venerdì 29 agosto 2008
Le vacche inquinano come i SUV
Marco Cedolin
Il livello della disinformazione, attraverso la quale i grandi poteri tentano di suggestionare e manipolare l’opinione pubblica, continua a crescere ogni giorno, ma raramente ha raggiunto vette di demenzialità paragonabili a quelle dell’articolo comparso stamani sul Corriere della Sera a firma Danilo Taini.
Il “capolavoro” prende spunto da uno studio compiuto dall’organizzazione per le difesa dei consumatori tedeschi Foodwatch, in collaborazione con l’Istituto per la ricerca sull’economia ecologica, studio che ha inteso contabilizzare le emissioni di anidride carbonica determinate dall’agricoltura tedesca, definendole impropriamente inquinamento.
Secondo le conclusioni di questo studio “le mucche tedesche inquinano quanto i SUV e sono una vera e propria bomba climatica” fino ad oggi sconosciuta poiché “la lobby agricola è finora riuscita a tener il fatto nascosto, al contrario di quanto non hanno saputo fare acciaierie, produttori di energia, industria dell’automobile, compagnie aeree”.
Come non bastasse l’agricoltura tedesca, ma l’articolista ricorda come in maniera proporzionale questo valga per l’agricoltura di qualsiasi altro Paese, manda nell’atmosfera ogni anno l’equivalente di 133 milioni di tonnellate di anidride carbonica, poco meno di quella emessa da tutto il traffico sulle strade della Germania che ammonta a152 milioni di tonnellate”.
Le vacche inoltre, a differenza delle automobili, non possono essere munite di catalizzatori e filtri antiparticolato, ragione per cui in futuro la situazione sarà destinata a peggiorare ulteriormente.
“Produrre un chilo di carne bovina con metodologie intensive equivale, in termini di emissioni, a un viaggio di 70,6 chilometri in utilitaria. Ancora peggio se il chilo di carne è prodotto con metodologia biologica in quanto equivale a 113,4 chilometri. Un chilo di formaggio emette quanto un’auto che viaggia per 71,4 chilometri.
Prima della chiusa che ventila la proposta di mettere una “tassa ecologica” sulla carne e sul latte, nell’articolo si mette in evidenza come oltre all’uso di fertilizzanti, di diserbanti e di pesticidi il risultato sia determinato anche dalle emissioni corporee dei singoli animali che emettono costantemente metano, un gas serra 23 volte più potente dell’anidride carbonica.
Ho definito questo articolo un vero e proprio capolavoro della disinformazione poiché in esso ritroviamo praticamente tutte le tecniche normalmente utilizzate per fuorviare l’opinione pubblica, l’utilizzo di dati opportunamente estrapolati dal loro contesto, la creazione di confronti fra entità che non sono confrontabili fra loro, l’inappropriato uso dei termini per suggestionare il lettore, l’omissione calcolata delle più basilari evidenze scientifiche, la “criminalizzazione” di alcuni soggetti (vacche ed agricoltura) creata per rendere più accettabili altri soggetti (acciaierie, produttori di energia, industria dell’auto, compagnie aeree) il cui operato è da sempre considerato ambientalmente criminale.
Il confronto fra le vacche ed i SUV è ridicolo, in quanto le vacche potranno anche emettere gas serra, ma a differenza dei SUV non emettono particolato, polveri fini ed ultrafini, idrocarburi e un’altra dozzina di sostanze cancerogene, della cui esistenza gli estensori dello studio fingono di essere all’oscuro. Le acciaierie, le industrie, le centrali che producono energia, le auto e gli aerei, oltre ad emettere anidride carbonica inquinano pesantemente emettendo nell’ambiente una enorme quantità di sostanze nocive che deteriorano lo stato della biosfera e pregiudicano la salute umana, ma per l’articolista tutte queste sostanze non esistono.
Grazie a questi artifizi il lettore sarà indotto a credere che l’agricoltura inquini quanto (e come) il traffico stradale, mentre non è così. Che un chilo di carne inquini quanto (e come) un’utilitaria che compie 70,6 km mentre non è così. Che un chilo di carne prodotta biologicamente (a causa dei fissati del cibo naturale) rappresenti un vero delitto inquinando quanto (e come) 113,4 km di un’auto mentre non è così. Che un chilo di formaggio inquini quanto (e come) 71,4 km della solita auto, mentre non è così.
Arrivato alla fine dell’articolo chi legge sarà portato a ritenere tutto sommato giustificabile l’introduzione di una nuova tassa (naturalmente ecologica) sulla carne e sul latte, anziché sulle acciaierie, le industrie e le centrali energetiche, dal momento che per migliorare lo stato di salute del pianeta in fondo è molto più semplice ed ecologico eliminare le vacche piuttosto che le ciminiere.
Per chi vuole godere della perla originale: http://www.corriere.it/esteri/08_agosto_28/vacche_tedesche_inquinanti_aae9817a-750c-11dd-b47d-00144f02aabc.shtml
giovedì 28 agosto 2008
ZIGGURAT
Marco Cedolin
Ziggurat che verrà presentata dal 6 al 9 ottobre nel corso del Cityscape Dubai, presso l’International Exhibition Centre, è un progetto di città del futuro a metà fra la fantascienza e la realtà, che si propone di rivoluzionare in profondità il concetto di urbanistica così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi.
Si tratta di una vera e propria città in grado di ospitare oltre un milione di persone, contenuta all’interno di una piramide la cui base occuperebbe 2,3 chilometri quadrati. Il progetto realizzato dalla società Timelinks, racchiude all’interno della ciclopica costruzione, dove gli abitanti potranno spostarsi sia orizzontalmente che verticalmente, un vero e proprio tessuto urbano corredato di spazi verdi pubblici e privati destinati anche all’agricoltura. La sofisticatissima tecnologia dovrebbe manifestarsi come il vero punto di forza del progetto, garantendo la totale autosufficienza energetica grazie all’impiego dell’energia eolica e solare, nonché la massima sicurezza per i cittadini che saranno controllati con l’utilizzo delle più moderne tecniche biometriche di riconoscimento facciale.
Pur senza mettere in dubbio le qualità architettoniche e tecnologiche di Ziggurat che consentirebbero un grande risparmio di territorio e di risorse energetiche, non si può evitare di domandarsi quale futuro si prefiguri per l’umanità se davvero sarà un giorno costretta a rinchiudersi all’interno di città piramidi come questa, concentrandosi in massa dentro ad un microcosmo artificiale simile ad un immenso centro commerciale, dove anche i torrentelli, gli orti ed i giardini verranno creati artificialmente, il flusso delle persone sarà gestito ordinatamente da scale mobili e turbo ascensori e la loro incolumità garantita dal ricorso alla biometria e alle telecamere che copriranno ogni metro quadro dell’intero ambiente.
A mettere paura non è tanto il progetto Ziggurat, sensato per quanto concerne l’abbattimento degli sprechi energetici e del consumo di spazi, nonché in grado di eliminare il pendolarismo, pur possedendo una spiacevole dimensione claustrofobica, ma il fatto che arrivi un giorno nel quale a causa delle devastazioni ambientali provocate dalla crescita infinita, Ziggurat rappresenti l’unico modo nel quale sarà ancora possibile sopravvivere su questo pianeta.
Per approfondimenti riguardanti Dubai http://marcocedolin.blogspot.com/2008/03/una-follia-chiamata-dubai.html
Ziggurat che verrà presentata dal 6 al 9 ottobre nel corso del Cityscape Dubai, presso l’International Exhibition Centre, è un progetto di città del futuro a metà fra la fantascienza e la realtà, che si propone di rivoluzionare in profondità il concetto di urbanistica così come lo abbiamo conosciuto fino ad oggi.
Si tratta di una vera e propria città in grado di ospitare oltre un milione di persone, contenuta all’interno di una piramide la cui base occuperebbe 2,3 chilometri quadrati. Il progetto realizzato dalla società Timelinks, racchiude all’interno della ciclopica costruzione, dove gli abitanti potranno spostarsi sia orizzontalmente che verticalmente, un vero e proprio tessuto urbano corredato di spazi verdi pubblici e privati destinati anche all’agricoltura. La sofisticatissima tecnologia dovrebbe manifestarsi come il vero punto di forza del progetto, garantendo la totale autosufficienza energetica grazie all’impiego dell’energia eolica e solare, nonché la massima sicurezza per i cittadini che saranno controllati con l’utilizzo delle più moderne tecniche biometriche di riconoscimento facciale.
Pur senza mettere in dubbio le qualità architettoniche e tecnologiche di Ziggurat che consentirebbero un grande risparmio di territorio e di risorse energetiche, non si può evitare di domandarsi quale futuro si prefiguri per l’umanità se davvero sarà un giorno costretta a rinchiudersi all’interno di città piramidi come questa, concentrandosi in massa dentro ad un microcosmo artificiale simile ad un immenso centro commerciale, dove anche i torrentelli, gli orti ed i giardini verranno creati artificialmente, il flusso delle persone sarà gestito ordinatamente da scale mobili e turbo ascensori e la loro incolumità garantita dal ricorso alla biometria e alle telecamere che copriranno ogni metro quadro dell’intero ambiente.
A mettere paura non è tanto il progetto Ziggurat, sensato per quanto concerne l’abbattimento degli sprechi energetici e del consumo di spazi, nonché in grado di eliminare il pendolarismo, pur possedendo una spiacevole dimensione claustrofobica, ma il fatto che arrivi un giorno nel quale a causa delle devastazioni ambientali provocate dalla crescita infinita, Ziggurat rappresenti l’unico modo nel quale sarà ancora possibile sopravvivere su questo pianeta.
Per approfondimenti riguardanti Dubai http://marcocedolin.blogspot.com/2008/03/una-follia-chiamata-dubai.html
mercoledì 27 agosto 2008
La rivista degli ingegneri
Marco Cedolin
Un amico, di quelli che hanno pochissimo rispetto per lo stato di salute del mio fegato, mi ha inoltrato gentilmente una copia dell’ultimo numero 345 di luglio della rivista “L’ingegnere italiano”, rivista ufficiale dell’Ordine degli ingegneri che arriva nelle case di 200.000 professionisti iscritti all’albo, scaricabile anche dal sito www.tuttoingegnere.it.
Le “perle” degne di richiamare l’attenzione, anche di uno scrittore dalle limitatissime competenze tecniche come il sottoscritto sono molte, così come molta è la disinformazione dispensata a piene mani ostentando estrema generosità.
Ne ho scelte due, con l’intento di essere sintetico e non tediare troppo il lettore, si tratta di uno sconcertante articolo che compare a pagina 2, avente per oggetto le grandi opere e di una suggestiva intervista al ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo dalla quale si evince con estrema chiarezza quale sia il grado di competenza del personaggio per quanto concerne i temi ambientali che si presume dovrebbero costituire il fulcro intorno al quale opera il suo ministero.
