi smodati e l’assoluto spregio per l’ambiente.
Stando ad un articolo comparso ieri sul sito del Corriere della Sera, Hotelicopter rappresenterebbe un vero e proprio “hotel volante” a cinque stelle dotato di ogni confort, sotto forma di un mega elicottero lungo 42 metri ed alto 14. A bordo del quale ci dovrebbero essere 18 suite complete di ogni servizio d’intrattenimento, compresa vasca con idromassaggio, lezioni di yoga, massaggi shiatzu, sauna e giardinetto per il tè.
L’elicottero gigante che peserebbe 100 tonnellate e potrebbe raggiungere i 255 km/h, con un’autonomia di volo di 1296 km, dovrebbe fare il proprio volo inaugurale il 26 giugno, partendo da New York per un tour di 14 giorni che lo vedrebbe fare scalo alle Bahamas, in Giamaica e nella Repubblica Dominicana. Successivamente sarebbe già prevista una seconda “crociera” di 16 giorni con destinazione Europa e scalo nelle maggiori capitali europee, Roma compresa.I prezzi per potere vivere l’esperienza senza paragoni consistente nel godere del confort di un hotel extra lusso che veleggia fra le nuvole, bruciando migliaia di litri di quel carburante di cui sulla terra vi è sempre più penuria, anziché restare “noiosamente” ancorato al suolo di una spiaggia tropicale o di una capitale europea non sono stati ancora resi noti. Un mistero, quello dei prezzi, probabilmente creato ad arte per alimentare il fascino dell’operazione commerciale, dal momento che anche il prezzo, sicuramente esorbitante, potrebbe contribuire a rendere l’esperienza del soggiorno a bordo di Hotelicopter, un capriccio ancora più esclusivo e gratificante. Sempre che Hotelicopter esista veramente, ma nel caso si trattasse di una burla siamo certi che non mancheranno i soggetti commerciali disposti a raccogliere l’idea per tradurla in pratica, dal momento che nulla come l’esclusività è in grado di garantire ampi margini di profitto.
giovedì 26 marzo 2009
Il forno inceneritore di Acerra
Marco Cedolin
Il megainceneritore di Acerra, inaugurato stamattina, avvelenerà l'aria ed il suolo attraverso le sue emissioni contenenti nanopolveri, diossina ed oltre 250 sostanze chimiche nocive che vanno dall’arsenico al cadmio al cromo al mercurio al benzene.
Farà aumentare l’incidenza dei tumori, delle malformazioni fetali e di una lunga serie di altre gravi patologie, fra la popolazione di un territorio già oggi conosciuto come “triangolo della morte” alla luce di una percentuale di patologie tumorali fra le più alte al mondo.
Produrrà energia in maniera assolutamente antieconomica, potendo sopravvivere economicamente solo grazie ai contributi Cip6 che tutti gli italiani dovranno continuare a pagare sotto forma di addizionale sulla bolletta elettrica. Produrrà energia in maniera assolutamente antiecologica, emettendo in atmosfera (oltre ai veleni) quantitativi di CO2 doppi rispetto ad una centrale a gas naturale di uguale potenza.
Distruggerà qualunque prospettiva di realizzare un moderno circolo virtuoso dei rifiuti, annientando la raccolta differenziata ed il riciclo, dal momento che i materiali più facilmente riciclabili, plastica, carta e cartone, sono anche quelli con più alto potere calorifico, indispensabili all’inceneritore per funzionare.
Ha già distrutto ogni anelito di democrazia, essendo stato costruito contro la volontà dei cittadini, attraverso l’uso della forza. Va ricordato che dal 2004 ad oggi si sono contate a decine le manifestazioni popolari contro la costruzione dell’impianto, spesso represse dalle forze dell’ordine con l'uso dei manganelli, mentre nel corso dell’ultimo anno l’inceneritore è stato portato a compimento militarizzando l'area con l’uso dell’esercito.
Ha contribuito a rimpinguare oltre alle casse del malaffare, prima i profitti di Impregilo ed ora quelli di A2A che si sono avvicendate nella realizzazione dell’impianto che oggi ha iniziato a dispensare veleni.
Non contribuirà a risolvere il decennale problema (quello vero) dei rifiuti in Campania, dal momento che tale problema può essere risolto solamente attraverso la costruzione di quel circolo virtuoso dei rifiuti di cui l’inceneritore di Acerra è il nemico giurato.
Non possiede alcuna peculiarità che lo renda un impianto moderno, poiché l’incenerimento dei rifiuti è una pratica anacronistica che tutti i paesi moderni stanno abbandonando, indirizzandosi verso la raccolta differenziata, il riciclo, il riutilizzo ed il riuso.
Nonostante tutto ciò che ho scritto fino ad ora rappresenti una realtà incontrovertibile, documentata attraverso centinaia di libri e centinaia di studi epidemiologi, suffragata dall’opinione di un grandissimo numero di medici ed esperti e accessibile a chiunque, solamente attraverso un click del mouse o una visita in biblioteca, i mestieranti dell'informazione e della politica hanno oggi rappresentato in TV e sui giornali una commedia di fantasia per molti versi antitetica, destinata a diventare l’unica realtà per la stragrande maggioranza degli italiani che proprio dai media tradizionali suggono le proprie informazioni.
Il Corriere della Sera ha esordito con il titolo “parte l’inceneritore verde”, coniando un ossimoro privo di senso, al quale si spera non faranno seguito in futuro gli “omicidi giusti”, “l’inquinamento pulito”, i “licenziamenti dal volto umano” e altre amenità sui generis. Quasi tutti i TG hanno presentato l’evento con grande enfasi commista a soddisfazione, mentre le telecamere spaziavano sul presidente del Consiglio, abbarbicato al disopra di un palco sul quale campeggiava la scritta “termovalorizatore di Acerra” quasi anziché un dispenser di veleni e di morte, si stesse inaugurando un nuovo ospedale all’avanguardia o un’università. Ad assistere all’evento, consistente nell’apertura di un tendone blu con tanto di telecomando, che svelava una montagna di rifiuti maleodoranti, destinati a trasformarsi in miasmi venefici veicolati dal fumo dei camini, sono state invitate oltre 400 “personalità” come si trattasse di una prima della Scala.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è congratulato con il premier per l’avvio del “termovalorizzatore”, quasi si riferisse alla cerimonia (ad oggi non ancora avvenuta) per la ricostruzione delle case dei terremotati dell’Irpinia.
Guido Bertolaso ha parlato della “realizzazione del sogno di una Napoli pulita”, speculando sull’emergenza rifiuti dello scorso anno, creata ad arte per addivenire allo scopo. Inoltre ha aggiunto che il nuovo impianto emetterà il 75% di diossina in meno rispetto agli impianti più vecchi, dimenticando di dire che questo abbattimento si tradurrà nel raddoppio delle emissioni di nanopolveri, ben più pericolose della già ferale diossina.
Gianni Letta ha insistito sul ritorno dello Stato in Campania, per quanto sia mortificante il fatto che lo Stato ritorni non per porre rimedi, ma per avvelenare ulteriormente una popolazione già duramente provata da decenni di sversamenti di sostanze tossiche di ogni genere. Sulla stessa linea di pensiero anche Antonio Bassolino che il ritorno dello Stato avrebbe dovuto teoricamente temerlo.
Berlusconi ha affermato di “averci messo il cuore” ed ha vantato una vittoria della democrazia difficilmente riscontrabile in un’opera costruita con la forza e l’uso dei militari, contro il volere dei cittadini.
Farà aumentare l’incidenza dei tumori, delle malformazioni fetali e di una lunga serie di altre gravi patologie, fra la popolazione di un territorio già oggi conosciuto come “triangolo della morte” alla luce di una percentuale di patologie tumorali fra le più alte al mondo.
Produrrà energia in maniera assolutamente antieconomica, potendo sopravvivere economicamente solo grazie ai contributi Cip6 che tutti gli italiani dovranno continuare a pagare sotto forma di addizionale sulla bolletta elettrica. Produrrà energia in maniera assolutamente antiecologica, emettendo in atmosfera (oltre ai veleni) quantitativi di CO2 doppi rispetto ad una centrale a gas naturale di uguale potenza.
Distruggerà qualunque prospettiva di realizzare un moderno circolo virtuoso dei rifiuti, annientando la raccolta differenziata ed il riciclo, dal momento che i materiali più facilmente riciclabili, plastica, carta e cartone, sono anche quelli con più alto potere calorifico, indispensabili all’inceneritore per funzionare.
Ha già distrutto ogni anelito di democrazia, essendo stato costruito contro la volontà dei cittadini, attraverso l’uso della forza. Va ricordato che dal 2004 ad oggi si sono contate a decine le manifestazioni popolari contro la costruzione dell’impianto, spesso represse dalle forze dell’ordine con l'uso dei manganelli, mentre nel corso dell’ultimo anno l’inceneritore è stato portato a compimento militarizzando l'area con l’uso dell’esercito.
Ha contribuito a rimpinguare oltre alle casse del malaffare, prima i profitti di Impregilo ed ora quelli di A2A che si sono avvicendate nella realizzazione dell’impianto che oggi ha iniziato a dispensare veleni.
Non contribuirà a risolvere il decennale problema (quello vero) dei rifiuti in Campania, dal momento che tale problema può essere risolto solamente attraverso la costruzione di quel circolo virtuoso dei rifiuti di cui l’inceneritore di Acerra è il nemico giurato.
Non possiede alcuna peculiarità che lo renda un impianto moderno, poiché l’incenerimento dei rifiuti è una pratica anacronistica che tutti i paesi moderni stanno abbandonando, indirizzandosi verso la raccolta differenziata, il riciclo, il riutilizzo ed il riuso.
Nonostante tutto ciò che ho scritto fino ad ora rappresenti una realtà incontrovertibile, documentata attraverso centinaia di libri e centinaia di studi epidemiologi, suffragata dall’opinione di un grandissimo numero di medici ed esperti e accessibile a chiunque, solamente attraverso un click del mouse o una visita in biblioteca, i mestieranti dell'informazione e della politica hanno oggi rappresentato in TV e sui giornali una commedia di fantasia per molti versi antitetica, destinata a diventare l’unica realtà per la stragrande maggioranza degli italiani che proprio dai media tradizionali suggono le proprie informazioni.
Il Corriere della Sera ha esordito con il titolo “parte l’inceneritore verde”, coniando un ossimoro privo di senso, al quale si spera non faranno seguito in futuro gli “omicidi giusti”, “l’inquinamento pulito”, i “licenziamenti dal volto umano” e altre amenità sui generis. Quasi tutti i TG hanno presentato l’evento con grande enfasi commista a soddisfazione, mentre le telecamere spaziavano sul presidente del Consiglio, abbarbicato al disopra di un palco sul quale campeggiava la scritta “termovalorizatore di Acerra” quasi anziché un dispenser di veleni e di morte, si stesse inaugurando un nuovo ospedale all’avanguardia o un’università. Ad assistere all’evento, consistente nell’apertura di un tendone blu con tanto di telecomando, che svelava una montagna di rifiuti maleodoranti, destinati a trasformarsi in miasmi venefici veicolati dal fumo dei camini, sono state invitate oltre 400 “personalità” come si trattasse di una prima della Scala.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è congratulato con il premier per l’avvio del “termovalorizzatore”, quasi si riferisse alla cerimonia (ad oggi non ancora avvenuta) per la ricostruzione delle case dei terremotati dell’Irpinia.
Guido Bertolaso ha parlato della “realizzazione del sogno di una Napoli pulita”, speculando sull’emergenza rifiuti dello scorso anno, creata ad arte per addivenire allo scopo. Inoltre ha aggiunto che il nuovo impianto emetterà il 75% di diossina in meno rispetto agli impianti più vecchi, dimenticando di dire che questo abbattimento si tradurrà nel raddoppio delle emissioni di nanopolveri, ben più pericolose della già ferale diossina.
