Marco Cedolin
Nello sfogliare le pagine dei quotidiani in questi ultimi giorni di aprile si percepisce come l’impressione che tutti coloro che sono intorno mentre leggi, sull’autobus, al bar, in ufficio o seduto sulla panchina dei giardinetti, ti stiano osservando ridacchiando sotto i baffi, mentre se la godono un mondo a vedere l’effetto che fa ed attendono il momento giusto per sganasciarsi senza freni ed urlarti “Cretino! Ma ci avevi creduto veramente?”
In effetti i giornali di casa nostra, mentre il sole si fa sempre più caldo a ribadire che è primavera, somigliano sempre meno a serie testate d’informazione e sempre di più a quelle meravigliose copie de “Il Male” che (chi ha tanti anni sulle spalle come me certo lo ricorderà) furoreggiavano negli anni 70, quando scimmiottavano in maniera deliziosa le prime pagine dei quotidiani con notizie improponibili, dissacranti o sconvolgenti.
Le Brigate Verdi, non vi sfugga la sottile omonimia con quelle di casa nostra dipinte però di altro colore, si dilettano nel rapimento d’italiani glabri, in tuta mimetica e armati fino ai denti, in libera circolazione sul suolo d’Iraq, per poi ripresentarli in video con tanto di barba e vestiti in maniera più adeguata al clima e alle circostanze, mentre in tutta tranquillità consumano il desco.
Le Brigate Verdi di Maometto (prima avevo dimenticato l’allusione al Profeta) praticano dunque il rapimento a scopo d’estorsione ma l’oggetto del riscatto si dimostra in verità quanto mai originale. Non soldi, né fama, né armi, né prigionieri politici ma una manifestazione.
Sì, una manifestazione per la pace, una di quelle manifestazioni che in Italia si sono fatte decine di volte con grande partecipazione di noi italiani,che però ci portiamo sempre quella mortificante jella appiccicata sulla schiena. Quando ci ritroviamo tutti d’accordo su qualcosa (in questo caso la pace) il governo decide immediatamente per il contrario (la guerra) e si rimane con un vago senso di frustrazione nell’animo.
Se i rapitori di un qualche miliardario che si stava rosolando in Sardegna, comodamente stravaccato sul suo 20 metri sotto il sole primaverile, pretendessero come riscatto una manifestazione a Milano contro la riforma Moratti o un corteo a Napoli contro la legge Gasparri, sicuramente si penserebbe al gesto di qualche squilibrato e la cosa non verrebbe presa nella minima considerazione. Ma nel caso delle Brigate Verdi la questione si pone certo su un piano di ben diversa natura. Gli islamici sono strani, non ragionano come noi, è impossibile decifrare i loro percorsi mentali che ci sono sconosciuti.
Così il circo della carta stampata si rappresenta infarcito di dichiarazioni di uomini politici, opinionisti, famigliari, preti, vescovi, giornalisti, esperti, tutti profusi in serie considerazioni sul da farsi. “Manifestare a comando mai!” “non cederemo ad alcun ricatto” “usiamo la manifestazione del primo maggio che tanto la fa la sinistra che è contro la guerra” “Ma se riciclare una manifestazione preesistente non bastasse?”
“Italiani vi preghiamo scendete in piazza a manifestare contro l’occupazione in Iraq” lo gridano i famigliari degli ostaggi e i sindaci dei loro paesi.
“Italiani restate a casa e non cedete ad alcun ricatto” lo gridano i politici tutti, siano essi della maggioranza o dell’opposizione.