Nell’articolo sulle grandi opere che si richiama ai temi emersi nel 5° forum di “edilizia e territorio” che ha fatto il punto sulle grandi opere, si citano parole del Sottosegretario alle infrastrutture Roberto Castelli che dopo avere ribadito la priorità della realizzazione dei corridoi I e V per inserire l’Italia nella competitività internazionale, esterna il convincimento secondo il quale “le merci via nave per arrivare dalla Cina all’Europa impieghino mediamente tre settimane, mentre in treno potrebbero giungere in una settimana, fatto che cambierebbe il valore del business”, aggiungendo poi che “mentre la Bundesbank starebbe già progettando l’asse Berlino – Pechino, l’Italia rischierebbe l’estromissione dai traffici internazionali, nel caso entro luglio non ci fossero segnali chiari e rischiassero di decadere i finanziamenti europei”.
A suffragare le parole di Castelli, al fine di non farle restare dei vuoti slogan, nemmeno l’ombra di un dato, nessuno studio che metta in evidenza quale rilevanza abbia la velocità del mezzo di trasporto sul computo del tempo complessivo del servizio di trasporto delle merci, nessun ragguaglio riguardo a quale linea ferroviaria dovrebbe servire allo scopo di trasportare via treno le merci dalla Cina all’Italia, nessun dato concernente i costi di una simile operazione, nessun confronto fra la spesa del trasporto via nave e quella di questo futuribile servizio su rotaia, nessuna ragione umanamente comprensibile che dimostri la necessità di investimenti miliardari di denaro pubblico per tentare di fare arrivare i prodotti cinesi in Italia più in fretta.
L’articolo continua poi offrendo le esternazioni dell’Amministratore delegato delle FS Moretti che loda l’estensione della legge obiettivo e dichiara che l’alta velocità “valorizza il patrimonio immobiliare locale”, constatazione che purtroppo alligna solamente all’interno del suo immaginario dal momento che innumerevoli studi stanno a dimostrare come infrastrutture ambientalmente impattanti quali il TAV determinino l’effetto Bronx che riduce i territori a corridoi di transito fortemente deprezzati anche dal punto di vista del valore immobiliare.
C’è spazio anche per le esternazioni del ministro delle Infrastrutture Matteoli che si dice pronto ad accogliere le esigenze delle comunità locali, ma solo blindando il confronto con la priorità del fare comunque l’infrastruttura, denotando un’apertura al dialogo veramente commovente che raggiunge il proprio acme nella constatazione che in Val di Susa i sindaci sarebbero disposti ad accettare il TAV in cambio di maggiori servizi locali. Peccato Matteoli e l’articolo in oggetto non si sentano in dovere d’informare gli ingegneri riguardo al fatto che in Val di Susa la stragrande maggioranza dei cittadini continua ad essere contraria all’alta velocità come e più di prima del confronto, che in realtà non c’è mai stato avendo coinvolto esclusivamente i sindaci che si sono guardati bene dal condividere alcunché con la popolazione.
Il ministro dell’Ambiente Prestigiacomo intervistata in merito alle fonti energetiche rinnovabili afferma che “l’Italia è il Paese del sole e del vento in abbondanza, ma magari ha poca superficie per potere sfruttare appieno queste risorse”. Probabilmente il ministro pensa che lo sfruttamento dell’energia solare ed eolica possa produrre risultati solamente attraverso distese infinite di pannelli solari o torri eoliche, ignorando completamente che i risultati migliori in termini di rendimento si ottengono con i piccoli impianti di autoproduzione per i quali la superficie italiana è più che sufficiente.
Il ministro asserisce poi che “il nucleare è una scelta quasi obbligata nel momento in cui i ritardi accumulati negli anni rischiano di portare l’Italia alla paralisi energetica e produttiva con tutte le ricadute sulla vita quotidiana dei cittadini”. Nessuno evidentemente l’ha informata, forse dopo averla letta lo faranno gli ingegneri, del fatto che l’Italia secondo le sue parole prossima alla paralisi energetica sta apprestandosi a diventare il maggiore hub europeo nella distribuzione del gas, così come nessuno l’ha informata del fatto che le centrali nucleari determinano pesanti ricadute dal punto di vista ambientale ed è soprattutto di quegli impatti che lei in qualità di ministro dovrebbe occuparsi.
Imbeccata poi dall’intervistatore che mette in evidenza come circa il 20% del territorio nazionale sia destinato all’uso di parco con il sostanziale blocco di ogni infrastruttura, la Prestigiacomo si rammarica di questa realtà ed afferma che “l’eliminazione dell’uomo e delle sue attività da intere porzioni di territorio le sembra un impoverimento di quello stesso territorio”. Singolare il fatto che il ministro dell’Ambiente riduca l’ambito dell’attività umana alla sola costruzione d’infrastrutture cementizie e non riesca ad immaginare la possibile valorizzazione delle aree adibite a parco magari in chiave turistica, anziché attraverso l’edificazione di gallerie e viadotti che ben lungi dall’arricchire un territorio generalmente contribuiscono a distruggerlo.
L’ultima domanda è sulle problematiche concernenti i rifiuti, al riguardo la Prestigiacomo tenta di arrampicarsi sugli specchi profondendosi in esercizi dialettici privi di costrutto, parla di riciclo, di ambiente sostenibile, di ciclo dei rifiuti economicamente virtuoso, di posti di lavoro, di ritardo più amministrativo che tecnologico. Non offre un solo dato, non tratteggia neppure un programma di gestione della spazzatura che possegga un minimo di coerenza e soprattutto dimentica di menzionare la necessità di ridurre la produzione di rifiuti, come non solo la UE ma anche il semplice buon senso c’impongono di fare al più presto.
Dopo avere letto l’intervista mi assale il dubbio che in fondo la Prestigiacomo pensi di essere il ministro delle infrastrutture, ma allora all’ambiente chi ci penserà, dal momento che Matteoli non sembra propenso a ripetere l’esperienza ed è troppo impegnato a blindare i confronti con le popolazioni?
Se questa è la qualità dell’informazione che viene dispensata ad un’elite di cultura superiore alla media quali sono gli iscritti all’Ordine degli ingegneri, non oso veramente pensare cosa ci ritroveremo ben presto a leggere noi comuni mortali che agli occhi del circo mediatico non siamo in grado di distinguere la differenza esistente fra un parco ed un’infrastruttura per i treni ad alta velocità, veniamo destinati a confronti blindati e desideriamo ricevere dalla Cina sempre un maggior numero di prodotti nel minore tempo possibile, pur non essendo consci di avere questa aspirazione.
Un amico, di quelli che hanno pochissimo rispetto per lo stato di salute del mio fegato, mi ha inoltrato gentilmente una copia dell’ultimo numero 345 di luglio della rivista “L’ingegnere italiano”, rivista ufficiale dell’Ordine degli ingegneri che arriva nelle case di 200.000 professionisti iscritti all’albo, scaricabile anche dal sito www.tuttoingegnere.it.
Le “perle” degne di richiamare l’attenzione, anche di uno scrittore dalle limitatissime competenze tecniche come il sottoscritto sono molte, così come molta è la disinformazione dispensata a piene mani ostentando estrema generosità.
Ne ho scelte due, con l’intento di essere sintetico e non tediare troppo il lettore, si tratta di uno sconcertante articolo che compare a pagina 2, avente per oggetto le grandi opere e di una suggestiva intervista al ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo dalla quale si evince con estrema chiarezza quale sia il grado di competenza del personaggio per quanto concerne i temi ambientali che si presume dovrebbero costituire il fulcro intorno al quale opera il suo ministero.
Nell’articolo sulle grandi opere che si richiama ai temi emersi nel 5° forum di “edilizia e territorio” che ha fatto il punto sulle grandi opere, si citano parole del Sottosegretario alle infrastrutture Roberto Castelli che dopo avere ribadito la priorità della realizzazione dei corridoi I e V per inserire l’Italia nella competitività internazionale, esterna il convincimento secondo il quale “le merci via nave per arrivare dalla Cina all’Europa impieghino mediamente tre settimane, mentre in treno potrebbero giungere in una settimana, fatto che cambierebbe il valore del business”, aggiungendo poi che “mentre la Bundesbank starebbe già progettando l’asse Berlino – Pechino, l’Italia rischierebbe l’estromissione dai traffici internazionali, nel caso entro luglio non ci fossero segnali chiari e rischiassero di decadere i finanziamenti europei”.
A suffragare le parole di Castelli, al fine di non farle restare dei vuoti slogan, nemmeno l’ombra di un dato, nessuno studio che metta in evidenza quale rilevanza abbia la velocità del mezzo di trasporto sul computo del tempo complessivo del servizio di trasporto delle merci, nessun ragguaglio riguardo a quale linea ferroviaria dovrebbe servire allo scopo di trasportare via treno le merci dalla Cina all’Italia, nessun dato concernente i costi di una simile operazione, nessun confronto fra la spesa del trasporto via nave e quella di questo futuribile servizio su rotaia, nessuna ragione umanamente comprensibile che dimostri la necessità di investimenti miliardari di denaro pubblico per tentare di fare arrivare i prodotti cinesi in Italia più in fretta.
L’articolo continua poi offrendo le esternazioni dell’Amministratore delegato delle FS Moretti che loda l’estensione della legge obiettivo e dichiara che l’alta velocità “valorizza il patrimonio immobiliare locale”, constatazione che purtroppo alligna solamente all’interno del suo immaginario dal momento che innumerevoli studi stanno a dimostrare come infrastrutture ambientalmente impattanti quali il TAV determinino l’effetto Bronx che riduce i territori a corridoi di transito fortemente deprezzati anche dal punto di vista del valore immobiliare.
C’è spazio anche per le esternazioni del ministro delle Infrastrutture Matteoli che si dice pronto ad accogliere le esigenze delle comunità locali, ma solo blindando il confronto con la priorità del fare comunque l’infrastruttura, denotando un’apertura al dialogo veramente commovente che raggiunge il proprio acme nella constatazione che in Val di Susa i sindaci sarebbero disposti ad accettare il TAV in cambio di maggiori servizi locali. Peccato Matteoli e l’articolo in oggetto non si sentano in dovere d’informare gli ingegneri riguardo al fatto che in Val di Susa la stragrande maggioranza dei cittadini continua ad essere contraria all’alta velocità come e più di prima del confronto, che in realtà non c’è mai stato avendo coinvolto esclusivamente i sindaci che si sono guardati bene dal condividere alcunché con la popolazione.
Il ministro dell’Ambiente Prestigiacomo intervistata in merito alle fonti energetiche rinnovabili afferma che “l’Italia è il Paese del sole e del vento in abbondanza, ma magari ha poca superficie per potere sfruttare appieno queste risorse”. Probabilmente il ministro pensa che lo sfruttamento dell’energia solare ed eolica possa produrre risultati solamente attraverso distese infinite di pannelli solari o torri eoliche, ignorando completamente che i risultati migliori in termini di rendimento si ottengono con i piccoli impianti di autoproduzione per i quali la superficie italiana è più che sufficiente.
Il ministro asserisce poi che “il nucleare è una scelta quasi obbligata nel momento in cui i ritardi accumulati negli anni rischiano di portare l’Italia alla paralisi energetica e produttiva con tutte le ricadute sulla vita quotidiana dei cittadini”. Nessuno evidentemente l’ha informata, forse dopo averla letta lo faranno gli ingegneri, del fatto che l’Italia secondo le sue parole prossima alla paralisi energetica sta apprestandosi a diventare il maggiore hub europeo nella distribuzione del gas, così come nessuno l’ha informata del fatto che le centrali nucleari determinano pesanti ricadute dal punto di vista ambientale ed è soprattutto di quegli impatti che lei in qualità di ministro dovrebbe occuparsi.