Gianni Letta ha insistito sul ritorno dello Stato in Campania, per quanto sia mortificante il fatto che lo Stato ritorni non per porre rimedi, ma per avvelenare ulteriormente una popolazione già duramente provata da decenni di sversamenti di sostanze tossiche di ogni genere. Sulla stessa linea di pensiero anche Antonio Bassolino che il ritorno dello Stato avrebbe dovuto teoricamente temerlo.
Berlusconi ha affermato di “averci messo il cuore” ed ha vantato una vittoria della democrazia difficilmente riscontrabile in un’opera costruita con la forza e l’uso dei militari, contro il volere dei cittadini.
Ieri ed oggi centinaia di persone hanno sfilato in corteo per contestare l’inaugurazione di un’opera contro la quale si battono da anni. Alcune decine di loro hanno occupato l’aula consiliare del Municipio di Acerra, ricordando che questa per la popolazione cittadina è una giornata di lutto. Di tutto ciò naturalmente i mestieranti dell’informazione non hanno parlato, dal momento che sarebbe risultata una nota stonata all’interno del pacchetto preconfezionato, grondante giubilo e soddisfazione che doveva entrare nelle case degli italiani, a dimostrare che “incenerire è bello”, fa bene all’ambiente e un poco anche alla salute, trattandosi di un incenerimento “verde” e in diretta TV.
martedì 24 marzo 2009
Il capotreno
Marco Cedolin
Sono comparse stamani su tutti i media, le accattivanti immagini di Silvio Berlusconi accanto ai comandi del “mitico” TAV Freccia Rossa, con in testa un berretto da capotreno e stampato sul viso l’immarcescibile sorriso carico di ottimismo. L’originale mise e l’altrettanto inusuale ambientazione (il Premier ha ammesso di non essere più salito su un treno dai tempi della giovinezza) fanno parte della campagna promozionale in favore dell’alta velocità che oggi ha messo in scena l’ennesima rappresentazione teatrale. Il Cavaliere è infatti stato chiamato ad inaugurare, con un viaggio di prova, le disastrose gallerie del Mugello, il cui scavo ha portato il consorzio Cavet (che ha realizzato l’opera) ad un processo per il disastro ambientale compiuto. Processo conclusosi qualche settimana fa con condanne più lievi di quanto fosse logico aspettarsi.
Forse proprio il contesto, relativo ad un’opera fra le più discusse e peggio realizzate in Italia, ha indotto Berlusconi a parlare di altri argomenti con i giornalisti, limitando la sponsorizzazione al TAV alla sua apparizione in costume ferroviario. Purtroppo le esternazioni hanno fatto rimpiangere le fantasie visionarie concernenti l’alta velocità, cui l’ad delle Ferrovie Mauro Moretti ci ha da tempo abituato.
Il presidente Berlusconi ha infatti minimizzato la portata della crisi economica, come è solito fare abitualmente, dipingendola come un virus che arriva dagli Stati Uniti, ma fortunatamente ha colpito un corpo sano (l’Italia) che saprà reagire prontamente grazie alla buona situazione finanziaria delle famiglie e del sistema bancario nostrano.
Ha esortato gli italiani a reagire, impegnandosi a lavorare di più, anziché restare vittima dei licenziamenti e della cassa integrazione. Ha ironizzato sul calo del suo reddito personale, asserendo che in fondo gli basta un piatto di minestra. Ha parlato del nuovo piano casa grazie al quale gli italiani, divenuti o restati disoccupati, potranno comunque riuscire a lavorare di più ampliando a dismisura il volume delle proprie abitazioni.
Forse proprio il contesto, relativo ad un’opera fra le più discusse e peggio realizzate in Italia, ha indotto Berlusconi a parlare di altri argomenti con i giornalisti, limitando la sponsorizzazione al TAV alla sua apparizione in costume ferroviario. Purtroppo le esternazioni hanno fatto rimpiangere le fantasie visionarie concernenti l’alta velocità, cui l’ad delle Ferrovie Mauro Moretti ci ha da tempo abituato.
Il presidente Berlusconi ha infatti minimizzato la portata della crisi economica, come è solito fare abitualmente, dipingendola come un virus che arriva dagli Stati Uniti, ma fortunatamente ha colpito un corpo sano (l’Italia) che saprà reagire prontamente grazie alla buona situazione finanziaria delle famiglie e del sistema bancario nostrano.
Ha esortato gli italiani a reagire, impegnandosi a lavorare di più, anziché restare vittima dei licenziamenti e della cassa integrazione. Ha ironizzato sul calo del suo reddito personale, asserendo che in fondo gli basta un piatto di minestra. Ha parlato del nuovo piano casa grazie al quale gli italiani, divenuti o restati disoccupati, potranno comunque riuscire a lavorare di più ampliando a dismisura il volume delle proprie abitazioni.
Difficile decidere riguardo alla barzelletta più bella, fra quella del nuovo Freccia Rossa che da dicembre 2009 dovrebbe sfrecciare a 300 km/h all’interno delle gallerie monotubo scavate nel Mugello assassinando il territorio e quella degli italiani che potranno uscire dalla crisi economica globale semplicemente smettendo di essere pigri e decidendosi a lavorare di più.
Quasi impossibile comprendere quale, fra Berlusconi e Moretti, sia in fondo il capotreno più pericoloso alla guida del convoglio Italia che a 300 km/h sta viaggiando carico di ottimismo verso il suo Cassandra Crossing.
lunedì 23 marzo 2009
Licenzia anche tu!
Marco Cedolin
Si chiama "Lay Off" ed è il nuovo videogioco realizzato dalla Tilfactor in collaborazione con la New York University, con lo scopo di spiegare le dinamiche sociali attraverso l’esperienza videoludica. Un proposito molto ambizioso, perseguito dai programmatori in maniera alquanto parcellare, dal momento che nel contesto ludico i “lavoratori” vengono rappresentati unicamente sotto forma di un’ inutile zavorra di cui occorre disfarsi al più presto con ogni mezzo, senza che la loro presenza costituisca alcun valore.
Le regole del gioco sono molto semplici (a dispetto di quanto risultino complesse nella realtà le dinamiche sociali che i soloni della N.Y. University intenderebbero spiegare) il divertimento assicurato solo nel breve periodo, la “morale didattica” assai impalpabile, dal momento che i realizzatori propongono come panacea alla crisi l’equazione più licenziamenti uguale più profitti, senza preoccuparsi di cosa accadrà quando l’impresa non avrà più dipendenti.
Il giocatore, non appena accomodatosi dinanzi alla console, si trasforma come per incanto da risorsa umana in “tagliatore di teste” sotto forma dell’amministratore delegato di una corporation che deve recuperare il profitto perduto, nell’unica maniera in cui è possibile recuperarlo (finchè dura) all’interno di una società profondamente malata come quella contemporanea, cioè licenziando i dipendenti in maniera implacabile. Con la malcelata soddisfazione determinata dalla metamorfosi (sia pur virtuale) da vittima ad aguzzino, il giocatore dovrà fare di tutto per riuscire ad allineare i lavoratori sotto forma d’icona nella maniera corretta, un po’come accade nelle slot machines, al fine di poterli eliminare, recuperando la possibilità di ottenere finanziamenti dalle banche.
Per rendere maggiormente realistico (ed istruttivo) il contesto, sullo schermo vengono continuamente aggiornati dati relativi alla crisi economica, con dovizia di particolari riguardanti i finanziamenti pubblici destinati ad evitare il fallimento di quelle banche ed assicurazioni presso le quali s’intende (secondo lo scopo del gioco) recuperare credito.
Naturalmente (per bontà dei programmatori) i lavoratori, a differenza degli zombie di Resident Evil, vengono rappresentati come esseri umani, che posseggono una storia di vita ed hanno mogli, mariti, figli pronti a piangerne le sorti. Senza dubbio un tocco di delicatezza che li pone un gradino al di sopra dei poliziotti che vengono massacrati in GTA o ai mafiosi di Londra che cadono come mosche in the Getaway. Una volta licenziati finiscono in coda all’ufficio di collocamento, dove saranno destinati ad attendere una nuova occupazione per un lasso di tempo che rasenterà l’eternità, dal momento che (particolare evidentemente sfuggito agli universitari che studiano le dinamiche sociali) tutte le altre corporation non potrebbero assumerli essendo anch’esse impegnate a licenziare.
Ci sono anche i banchieri ed i finanzieri, quelli che dopo avere creato la crisi ora beneficiano dei finanziamenti pubblici, ma il giocatore non può licenziarli (ah le dinamiche sociali) e deve accontentarsi di ruotarne l’icona, senza che possano perdere l’occupazione.
Le regole del gioco sono molto semplici (a dispetto di quanto risultino complesse nella realtà le dinamiche sociali che i soloni della N.Y. University intenderebbero spiegare) il divertimento assicurato solo nel breve periodo, la “morale didattica” assai impalpabile, dal momento che i realizzatori propongono come panacea alla crisi l’equazione più licenziamenti uguale più profitti, senza preoccuparsi di cosa accadrà quando l’impresa non avrà più dipendenti.
Il giocatore, non appena accomodatosi dinanzi alla console, si trasforma come per incanto da risorsa umana in “tagliatore di teste” sotto forma dell’amministratore delegato di una corporation che deve recuperare il profitto perduto, nell’unica maniera in cui è possibile recuperarlo (finchè dura) all’interno di una società profondamente malata come quella contemporanea, cioè licenziando i dipendenti in maniera implacabile. Con la malcelata soddisfazione determinata dalla metamorfosi (sia pur virtuale) da vittima ad aguzzino, il giocatore dovrà fare di tutto per riuscire ad allineare i lavoratori sotto forma d’icona nella maniera corretta, un po’come accade nelle slot machines, al fine di poterli eliminare, recuperando la possibilità di ottenere finanziamenti dalle banche.
Per rendere maggiormente realistico (ed istruttivo) il contesto, sullo schermo vengono continuamente aggiornati dati relativi alla crisi economica, con dovizia di particolari riguardanti i finanziamenti pubblici destinati ad evitare il fallimento di quelle banche ed assicurazioni presso le quali s’intende (secondo lo scopo del gioco) recuperare credito.
Naturalmente (per bontà dei programmatori) i lavoratori, a differenza degli zombie di Resident Evil, vengono rappresentati come esseri umani, che posseggono una storia di vita ed hanno mogli, mariti, figli pronti a piangerne le sorti. Senza dubbio un tocco di delicatezza che li pone un gradino al di sopra dei poliziotti che vengono massacrati in GTA o ai mafiosi di Londra che cadono come mosche in the Getaway. Una volta licenziati finiscono in coda all’ufficio di collocamento, dove saranno destinati ad attendere una nuova occupazione per un lasso di tempo che rasenterà l’eternità, dal momento che (particolare evidentemente sfuggito agli universitari che studiano le dinamiche sociali) tutte le altre corporation non potrebbero assumerli essendo anch’esse impegnate a licenziare.
Ci sono anche i banchieri ed i finanzieri, quelli che dopo avere creato la crisi ora beneficiano dei finanziamenti pubblici, ma il giocatore non può licenziarli (ah le dinamiche sociali) e deve accontentarsi di ruotarne l’icona, senza che possano perdere l’occupazione.
Lay Off non sembra in verità un videogioco destinato ad entrare nella storia, dimostrandosi povero di fantasia e scarsamente efficace nella spiegazione di dinamiche sociali che gli stessi ideatori dimostrano di non avere compreso fino in fondo. In compenso rappresenta una cartina di tornasole utile per apprezzare il grado di degenerazione e disumanizzazione ormai raggiunto dalla nostra società e soprattutto (visti i risultati del lavoro) ci lascia con la speranza che i programmatori della Tilfactor e gli esperti della New York University possano raggiungere presto le icone dei dipendenti di Lay Off e fare loro a lungo compagnia all’interno dell’ufficio di collocamento.
giovedì 19 marzo 2009
E' ancora un'Onda anomala?