E sull’onda di questa farsa, parodiata in maniera tragicomica da commedianti buoni forse solo per la Corrida, ecco che l’italiano si ritrova col giornale fra le mani e gli sguardi di chi gli sta intorno sulla schiena con la netta sensazione di non capirci più nulla; cosa è giusto, cosa è sbagliato, cosa deve o non deve fare. Verrebbe quasi voglia di abbandonarsi all’ilarità e mormorare fra sé e sé guarda che pollo ci ero quasi cascato, se non fosse per il fatto che prima della commediola delle Brigate Verdi di Maometto, il massacro del popolo iracheno ed il movimento pacifista che reclamava la sua libertà erano delle cose serie, prima appunto.
giovedì 29 aprile 2004
venerdì 16 aprile 2004
Unreality show
Marco Cedolin
Qual è la linea di demarcazione che separa la realtà dalla finzione, e quanto c’è di reale nelle rappresentazioni degli accadimenti che giungono fino a noi sceneggiati, interpretati, plausibili. Già, plausibili: la realtà, in natura, quando esiste, libera di fluire senza la forzatura di un copione, senza dover sottostare alle leggi dell’audience, senza la costrizione di dover creare in chi la osserva del pathos, non sempre è plausibile, né perfetta, né tantomeno spettacolare.
Ma la nostra realtà si. Nella nostra realtà nulla sembra lasciato al caso e all’imponderabile, tutto ciò che accade (o viene fatto accadere, o sembra essere accaduto) è figlio illegittimo di un' abile sceneggiatura. Ogni cosa accade nella maniera più spettacolare, nei tempi giusti, nei modi più appropriati, senza sbavature, senza contrattempi, come in un film.
La vicenda delle quattro guardie private rapite e tenute in ostaggio in Iraq e l’uccisione di una di esse è ad esempio una di quelle che lasciano perplessi per i tanti aspetti che la fanno somigliare più ad un B-movie americano piuttosto che a un fatto di cronaca appartenente alla realtà.
Tutti i pezzi del mosaico sembrano disposti ad arte nel rappresentare una realtà plausibile, drammatica, straziante e coinvolgente; ma resta come sottofondo una nota stonata, la sensazione di trovarsi di fronte ad un reality show.
Le Falangi Verdi di Maometto, il fantomatico gruppo dei sequestratori non lo avevamo in verità mai sentito prima, non ha una storia né un’identità, ma il nome così altisonante e “islamico” sembra perfetto per porsi al centro della scena. In egual misura la richiesta dei rapitori per la liberazione degli ostaggi è di quelle improponibili, seppure di grosso effetto.
Pretendere il ritiro del contingente militare italiano (e non la liberazione di qualche prigioniero politico come è realmente varie volte accaduto in passato) equivale alla pretesa ridicola di 200 milioni di dollari e un elicottero per non distruggere il mondo, leitmotiv di tanti telefilm sui generis. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la risposta del governo italiano che, anziché proporre toni morbidi nell’intento di prendere tempo e consentire eventuali trattative segrete, come sempre avviene in questi casi, ha preferito esternare un’intransigenza tronfia e caricaturale, non senza preoccuparsi della sorte degli ostaggi.
La sensazione di trovarsi dinanzi ad una pellicola ha poi raggiunto il massimo durante la serata di mercoledì, quando la rappresentazione è sembrata dipanarsi secondo un meccanismo ben oliato studiato fin nei minimi dettagli. La serata nel teatrino di Porta a Porta, ormai assurto a succedaneo del parlamento, del Quirinale e di ogni altra istituzione dello stato italiano.
Una serata insolitamente in diretta, quasi la drammaticità del divenire fosse stata prevista. Ospite fra gli ospiti il ministro degli esteri Frattini, uomo che avrebbe dovuto trovarsi ben lontano dagli schermi TV, impegnato a compiere il proprio lavoro, che consisteva nel seguire la vicenda dalla sede deputata ad impegni di questo tipo.
Gradita la presenza in sala di alcuni parenti dei malcapitati ostaggi, tranne per una strana ironia del destino i parenti di Quattrocchi.
La notizia dell’uccisione vissuta in diretta, veicolata presso l’emittente araba Al Jazeera da una di quelle videocassette che oramai sembrano l’unico anello di congiunzione fra l’immaginario collettivo e la realtà dei fatti, una realtà comunque sempre filmica in quanto impressa sopra ad un nastro VHS. Il pathos che aleggia fra gli ospiti dello studio nell’attesa di una conferma o smentita dell’uccisione, con il ministro Frattini nell’inusuale veste di spettatore fra gli spettatori, lui che la logica avrebbe voluto in prima linea nell’appurare i fatti.