Imbeccata poi dall’intervistatore che mette in evidenza come circa il 20% del territorio nazionale sia destinato all’uso di parco con il sostanziale blocco di ogni infrastruttura, la Prestigiacomo si rammarica di questa realtà ed afferma che “l’eliminazione dell’uomo e delle sue attività da intere porzioni di territorio le sembra un impoverimento di quello stesso territorio”. Singolare il fatto che il ministro dell’Ambiente riduca l’ambito dell’attività umana alla sola costruzione d’infrastrutture cementizie e non riesca ad immaginare la possibile valorizzazione delle aree adibite a parco magari in chiave turistica, anziché attraverso l’edificazione di gallerie e viadotti che ben lungi dall’arricchire un territorio generalmente contribuiscono a distruggerlo.
L’ultima domanda è sulle problematiche concernenti i rifiuti, al riguardo la Prestigiacomo tenta di arrampicarsi sugli specchi profondendosi in esercizi dialettici privi di costrutto, parla di riciclo, di ambiente sostenibile, di ciclo dei rifiuti economicamente virtuoso, di posti di lavoro, di ritardo più amministrativo che tecnologico. Non offre un solo dato, non tratteggia neppure un programma di gestione della spazzatura che possegga un minimo di coerenza e soprattutto dimentica di menzionare la necessità di ridurre la produzione di rifiuti, come non solo la UE ma anche il semplice buon senso c’impongono di fare al più presto.
Dopo avere letto l’intervista mi assale il dubbio che in fondo la Prestigiacomo pensi di essere il ministro delle infrastrutture, ma allora all’ambiente chi ci penserà, dal momento che Matteoli non sembra propenso a ripetere l’esperienza ed è troppo impegnato a blindare i confronti con le popolazioni?
Se questa è la qualità dell’informazione che viene dispensata ad un’elite di cultura superiore alla media quali sono gli iscritti all’Ordine degli ingegneri, non oso veramente pensare cosa ci ritroveremo ben presto a leggere noi comuni mortali che agli occhi del circo mediatico non siamo in grado di distinguere la differenza esistente fra un parco ed un’infrastruttura per i treni ad alta velocità, veniamo destinati a confronti blindati e desideriamo ricevere dalla Cina sempre un maggior numero di prodotti nel minore tempo possibile, pur non essendo consci di avere questa aspirazione.
lunedì 25 agosto 2008
A tutto gas
Marco Cedolin
Sono ormai note da tempo le ambizioni della classe dirigente del nostro Paese, intenzionata a trasformare l’Italia in un vero e proprio “hub” nella distribuzione del gas a livello europeo. Proprio per raggiungere questo scopo si susseguono uno dopo l’altro colossali progetti infrastrutturali finalizzati all’importazione di enormi quantitativi di gas che travalicano di gran lunga il fabbisogno nazionale.
Mentre è in dirittura di arrivo il potenziamento del gasdotto algerino Ttpc che trasporterà 6,5 miliardi di metri cubi di gas in più l’anno, l’ENI ha già iniziato il potenziamento del gasdotto Tag che trasporta in Austria il metano estratto dai giacimenti siberiani, per consentire il trasporto aggiuntivo di 3,2 miliardi di metri cubi annui. Entro la fine del 2012 la società Galsi s.p.a. della quale fanno parte Edison, Enel ed Hera, dovrebbe terminare la costruzione di una nuova pipeline di 2280 km che via Sardegna trasporterà annualmente 8,5 miliardi di metri cubi di metano aggiuntivo dall’Algeria a Piombino, in Toscana, il cui tratto off shore risulterà il più profondo al mondo raggiungendo la profondità di 2.880 metri
Nel corso del 2013 dovrebbe essere inaugurato il gasdotto South Stream che attraverso la Grecia trasporterà il gas russo fino in Puglia.
Parallelamente alla costruzione di sempre nuove pipeline in Italia è prevista nei prossimi anni la costruzione di 13 impianti di rigassificazione che potrebbero assorbire annualmente oltre 100 miliardi di metri cubi di gas liquido trasportato per mezzo delle navi gasiere.
Il primo rigassificatore che si affiancherà a quello costruito una trentina d'anni fa dall'Eni a Panigaglia sarà quello di Rovigo. Costruito da una società di cui fanno parte Exxon Mobil, Qatar Petroleum ed Edison, l’enorme cassone di cemento armato è stato assemblato in un bacino di carenaggio spagnolo ad Algeciras, vicino a Gibilterra e dovrebbe prendere il largo a fine agosto, trainato da una flotta di rimorchiatori oceanici, in direzione dell’Italia, dove arriverà entro il mese di settembre per essere sistemato al largo del delta del Po ed ancorato definitivamente sul fondo del Mare Adriatico. Se i tempi saranno rispettati entro la fine dell’anno le prime navi metaniere dovrebbero arrivare dal Qatar partendo dal porto petrolchimico di Ras Laffan situato nel Golfo Persico ed una volta a regime l’impianto sarà in grado di trattare 8 miliardi di metri cubi di metano liquido l’anno.
Al rigassificatore di Rovigo dovrebbero affiancarsi nei prossimi anni quello off shore di Livorno costruito dalla tedesca Eon, il rigassificatore di Trieste appannaggio del colosso iberico dell’energia Gas Natural, quello di Augusta che sarà costruito dalla Erg, il rigassificatore di Porto Empedocle di competenza dell’Enel, l’impianto di Porto Recanati che sarà realizzato da Gaz de France ed il rigassificatore di Falconara appannaggio dell’Api.
Nonostante questo ambizioso programma energetico, anche di fronte alle reiterate proteste dei cittadini che dovranno convivere con impianti altamente impattanti e pericolosi, sia stato portato avanti giustificandolo a più riprese come indispensabile per fare fronte all’incremento esponenziale dei futuri consumi energetici italiani, appare evidente come in realtà esso sia funzionale esclusivamente ad incrementare i profitti dei colossi dell’energia. Infatti anche immaginando nel futuro del nostro Paese un trend economico quanto mai ottimista (partendo da una realtà economica che all’ottimismo lascia ben poco spazio) appare evidente la sproporzione fra le potenzialità italiane
di consumo di gas ed i volumi di metano che le nuove infrastrutture consentirebbero di trattare. Se poi abbandoniamo per un attimo l’ottimismo ingiustificato per calarci in una realtà che parla il linguaggio della recessione, segnato dalla diminuzione della produzione industriale e dalla delocalizzazione delle imprese, ecco che la politica dei rigassificatori perde in chiave futura ogni significato che non sia quello della mera speculazione economica calata come sempre sulle spalle dei cittadini che alla fine saranno gli unici a dovere pagare il conto.
Sono ormai note da tempo le ambizioni della classe dirigente del nostro Paese, intenzionata a trasformare l’Italia in un vero e proprio “hub” nella distribuzione del gas a livello europeo. Proprio per raggiungere questo scopo si susseguono uno dopo l’altro colossali progetti infrastrutturali finalizzati all’importazione di enormi quantitativi di gas che travalicano di gran lunga il fabbisogno nazionale.
Mentre è in dirittura di arrivo il potenziamento del gasdotto algerino Ttpc che trasporterà 6,5 miliardi di metri cubi di gas in più l’anno, l’ENI ha già iniziato il potenziamento del gasdotto Tag che trasporta in Austria il metano estratto dai giacimenti siberiani, per consentire il trasporto aggiuntivo di 3,2 miliardi di metri cubi annui. Entro la fine del 2012 la società Galsi s.p.a. della quale fanno parte Edison, Enel ed Hera, dovrebbe terminare la costruzione di una nuova pipeline di 2280 km che via Sardegna trasporterà annualmente 8,5 miliardi di metri cubi di metano aggiuntivo dall’Algeria a Piombino, in Toscana, il cui tratto off shore risulterà il più profondo al mondo raggiungendo la profondità di 2.880 metri
Nel corso del 2013 dovrebbe essere inaugurato il gasdotto South Stream che attraverso la Grecia trasporterà il gas russo fino in Puglia.
Parallelamente alla costruzione di sempre nuove pipeline in Italia è prevista nei prossimi anni la costruzione di 13 impianti di rigassificazione che potrebbero assorbire annualmente oltre 100 miliardi di metri cubi di gas liquido trasportato per mezzo delle navi gasiere.
Il primo rigassificatore che si affiancherà a quello costruito una trentina d'anni fa dall'Eni a Panigaglia sarà quello di Rovigo. Costruito da una società di cui fanno parte Exxon Mobil, Qatar Petroleum ed Edison, l’enorme cassone di cemento armato è stato assemblato in un bacino di carenaggio spagnolo ad Algeciras, vicino a Gibilterra e dovrebbe prendere il largo a fine agosto, trainato da una flotta di rimorchiatori oceanici, in direzione dell’Italia, dove arriverà entro il mese di settembre per essere sistemato al largo del delta del Po ed ancorato definitivamente sul fondo del Mare Adriatico. Se i tempi saranno rispettati entro la fine dell’anno le prime navi metaniere dovrebbero arrivare dal Qatar partendo dal porto petrolchimico di Ras Laffan situato nel Golfo Persico ed una volta a regime l’impianto sarà in grado di trattare 8 miliardi di metri cubi di metano liquido l’anno.
Al rigassificatore di Rovigo dovrebbero affiancarsi nei prossimi anni quello off shore di Livorno costruito dalla tedesca Eon, il rigassificatore di Trieste appannaggio del colosso iberico dell’energia Gas Natural, quello di Augusta che sarà costruito dalla Erg, il rigassificatore di Porto Empedocle di competenza dell’Enel, l’impianto di Porto Recanati che sarà realizzato da Gaz de France ed il rigassificatore di Falconara appannaggio dell’Api.
Nonostante questo ambizioso programma energetico, anche di fronte alle reiterate proteste dei cittadini che dovranno convivere con impianti altamente impattanti e pericolosi, sia stato portato avanti giustificandolo a più riprese come indispensabile per fare fronte all’incremento esponenziale dei futuri consumi energetici italiani, appare evidente come in realtà esso sia funzionale esclusivamente ad incrementare i profitti dei colossi dell’energia. Infatti anche immaginando nel futuro del nostro Paese un trend economico quanto mai ottimista (partendo da una realtà economica che all’ottimismo lascia ben poco spazio) appare evidente la sproporzione fra le potenzialità italiane
di consumo di gas ed i volumi di metano che le nuove infrastrutture consentirebbero di trattare. Se poi abbandoniamo per un attimo l’ottimismo ingiustificato per calarci in una realtà che parla il linguaggio della recessione, segnato dalla diminuzione della produzione industriale e dalla delocalizzazione delle imprese, ecco che la politica dei rigassificatori perde in chiave futura ogni significato che non sia quello della mera speculazione economica calata come sempre sulle spalle dei cittadini che alla fine saranno gli unici a dovere pagare il conto.
venerdì 22 agosto 2008
Ecco i veri terroristi
Marco Cedolin
In Afghanistan nel distretto di Shindand, all’interno della provincia di Herat, le forze della coalizione di cui fanno parte i soldati italiani hanno ammazzato nel corso di un bombardamento 76 civili la maggior parte dei quali donne e bambini.