Marco Cedolin
Gli studenti sono tornati in piazza un po’ in tutta Italia, da Milano a Torino, a Genova, a Firenze, a Roma, a Macerata, partecipando allo sciopero generale dei settori della conoscenza proclamato dalla CGIL. All’Università La Sapienza di Roma si è vissuta una mattinata di tensione fra i giovani che intendevano uscire in corteo dalla cittadella universitaria e le forze dell’ordine decise ad impedire un’azione che avrebbe violato il nuovo protocollo creato per limitare i percorsi dei cortei, varato recentemente dalla giunta Alemanno, in accordo proprio con le organizzazioni sindacali. La tensione è sfociata poi in alcuni scontri fra la polizia e gli studenti, molti dei quali sono rimasti contusi nel corso delle cariche.
A parte gli scontri alla Sapienza, che si sarebbero certo potuti evitare interpretando il protocollo in modo meno rigido, la sensazione lasciata da questa giornata in cui la protesta studentesca è tornata a fare parlare di sé, è quella di un’Onda molto ridimensionata tanto nella partecipazione quanto nelle prospettive, rispetto al movimento che lo scorso autunno riempiva le piazze al grido di “né rossi né neri ma liberi pensieri”. Dopo gli incidenti di Piazza Navona dello scorso Ottobre, creati ad arte dai molti che temevano gli effetti di una protesta forte ed unitaria del mondo studentesco affrancata dal controllo dei partiti politici, la lotta degli studenti ha iniziato infatti a perdere mordente.
Da un lato è venuto meno il valore aggiunto di una lotta inclusiva in grado di travalicare le appartenenze politiche e le divisioni ideologiche. Dall’altro è mancato quello stimolo ad allargare gli orizzonti della protesta, ben oltre la contestazione del decreto Gelmini e la difesa dei diritti del personale docente. Stimolo che risultava prerogativa imprescindibile per consentire all’Onda di maturare nuove consapevolezze, aprendosi verso l’esterno ed aumentando la qualità della contestazione, fino ad arrivare al vero nocciolo del problema. Un problema costituito non tanto dalle “innovazioni” e dai tagli messi in atto dalla Gelmini (per quanto deprecabili possano essere) quanto da un modello di sviluppo che ha deteriorato il mondo del lavoro fino al punto d’ingenerare un sistema che “sforna” e continuerà a sfornare schiere di laureati destinati a diventare disoccupati o lavoratori precari, senza avere la possibilità di mettere a frutto la conoscenza che hanno acquisito nel corso dei loro studi.
A parte gli scontri alla Sapienza, che si sarebbero certo potuti evitare interpretando il protocollo in modo meno rigido, la sensazione lasciata da questa giornata in cui la protesta studentesca è tornata a fare parlare di sé, è quella di un’Onda molto ridimensionata tanto nella partecipazione quanto nelle prospettive, rispetto al movimento che lo scorso autunno riempiva le piazze al grido di “né rossi né neri ma liberi pensieri”. Dopo gli incidenti di Piazza Navona dello scorso Ottobre, creati ad arte dai molti che temevano gli effetti di una protesta forte ed unitaria del mondo studentesco affrancata dal controllo dei partiti politici, la lotta degli studenti ha iniziato infatti a perdere mordente.
Da un lato è venuto meno il valore aggiunto di una lotta inclusiva in grado di travalicare le appartenenze politiche e le divisioni ideologiche. Dall’altro è mancato quello stimolo ad allargare gli orizzonti della protesta, ben oltre la contestazione del decreto Gelmini e la difesa dei diritti del personale docente. Stimolo che risultava prerogativa imprescindibile per consentire all’Onda di maturare nuove consapevolezze, aprendosi verso l’esterno ed aumentando la qualità della contestazione, fino ad arrivare al vero nocciolo del problema. Un problema costituito non tanto dalle “innovazioni” e dai tagli messi in atto dalla Gelmini (per quanto deprecabili possano essere) quanto da un modello di sviluppo che ha deteriorato il mondo del lavoro fino al punto d’ingenerare un sistema che “sforna” e continuerà a sfornare schiere di laureati destinati a diventare disoccupati o lavoratori precari, senza avere la possibilità di mettere a frutto la conoscenza che hanno acquisito nel corso dei loro studi.
Il crollo della partecipazione, affogata nel riemergere delle differenze e dei distinguo, e la mancanza di una dimensione propria, affrancata dalle rivendicazioni di partiti e sindacati che difendono il proprio status quo, ha trasformato la dirompente protesta studentesca d’autunno in un qualcosa d’impalpabile. Un’Onda non più anomala, bensì inquadrata all’interno dei meccanismi della politica, funzionale, come lo è stata oggi, agli interessi di quella CGIL che a suo tempo sottoscrisse proprio la legge 30 grazie alla quale molti di questi ragazzi riceveranno in dono un futuro da precario.
martedì 17 marzo 2009
L'acqua della Banca Mondiale
Marco Cedolin
Nel mondo globalizzato governato dai grandi organismi mondiali, si susseguono gli incontri ai massimi livelli. Riunioni, summit, forum, conferenze, G7, G8, G20, continuano a riproporre a latitudini diverse la medesima congrega di premier, ministri, magnati dell’industria e della finanza, impegnati a plasmare il futuro di alcuni miliardi di esseri umani e di un intero pianeta nella maniera che risulta più funzionale ai propri interessi. Si tratta degli stessi individui, degli stessi organismi e delle stesse multinazionali che hanno creato la crisi economica, la crisi finanziaria e la crisi ambientale ed ora stanno tentando di vendere, come tanti piazzisti, la cura miracolosa consistente nel farne pagare il conto a quei miliardi di persone che già stanno subendone le pesanti conseguenze all’interno del proprio quotidiano.
S’inserisce perfettamente in questa logica il Forum dell’acqua, apertosi ieri ad Istanbul e organizzato dal Consiglio Mondiale dell’acqua, una sorta di think – thank privato, diretta emanazione della Banca Mondiale e delle grandi multinazionali che proprio speculando sull'acqua
costruiscono i propri profitti. All’incontro prenderanno parte 3000 organizzazioni, circa 20 capi di stato e 180 ministri dell’ambiente di altrettanti paesi del mondo, fra i quali l’Italia rappresentata dal ministro Stefania Prestigiacomo.
I partecipanti hanno iniziato a discutere delle questioni relative alla disponibilità e alla sicurezza dell'acqua, partendo dall’allarme lanciato dall’ONU riguardo al fatto che nel 2030 la metà della popolazione mondiale si ritroverà a fare i conti con la penuria d’acqua a causa dei cambiamenti climatici, dell’aumento di popolazione, della crescente domanda di energia, e dell’incapacità politico-gestionale della classe dirigente mondiale.
Sono stati in molti a vedere un cortocircuito logico nel fatto che ad affrontare lo spinoso argomento fosse delegata proprio quella classe dirigente che ha contribuito a creare i presupposti della crisi idrica globale. Sono stati in molti (alcune centinaia secondo i pochi giornali che hanno dato la notizia) a protestare ad Istanbul contro l’apertura del quinto Forum internazionale dell’acqua, prima di venire caricati e manganellati dalla polizia (vedi foto) ricevendo il trattamento standard che le democrazie occidentali riservano abitualmente a chiunque osi dissentire.
Sono state 118 organizzazioni facenti capo a 33 paesi a sottoscrivere una lettera indirizzata al segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, all’interno della quale gli estensori della stessa domandano al capo dell'Onu di ritirare il proprio sostegno al Consiglio Mondiale dell'Acqua, mettendone in dubbio la legittimità e la trasparenza.Saranno in molti ad organizzare, proprio in questi giorni ad Istanbul, un Forum alternativo composto da tutti coloro che non riconoscono la legittimità del Consiglio Mondiale dell'Acqua, avendo ben compreso la reale natura dell’incontro, finalizzato a discutere la spartizione della risorsa acqua in funzione d’interessi assai lontani da quelli della collettività.
S’inserisce perfettamente in questa logica il Forum dell’acqua, apertosi ieri ad Istanbul e organizzato dal Consiglio Mondiale dell’acqua, una sorta di think – thank privato, diretta emanazione della Banca Mondiale e delle grandi multinazionali che proprio speculando sull'acqua
costruiscono i propri profitti. All’incontro prenderanno parte 3000 organizzazioni, circa 20 capi di stato e 180 ministri dell’ambiente di altrettanti paesi del mondo, fra i quali l’Italia rappresentata dal ministro Stefania Prestigiacomo.
I partecipanti hanno iniziato a discutere delle questioni relative alla disponibilità e alla sicurezza dell'acqua, partendo dall’allarme lanciato dall’ONU riguardo al fatto che nel 2030 la metà della popolazione mondiale si ritroverà a fare i conti con la penuria d’acqua a causa dei cambiamenti climatici, dell’aumento di popolazione, della crescente domanda di energia, e dell’incapacità politico-gestionale della classe dirigente mondiale.
Sono stati in molti a vedere un cortocircuito logico nel fatto che ad affrontare lo spinoso argomento fosse delegata proprio quella classe dirigente che ha contribuito a creare i presupposti della crisi idrica globale. Sono stati in molti (alcune centinaia secondo i pochi giornali che hanno dato la notizia) a protestare ad Istanbul contro l’apertura del quinto Forum internazionale dell’acqua, prima di venire caricati e manganellati dalla polizia (vedi foto) ricevendo il trattamento standard che le democrazie occidentali riservano abitualmente a chiunque osi dissentire.
Sono state 118 organizzazioni facenti capo a 33 paesi a sottoscrivere una lettera indirizzata al segretario generale dell'Onu, Ban Ki-Moon, all’interno della quale gli estensori della stessa domandano al capo dell'Onu di ritirare il proprio sostegno al Consiglio Mondiale dell'Acqua, mettendone in dubbio la legittimità e la trasparenza.Saranno in molti ad organizzare, proprio in questi giorni ad Istanbul, un Forum alternativo composto da tutti coloro che non riconoscono la legittimità del Consiglio Mondiale dell'Acqua, avendo ben compreso la reale natura dell’incontro, finalizzato a discutere la spartizione della risorsa acqua in funzione d’interessi assai lontani da quelli della collettività.
lunedì 16 marzo 2009
Battaglia per un posto al sole
Marco Cedolin
A New York è scoppiato ieri un gigantesco parapiglia all’interno della nutritissima folla che stava attendendo di partecipare ai provini del reality "America's Next top Model", provocando l’immediata sospensione delle audizioni che stavano avvenendo all’interno di un famoso hotel di Manhattan. Secondo il resoconto delle autorità non è risultato chiaro cosa abbia contribuito a generare il caos fra le migliaia di aspiranti, gran parte delle quali erano rimaste in fila per tutta la notte al fine di garantirsi il diritto all’audizione. Stando ad alcune ricostruzioni il fumo proveniente da un veicolo in sosta con il motore acceso potrebbe avere creato la psicosi del pericolo di un incendio innescando i disordini, o più semplicemente gli animi delle persone in coda in strada da moltissime ore si sarebbero surriscaldati fino al punto da dare il via ad una maxi rissa che gli agenti presenti hanno faticato non poco a contenere.
Quale che ne sia stata l’origine, e quali le responsabilità che sembrano pesare in larga parte sull’organizzazione delle selezioni, il bilancio definitivo degli scontri parla di 6 feriti trasportati in ambulanza all’ospedale, 3 persone arrestate e la strada antistante l’albergo ridotta ad un campo di battaglia, dove sono rimasti abbandonati dalle persone in preda al panico decine di sacchi a pelo che erano serviti alle aspiranti concorrenti per passare la notte, insieme a sedie, scarpe e vestiti. Il network Cw, deputato a mandare in onda la tredicesima edizione del reality, ha fatto sapere che le audizioni, finalizzate a scegliere fra migliaia di contendenti la decina di ragazze che alla fine parteciperanno al programma, sono state definitivamente cancellate per quanto riguarda New York, ma continueranno a Chicago, Dallas e Los Angeles. Si spera all’interno di scenari molto meno movimentati rispetto a quello della grande mela.
La vicenda, ben poco edificante, offre lo spunto per volgere uno sguardo disincantato fra le pieghe di una società che ormai incapace di offrire alle nuove generazioni concrete prospettive di futuro, preferisce dispensare illusioni, attraverso le quali incanalare le ambizioni dei giovani verso sogni di successo televisivo tanto improbabili quanto carichi di effimero appeal.
Quale che ne sia stata l’origine, e quali le responsabilità che sembrano pesare in larga parte sull’organizzazione delle selezioni, il bilancio definitivo degli scontri parla di 6 feriti trasportati in ambulanza all’ospedale, 3 persone arrestate e la strada antistante l’albergo ridotta ad un campo di battaglia, dove sono rimasti abbandonati dalle persone in preda al panico decine di sacchi a pelo che erano serviti alle aspiranti concorrenti per passare la notte, insieme a sedie, scarpe e vestiti. Il network Cw, deputato a mandare in onda la tredicesima edizione del reality, ha fatto sapere che le audizioni, finalizzate a scegliere fra migliaia di contendenti la decina di ragazze che alla fine parteciperanno al programma, sono state definitivamente cancellate per quanto riguarda New York, ma continueranno a Chicago, Dallas e Los Angeles. Si spera all’interno di scenari molto meno movimentati rispetto a quello della grande mela.
La vicenda, ben poco edificante, offre lo spunto per volgere uno sguardo disincantato fra le pieghe di una società che ormai incapace di offrire alle nuove generazioni concrete prospettive di futuro, preferisce dispensare illusioni, attraverso le quali incanalare le ambizioni dei giovani verso sogni di successo televisivo tanto improbabili quanto carichi di effimero appeal.
Il tronista, la velina, l’allievo di “amici”, il partecipante al grande fratello, a x factor o alla fattoria, sono diventati i nuovi punti di riferimento per intere generazioni di ragazzi costretti a muoversi su un piano inclinato destinato a traghettarli dalla scuola all’università ad un lavoro precario che molto spesso non avrà alcuna attinenza con l’oggetto degli studi fatti. Ragazzi figli di una realtà che cammina come un gambero, deprivandoli della possibilità di “costruirsi un futuro” assimilabile a quello delle generazioni che li hanno preceduti.
Tutti in fila a migliaia per un posto in TV, a sgomitare per un metro quadro del regno dell’effimero, dove la crisi non esiste, i soldi sono facili e si conquista l’ammirazione di tutti coloro che diventeranno adulti inseguendo un “posto al sole” che non arriverà mai, condannati a vivere nella realtà, fatta di lavoro precario e giocate “sfortunate” al superenalotto.
sabato 14 marzo 2009
NO TAV in Val di Susa fra passato e futuro
Marco Cedolin
Esiste una domanda che quasi tutti, contrari o favorevoli all’alta velocità, semplici cittadini o uomini politici, fautori della crescita o attivisti della decrescita, sindacalisti, poliziotti o industriali, stanno continuando a porsi con sempre più insistenza. Quando fra qualche mese o qualche anno in Val di Susa torneranno le ruspe per iniziare la costruzione del TAV Torino – Lione e la Valle verrà nuovamente militarizzata come si trattasse dell’Afghanistan, la reazione popolare sarà dirompente e decisiva come lo fu nel 2005?
Per tentare di darci una risposta occorre ripercorrere gli ultimi 3 anni, al fine di comprendere se ed in quale misura gli accadimenti succedutisi abbiano intaccato la compattezza del movimento NO TAV e la posizione di aperta contrarietà nei confronti dell’alta velocità radicata in larga parte della popolazione valsusina.
E’ importante innanzitutto sottolineare come il fulcro del movimento NO TAV della Valsusa sia stato costituito fin dall’inizio da comuni cittadini di estrazioni politiche e culturali estremamente eterogenee. Un’eterogeneità dimostrata dalla convivenza costruttiva all’interno della stessa lotta di sensibilità molto differenti fra loro, che arrivano a spaziare dagli Squatter torinesi al mondo cattolico, passando attraverso un’infinità di differenze che sono sempre state vissute non sotto forma di divisione, bensì come un valore aggiunto da attribuire ad una lotta dal carattere spiccatamente inclusivo. A questo fulcro primigenio si sono avvicinati, durante l'autunno "caldo"
del 2005 che ha proiettato la Val di Susa sulle prime pagine dei giornali e sotto i riflettori dei TG, molte altre realtà che fino ad allora si erano tenute in disparte o avevano condiviso la contrarietà all’alta velocità con molte riserve. I sindaci dei comuni valsusini, prima disponibili a consentire i sondaggi, si sono ritrovati “sospinti” sulle barricate dalla constatazione che la maggior parte dei cittadini da loro amministrati già le stava presidiando e sarebbe stato opportuno “cavalcare” una protesta ormai arrivata a bucare gli schermi TV e ad appassionare l’Italia intera. I partiti della sinistra radicale colsero al volo un’opportunità straordinaria che di lì a pochi mesi avrebbero potuto tradurre sotto forma di consenso elettorale. Le grandi associazioni ambientaliste, anche qualora complici a livello nazionale della truffa legata all’alta velocità, non poterono esimersi dallo schierarsi a favore della Val di Susa che veniva militarizzata per costruire con la forza un’opera di dubbia utilità.
Accadde così che per alcuni mesi (pochi per la verità) una larga serie di soggetti politici e ambientalpolitici entrarono a fare parte attivamente del movimento NO TAV a fianco dei comitati formati dai cittadini che comunque mai smisero di costituire la vera ed unica ossatura del movimento stesso.
I sindaci valsusini, capitanati dal presidente della Comunità montana Bassa Val di Susa Antonio Ferrentino ormai diventato una star TV, già all’indomani della “liberazione” di Venaus dai cantieri e della successiva smilitarizzazione della Valle, iniziarono un lungo percorso di affrancamento dalla lotta NO TAV. Percorso che partì 10 dicembre 2005 quando i sindaci incontrarono il governo a Palazzo Chigi e condivisero la creazione dell’Osservatorio sulla Torino – Lione presieduto da Mario Virano. Proseguì nel corso di un paio d’anni di partecipazione attiva al suddetto Osservatorio e ripetute discese a Roma per colloquiare con il governo. Un paio d’anni vissuti all’insegna del disimpegno e della volontà di “normalizzare” i valligiani, diventati nel frattempo troppo critici nei confronti della politica di palazzo. Giunse a completamento nello scorso mese di giugno 2008, quando a Pra Catinat gli stessi sindaci della Val di Susa accettarono di fatto la prospettiva di un nuovo progetto di TAV Torino – Lione e appoggiarono la richiesta del governo finalizzata ad ottenere 671 milioni di euro di finanziamento europeo per iniziare i lavori di costruzione del tunnel.
I partiti della sinistra radicale continuarono a sostenere la battaglia contro al TAV in Val di Susa fino al momento delle elezioni di aprile 2006, preoccupandosi soprattutto di evitare che nell’ambito del movimento valsusino potesse nascere una qualche lista elettorale NO TAV capace di sottrarre loro voti. Dopo le elezioni, durante le quali ottennero in Valle di Susa consensi percentualmente così rilevanti da somigliare a quelli ottenuti da Forza Italia e dai DS nel resto D’Italia, iniziarono anche loro un progressivo percorso di disimpegno. Disimpegno che arrivò a compimento nel Febbraio 2007, quando la sinistra radicale nell’estremo tentativo di mantenere le poltrone di governo, sottoscrisse il dodecalogo voluto da Romano Prodi, al primo punto del quale figurava la volontà di costruire proprio il TAV Torino – Lione. Paolo Cento, deputato dei Verdi, in un incontro da lui stesso richiesto con alcuni attivisti del movimento NO TAV all’indomani della firma del dodecalogo, disse loro che da quel momento in poi non avrebbero più potuto “contare” sull’appoggio del suo partito e avrebbero dovuto fare unicamente affidamento sulle proprie gambe, come avevano sempre fatto (lui stesso lo riconobbe) fino ad un anno prima. I valsusini che avevano sostenuto alle urne la sinistra radicale compresero di avere gettato il proprio voto nella spazzatura e continuarono per la propria strada con un bagaglio di esperienza maggiore.
Le grandi associazioni ambientaliste (Legambiente e WWF su tutte) che mai si erano manifestate contrarie all’alta velocità, se non a livello locale, si allontanarono quasi subito insieme ai riflettori delle TV, fino ad arrivare a collocarsi a fianco della lobby del cemento e del tondino che in Italia con la costruzione del TAV sta intascando profitti miliardari. Fondarono il comitato SI TAV Napoli – Bari (Legambiente) e gioirono per il raggiungimento dell’accordo di Pra Catinat (Legambiente e WWF) che a loro dire si sarebbe rivelato prodromico della costruzione del TAV con la condivisione dei cittadini.
I cittadini, che organizzati in comitati o meno, hanno costituito, costituiscono e continueranno a costituire la vera anima del movimento NO TAV, durante questi 3 anni non sono stati fermi. Al contrario hanno continuato a produrre informazione, organizzare convegni, dibattiti, serate informative, anche quando alcuni sindaci hanno iniziato a tentare di boicottarle. Hanno raccolto 32.000 firme contro qualsiasi progetto di nuova linea ferroviaria in Valle di Susa, nonostante molti sindaci invitassero i cittadini a non firmare. Hanno continuato ad organizzare presidi e manifestazioni estremamente partecipati, l’ultima delle quali il 6 dicembre 2008 a Susa ha raccolto almeno 20.000 persone che hanno sfilato in una moltitudine di bandiere NO TAV, senza mostrare troppa attenzione al fatto che fossero presenti solo un paio di sindaci, oltretutto senza fascia. Hanno organizzato l’operazione “compra un posto in prima fila” nell’ambito della quale oltre 2000 cittadini hanno acquistato un metro quadro dei terreni che potrebbero essere oggetto dei futuri cantieri. Hanno reagito con fermezza ogni qualvolta gli “amici di un tempo” tentavano di prenderli per il naso, raccontando che il TAV sarebbe stato meno brutto se avesse avuto un nome diverso. Hanno smontato pezzo a pezzo il progetto del FARE, proposto dai tecnici di Ferrentino per fare passare dalla finestra quell’alta velocità che nel 2005 la popolazione aveva cacciato a calci dalla porta. Sono rimasti fermi sulle proprie posizioni, senza concedere un solo metro, forti come può esserlo solo chi è consapevole delle proprie ragioni.
Nessuno naturalmente può astrologare con certezza su cosa accadrà fra qualche mese o qualche anno, quando le ruspe ed i militari torneranno in Valle di Susa. L’impressione palpabile resta comunque quella che il movimento NO TAV sarà lì ad aspettarli, così come era lì nel 2005, ben prima dell’aggregazione di tanti soggetti politici pronti a cogliere l’opportunità. Un movimento eterogeneo, fatto di cittadini disposti a mettersi in gioco, consapevoli che l’opposizione fisica pacifica rappresenta, oggi come allora, l’unico mezzo per evitare che una valle alpina venga trasformata in un corridoio di transito senza futuro e senza prospettive.
Esiste una domanda che quasi tutti, contrari o favorevoli all’alta velocità, semplici cittadini o uomini politici, fautori della crescita o attivisti della decrescita, sindacalisti, poliziotti o industriali, stanno continuando a porsi con sempre più insistenza. Quando fra qualche mese o qualche anno in Val di Susa torneranno le ruspe per iniziare la costruzione del TAV Torino – Lione e la Valle verrà nuovamente militarizzata come si trattasse dell’Afghanistan, la reazione popolare sarà dirompente e decisiva come lo fu nel 2005?