La notizia, simile in tutto e per tutto a quelle che settimanalmente giungono dall’Afghanistan e dall’Iraq, è stata fornita dal ministero dell’interno di Kabul che ha espresso il “suo più vivo rincrescimento per questo incidente involontario, e ha inviato sul posto una delegazione di dieci persone per ottenere maggiori dettagli una volta che l'inchiesta sull'episodio verrà portata a termine”.
Il comando Usa dal quale dipendono le forze della coalizione coinvolte nell’operazione aveva in precedenza spudoratamente mentito parlando di 30 miliziani uccisi in combattimento e della cattura di un presunto comandante ribelle, prima di venire clamorosamente smentito dalla realtà dei fatti che raccontano l’ennesima carneficina di donne e bambini compiuta dalle truppe di occupazione.
Truppe di occupazione finanziate anche con i soldi delle nostre tasse, dal momento che sono 2.350 i militari italiani impegnati in Afghanistan, con lo scopo di condurre la lotta globale contro il terrorismo.
Ma quale terrorismo è peggiore di quello che dilania sistematicamente i corpi di donne e bambini innocenti giustificando le stragi come incidenti involontari? Quali terroristi hanno fatto negli ultimi anni più vittime innocenti dell’esercito americano e dei suoi alleati?
Non credo esistano assolutamente dubbi sulla natura dei veri terroristi e purtroppo neppure sull’identità di coloro che sono costretti a finanziarli pagando il loro lauto stipendio, terroristi che vestono una divisa e si nascondono dietro la parola democrazia, consci del fatto che non rischieranno mai di essere processati come meriterebbero per i propri crimini.
In Afghanistan nel distretto di Shindand, all’interno della provincia di Herat, le forze della coalizione di cui fanno parte i soldati italiani hanno ammazzato nel corso di un bombardamento 76 civili la maggior parte dei quali donne e bambini.
La notizia, simile in tutto e per tutto a quelle che settimanalmente giungono dall’Afghanistan e dall’Iraq, è stata fornita dal ministero dell’interno di Kabul che ha espresso il “suo più vivo rincrescimento per questo incidente involontario, e ha inviato sul posto una delegazione di dieci persone per ottenere maggiori dettagli una volta che l'inchiesta sull'episodio verrà portata a termine”.
Il comando Usa dal quale dipendono le forze della coalizione coinvolte nell’operazione aveva in precedenza spudoratamente mentito parlando di 30 miliziani uccisi in combattimento e della cattura di un presunto comandante ribelle, prima di venire clamorosamente smentito dalla realtà dei fatti che raccontano l’ennesima carneficina di donne e bambini compiuta dalle truppe di occupazione.
Truppe di occupazione finanziate anche con i soldi delle nostre tasse, dal momento che sono 2.350 i militari italiani impegnati in Afghanistan, con lo scopo di condurre la lotta globale contro il terrorismo.
Ma quale terrorismo è peggiore di quello che dilania sistematicamente i corpi di donne e bambini innocenti giustificando le stragi come incidenti involontari? Quali terroristi hanno fatto negli ultimi anni più vittime innocenti dell’esercito americano e dei suoi alleati?
Non credo esistano assolutamente dubbi sulla natura dei veri terroristi e purtroppo neppure sull’identità di coloro che sono costretti a finanziarli pagando il loro lauto stipendio, terroristi che vestono una divisa e si nascondono dietro la parola democrazia, consci del fatto che non rischieranno mai di essere processati come meriterebbero per i propri crimini.
giovedì 21 agosto 2008
Più indebitati e più infelici
Marco Cedolin
Secondo i dati resi pubblici dalla Cgia di Mestre l’indebitamento delle famiglie italiane dal momento dell’introduzione dell’euro è praticamente raddoppiato, avendo raggiunto a dicembre 2007 una media di 15.765 euro a famiglia su base nazionale, con punte che superano i 21.000 euro nelle grandi aree metropolitane come Roma e Milano, facendo registrare una crescita del 93,28% rispetto al 2002. Uno studio precedente della stessa Cgia aveva evidenziato come già nel 2006 il 78% delle famiglie italiane non fosse riuscito più a risparmiare trovandosi anzi costretto a ridurre i propri consumi per riuscire ad arrivare alla fine del mese, quantificando in circa 500.000 le famiglie italiane sovraindebitate o sotto usura.
Le famiglie italiane stanno perciò continuando ad indebitarsi sempre più, anche se la situazione risulta per certi versi meno drammatica rispetto agli Stati Uniti dove il debito medio delle famiglie ha ormai superato gli 84.000 euro, ma il peggiore campanello di allarme arriva dall’analisi della natura dell’indebitamento. In Italia le ragioni per le quali si domanda denaro a prestito sono infatti costituite sempre meno da investimenti a lungo o medio termine quali mutui per l’acquisto della casa o da crediti finalizzati ad acquistare beni di consumo dal costo estremamente elevato come autovetture o componenti d’arredo, e sempre più dalla cessione del quinto dello stipendio, da prestiti non finalizzati come le carte di credito revolving o da prestiti finalizzati all’acquisto di beni e servizi che negli anni passati risultavano voci marginali nell’ambito dei finanziamenti, quali viaggi, spese mediche, palestre, piccoli elettrodomestici e beni di consumo dal costo relativamente basso. Pur in una situazione di pesante riduzione dei consumi, dai dati relativi al 2007 emerge infatti l’estrema vivacità del credito al consumo, cresciuto dell’11,3% (+ 12,8% per quanto riguarda la cessione del quinto dello stipendio) contro l’8,7% del mercato dei mutui, arrivando a sfiorare il 20% dell’indebitamento totale per una cifra di circa 100 miliardi di euro.
Il ricorso al credito da parte delle famiglie italiane, il cui indebitamento medio ha ormai superato il 50% del reddito disponibile, sta pertanto continuando a crescere, pur alla luce della vistosa contrazione dei consumi, risultando sempre più indirizzato a contenere, almeno in parte, la progressiva perdita del potere di acquisto di salari e pensioni. Sempre più spesso ci si indebita per riuscire a fare la spesa l’ultima settimana del mese, per comprare i libri di scuola ai figli, per andare comunque in vacanza una settimana, per non rinunciare alla palestra o ad una cena con gli amici, per riparare l’auto, per fare tutte quelle cose che fino a qualche anno fa rientravano nell’ambito della capacità di spesa di una famiglia dal tenore di vita normale ed ora necessitano di un accesso al credito. Sempre più spesso ci si indebita per aiutare economicamente i figli ormai in età adulta che non riescono a trovare lavoro, tanto che stanno crescendo in maniera esponenziale le formule di finanziamento orientate alla categoria dei pensionati e destinate a questo scopo. Ci si indebita per allontanare la consapevolezza del fatto che si sta diventando sempre più poveri, più infelici, più indebitati e più ricattabili, perché proprio sulla libertà di scelta finisce per ripercuotersi il costo più grave di una vita a credito.
Secondo i dati resi pubblici dalla Cgia di Mestre l’indebitamento delle famiglie italiane dal momento dell’introduzione dell’euro è praticamente raddoppiato, avendo raggiunto a dicembre 2007 una media di 15.765 euro a famiglia su base nazionale, con punte che superano i 21.000 euro nelle grandi aree metropolitane come Roma e Milano, facendo registrare una crescita del 93,28% rispetto al 2002. Uno studio precedente della stessa Cgia aveva evidenziato come già nel 2006 il 78% delle famiglie italiane non fosse riuscito più a risparmiare trovandosi anzi costretto a ridurre i propri consumi per riuscire ad arrivare alla fine del mese, quantificando in circa 500.000 le famiglie italiane sovraindebitate o sotto usura.
Le famiglie italiane stanno perciò continuando ad indebitarsi sempre più, anche se la situazione risulta per certi versi meno drammatica rispetto agli Stati Uniti dove il debito medio delle famiglie ha ormai superato gli 84.000 euro, ma il peggiore campanello di allarme arriva dall’analisi della natura dell’indebitamento. In Italia le ragioni per le quali si domanda denaro a prestito sono infatti costituite sempre meno da investimenti a lungo o medio termine quali mutui per l’acquisto della casa o da crediti finalizzati ad acquistare beni di consumo dal costo estremamente elevato come autovetture o componenti d’arredo, e sempre più dalla cessione del quinto dello stipendio, da prestiti non finalizzati come le carte di credito revolving o da prestiti finalizzati all’acquisto di beni e servizi che negli anni passati risultavano voci marginali nell’ambito dei finanziamenti, quali viaggi, spese mediche, palestre, piccoli elettrodomestici e beni di consumo dal costo relativamente basso. Pur in una situazione di pesante riduzione dei consumi, dai dati relativi al 2007 emerge infatti l’estrema vivacità del credito al consumo, cresciuto dell’11,3% (+ 12,8% per quanto riguarda la cessione del quinto dello stipendio) contro l’8,7% del mercato dei mutui, arrivando a sfiorare il 20% dell’indebitamento totale per una cifra di circa 100 miliardi di euro.
Il ricorso al credito da parte delle famiglie italiane, il cui indebitamento medio ha ormai superato il 50% del reddito disponibile, sta pertanto continuando a crescere, pur alla luce della vistosa contrazione dei consumi, risultando sempre più indirizzato a contenere, almeno in parte, la progressiva perdita del potere di acquisto di salari e pensioni. Sempre più spesso ci si indebita per riuscire a fare la spesa l’ultima settimana del mese, per comprare i libri di scuola ai figli, per andare comunque in vacanza una settimana, per non rinunciare alla palestra o ad una cena con gli amici, per riparare l’auto, per fare tutte quelle cose che fino a qualche anno fa rientravano nell’ambito della capacità di spesa di una famiglia dal tenore di vita normale ed ora necessitano di un accesso al credito. Sempre più spesso ci si indebita per aiutare economicamente i figli ormai in età adulta che non riescono a trovare lavoro, tanto che stanno crescendo in maniera esponenziale le formule di finanziamento orientate alla categoria dei pensionati e destinate a questo scopo. Ci si indebita per allontanare la consapevolezza del fatto che si sta diventando sempre più poveri, più infelici, più indebitati e più ricattabili, perché proprio sulla libertà di scelta finisce per ripercuotersi il costo più grave di una vita a credito.
lunedì 18 agosto 2008
Se non è vietato diventa obbligatorio
Marco Cedolin
Il ginepraio di divieti, obblighi, regole e relative sanzioni ingenerato dalle ordinanze spesso singolari e ridicole di molti sindaci del nostro Paese che aspirano a ritagliarsi un posto al sole, sta iniziando ad incuriosire anche la stampa estera al punto che perfino l’autorevole giornale britannico Indipendent ha dedicato alla questione un lungo articolo dal titolo “Turisti attenti: se una cosa è divertente, l'Italia ha una legge che la vieta”.