Per tentare di darci una risposta occorre ripercorrere gli ultimi 3 anni, al fine di comprendere se ed in quale misura gli accadimenti succedutisi abbiano intaccato la compattezza del movimento NO TAV e la posizione di aperta contrarietà nei confronti dell’alta velocità radicata in larga parte della popolazione valsusina.
E’ importante innanzitutto sottolineare come il fulcro del movimento NO TAV della Valsusa sia stato costituito fin dall’inizio da comuni cittadini di estrazioni politiche e culturali estremamente eterogenee. Un’eterogeneità dimostrata dalla convivenza costruttiva all’interno della stessa lotta di sensibilità molto differenti fra loro, che arrivano a spaziare dagli Squatter torinesi al mondo cattolico, passando attraverso un’infinità di differenze che sono sempre state vissute non sotto forma di divisione, bensì come un valore aggiunto da attribuire ad una lotta dal carattere spiccatamente inclusivo. A questo fulcro primigenio si sono avvicinati, durante l'autunno "caldo"
del 2005 che ha proiettato la Val di Susa sulle prime pagine dei giornali e sotto i riflettori dei TG, molte altre realtà che fino ad allora si erano tenute in disparte o avevano condiviso la contrarietà all’alta velocità con molte riserve. I sindaci dei comuni valsusini, prima disponibili a consentire i sondaggi, si sono ritrovati “sospinti” sulle barricate dalla constatazione che la maggior parte dei cittadini da loro amministrati già le stava presidiando e sarebbe stato opportuno “cavalcare” una protesta ormai arrivata a bucare gli schermi TV e ad appassionare l’Italia intera. I partiti della sinistra radicale colsero al volo un’opportunità straordinaria che di lì a pochi mesi avrebbero potuto tradurre sotto forma di consenso elettorale. Le grandi associazioni ambientaliste, anche qualora complici a livello nazionale della truffa legata all’alta velocità, non poterono esimersi dallo schierarsi a favore della Val di Susa che veniva militarizzata per costruire con la forza un’opera di dubbia utilità.
Accadde così che per alcuni mesi (pochi per la verità) una larga serie di soggetti politici e ambientalpolitici entrarono a fare parte attivamente del movimento NO TAV a fianco dei comitati formati dai cittadini che comunque mai smisero di costituire la vera ed unica ossatura del movimento stesso.
I sindaci valsusini, capitanati dal presidente della Comunità montana Bassa Val di Susa Antonio Ferrentino ormai diventato una star TV, già all’indomani della “liberazione” di Venaus dai cantieri e della successiva smilitarizzazione della Valle, iniziarono un lungo percorso di affrancamento dalla lotta NO TAV. Percorso che partì 10 dicembre 2005 quando i sindaci incontrarono il governo a Palazzo Chigi e condivisero la creazione dell’Osservatorio sulla Torino – Lione presieduto da Mario Virano. Proseguì nel corso di un paio d’anni di partecipazione attiva al suddetto Osservatorio e ripetute discese a Roma per colloquiare con il governo. Un paio d’anni vissuti all’insegna del disimpegno e della volontà di “normalizzare” i valligiani, diventati nel frattempo troppo critici nei confronti della politica di palazzo. Giunse a completamento nello scorso mese di giugno 2008, quando a Pra Catinat gli stessi sindaci della Val di Susa accettarono di fatto la prospettiva di un nuovo progetto di TAV Torino – Lione e appoggiarono la richiesta del governo finalizzata ad ottenere 671 milioni di euro di finanziamento europeo per iniziare i lavori di costruzione del tunnel.
I partiti della sinistra radicale continuarono a sostenere la battaglia contro al TAV in Val di Susa fino al momento delle elezioni di aprile 2006, preoccupandosi soprattutto di evitare che nell’ambito del movimento valsusino potesse nascere una qualche lista elettorale NO TAV capace di sottrarre loro voti. Dopo le elezioni, durante le quali ottennero in Valle di Susa consensi percentualmente così rilevanti da somigliare a quelli ottenuti da Forza Italia e dai DS nel resto D’Italia, iniziarono anche loro un progressivo percorso di disimpegno. Disimpegno che arrivò a compimento nel Febbraio 2007, quando la sinistra radicale nell’estremo tentativo di mantenere le poltrone di governo, sottoscrisse il dodecalogo voluto da Romano Prodi, al primo punto del quale figurava la volontà di costruire proprio il TAV Torino – Lione. Paolo Cento, deputato dei Verdi, in un incontro da lui stesso richiesto con alcuni attivisti del movimento NO TAV all’indomani della firma del dodecalogo, disse loro che da quel momento in poi non avrebbero più potuto “contare” sull’appoggio del suo partito e avrebbero dovuto fare unicamente affidamento sulle proprie gambe, come avevano sempre fatto (lui stesso lo riconobbe) fino ad un anno prima. I valsusini che avevano sostenuto alle urne la sinistra radicale compresero di avere gettato il proprio voto nella spazzatura e continuarono per la propria strada con un bagaglio di esperienza maggiore.
Le grandi associazioni ambientaliste (Legambiente e WWF su tutte) che mai si erano manifestate contrarie all’alta velocità, se non a livello locale, si allontanarono quasi subito insieme ai riflettori delle TV, fino ad arrivare a collocarsi a fianco della lobby del cemento e del tondino che in Italia con la costruzione del TAV sta intascando profitti miliardari. Fondarono il comitato SI TAV Napoli – Bari (Legambiente) e gioirono per il raggiungimento dell’accordo di Pra Catinat (Legambiente e WWF) che a loro dire si sarebbe rivelato prodromico della costruzione del TAV con la condivisione dei cittadini.
I cittadini, che organizzati in comitati o meno, hanno costituito, costituiscono e continueranno a costituire la vera anima del movimento NO TAV, durante questi 3 anni non sono stati fermi. Al contrario hanno continuato a produrre informazione, organizzare convegni, dibattiti, serate informative, anche quando alcuni sindaci hanno iniziato a tentare di boicottarle. Hanno raccolto 32.000 firme contro qualsiasi progetto di nuova linea ferroviaria in Valle di Susa, nonostante molti sindaci invitassero i cittadini a non firmare. Hanno continuato ad organizzare presidi e manifestazioni estremamente partecipati, l’ultima delle quali il 6 dicembre 2008 a Susa ha raccolto almeno 20.000 persone che hanno sfilato in una moltitudine di bandiere NO TAV, senza mostrare troppa attenzione al fatto che fossero presenti solo un paio di sindaci, oltretutto senza fascia. Hanno organizzato l’operazione “compra un posto in prima fila” nell’ambito della quale oltre 2000 cittadini hanno acquistato un metro quadro dei terreni che potrebbero essere oggetto dei futuri cantieri. Hanno reagito con fermezza ogni qualvolta gli “amici di un tempo” tentavano di prenderli per il naso, raccontando che il TAV sarebbe stato meno brutto se avesse avuto un nome diverso. Hanno smontato pezzo a pezzo il progetto del FARE, proposto dai tecnici di Ferrentino per fare passare dalla finestra quell’alta velocità che nel 2005 la popolazione aveva cacciato a calci dalla porta. Sono rimasti fermi sulle proprie posizioni, senza concedere un solo metro, forti come può esserlo solo chi è consapevole delle proprie ragioni.
Nessuno naturalmente può astrologare con certezza su cosa accadrà fra qualche mese o qualche anno, quando le ruspe ed i militari torneranno in Valle di Susa. L’impressione palpabile resta comunque quella che il movimento NO TAV sarà lì ad aspettarli, così come era lì nel 2005, ben prima dell’aggregazione di tanti soggetti politici pronti a cogliere l’opportunità. Un movimento eterogeneo, fatto di cittadini disposti a mettersi in gioco, consapevoli che l’opposizione fisica pacifica rappresenta, oggi come allora, l’unico mezzo per evitare che una valle alpina venga trasformata in un corridoio di transito senza futuro e senza prospettive.
giovedì 12 marzo 2009
Crolla il traffico merci
Marco Cedolin
La notizia viene riportata all’interno di un articolo della Stampa nella sezione cronaca di Torino e riguarda il traffico merci fra Italia e Francia ai valichi piemontesi e valdostani, ma la situazione risulta essere molto simile un po’ dappertutto in Italia, dal momento che secondo un’analisi della Fita Cna datata 23 gennaio 2009, sarebbero oltre 10.000 le aziende di autotrasporto destinate a chiudere i battenti entro la fine dell’anno.
La diminuzione dei traffici merci è iniziata nel 2001 con il deteriorarsi della situazione economica, ma nell’ultimo anno ha raggiunto livelli davvero imponenti. Al valico del Frejus, in Valle di Susa, i transiti dei mezzi pesanti sono diminuiti del 25%, al tunnel del Monte Bianco di circa il 20% ed a Ventimiglia del 16%. A causa di questa enorme riduzione dei transiti merci ai valichi di frontiera, il traffico risulta essere diminuito del 13,1% anche sulla tangenziale di Torino e sull’autostrada Torino – Aosta, secondo i dati diffusi dall’Ativa che gestisce entrambe le tratte.
La notizia resterà con tutta probabilità relegata nel novero della cronaca locale, in quanto troppo scomoda per tutta la schiera di “cantastorie” ed esperti da salotto buono che continuano pedissequamente a giustificare proprio con l’incremento esponenziale del traffico merci, la necessità di costruire sempre nuovi tunnel, nuove linee ferroviarie ad alta velocità e nuove autostrade. Mentre la movimentazione delle merci, in virtù di una crisi economica tanto profonda quanto destinata a protrarsi molto a lungo nel tempo, risulta in fase di rilevante e progressiva riduzione, l’Italia sta investendo e si appresta ad investire decine di miliardi per costruire grandi opere destinate proprio al trasporto delle merci, che dovrebbero affiancare quelle esistenti, attualmente sottoutilizzate.
Il lavori di costruzione del doppio tunnel del Brennero (BBT) della lunghezza di 55 km stanno per partire, dopo che l’opera è stata formalmente inaugurata dal presidente Napolitano nello scorso mese di aprile 2008. Al Frejus, proprio dove il crollo del traffico risulta maggiore, stanno per aprirsi i cantieri relativi alla costruzione di un secondo tunnel parallelo che benché venga spacciato come canna di sicurezza, avrà le stesse dimensioni di una normale galleria autostradale. Sempre in Val di Susa il governo ha confermato la volontà di procedere in tempi brevi allo scavo del tunnel di 54 km sotto al massiccio dell’Ambin, che risulta parte integrante del controverso progetto TAV Torino-Lione, senza preoccuparsi minimamente del fatto che oltre alla totale mancanza dei traffici ferroviari (la linea ferroviaria attuale risulta sfruttata al 35% delle proprie potenzialità) stanno diminuendo in maniera sempre più marcata anche quelli su gomma.
La diminuzione dei traffici merci è iniziata nel 2001 con il deteriorarsi della situazione economica, ma nell’ultimo anno ha raggiunto livelli davvero imponenti. Al valico del Frejus, in Valle di Susa, i transiti dei mezzi pesanti sono diminuiti del 25%, al tunnel del Monte Bianco di circa il 20% ed a Ventimiglia del 16%. A causa di questa enorme riduzione dei transiti merci ai valichi di frontiera, il traffico risulta essere diminuito del 13,1% anche sulla tangenziale di Torino e sull’autostrada Torino – Aosta, secondo i dati diffusi dall’Ativa che gestisce entrambe le tratte.