Nell’articolo in questione si ironizza velatamente sul fatto che a Genova, per esempio, sia ora illegale camminare per strada con una bottiglia di vino o una lattina di birra, mentre a Roma non si possa bere o mangiare un sandwich sui gradini di Piazza di Spagna, né tanto meno schiacciare un sonnellino, ed a Lucca si corra il rischio di essere multati fino a 500 euro per avere dato da mangiare ai piccioni. Sottolineando il fatto che i turisti sono sottoposti al rischio di pesanti sanzioni per atteggiamenti che risultano essere normalissimi in tutto il resto del mondo.
L’ironia diventa molto meno velata nel constatare che mentre il governo Berlusconi si fa vanto di essere stato il primo al mondo ad introdurre un ministero della semplificazione finalizzato ad identificare ed eliminare le leggi inutili, il suo ministro dell'Interno Roberto Maroni ha consentito la nascita di migliaia di ordinanze che brillano proprio per la loro inutilità.
Non manca neppure una riflessione di maggiore spessore sul fatto che l’Italia si starebbe trasformando nel più grande stato-babysitter, con i cittadini visti come bambini da controllare accudire e limitare, quasi in ogni ambito del vivere pubblico.
Non occorreva sicuramente il giudizio dell’Indipendent per comprendere che esiste qualcosa di profondamente stonato nel fatto che a Forte dei Marmi non si possa tagliare l’erba del giardino durante il weekend, che a Novara dopo le 11 di sera sia vietato stazionare nei parchi se si è più di 2 persone, che a Capri e Positano sia proibito portare gli zoccoli ai piedi, che a Viareggio un uomo non possa passeggiare a torso nudo ed una donna in bikini, che ad Eboli non si possa baciare la fidanzata all’interno della propria auto, che a Voghera non ci si possa sedere sulle panchine dopo le 23 se si è un gruppo composto da più di 3 persone, che ad Eraclea non si possano costruire castelli di sabbia sulla spiaggia, che ad Olbia sulla spiaggia non si possa fumare, che a Lucca si venga trattati come criminali per avere dato da mangiare ai piccioni.
La sensazione, al di là della metafora dello Stato babysitter citata dal giornale britannico, e dei giudizi sul governo Berlusconi che non può essere ritenuto l’unico responsabile dal momento che i sindaci artefici delle ordinanze appartengono a partiti di ogni colore, è quella di uno Stato che persegue sempre più la limitazione delle libertà individuali in maniera spesso schizofrenica e dispotica, trattando i cittadini alla stregua di decerebrati che presto finiranno per ritrovarsi in una selva dove tutto ciò che non è vietato risulta essere obbligatorio. Oltretutto con l’aggravante di avere creato centinaia di “città stato” in ognuna delle quali i divieti e gli obblighi risulteranno differenti per uno stuolo di “cittadini sudditi” sempre più confusi e disorientati dal senso di colpa che anche quando passeggeranno in un parco o siederanno su una panchina saranno costretti a domandarsi se stanno facendo qualcosa di male. Città stato nelle quali oltre all’aria verrà drammaticamente a mancare anche la gioia di vivere, sempre che un’ordinanza non abbia già provveduto preventivamente a vietare anche il sorriso.
Nell’articolo in questione si ironizza velatamente sul fatto che a Genova, per esempio, sia ora illegale camminare per strada con una bottiglia di vino o una lattina di birra, mentre a Roma non si possa bere o mangiare un sandwich sui gradini di Piazza di Spagna, né tanto meno schiacciare un sonnellino, ed a Lucca si corra il rischio di essere multati fino a 500 euro per avere dato da mangiare ai piccioni. Sottolineando il fatto che i turisti sono sottoposti al rischio di pesanti sanzioni per atteggiamenti che risultano essere normalissimi in tutto il resto del mondo.
L’ironia diventa molto meno velata nel constatare che mentre il governo Berlusconi si fa vanto di essere stato il primo al mondo ad introdurre un ministero della semplificazione finalizzato ad identificare ed eliminare le leggi inutili, il suo ministro dell'Interno Roberto Maroni ha consentito la nascita di migliaia di ordinanze che brillano proprio per la loro inutilità.
Non manca neppure una riflessione di maggiore spessore sul fatto che l’Italia si starebbe trasformando nel più grande stato-babysitter, con i cittadini visti come bambini da controllare accudire e limitare, quasi in ogni ambito del vivere pubblico.
Non occorreva sicuramente il giudizio dell’Indipendent per comprendere che esiste qualcosa di profondamente stonato nel fatto che a Forte dei Marmi non si possa tagliare l’erba del giardino durante il weekend, che a Novara dopo le 11 di sera sia vietato stazionare nei parchi se si è più di 2 persone, che a Capri e Positano sia proibito portare gli zoccoli ai piedi, che a Viareggio un uomo non possa passeggiare a torso nudo ed una donna in bikini, che ad Eboli non si possa baciare la fidanzata all’interno della propria auto, che a Voghera non ci si possa sedere sulle panchine dopo le 23 se si è un gruppo composto da più di 3 persone, che ad Eraclea non si possano costruire castelli di sabbia sulla spiaggia, che ad Olbia sulla spiaggia non si possa fumare, che a Lucca si venga trattati come criminali per avere dato da mangiare ai piccioni.
La sensazione, al di là della metafora dello Stato babysitter citata dal giornale britannico, e dei giudizi sul governo Berlusconi che non può essere ritenuto l’unico responsabile dal momento che i sindaci artefici delle ordinanze appartengono a partiti di ogni colore, è quella di uno Stato che persegue sempre più la limitazione delle libertà individuali in maniera spesso schizofrenica e dispotica, trattando i cittadini alla stregua di decerebrati che presto finiranno per ritrovarsi in una selva dove tutto ciò che non è vietato risulta essere obbligatorio. Oltretutto con l’aggravante di avere creato centinaia di “città stato” in ognuna delle quali i divieti e gli obblighi risulteranno differenti per uno stuolo di “cittadini sudditi” sempre più confusi e disorientati dal senso di colpa che anche quando passeggeranno in un parco o siederanno su una panchina saranno costretti a domandarsi se stanno facendo qualcosa di male. Città stato nelle quali oltre all’aria verrà drammaticamente a mancare anche la gioia di vivere, sempre che un’ordinanza non abbia già provveduto preventivamente a vietare anche il sorriso.
venerdì 15 agosto 2008
I 100 giorni di Napoleone
Marco Cedolin
Il pugile suonato che sa di essere destinato a finire al tappeto prima della fine del terzo round generalmente batte i pugni sul petto, sbraita e fa la faccia cattiva, per esorcizzare la paura che gli fiacca le gambe e gli accorcia il fiato. Proprio come pugili suonati Silvio Berlusconi e l’Armata Brancaleone che compone il suo governo, gonfiano i muscoli, costruiscono vittorie immaginarie e ostentano ottimismo fuori luogo per dissimulare la realtà che parla di un Paese ormai ridotto allo stato di malato terminale, al quale il cerusico di turno tenta di somministrare l’ennesimo placebo, urlando a squarciagola che grazie a quell’intruglio il malato si rialzerà e fra pochi giorni sarà pronto per correre la maratona.
Il penoso teatrino mediatico portato avanti in questi giorni a cavallo del Ferragosto, prendendo spunto da un ridicolo articolo comparso sul settimanale americano Newsweek, dal titolo “miracolo in 100 giorni” e scritto in tutta evidenza da un giornalista la cui conoscenza dell’Italia non va molto oltre le cartoline illustrate per turisti, dimostra inequivocabilmente la paura e l’insicurezza di un governo costretto a vantare pubblicamente meriti immaginari e successi di fantasia per ostentare forza laddove emergono impietosamente debolezza e assoluta mancanza d’idee.
Se i giudizi di Newsweek, secondo i quali Berlusconi starebbe offrendo agli italiani la sicurezza economica che chiedono con il suo pugno di ferro in un guanto di velluto, possono essere in parte scusabili con l’evidente ignoranza degli affari italici da parte di chi ha redatto l’articolo, ben meno scusabile risulta il “belare” dei giornali e delle TV di casa nostra riguardo ai primi 100 giorni dell’esecutivo, descritti come un successo con le motivazioni più svariate che hanno in comune il solo fatto di non trovare alcun riscontro nella realtà dei fatti.
La manovra finanziaria messa in cantiere e descritta a più riprese come “rivoluzionaria”, al di là di alcune trovate pubblicitarie e populiste, come la Robin tax e le carte di credito prepagate per gli anziani, si manifesterà esclusivamente come un’operazione di sistematico taglio della spesa sociale e dei servizi ai cittadini, con il triste corollario della regalia fatta ai privati della gestione dei servizi pubblici locali di primaria importanza quali acqua, gas e trasporti.
Il pacchetto sicurezza presentato come un disegno ambizioso finalizzato a far “dormire sonni tranquilli” agli italiani ha partorito l’immunità per le più alte cariche dello Stato, le uniche che i sonni tranquilli li dormiranno davvero. Per il resto un coacervo di norme contraddittorie e confusionarie fra le quali spiccano la militarizzazione delle città italiane, il contestato (e in buona parte abortito) tentativo di prelevare le impronte digitali dei rom e quello meno contestato ma sicuramente destinato ad andare a buon fine di prelevarle a tutti gli italiani.
Secondo le parole dello stesso ministro Maroni nei primi 10 giorni i militari adibiti ai compiti di ordine pubblico avrebbero arrestato 37 persone, delle quali 33 extracomunitari, mentre sempre secondo le parole di Maroni nei primi 7 mesi dell’anno (compresi i primi 100 giorni del governo Berlusconi) gli sbarchi di immigrati clandestini in Italia sono raddoppiati rispetto all’analogo periodo del 2007 passando da 8266 a 15378. Un grande successo davvero.
La farsa dei rifiuti di Napoli, vaporizzatisi miracolosamente non appena la triade Berlusconi – Bassolino – Impregilo ha ordinato agli spazzini di andare nelle strade a recuperarli, ha rappresentato un vero insulto all’intelligenza, nonostante su Newsweek venga descritta come un miracolo del Cavaliere. Il ministro Brunetta ha iniziato una vera e propria crociata contro i dipendenti statali i cui frutti tangibili si possono leggere nella netta diminuzione dei giorni di assenza per malattia da parte dei lavoratori “terrorizzati”, giorni che scenderanno a zero allorquando Brunetta riuscirà nell’intento di sostituirli con dipendenti precari che non avranno neppure diritto alla mutua. Il ministro degli Esteri Frattini è riuscito, cosa mai verificatasi a memoria d’uomo, a dirimere una grave crisi internazionale come la guerra fra Ossezia e Georgia, pur restando comodamente adagiato su un lettino sotto il sole delle Maldive. Il ministro dell’Ambiente Prestigiacomo in 100 giorni non ha ancora praticamente prodotto nulla, ma conoscendo la sua competenza in materia probabilmente è meglio così. Il ministro Scajola autore di sistematici insulti nei confronti dei morti sul lavoro è riuscito a “riportare” il nucleare in Italia nel momento in cui nelle centrali atomiche francesi si verifica una fuga radioattiva dietro l’altra. Giovanardi litiga con Famiglia Cristiana definendola un giornale “cattocomunista”. Il ministro La Russa promette l’invio dell’esercito in Georgia all’amico Bush, dimenticando che gli ultimi soldati a disposizione (dopo quelli schierati in Bosnia, in Afghanistan, in Libano e in qualche altra mezza dozzina di parti del mondo) sono nelle strade ad espletare funzioni di ordine pubblico o posti a guardia delle infrastrutture per contrastare i cittadini che protestano.
Si potrebbe continuare a lungo a tessere le lodi del Cavaliere e del suo ispirato governo in questi primi miracolosi 100 giorni, ma in questo modo si rischierebbe di non comprendere per quale arcana ragione in Italia, nonostante cotanta espressione di arti magicali, le cose continuino ad andare male come e più di prima. I salari dei lavoratori italiani continuano ad essere i peggiori d’Europa, gli stipendi dei parlamentari al contrario restano i più alti d’Europa, il crollo dell’economia continua senza sosta, l’inflazione galoppa ed il potere d’acquisto dei cittadini scende drammaticamente sempre più in basso, non si contano le aziende che chiudono i battenti e tutte le aziende (pubbliche e private) licenziano i dipendenti per inseguire qualche briciola di redditività.
E’ molto difficile riuscire ad afferrare i contorni del miracolo dei primi 100 giorni del governo Berlusconi, ma diventa assai più semplice immaginare appena dietro l’angolo la sagoma di Waterloo, quanto mai realistica dal momento che le premesse ci sono tutte.
Il pugile suonato che sa di essere destinato a finire al tappeto prima della fine del terzo round generalmente batte i pugni sul petto, sbraita e fa la faccia cattiva, per esorcizzare la paura che gli fiacca le gambe e gli accorcia il fiato. Proprio come pugili suonati Silvio Berlusconi e l’Armata Brancaleone che compone il suo governo, gonfiano i muscoli, costruiscono vittorie immaginarie e ostentano ottimismo fuori luogo per dissimulare la realtà che parla di un Paese ormai ridotto allo stato di malato terminale, al quale il cerusico di turno tenta di somministrare l’ennesimo placebo, urlando a squarciagola che grazie a quell’intruglio il malato si rialzerà e fra pochi giorni sarà pronto per correre la maratona.
Il penoso teatrino mediatico portato avanti in questi giorni a cavallo del Ferragosto, prendendo spunto da un ridicolo articolo comparso sul settimanale americano Newsweek, dal titolo “miracolo in 100 giorni” e scritto in tutta evidenza da un giornalista la cui conoscenza dell’Italia non va molto oltre le cartoline illustrate per turisti, dimostra inequivocabilmente la paura e l’insicurezza di un governo costretto a vantare pubblicamente meriti immaginari e successi di fantasia per ostentare forza laddove emergono impietosamente debolezza e assoluta mancanza d’idee.
Se i giudizi di Newsweek, secondo i quali Berlusconi starebbe offrendo agli italiani la sicurezza economica che chiedono con il suo pugno di ferro in un guanto di velluto, possono essere in parte scusabili con l’evidente ignoranza degli affari italici da parte di chi ha redatto l’articolo, ben meno scusabile risulta il “belare” dei giornali e delle TV di casa nostra riguardo ai primi 100 giorni dell’esecutivo, descritti come un successo con le motivazioni più svariate che hanno in comune il solo fatto di non trovare alcun riscontro nella realtà dei fatti.
La manovra finanziaria messa in cantiere e descritta a più riprese come “rivoluzionaria”, al di là di alcune trovate pubblicitarie e populiste, come la Robin tax e le carte di credito prepagate per gli anziani, si manifesterà esclusivamente come un’operazione di sistematico taglio della spesa sociale e dei servizi ai cittadini, con il triste corollario della regalia fatta ai privati della gestione dei servizi pubblici locali di primaria importanza quali acqua, gas e trasporti.
Il pacchetto sicurezza presentato come un disegno ambizioso finalizzato a far “dormire sonni tranquilli” agli italiani ha partorito l’immunità per le più alte cariche dello Stato, le uniche che i sonni tranquilli li dormiranno davvero. Per il resto un coacervo di norme contraddittorie e confusionarie fra le quali spiccano la militarizzazione delle città italiane, il contestato (e in buona parte abortito) tentativo di prelevare le impronte digitali dei rom e quello meno contestato ma sicuramente destinato ad andare a buon fine di prelevarle a tutti gli italiani.
Secondo le parole dello stesso ministro Maroni nei primi 10 giorni i militari adibiti ai compiti di ordine pubblico avrebbero arrestato 37 persone, delle quali 33 extracomunitari, mentre sempre secondo le parole di Maroni nei primi 7 mesi dell’anno (compresi i primi 100 giorni del governo Berlusconi) gli sbarchi di immigrati clandestini in Italia sono raddoppiati rispetto all’analogo periodo del 2007 passando da 8266 a 15378. Un grande successo davvero.
La farsa dei rifiuti di Napoli, vaporizzatisi miracolosamente non appena la triade Berlusconi – Bassolino – Impregilo ha ordinato agli spazzini di andare nelle strade a recuperarli, ha rappresentato un vero insulto all’intelligenza, nonostante su Newsweek venga descritta come un miracolo del Cavaliere. Il ministro Brunetta ha iniziato una vera e propria crociata contro i dipendenti statali i cui frutti tangibili si possono leggere nella netta diminuzione dei giorni di assenza per malattia da parte dei lavoratori “terrorizzati”, giorni che scenderanno a zero allorquando Brunetta riuscirà nell’intento di sostituirli con dipendenti precari che non avranno neppure diritto alla mutua. Il ministro degli Esteri Frattini è riuscito, cosa mai verificatasi a memoria d’uomo, a dirimere una grave crisi internazionale come la guerra fra Ossezia e Georgia, pur restando comodamente adagiato su un lettino sotto il sole delle Maldive. Il ministro dell’Ambiente Prestigiacomo in 100 giorni non ha ancora praticamente prodotto nulla, ma conoscendo la sua competenza in materia probabilmente è meglio così. Il ministro Scajola autore di sistematici insulti nei confronti dei morti sul lavoro è riuscito a “riportare” il nucleare in Italia nel momento in cui nelle centrali atomiche francesi si verifica una fuga radioattiva dietro l’altra. Giovanardi litiga con Famiglia Cristiana definendola un giornale “cattocomunista”. Il ministro La Russa promette l’invio dell’esercito in Georgia all’amico Bush, dimenticando che gli ultimi soldati a disposizione (dopo quelli schierati in Bosnia, in Afghanistan, in Libano e in qualche altra mezza dozzina di parti del mondo) sono nelle strade ad espletare funzioni di ordine pubblico o posti a guardia delle infrastrutture per contrastare i cittadini che protestano.
Si potrebbe continuare a lungo a tessere le lodi del Cavaliere e del suo ispirato governo in questi primi miracolosi 100 giorni, ma in questo modo si rischierebbe di non comprendere per quale arcana ragione in Italia, nonostante cotanta espressione di arti magicali, le cose continuino ad andare male come e più di prima. I salari dei lavoratori italiani continuano ad essere i peggiori d’Europa, gli stipendi dei parlamentari al contrario restano i più alti d’Europa, il crollo dell’economia continua senza sosta, l’inflazione galoppa ed il potere d’acquisto dei cittadini scende drammaticamente sempre più in basso, non si contano le aziende che chiudono i battenti e tutte le aziende (pubbliche e private) licenziano i dipendenti per inseguire qualche briciola di redditività.
E’ molto difficile riuscire ad afferrare i contorni del miracolo dei primi 100 giorni del governo Berlusconi, ma diventa assai più semplice immaginare appena dietro l’angolo la sagoma di Waterloo, quanto mai realistica dal momento che le premesse ci sono tutte.
sabato 9 agosto 2008
In Ossezia scoppia la guerra dell'energia
Marco Cedolin
Mentre i media del mondo intero erano impegnati a seguire la grottesca cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Pechino, prologo dell’ennesima operazione commerciale che nulla ha a che fare con lo sport, l’esercito georgiano bombardava il capoluogo sudosseto Tskhinvali, devastando la città, provocando 1400 vittime e scatenando la reazione dei soldati della forza di interposizione russa presenti sul luogo.
Le notizie, per ora frammentarie, raccontano di una vera e propria battaglia tuttora in corso, condotta con l’ausilio di carri armati, aerei e missili che contrappone l’esercito georgiano a quello russo ora affluito in forze a protezione dell'Ossezia del sud, composta da abitanti il 90% dei quali ha passaporto russo. Il presidente georgiano, Mikhail Saakashvili, si appresta a dichiarare la legge marziale, domanda l’intervento degli Stati Uniti e decide di riportare in patria a combattere il proprio contingente di 2000 soldati attualmente stanziato in Iraq. Gli Stati Uniti chiedono alla Russia di interrompere gli attacchi, rispettare l'integrità territoriale delle Georgia e ritirare le proprie forze da combattimento dal suolo georgiano. Putin dichiara che la guerra di fatto è iniziata dopo l’aggressione alle forze di interposizione di Mosca da parte dell’esercito georgiano. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU convoca una riunione straordinaria per affrontare una crisi che rischia di farsi sempre più drammatica.
Sullo sfondo dell’ennesimo focolaio di guerra nel Caucaso, in una regione politicamente instabile come poche altre al mondo, sulla quale gravano una lunga serie di conflitti etnici irrisolti, si muovono i grandi interessi energetici statunitensi e russi collegati ad un territorio estremamente strategico in virtù della presenza di enormi giacimenti di gas e del passaggio del ciclopico oleodotto BTC che consente agli USA e ad Israele di disporre di un corridoio energetico che colleghi il bacino del Mar Caspio con il Mediterraneo orientale, tagliando fuori tanto la Russia quanto l’Iran.
La vera chiave di lettura del conflitto che drammaticamente vede contrapporsi in realtà USA e Russia, essendo la ex repubblica sovietica della Georgia ormai da tempo un fedele alleato militare statunitense ed israeliano, riguarda proprio il controllo delle risorse energetiche e dei canali attraverso i quali veicolarne la distribuzione. Una guerra per l’energia nell’ambito della quale l’enorme oleodotto BTC che attraversa la Georgia per 249 km trasportando fino ad 1 milione di barili di greggio al giorno potrebbe essere in fondo il vero oggetto del contendere.
Per approfondimenti: http://marcocedolin.blogspot.com/2008/08/oleodotto-btc-la-georgia-e-gli.html
Mentre i media del mondo intero erano impegnati a seguire la grottesca cerimonia di apertura dei Giochi Olimpici di Pechino, prologo dell’ennesima operazione commerciale che nulla ha a che fare con lo sport, l’esercito georgiano bombardava il capoluogo sudosseto Tskhinvali, devastando la città, provocando 1400 vittime e scatenando la reazione dei soldati della forza di interposizione russa presenti sul luogo.