La notizia resterà con tutta probabilità relegata nel novero della cronaca locale, in quanto troppo scomoda per tutta la schiera di “cantastorie” ed esperti da salotto buono che continuano pedissequamente a giustificare proprio con l’incremento esponenziale del traffico merci, la necessità di costruire sempre nuovi tunnel, nuove linee ferroviarie ad alta velocità e nuove autostrade. Mentre la movimentazione delle merci, in virtù di una crisi economica tanto profonda quanto destinata a protrarsi molto a lungo nel tempo, risulta in fase di rilevante e progressiva riduzione, l’Italia sta investendo e si appresta ad investire decine di miliardi per costruire grandi opere destinate proprio al trasporto delle merci, che dovrebbero affiancare quelle esistenti, attualmente sottoutilizzate.
Il lavori di costruzione del doppio tunnel del Brennero (BBT) della lunghezza di 55 km stanno per partire, dopo che l’opera è stata formalmente inaugurata dal presidente Napolitano nello scorso mese di aprile 2008. Al Frejus, proprio dove il crollo del traffico risulta maggiore, stanno per aprirsi i cantieri relativi alla costruzione di un secondo tunnel parallelo che benché venga spacciato come canna di sicurezza, avrà le stesse dimensioni di una normale galleria autostradale. Sempre in Val di Susa il governo ha confermato la volontà di procedere in tempi brevi allo scavo del tunnel di 54 km sotto al massiccio dell’Ambin, che risulta parte integrante del controverso progetto TAV Torino-Lione, senza preoccuparsi minimamente del fatto che oltre alla totale mancanza dei traffici ferroviari (la linea ferroviaria attuale risulta sfruttata al 35% delle proprie potenzialità) stanno diminuendo in maniera sempre più marcata anche quelli su gomma.
Quando i lavori saranno terminati, dentro a questi tunnel e sulle relative infrastrutture di accesso non ci sarà con tutta probabilità nulla da trasportare, ma questo ovviamente è di secondaria importanza per tutti coloro (ultimo in ordine di tempo l'architetto Fuksas) che vivono di slogan e sono soliti plasmare la realtà ad uso e consumo dei propri padroni.
mercoledì 11 marzo 2009
La gomma del Ponte
Marco Cedolin
Pubblicato su Terranauta
Come un chewing gum masticato per troppo tempo ed ormai privo di gusto, anche il progetto del Ponte sullo Stretto di Messina, sembrava potere ambire come unica destinazione al cestino della spazzatura. Durante il biennio del Governo Prodi il controverso progetto del Ponte che fin dal momento del suo concepimento aveva finito per dividere anziché unire gli italiani, pareva infatti destinato definitivamente ad obliare nel novero delle opere ciclopiche che mai sarebbero state cantierizzate. Il tutto dopo 40 anni di chiacchiere e ipotesi assai fantasiose, costate al contribuente italiano oltre 160 milioni di euro, sotto forma di consulenze e stipendi dispensati a pioggia.
Il governo Berlusconi, nell’ambito del pacchetto di finanziamento del valore di quasi 18 miliardi di euro, dedicato alle grandi infrastrutture, varato lo scorso 6 marzo con l’ambizioso proposito di sostenere il rilancio dell’economia italiana, ha invece deciso di puntare proprio sulla costruzione del Ponte sullo Stretto. Decisione concretizzatasi nello stanziamento di 1,3 miliardi di euro (circa il 20% del costo previsto dell’opera) da parte del Cipe, per dare il via all’inizio dei cantieri.
La scelta di destinare cospicue risorse finanziarie nella realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina non può mancare di destare tutta una serie di perplessità.
Si tratta di una grande opera il cui costo previsto risulta elevatissimo, 6,1 miliardi di euro nelle previsioni destinati come minimo a raddoppiare durante la realizzazione come sempre avviene in questi casi, che peseranno sulle spalle dei contribuenti incrementando il peso del debito pubblico, senza che esistano serie prospettive di ritorno dell’investimento.
I lavori di costruzione, destinati a protrarsi per almeno 10 anni, determineranno impatti ambientali e sociali di grossa rilevanza a fronte di ricadute assai modeste in termini di utilità dell’opera.
Una volta ultimato, il Ponte somiglierà ad una vera e propria cattedrale nel deserto costituito da due regioni (Sicilia e Calabria) le cui infrastrutture stradali e ferroviarie versano in uno stato disastroso. Basti pensare che in entrambe le regioni oltre la metà delle linee ferroviarie non sono ancora elettrificate e la maggior parte delle tratte (90% in Sicilia e 70% in Calabria) sono costituite da un binario unico. La concentrazione di tutte le risorse finanziarie per consentire la costruzione del Ponte, rischierà inoltre di prolungare a tempo indefinito questo gap infrastrutturale, rendendo in questo modo ancora più stridente il contrasto fra una costosissima mega opera faraonica e il contesto di assoluta arretratezza del sistema dei trasporti che la circonda, mettendone ancora più in evidenza il carattere di scarsa utilità.
In ultima analisi occorre inoltre sottolineare come il Ponte dovrebbe sorgere su un’area ad elevatissimo rischio sismico, scarsamente adatta ad ospitare un’infrastruttura di questo genere.
Il governo Berlusconi, nell’ambito del pacchetto di finanziamento del valore di quasi 18 miliardi di euro, dedicato alle grandi infrastrutture, varato lo scorso 6 marzo con l’ambizioso proposito di sostenere il rilancio dell’economia italiana, ha invece deciso di puntare proprio sulla costruzione del Ponte sullo Stretto. Decisione concretizzatasi nello stanziamento di 1,3 miliardi di euro (circa il 20% del costo previsto dell’opera) da parte del Cipe, per dare il via all’inizio dei cantieri.
La scelta di destinare cospicue risorse finanziarie nella realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina non può mancare di destare tutta una serie di perplessità.
Si tratta di una grande opera il cui costo previsto risulta elevatissimo, 6,1 miliardi di euro nelle previsioni destinati come minimo a raddoppiare durante la realizzazione come sempre avviene in questi casi, che peseranno sulle spalle dei contribuenti incrementando il peso del debito pubblico, senza che esistano serie prospettive di ritorno dell’investimento.
I lavori di costruzione, destinati a protrarsi per almeno 10 anni, determineranno impatti ambientali e sociali di grossa rilevanza a fronte di ricadute assai modeste in termini di utilità dell’opera.
Una volta ultimato, il Ponte somiglierà ad una vera e propria cattedrale nel deserto costituito da due regioni (Sicilia e Calabria) le cui infrastrutture stradali e ferroviarie versano in uno stato disastroso. Basti pensare che in entrambe le regioni oltre la metà delle linee ferroviarie non sono ancora elettrificate e la maggior parte delle tratte (90% in Sicilia e 70% in Calabria) sono costituite da un binario unico. La concentrazione di tutte le risorse finanziarie per consentire la costruzione del Ponte, rischierà inoltre di prolungare a tempo indefinito questo gap infrastrutturale, rendendo in questo modo ancora più stridente il contrasto fra una costosissima mega opera faraonica e il contesto di assoluta arretratezza del sistema dei trasporti che la circonda, mettendone ancora più in evidenza il carattere di scarsa utilità.
In ultima analisi occorre inoltre sottolineare come il Ponte dovrebbe sorgere su un’area ad elevatissimo rischio sismico, scarsamente adatta ad ospitare un’infrastruttura di questo genere.
Anche con l’ausilio di molta fantasia risulta difficile immaginare come i miliardi investiti nel Ponte (1,3 miliardi di euro), nel TAV Tortona – Genova meglio conosciuto come Terzo Valico e Milano – Verona (2,7 miliardi di euro) e nel MOSE (800 milioni di euro) possano contribuire a risollevare il nostro paese dalla crisi economica. Al contrario l’apertura di cantieri per grandi opere che negli anni peseranno sul bilancio pubblico per decine di miliardi di euro, rischiano di precipitare ancora più in basso le nostre già disastrate finanze.
lunedì 9 marzo 2009
Grandi ville per tutti
Marco Cedolin
Il governo continua ad interpretare in maniera molto singolare la crisi economica, sia per quanto concerne le sue reali dimensioni (Berlusconi e Tremonti quasi ogni giorno si prodigano per minimizzarne la portata), sia per quanto riguarda gli interventi attraverso i quali tentare di arginarne le conseguenze.
Gli interventi operati fino a questo momento sono stati tutti di carattere prettamente difensivo. Qualche miliardo sotto forma di contributo alla rottamazione, destinato a sostenere la moribonda industria automobilistica (senza nessun tentativo di favorire eventuali riconversioni industriali che potessero porre rimedio all’ormai irreversibile declino dell’auto) incassando l’approvazione della Fiat e dei sindacati.
Una cifra di circa 9 miliardi di euro destinata a sostenere gli ammortizzatori sociali, leggasi cassa integrazione, incrementata nello scorso mese di febbraio del 553%. Altrettanti miliardi per la costituzione di un fondo a favore delle imprese, nel tentativo di dare una risposta alle richieste di Confindustria.
Circa 18 miliardi destinati ai cantieri delle grandi infrastrutture, fra cui il futuro Ponte sullo Stretto di Messina, alcune tratte TAV, il Mose, alcune nuove linee di metropolitana, l'Expo di Milano e altre opere minori. Un’operazione quest’ultima che contribuirà a rimpinguare le tasche della lobby del cemento e del tondino, ottenendo una scarsissima ricaduta occupazionale in proporzione all’investimento.
Il prossimo provvedimento che dovrebbe vedere la luce nel corso della settimana, riguarderà il “piano casa” che, stando alle parole di Berlusconi, attraverso il probabile aumento del 20% delle cubature del patrimonio edilizio esistente, comporterà effetti straordinari sul settore dell’edilizia, permettendo agli italiani “di aggiungere una stanza, due stanze con bagni alla villa esistente”. Oltre all’aumento delle cubature, la cui entità potrà anche essere superiore nel caso le nuove costruzioni vengano eseguite con criteri di bioedilizia, la nuova legge dovrebbe contemplare anche una liberalizzazione spinta delle norme per costruire, la semplificazione delle procedure per le autorizzazioni ambientali e paesaggistiche, nonché una sorta di condono mascherato sotto forma di ravvedimento operoso.
Senza cedere alla tentazione di fare della facile ironia sul fatto che Berlusconi, preda del suo inguaribile ottimismo, nutra la fantasia d’immaginare gli italiani alloggiati all’interno di ville da sogno che attendono solamente di venire ampliate, sarebbe interessante tentare di comprendere le reali ricadute determinate da una manovra di questo genere. E’ forte la sensazione che un simile provvedimento potrebbe costituire il viatico per la cementificazione selvaggia di un paese che in larga parte risulta già cementificato in maniera esagerata. A maggior ragione in un momento di grave ristrettezza economica, allorquando le amministrazioni comunali si manifestano aperte a qualunque compromesso possa consentire loro d’incamerare risorse. Altrettanto forte è l’impressione che la nuova legge, mirata a soddisfare le esigenze dei ceti economici medio - alti (la fascia medio – bassa della popolazione non vive certo in abitazioni che possano venire ampliate, né possiede redditi che le consentano un eventuale ampliamento) possa aprire una vera “autostrada” agli interessi degli speculatori di ogni sorta, con il rischio di produrre malaffare e mettere a “rischio cemento” l’integrità del nostro territorio che già versa in condizioni assai critiche.
Il governo continua ad interpretare in maniera molto singolare la crisi economica, sia per quanto concerne le sue reali dimensioni (Berlusconi e Tremonti quasi ogni giorno si prodigano per minimizzarne la portata), sia per quanto riguarda gli interventi attraverso i quali tentare di arginarne le conseguenze.
Gli interventi operati fino a questo momento sono stati tutti di carattere prettamente difensivo. Qualche miliardo sotto forma di contributo alla rottamazione, destinato a sostenere la moribonda industria automobilistica (senza nessun tentativo di favorire eventuali riconversioni industriali che potessero porre rimedio all’ormai irreversibile declino dell’auto) incassando l’approvazione della Fiat e dei sindacati.
Una cifra di circa 9 miliardi di euro destinata a sostenere gli ammortizzatori sociali, leggasi cassa integrazione, incrementata nello scorso mese di febbraio del 553%. Altrettanti miliardi per la costituzione di un fondo a favore delle imprese, nel tentativo di dare una risposta alle richieste di Confindustria.
Circa 18 miliardi destinati ai cantieri delle grandi infrastrutture, fra cui il futuro Ponte sullo Stretto di Messina, alcune tratte TAV, il Mose, alcune nuove linee di metropolitana, l'Expo di Milano e altre opere minori. Un’operazione quest’ultima che contribuirà a rimpinguare le tasche della lobby del cemento e del tondino, ottenendo una scarsissima ricaduta occupazionale in proporzione all’investimento.
Il prossimo provvedimento che dovrebbe vedere la luce nel corso della settimana, riguarderà il “piano casa” che, stando alle parole di Berlusconi, attraverso il probabile aumento del 20% delle cubature del patrimonio edilizio esistente, comporterà effetti straordinari sul settore dell’edilizia, permettendo agli italiani “di aggiungere una stanza, due stanze con bagni alla villa esistente”. Oltre all’aumento delle cubature, la cui entità potrà anche essere superiore nel caso le nuove costruzioni vengano eseguite con criteri di bioedilizia, la nuova legge dovrebbe contemplare anche una liberalizzazione spinta delle norme per costruire, la semplificazione delle procedure per le autorizzazioni ambientali e paesaggistiche, nonché una sorta di condono mascherato sotto forma di ravvedimento operoso.
Senza cedere alla tentazione di fare della facile ironia sul fatto che Berlusconi, preda del suo inguaribile ottimismo, nutra la fantasia d’immaginare gli italiani alloggiati all’interno di ville da sogno che attendono solamente di venire ampliate, sarebbe interessante tentare di comprendere le reali ricadute determinate da una manovra di questo genere. E’ forte la sensazione che un simile provvedimento potrebbe costituire il viatico per la cementificazione selvaggia di un paese che in larga parte risulta già cementificato in maniera esagerata. A maggior ragione in un momento di grave ristrettezza economica, allorquando le amministrazioni comunali si manifestano aperte a qualunque compromesso possa consentire loro d’incamerare risorse. Altrettanto forte è l’impressione che la nuova legge, mirata a soddisfare le esigenze dei ceti economici medio - alti (la fascia medio – bassa della popolazione non vive certo in abitazioni che possano venire ampliate, né possiede redditi che le consentano un eventuale ampliamento) possa aprire una vera “autostrada” agli interessi degli speculatori di ogni sorta, con il rischio di produrre malaffare e mettere a “rischio cemento” l’integrità del nostro territorio che già versa in condizioni assai critiche.
sabato 7 marzo 2009
Un anno Corrosivo
Marco Cedolin
Il blog compie un anno di vita, durante il quale ha ospitato oltre 170 articoli, scritti con l'intenzione di produrre una piccola goccia d'informazione "corrosiva" che potesse ambire ad intaccare almeno un poco la disinformazione portata avanti da tutti coloro che hanno blindato la conoscenza, al fine di mantenere il proprio status quo.
Nel ringraziare tutti coloro che hanno contribuito a mantenere in vita questo blog, leggendo e commentando gli articoli, voglio offrire un elenco dei pezzi più significativi prodotti durante questo anno di lavoro.
A chi servirà il MOSE?
A tutto Gas
Bufale in diretta sul TG1
C'è chi dice NO
Carta oro
Che fine ha fatto la Repubblica?
Decrescita o impoverimento?
Deliri nucleari
Di chi è la colpa?
Dietro la clinica degli orrori
Eredità nucleare
Faranno ombra per l'estate
Freccia Rossa ma solo di vergogna
Galbani vuol dire fiducia
Grandi infrastrutture di crisi
Ha vinto la sindrome di Stoccolma
I rifiuti nei polmoni
Il grande sfascio del partito ombra
Il grande zelig
Impregilo dai rifiuti di Napoli al Nevada
In Ossezia scoppia la guerra dell'energia
In Val di susa i sindaci applaudono il TAV
L'altra crisi
L'europa dei trasporti affonda nel cemento
L'inceneritore dell'informazione
La febbre del consumo
La promessa nucleare
Le vacche inquinano come i SUV
Matrix spazzatura
Metamorfosi ecologica
Nucleare francese una fuga dietro l'altra
Pessimi giornalisti ma ottimi pubblicitari
Piombo fuso
Più Expo per tutti
Quando l'acqua diventa una merce
Report Rai: non tutta la verità
Riappropriamoci della realtà
Ripensare questo modello di sviluppo
Robin Hood si è perso nella foresta
Scajola e la favola del carbone pulito
Sette in condotta
Troppi giorni di ordinaria folia
Un due tre tutti giù per terra Unieuro entra nell'era del pessimismo
mercoledì 4 marzo 2009
Processo TAV: lo scherzo continua
Marco Cedolin
Dovevano costruire 79 km di tratta ad alta velocità fra Bologna e Firenze, di cui 73 in galleria e finire i lavori entro il 2003 al costo di 5810 miliardi di lire.
Oggi, a marzo 2009 a quasi 13 anni dall’inizio dei cantieri, l’opera, altamente pericolosa in quanto costituita da 73 km di gallerie monotubo prive della tunnel parallelo di soccorso, è già costata 4,8 miliardi di euro e non è ancora stata terminata.
In compenso i lavori, eseguiti dal consorzio Cavet nel quale Impregilo ha fatto la parte del leone, hanno determinato danni ambientali stimati in 750 milioni di euro, conseguenti al disseccamento o impoverimento di 81 corsi d’acqua, 37 sorgenti, una trentina di pozzi e 5 acquedotti, comportando la perdita di 100 miliardi di litri d’acqua. Oltre all’inquinamento di vaste parti di territorio a causa del deposito delle terre di scavo contaminate dagli idrocarburi.
Ieri dopo 5 anni il processo a carico di Cavet si è concluso con 27 condanne, da 3 a 5 mesi, e 150 milioni di euro di risarcimento, per il solo reato di smaltimento illecito di rifiuti. Mentre il consorzio Cavet è stato assolto da tutte le accuse legate ai danni determinati alle falde acquifere ed ai torrenti, con uno di quei colpi di spugna a cui la magistratura italiana ci ha ormai abituato.
Per comprendere la reale dimensione della sentenza “farsa” è sufficiente osservare la reazione degli avvocati della difesa che si sono detti certi del fatto che nei prossimi gradi di giudizio neppure l’accusa di smaltimento illecito di rifiuti reggerà, lasciando in questo modo Cavet totalmente impunita, dopo avere inquinato pesantemente i terreni e distrutto gli equilibri idrogeologici di un territorio montano di rara bellezza.
Nei prossimi anni invece toccherà a Firenze, il cui sottoattraversamento comporterà lo scavo di 2 tunnel della lunghezza di 8 km ciascuno, perpendicolari alla linea di flusso della falda freatica e la costruzione di una stazione sotterranea ubicata sotto il letto del torrente Mugnone. Scavi che metteranno a rischio di cedimento almeno 170 edifici, fra cui perfino la Fortezza da Basso.
Solo con allarme, alla luce anche di quanto accaduto oggi a Colonia, dove i lavori di scavo di una nuova linea del metrò hanno provocato il crollo del palazzo dell’archivio, travolgendo un numero ancora imprecisato di persone, si può guardare a questa nuova parte del progetto, tanto più delicata dal momento che riguarderà una città dagli equilibri estremamente fragili.
Oggi, a marzo 2009 a quasi 13 anni dall’inizio dei cantieri, l’opera, altamente pericolosa in quanto costituita da 73 km di gallerie monotubo prive della tunnel parallelo di soccorso, è già costata 4,8 miliardi di euro e non è ancora stata terminata.
In compenso i lavori, eseguiti dal consorzio Cavet nel quale Impregilo ha fatto la parte del leone, hanno determinato danni ambientali stimati in 750 milioni di euro, conseguenti al disseccamento o impoverimento di 81 corsi d’acqua, 37 sorgenti, una trentina di pozzi e 5 acquedotti, comportando la perdita di 100 miliardi di litri d’acqua. Oltre all’inquinamento di vaste parti di territorio a causa del deposito delle terre di scavo contaminate dagli idrocarburi.
Ieri dopo 5 anni il processo a carico di Cavet si è concluso con 27 condanne, da 3 a 5 mesi, e 150 milioni di euro di risarcimento, per il solo reato di smaltimento illecito di rifiuti. Mentre il consorzio Cavet è stato assolto da tutte le accuse legate ai danni determinati alle falde acquifere ed ai torrenti, con uno di quei colpi di spugna a cui la magistratura italiana ci ha ormai abituato.
Per comprendere la reale dimensione della sentenza “farsa” è sufficiente osservare la reazione degli avvocati della difesa che si sono detti certi del fatto che nei prossimi gradi di giudizio neppure l’accusa di smaltimento illecito di rifiuti reggerà, lasciando in questo modo Cavet totalmente impunita, dopo avere inquinato pesantemente i terreni e distrutto gli equilibri idrogeologici di un territorio montano di rara bellezza.
Nei prossimi anni invece toccherà a Firenze, il cui sottoattraversamento comporterà lo scavo di 2 tunnel della lunghezza di 8 km ciascuno, perpendicolari alla linea di flusso della falda freatica e la costruzione di una stazione sotterranea ubicata sotto il letto del torrente Mugnone. Scavi che metteranno a rischio di cedimento almeno 170 edifici, fra cui perfino la Fortezza da Basso.
Solo con allarme, alla luce anche di quanto accaduto oggi a Colonia, dove i lavori di scavo di una nuova linea del metrò hanno provocato il crollo del palazzo dell’archivio, travolgendo un numero ancora imprecisato di persone, si può guardare a questa nuova parte del progetto, tanto più delicata dal momento che riguarderà una città dagli equilibri estremamente fragili.
Non resta che domandarsi se alle stesse imprese che hanno distrutto il Mugello verrà permesso anche di devastare Firenze, ma purtroppo si tratta solo di una domanda retorica di cui sappiamo già la risposta.
lunedì 2 marzo 2009
Fanatici ambientalisti o persone normali?
Marco Cedolin
Pubblicato su Terranauta
La classe dirigente finanziaria, industriale e politica si trova oggi dinanzi al completo fallimento determinato dal modello di sviluppo della crescita infinita. Un modello disposto a sacrificare tutto e tutti nello spasmodico tentativo d’incrementare il l'indice del Pil, creando un circolo vizioso basato sul continuo aumento della produzione e del consumo di merci e servizi.
I risultati del dominio incontrastato dei sacerdoti del progresso sono sotto gli occhi di tutti.
Una gravissima crisi economica (camuffata senza grande successo sotto le spoglie di crisi finanziaria) che negli anni a venire ridurrà sempre più drasticamente la possibilità per i cittadini di condurre una vita dignitosa.
Una gravissima crisi sociale che ha approfondito le differenze fra ricchi e poveri, sia all’interno “dell’opulenta” società occidentale, sia fra Nord e Sud del mondo, contribuendo ad accentrare la popolazione all’interno di metropoli ogni giorno più invivibili e inducendo lo spopolamento delle campagne e dei monti.
Una sempre più percepibile crisi dei diritti che sta creando i presupposti per la società del “controllo globale” dove l’essere umano vive costantemente sotto l’occhio delle telecamere, marchiato tramite chip Rfid e spiato durante ogni attimo della propria giornata.
Una forse irreversibile crisi ambientale che si specchia nell’aria irrespirabile delle nostre città, nell’abnorme consumo di suolo dedicato alla cementificazione, nella condizione dei nostri fiumi ridotti a rigagnoli abiotici e maleodoranti, nella progressiva riduzione della terra coltivabile, nell’avvelenamento dei terreni e delle falde acquifere determinato dallo sversamento dei rifiuti tossici, generati da produzioni altrettanto tossiche.