Le notizie, per ora frammentarie, raccontano di una vera e propria battaglia tuttora in corso, condotta con l’ausilio di carri armati, aerei e missili che contrappone l’esercito georgiano a quello russo ora affluito in forze a protezione dell'Ossezia del sud, composta da abitanti il 90% dei quali ha passaporto russo. Il presidente georgiano, Mikhail Saakashvili, si appresta a dichiarare la legge marziale, domanda l’intervento degli Stati Uniti e decide di riportare in patria a combattere il proprio contingente di 2000 soldati attualmente stanziato in Iraq. Gli Stati Uniti chiedono alla Russia di interrompere gli attacchi, rispettare l'integrità territoriale delle Georgia e ritirare le proprie forze da combattimento dal suolo georgiano. Putin dichiara che la guerra di fatto è iniziata dopo l’aggressione alle forze di interposizione di Mosca da parte dell’esercito georgiano. Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU convoca una riunione straordinaria per affrontare una crisi che rischia di farsi sempre più drammatica.
Sullo sfondo dell’ennesimo focolaio di guerra nel Caucaso, in una regione politicamente instabile come poche altre al mondo, sulla quale gravano una lunga serie di conflitti etnici irrisolti, si muovono i grandi interessi energetici statunitensi e russi collegati ad un territorio estremamente strategico in virtù della presenza di enormi giacimenti di gas e del passaggio del ciclopico oleodotto BTC che consente agli USA e ad Israele di disporre di un corridoio energetico che colleghi il bacino del Mar Caspio con il Mediterraneo orientale, tagliando fuori tanto la Russia quanto l’Iran.
La vera chiave di lettura del conflitto che drammaticamente vede contrapporsi in realtà USA e Russia, essendo la ex repubblica sovietica della Georgia ormai da tempo un fedele alleato militare statunitense ed israeliano, riguarda proprio il controllo delle risorse energetiche e dei canali attraverso i quali veicolarne la distribuzione. Una guerra per l’energia nell’ambito della quale l’enorme oleodotto BTC che attraversa la Georgia per 249 km trasportando fino ad 1 milione di barili di greggio al giorno potrebbe essere in fondo il vero oggetto del contendere.
Per approfondimenti: http://marcocedolin.blogspot.com/2008/08/oleodotto-btc-la-georgia-e-gli.html
giovedì 7 agosto 2008
Il Dal Molin nelle mani della CMC
Marco Cedolin
Dopo la sentenza del TAR del Veneto del 18 giugno scorso che aveva accolto il ricorso concernente la sospensione dei lavori, dichiarati illegali ed illegittimi, per la costruzione della nuova base americana Dal Molin a Vicenza, poi annullata il 29 luglio dal Consiglio di Stato che aveva ritenuto la decisione del governo un “atto politico insindacabile dal giudice amministrativo”, ci troviamo dinanzi ad una nuova svolta della controversa vicenda che vede larga parte dei cittadini vicentini contrapporsi agli interessi militari americani.
Ieri l’area ovest dell’aeroporto Dal Molin è stata infatti formalmente consegnata alle cooperative rosse che saranno responsabili della commessa di 245 milioni di euro concernente la progettazione e la costruzione delle nuove infrastrutture americane. La CMC di Ravenna e la CCC di Bologna, già impegnate in molti fra i più importanti appalti concernenti grandi infrastrutture compresi quelli per l’alta velocità ferroviaria, hanno di fatto preso in consegna il sito per iniziare le operazioni di preparazione del cantiere e procedere con l’inizio dei lavori il cui completamento è previsto entro il 2012.
Appare chiara a questo punto la volontà del governo di non lasciare alcuno spazio alla mediazione con i comitati di cittadini che da anni si oppongono alla costruzione della nuova base americana e ripetutamente hanno chiesto fosse indetto un referendum per coinvolgere nella decisione la popolazione destinata a subire le conseguenze determinate dalla nuova infrastruttura.
La decisione rimane pertanto “un atto politico insindacabile” calato dall’alto sulle spalle dei cittadini, con il rischio sempre più concreto che anche a Vicenza, come in Valle di Susa nel 2005, la situazione nei prossimi mesi rischi di degenerare in un muro contro muro fra la popolazione e le forze dell’ordine, con le tragiche conseguenze che si possono facilmente immaginare.
Chi sono CMC e CCC?
Oltre all’ampliamento della base di Sigonella la Cmc ha operato in qualità di general contractor nella costruzione di molte tratte Tav, fra le quali la tratta Bologna–Firenze dove, facendo parte del consorzio Cavet insieme ad Impregilo e Fiat Engineering, risulta imputata in un processo per devastazione ambientale, in quanto i lavori di scavo delle gallerie prosciugarono le sorgenti e inquinarono il territorio con fanghi contenenti oli minerali. Negli anni ‘90 costruì parte della metropolitana milanese. Nel 1998 partecipò al consorzio italo–colombiano Impregilo– Minciviles per la costruzione della centrale idroelettrica Porce, che non fu portata a termine e determinò un contenzioso giudiziario per inadempimento contrattuale. Nel 2004 si aggiudicò il primo lotto della Salerno–Reggio Calabria per 678 milioni di euro senza rispettare il termine dei lavori previsto. La Ccc ha collaborato nella costruzione delle tratte per l’alta velocità ferroviaria e si è aggiudicata sostanziosi appalti nell’ambito delle Olimpiadi invernali di Torino 2006, dove ha costruito i trampolini per il salto di Pragelato, il secondo lotto della pista da bob di Cesana e parte del villaggio olimpico di Torino. Ha inoltre costruito varie infrastrutture dell’aeroporto L. Da Vinci e della stazione di Roma Termini.
Dopo la sentenza del TAR del Veneto del 18 giugno scorso che aveva accolto il ricorso concernente la sospensione dei lavori, dichiarati illegali ed illegittimi, per la costruzione della nuova base americana Dal Molin a Vicenza, poi annullata il 29 luglio dal Consiglio di Stato che aveva ritenuto la decisione del governo un “atto politico insindacabile dal giudice amministrativo”, ci troviamo dinanzi ad una nuova svolta della controversa vicenda che vede larga parte dei cittadini vicentini contrapporsi agli interessi militari americani.
Ieri l’area ovest dell’aeroporto Dal Molin è stata infatti formalmente consegnata alle cooperative rosse che saranno responsabili della commessa di 245 milioni di euro concernente la progettazione e la costruzione delle nuove infrastrutture americane. La CMC di Ravenna e la CCC di Bologna, già impegnate in molti fra i più importanti appalti concernenti grandi infrastrutture compresi quelli per l’alta velocità ferroviaria, hanno di fatto preso in consegna il sito per iniziare le operazioni di preparazione del cantiere e procedere con l’inizio dei lavori il cui completamento è previsto entro il 2012.
Appare chiara a questo punto la volontà del governo di non lasciare alcuno spazio alla mediazione con i comitati di cittadini che da anni si oppongono alla costruzione della nuova base americana e ripetutamente hanno chiesto fosse indetto un referendum per coinvolgere nella decisione la popolazione destinata a subire le conseguenze determinate dalla nuova infrastruttura.
La decisione rimane pertanto “un atto politico insindacabile” calato dall’alto sulle spalle dei cittadini, con il rischio sempre più concreto che anche a Vicenza, come in Valle di Susa nel 2005, la situazione nei prossimi mesi rischi di degenerare in un muro contro muro fra la popolazione e le forze dell’ordine, con le tragiche conseguenze che si possono facilmente immaginare.
Chi sono CMC e CCC?
Oltre all’ampliamento della base di Sigonella la Cmc ha operato in qualità di general contractor nella costruzione di molte tratte Tav, fra le quali la tratta Bologna–Firenze dove, facendo parte del consorzio Cavet insieme ad Impregilo e Fiat Engineering, risulta imputata in un processo per devastazione ambientale, in quanto i lavori di scavo delle gallerie prosciugarono le sorgenti e inquinarono il territorio con fanghi contenenti oli minerali. Negli anni ‘90 costruì parte della metropolitana milanese. Nel 1998 partecipò al consorzio italo–colombiano Impregilo– Minciviles per la costruzione della centrale idroelettrica Porce, che non fu portata a termine e determinò un contenzioso giudiziario per inadempimento contrattuale. Nel 2004 si aggiudicò il primo lotto della Salerno–Reggio Calabria per 678 milioni di euro senza rispettare il termine dei lavori previsto. La Ccc ha collaborato nella costruzione delle tratte per l’alta velocità ferroviaria e si è aggiudicata sostanziosi appalti nell’ambito delle Olimpiadi invernali di Torino 2006, dove ha costruito i trampolini per il salto di Pragelato, il secondo lotto della pista da bob di Cesana e parte del villaggio olimpico di Torino. Ha inoltre costruito varie infrastrutture dell’aeroporto L. Da Vinci e della stazione di Roma Termini.
martedì 5 agosto 2008
La Russa ed i post - sessantottini
Marco Cedolin
Da ieri ha preso il via l’operazione “Strade sicure” che contempla lo schieramento nelle principali città italiane di 3 mila soldati impegnati in compiti di ordine pubblico. I soldati saranno impiegati nella vigilanza di postazioni fisse, nel controllo dei Centri per immigrati e nel pattugliamento congiunto con le forze di polizia delle aree ritenute più a rischio.
La decisione di mandare i militari nelle strade delle città, come già prima di oggi quella di schierare l’esercito a “difesa” delle infrastrutture, ha scatenato nell’arena politica un vespaio di polemiche fra chi sostiene la scelta nel “nome dei cittadini” e chi la considera una mera operazione di facciata a fini propagandistici. Anche l’opinione pubblica nel valutare il provvedimento sta mostrando profonde divisioni, sostanzialmente fra coloro che con i militari nelle strade dichiarano di sentirsi più sicuri e coloro che non gradiscono le città militarizzate o più semplicemente ritengono che l’intera operazione sia controproducente.
Entrambe le posizioni sono naturalmente legittime, così come è legittimo che qualunque cittadino possa esternare le proprie perplessità di fronte alla militarizzazione delle aree metropolitane, senza per questo venire etichettato in malo modo da un ministro della Repubblica al quale la canicola ha in tutta evidenza dato alla testa.
Il ministro della Difesa canicolato è tale Ignazio La Russa che contrariato per le proteste a cui è andata incontro la scelta di usare “impropriamente” l’esercito, ed evidentemente incapace di articolare una giustificazione plausibile che dimostrasse la bontà dell’operazione, ha dichiarato con fare concitato “Oltre ai delinquenti, agli stupratori, a chi fa furti e rapine, sono contrari alla presenza dei militari per garantire la sicurezza solo i post sessantottini”.
Personalmente non ho mai partecipato a furti, stupri o rapine, né posso essere considerato un delinquente non avendo mai infranto la legge, né mi sento parte di quella fantomatica schiera di post – sessantottini cui allude l’invasato La Russa, dal momento che in quegli anni frequentavo a malapena le elementari e anche successivamente non mi è mai accaduto di caldeggiare l’operato dell’estrema sinistra.
Nonostante ciò considero l’operazione “Strade sicure” una misera commedia di cattivo gusto, messa in piedi da un governo che sta maldestramente tentando di mostrare i muscoli, laddove ci sarebbe invece necessità di usare un cervello del quale non esiste traccia all’interno di questo esecutivo.
La criminalità e la microcriminalità vanno combattute facendo rispettare la legge, anche in fase giudiziaria, utilizzando le forze dell’ordine che dovrebbero essere preposte a questo compito, anziché destinate a servire gli interessi particolari di una moltitudine di personaggi della politica, dell’imprenditoria, dello sport e dello spettacolo, che dispongono di polizia e carabinieri a proprio uso e consumo.
L’esercito dovrebbe essere usato per difendere il territorio nazionale da eventuali aggressioni esterne (come previsto dalla Costituzione) anziché essere utilizzato per portare la guerra in giro per il mondo, come avviene da molti anni, e perfino per militarizzare le città italiane.
La farsa costituita dai soldati che pattugliano le città, oltre che risultare fortemente offensiva nei confronti degli stessi agenti di polizia, si palesa tanto inutile quanto pericolosa, dal momento che costringerà i militari ad espletare compiti per i quali non sono stati addestrati, con il rischio di aumentare ulteriormente la confusione ed il potenziale di pericolo presenti nelle nostre strade.
Mi dispiace dovere contraddire il ministro La Russa, probabilmente rimasto vittima di un colpo di calore, ma per essere contrari alla presenza dei militari nelle strade non occorre essere delinquenti o post – sessantottini, basta semplicemente usare il buon senso e recuperare un minimo di raziocinio, evitando di limitarsi a cavalcare, come fanno lui e la sua coalizione, la crescente paura che attanaglia i cittadini attraverso grottesche iniziative “pubblicitarie” senza costrutto alcuno.
Da ieri ha preso il via l’operazione “Strade sicure” che contempla lo schieramento nelle principali città italiane di 3 mila soldati impegnati in compiti di ordine pubblico. I soldati saranno impiegati nella vigilanza di postazioni fisse, nel controllo dei Centri per immigrati e nel pattugliamento congiunto con le forze di polizia delle aree ritenute più a rischio.
La decisione di mandare i militari nelle strade delle città, come già prima di oggi quella di schierare l’esercito a “difesa” delle infrastrutture, ha scatenato nell’arena politica un vespaio di polemiche fra chi sostiene la scelta nel “nome dei cittadini” e chi la considera una mera operazione di facciata a fini propagandistici. Anche l’opinione pubblica nel valutare il provvedimento sta mostrando profonde divisioni, sostanzialmente fra coloro che con i militari nelle strade dichiarano di sentirsi più sicuri e coloro che non gradiscono le città militarizzate o più semplicemente ritengono che l’intera operazione sia controproducente.
Entrambe le posizioni sono naturalmente legittime, così come è legittimo che qualunque cittadino possa esternare le proprie perplessità di fronte alla militarizzazione delle aree metropolitane, senza per questo venire etichettato in malo modo da un ministro della Repubblica al quale la canicola ha in tutta evidenza dato alla testa.
Il ministro della Difesa canicolato è tale Ignazio La Russa che contrariato per le proteste a cui è andata incontro la scelta di usare “impropriamente” l’esercito, ed evidentemente incapace di articolare una giustificazione plausibile che dimostrasse la bontà dell’operazione, ha dichiarato con fare concitato “Oltre ai delinquenti, agli stupratori, a chi fa furti e rapine, sono contrari alla presenza dei militari per garantire la sicurezza solo i post sessantottini”.
Personalmente non ho mai partecipato a furti, stupri o rapine, né posso essere considerato un delinquente non avendo mai infranto la legge, né mi sento parte di quella fantomatica schiera di post – sessantottini cui allude l’invasato La Russa, dal momento che in quegli anni frequentavo a malapena le elementari e anche successivamente non mi è mai accaduto di caldeggiare l’operato dell’estrema sinistra.
Nonostante ciò considero l’operazione “Strade sicure” una misera commedia di cattivo gusto, messa in piedi da un governo che sta maldestramente tentando di mostrare i muscoli, laddove ci sarebbe invece necessità di usare un cervello del quale non esiste traccia all’interno di questo esecutivo.
La criminalità e la microcriminalità vanno combattute facendo rispettare la legge, anche in fase giudiziaria, utilizzando le forze dell’ordine che dovrebbero essere preposte a questo compito, anziché destinate a servire gli interessi particolari di una moltitudine di personaggi della politica, dell’imprenditoria, dello sport e dello spettacolo, che dispongono di polizia e carabinieri a proprio uso e consumo.
L’esercito dovrebbe essere usato per difendere il territorio nazionale da eventuali aggressioni esterne (come previsto dalla Costituzione) anziché essere utilizzato per portare la guerra in giro per il mondo, come avviene da molti anni, e perfino per militarizzare le città italiane.
La farsa costituita dai soldati che pattugliano le città, oltre che risultare fortemente offensiva nei confronti degli stessi agenti di polizia, si palesa tanto inutile quanto pericolosa, dal momento che costringerà i militari ad espletare compiti per i quali non sono stati addestrati, con il rischio di aumentare ulteriormente la confusione ed il potenziale di pericolo presenti nelle nostre strade.
Mi dispiace dovere contraddire il ministro La Russa, probabilmente rimasto vittima di un colpo di calore, ma per essere contrari alla presenza dei militari nelle strade non occorre essere delinquenti o post – sessantottini, basta semplicemente usare il buon senso e recuperare un minimo di raziocinio, evitando di limitarsi a cavalcare, come fanno lui e la sua coalizione, la crescente paura che attanaglia i cittadini attraverso grottesche iniziative “pubblicitarie” senza costrutto alcuno.
venerdì 1 agosto 2008
SI del partito unico al trattato di Lisbona
Marco Cedolin
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dichiarato “è un titolo di onore per il Parlamento italiano”, il Presidente della Camera Gianfranco Fini l’ha definita “una bella pagina parlamentare”, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha parlato di “un risultato particolarmente importante”, il ministro degli Esteri Frattini ha detto che si tratta “di un bell’esempio che l’Italia dà al resto d’Europa”. I deputati del PD di Veltroni, dell’UDC di Casini, e dell’IDV di Antonio Di Pietro hanno votato alla stessa maniera dei loro colleghi della maggioranza e insieme a loro si sono spellati le mani in un lungo caloroso applauso liberatorio. I deputati della Lega che da sempre cavalcano l’euroscetticismo, facendo incetta di voti tramite slogan come “paroni a casa nostra” e hanno chiesto più volte fosse indetto un referendum, non hanno preso parte al battimani ma diligentemente hanno espresso il proprio voto favorevole nei confronti di un documento che di fatto tarperà le ali a qualunque proposito di autodeterminazione dei popoli ed è stato approvato senza consultare i cittadini.
Il controverso trattato di Lisbona, già respinto a giugno dal popolo irlandese, è stato definitivamente ratificato dall’Italia, senza che gli italiani siano stati chiamati a pronunciarsi in merito a questa sorta di Costituzione europea che inciderà profondamente nel loro futuro, ottenendo l’approvazione alla Camera (al Senato l’aveva già ottenuta) con 551 voti favorevoli e nessuno contrario.
Occorre pertanto constatare e prendere atto del fatto che nessun parlamentare italiano si è sentito in dovere di contrastare l’approvazione di un trattato che renderà l’Europa un’entità astratta sempre più lontana dai suoi cittadini e sempre più succube dei grandi interessi economici, nonché ancora più prona e servile nei confronti “dell’alleato” americano. Così come nessun parlamentare italiano ha ritenuto fosse necessaria una consultazione referendaria per ottenere il consenso del popolo (dopo averlo debitamente informato riguardo al contenuto di ciò che s’intendeva ratificare) in merito ad una nuova Costituzione europea che andrà a sovrapporsi a quella del nostro Paese.
Si fatica veramente molto a leggere in una siffatta manifestazione di mancata democrazia e completo asservimento dell’intero Parlamento al volere dei grandi poteri economici e finanziari sovranazionali, quei titoli di onore, quelle belle pagine, quei risultati importanti e quei begli esempi di cui si riempiono la bocca le più alte cariche dello Stato. L’unica lettura di questa ennesima pagina assai poco edificante, sintetizzata in quel “nessuno contrario”, tratteggia i contorni di un Parlamento ormai incapace di svolgere quel ruolo attribuitogli dalla Costituzione, in quanto composto da un partito unico che impedisce l’esercizio di quel sano confronto fra maggioranza ed opposizione che dovrebbe essere alla base del processo democratico. Un partito unico impegnato ad applaudire sé stesso, così narcisista ed autoreferenziale da confondere la vergogna con l’onore come accaduto ieri alla Camera.
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha dichiarato “è un titolo di onore per il Parlamento italiano”, il Presidente della Camera Gianfranco Fini l’ha definita “una bella pagina parlamentare”, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi ha parlato di “un risultato particolarmente importante”, il ministro degli Esteri Frattini ha detto che si tratta “di un bell’esempio che l’Italia dà al resto d’Europa”. I deputati del PD di Veltroni, dell’UDC di Casini, e dell’IDV di Antonio Di Pietro hanno votato alla stessa maniera dei loro colleghi della maggioranza e insieme a loro si sono spellati le mani in un lungo caloroso applauso liberatorio. I deputati della Lega che da sempre cavalcano l’euroscetticismo, facendo incetta di voti tramite slogan come “paroni a casa nostra” e hanno chiesto più volte fosse indetto un referendum, non hanno preso parte al battimani ma diligentemente hanno espresso il proprio voto favorevole nei confronti di un documento che di fatto tarperà le ali a qualunque proposito di autodeterminazione dei popoli ed è stato approvato senza consultare i cittadini.
Il controverso trattato di Lisbona, già respinto a giugno dal popolo irlandese, è stato definitivamente ratificato dall’Italia, senza che gli italiani siano stati chiamati a pronunciarsi in merito a questa sorta di Costituzione europea che inciderà profondamente nel loro futuro, ottenendo l’approvazione alla Camera (al Senato l’aveva già ottenuta) con 551 voti favorevoli e nessuno contrario.
Occorre pertanto constatare e prendere atto del fatto che nessun parlamentare italiano si è sentito in dovere di contrastare l’approvazione di un trattato che renderà l’Europa un’entità astratta sempre più lontana dai suoi cittadini e sempre più succube dei grandi interessi economici, nonché ancora più prona e servile nei confronti “dell’alleato” americano. Così come nessun parlamentare italiano ha ritenuto fosse necessaria una consultazione referendaria per ottenere il consenso del popolo (dopo averlo debitamente informato riguardo al contenuto di ciò che s’intendeva ratificare) in merito ad una nuova Costituzione europea che andrà a sovrapporsi a quella del nostro Paese.
Si fatica veramente molto a leggere in una siffatta manifestazione di mancata democrazia e completo asservimento dell’intero Parlamento al volere dei grandi poteri economici e finanziari sovranazionali, quei titoli di onore, quelle belle pagine, quei risultati importanti e quei begli esempi di cui si riempiono la bocca le più alte cariche dello Stato. L’unica lettura di questa ennesima pagina assai poco edificante, sintetizzata in quel “nessuno contrario”, tratteggia i contorni di un Parlamento ormai incapace di svolgere quel ruolo attribuitogli dalla Costituzione, in quanto composto da un partito unico che impedisce l’esercizio di quel sano confronto fra maggioranza ed opposizione che dovrebbe essere alla base del processo democratico. Un partito unico impegnato ad applaudire sé stesso, così narcisista ed autoreferenziale da confondere la vergogna con l’onore come accaduto ieri alla Camera.
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