Posti di fronte al disastroso risultato del proprio operato, i sacerdoti del progresso che tramite il disastro hanno ottenuto un incremento esponenziale dei propri profitti, sono alla continua ricerca di capri espiatori attraverso i quali minimizzare tanto le proprie responsabilità quanto la gravità della situazione.
La qualifica di “fanatici ambientalisti” rivolta a tutti coloro che portano argomenti di opposizione alla sistematica opera di annientamento della biosfera, rientra in questa logica volta a dissimulare i contorni della realtà, attaccando in maniera pretestuosa chiunque esprima una posizione critica.
A nessuno verrebbe in mente di definire “fanatica dell’ordine o della pulizia” una persona che si prodiga affinché la casa in cui vive risulti un minimo ordinata e pulita, così come nessuno additerebbe come fanatico chi la mattina apre la finestra della propria camera da letto per fare uscire l’aria viziata, né si potrebbe giudicare “fanatico igienista” chi decide di farsi una doccia al termine di una giornata di lavoro.
L’ambiente non solo è la casa di noi tutti, ma anche la nostra unica fonte di sopravvivenza, dal momento che esso ci offre l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo. Tentare di preservarne l’integrità, a maggior ragione in un momento come quello attuale in cui sta venendo meno, ben lungi dal manifestarsi come un’azione di fanatismo, dovrebbe rappresentare il naturale atteggiamento di qualunque persona normale posta di fronte ad un problema che pregiudica la sua sopravvivenza e quella dei propri figli.
Non occorre essere fanatici e neppure ambientalisti per manifestare insofferenza di fronte alla costruzione di un megainceneritore che avvelenerà l’aria che siamo costretti a respirare, per opporsi alla costruzione delle centrali nucleari destinate a popolare i reparti oncologici degli ospedali, per preferire la pianura padana “di ieri” disseminata di terreni coltivati, a quella “di oggi” ammorbata di cemento fino all’inverosimile e ricoperta di capannoni industriali vuoti, per detestare il lezzo marcescente che emana dal letto dei fiumi, per opporsi alla costruzione di tratte ferroviarie ad alta velocità che bucheranno le montagne con tunnel lunghi 50 km, destinati a compromettere gli equilibri idrogeologici dei territori e intercettare vene di uranio ed amianto.
Le persone normali, non i “fanatici ambientalisti” vera e propria leggenda metropolitana usata per esorcizzare il problema, rappresentano i veri interlocutori con i quali i sacerdoti del progresso saranno loro malgrado costretti a fare i conti, e proprio di fronte alle persone normali la classe dirigente sta dimostrando oggi di essere drammaticamente a corto di argomenti.
Pubblicato su Terranauta
La classe dirigente finanziaria, industriale e politica si trova oggi dinanzi al completo fallimento determinato dal modello di sviluppo della crescita infinita. Un modello disposto a sacrificare tutto e tutti nello spasmodico tentativo d’incrementare il l'indice del Pil, creando un circolo vizioso basato sul continuo aumento della produzione e del consumo di merci e servizi.
I risultati del dominio incontrastato dei sacerdoti del progresso sono sotto gli occhi di tutti.
Una gravissima crisi economica (camuffata senza grande successo sotto le spoglie di crisi finanziaria) che negli anni a venire ridurrà sempre più drasticamente la possibilità per i cittadini di condurre una vita dignitosa.
Una gravissima crisi sociale che ha approfondito le differenze fra ricchi e poveri, sia all’interno “dell’opulenta” società occidentale, sia fra Nord e Sud del mondo, contribuendo ad accentrare la popolazione all’interno di metropoli ogni giorno più invivibili e inducendo lo spopolamento delle campagne e dei monti.
Una sempre più percepibile crisi dei diritti che sta creando i presupposti per la società del “controllo globale” dove l’essere umano vive costantemente sotto l’occhio delle telecamere, marchiato tramite chip Rfid e spiato durante ogni attimo della propria giornata.
Una forse irreversibile crisi ambientale che si specchia nell’aria irrespirabile delle nostre città, nell’abnorme consumo di suolo dedicato alla cementificazione, nella condizione dei nostri fiumi ridotti a rigagnoli abiotici e maleodoranti, nella progressiva riduzione della terra coltivabile, nell’avvelenamento dei terreni e delle falde acquifere determinato dallo sversamento dei rifiuti tossici, generati da produzioni altrettanto tossiche.
Posti di fronte al disastroso risultato del proprio operato, i sacerdoti del progresso che tramite il disastro hanno ottenuto un incremento esponenziale dei propri profitti, sono alla continua ricerca di capri espiatori attraverso i quali minimizzare tanto le proprie responsabilità quanto la gravità della situazione.
La qualifica di “fanatici ambientalisti” rivolta a tutti coloro che portano argomenti di opposizione alla sistematica opera di annientamento della biosfera, rientra in questa logica volta a dissimulare i contorni della realtà, attaccando in maniera pretestuosa chiunque esprima una posizione critica.
A nessuno verrebbe in mente di definire “fanatica dell’ordine o della pulizia” una persona che si prodiga affinché la casa in cui vive risulti un minimo ordinata e pulita, così come nessuno additerebbe come fanatico chi la mattina apre la finestra della propria camera da letto per fare uscire l’aria viziata, né si potrebbe giudicare “fanatico igienista” chi decide di farsi una doccia al termine di una giornata di lavoro.
L’ambiente non solo è la casa di noi tutti, ma anche la nostra unica fonte di sopravvivenza, dal momento che esso ci offre l’aria che respiriamo, l’acqua che beviamo, il cibo che mangiamo. Tentare di preservarne l’integrità, a maggior ragione in un momento come quello attuale in cui sta venendo meno, ben lungi dal manifestarsi come un’azione di fanatismo, dovrebbe rappresentare il naturale atteggiamento di qualunque persona normale posta di fronte ad un problema che pregiudica la sua sopravvivenza e quella dei propri figli.
Non occorre essere fanatici e neppure ambientalisti per manifestare insofferenza di fronte alla costruzione di un megainceneritore che avvelenerà l’aria che siamo costretti a respirare, per opporsi alla costruzione delle centrali nucleari destinate a popolare i reparti oncologici degli ospedali, per preferire la pianura padana “di ieri” disseminata di terreni coltivati, a quella “di oggi” ammorbata di cemento fino all’inverosimile e ricoperta di capannoni industriali vuoti, per detestare il lezzo marcescente che emana dal letto dei fiumi, per opporsi alla costruzione di tratte ferroviarie ad alta velocità che bucheranno le montagne con tunnel lunghi 50 km, destinati a compromettere gli equilibri idrogeologici dei territori e intercettare vene di uranio ed amianto.
Le persone normali, non i “fanatici ambientalisti” vera e propria leggenda metropolitana usata per esorcizzare il problema, rappresentano i veri interlocutori con i quali i sacerdoti del progresso saranno loro malgrado costretti a fare i conti, e proprio di fronte alle persone normali la classe dirigente sta dimostrando oggi di essere drammaticamente a corto di argomenti.
domenica 1 marzo 2009
Rifiuto: Riduco e Riciclo per Vivere meglio
Fra qualche giorno uscirà il libro dal titolo autoesplicativo “Rifiuti: Riduco e Riciclo per Vivere Meglio, Guida alle Buone Pratiche” edito da Arianna.
Ho curato il volume, nato dall’esperienza del convegno di Gambettola dell’ottobre scorso, come ideale complemento tecnico de Il Girone delle Polveri Sottili mettendo insieme contributi di vari autori e ne ho scritto alcuni capitoli. Ogni autore regala un tesoro di conoscenza e confesso che, ancora rileggendo il libro, mi sono veramente arrabbiato: come si fa a non tenere conto di certe verità inoppugnabili?
Vista la quantità di domande che continuo a ricevere sull’argomento rifiuti, inceneritori, trattamenti alternativi all’incenerimento (come se l’incenerimento avesse alternative e non fosse che un monumento all’ignoranza e alla corruzione), spero ci si prenda la briga di leggerlo. Lì, in quelle pagine, si troveranno tantissime risposte.
Ho curato il volume, nato dall’esperienza del convegno di Gambettola dell’ottobre scorso, come ideale complemento tecnico de Il Girone delle Polveri Sottili mettendo insieme contributi di vari autori e ne ho scritto alcuni capitoli. Ogni autore regala un tesoro di conoscenza e confesso che, ancora rileggendo il libro, mi sono veramente arrabbiato: come si fa a non tenere conto di certe verità inoppugnabili?
Vista la quantità di domande che continuo a ricevere sull’argomento rifiuti, inceneritori, trattamenti alternativi all’incenerimento (come se l’incenerimento avesse alternative e non fosse che un monumento all’ignoranza e alla corruzione), spero ci si prenda la briga di leggerlo. Lì, in quelle pagine, si troveranno tantissime risposte.
Il libro è stato scritto per parlare a tutti, compresi i politici “negazionisti”, quelli che penzolano dalle labbra di Umberto Veronesi, di Michele Giugliano, di Franco Battaglia… Quelli che cercano nella “scienza” con le virgolette l’alibi per le loro mascalzonate. Quelli che, nella loro tenera ignoranza o nella loro squallida corruttibilità, hanno avuto l’arrogante ingenuità di reputarsi capaci di abrogare le leggi secondo cui l’Universo è stato progettato e funziona. Quelli che cercano gl’inquinanti a cento metri dagl’inceneritori perché, nel loro modello di Universo, i veleni più in là non vanno, specie se a cento metri c’è il confine con un altro comune. Quelli che sono convinti che un elemento chimico scompaia per combustione, così surclassando per bizzarria qualunque alchimista dilettante. Quelli che sono certi che dal camino dell’inceneritore esca aria più pulita di quella che entra. Quelli che all’inceneritore hanno cambiato
nome, ribattezzandolo “termovalorizzatore”. Quelli che credono che la tossicologia valga solo quando non disturba gl’interessi di qualcuno. Quelli che applicano l’epidemiologia secondo regole che fanno a cazzotti con la scienza ma che sono pappa e ciccia con il furto, la truffa e perfino l’assassinio. Quelli che “è tutto entro i limiti di legge.” Quelli che affermano che la raccolta differenziata non può funzionare. Quelli che sono convinti che San Francisco, Los Angeles e l’intera Nuova Zelanda insieme con tutte le migliaia di città più o meno grandi e popolose dove si lavora sulla strategia Rifiuti Zero siano paesini isolati della tundra canadese (cito tristemente il professor Michele Giugliano del Politecnico di Milano che così si espresse nel corso di una puntata a dir poco da Elza Poppin di una trasmissione TV chiamata Matrix.) Quelli che “i rifiuti dove li mettiamo.” Quelli che non hanno mai visto un bambino condito di nanoparticelle e non vogliono vederlo. Quelli che archiviano i processi.
Ed è scritto anche per quei miserabili personaggi che non hanno mai guardato attraverso un microscopio e che strepitano mascherati carnevalescamente da scienziati ammantando di “cultura” quella che è nient’altro se non la più ripugnante delinquenza. Chi era a Venezia il 19 novembre scorso e ha assistito all’ignobile gazzarra di una banda di tromboni a gettone sa di che cosa parlo.
Quanto all’efficienza con cui il libro sarà distribuito, non saprei. Per esperienza temo che non sarà facile, anzi, sarà quasi impossibile, trovarlo in libreria e credo che la cosa migliore sia quella di richiederlo direttamente all’Editore, cosa possibile fin da ora:
http://www.macrolibrarsi.it/libri/__rifiuto-riduco-e-riciclo-per-vivere-meglio.php
Da ultimo, come sempre, sia chiaro che i diritti d’autore supporteranno la ricerca sulle nanopatologie. Dunque, un investimento doppio per chi lo acquisterà e triplo se ne regalerà una copia ad ognuno dei consiglieri del suo comune.
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