Poi lo sgomento, i pianti, la disperazione dei parenti degli altri ostaggi, tutto in diretta TV, tutto parte di un reality show nel quale anche le pause, le notizie, le attese, le lacrime sembravano frutto di un’attenta regia; ogni cosa al momento giusto, ogni cosa al punto giusto, senza sbavature.
Avete presente quando si esce da una sala cinematografica e si percepisce come una piccola sensazione di esaltazione? Se abbiamo visto un film di azione viene quasi voglia di menare le mani, un film ispirato ai buoni sentimenti ci rende per qualche momento più inclini alla bontà, uno d’amore ci spinge a donarci all’anima gemella e così via. Ecco,dopo l’overdose emozionale del Porta a Porta di mercoledì sera sentiamo chiaramente di poter discernere la verità con una chiarezza mai sperimentata prima.
In Iraq non esiste un popolo in rivolta ma solo terroristi sanguinari. Il terrorismo va combattuto ed è giusto che i nostri soldati (che lo combattono) restino là tutto il tempo necessario. Fabrizio Quattrocchi è stato ammazzato dagli arabi ed è morto come un eroe invocando il nome della Patria.
E gli arabi che stanno tentando d’invaderci dovranno passare sul cadavere di noi tutti prima di riuscire a farlo.Ma qualcuno di voi ricorda in che anno la colonia d’Iraq è stata annessa alla madrepatria?
Qual è la linea di demarcazione che separa la realtà dalla finzione, e quanto c’è di reale nelle rappresentazioni degli accadimenti che giungono fino a noi sceneggiati, interpretati, plausibili. Già, plausibili: la realtà, in natura, quando esiste, libera di fluire senza la forzatura di un copione, senza dover sottostare alle leggi dell’audience, senza la costrizione di dover creare in chi la osserva del pathos, non sempre è plausibile, né perfetta, né tantomeno spettacolare.
Ma la nostra realtà si. Nella nostra realtà nulla sembra lasciato al caso e all’imponderabile, tutto ciò che accade (o viene fatto accadere, o sembra essere accaduto) è figlio illegittimo di un' abile sceneggiatura. Ogni cosa accade nella maniera più spettacolare, nei tempi giusti, nei modi più appropriati, senza sbavature, senza contrattempi, come in un film.
La vicenda delle quattro guardie private rapite e tenute in ostaggio in Iraq e l’uccisione di una di esse è ad esempio una di quelle che lasciano perplessi per i tanti aspetti che la fanno somigliare più ad un B-movie americano piuttosto che a un fatto di cronaca appartenente alla realtà.
Tutti i pezzi del mosaico sembrano disposti ad arte nel rappresentare una realtà plausibile, drammatica, straziante e coinvolgente; ma resta come sottofondo una nota stonata, la sensazione di trovarsi di fronte ad un reality show.
Le Falangi Verdi di Maometto, il fantomatico gruppo dei sequestratori non lo avevamo in verità mai sentito prima, non ha una storia né un’identità, ma il nome così altisonante e “islamico” sembra perfetto per porsi al centro della scena. In egual misura la richiesta dei rapitori per la liberazione degli ostaggi è di quelle improponibili, seppure di grosso effetto.
Pretendere il ritiro del contingente militare italiano (e non la liberazione di qualche prigioniero politico come è realmente varie volte accaduto in passato) equivale alla pretesa ridicola di 200 milioni di dollari e un elicottero per non distruggere il mondo, leitmotiv di tanti telefilm sui generis. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la risposta del governo italiano che, anziché proporre toni morbidi nell’intento di prendere tempo e consentire eventuali trattative segrete, come sempre avviene in questi casi, ha preferito esternare un’intransigenza tronfia e caricaturale, non senza preoccuparsi della sorte degli ostaggi.
La sensazione di trovarsi dinanzi ad una pellicola ha poi raggiunto il massimo durante la serata di mercoledì, quando la rappresentazione è sembrata dipanarsi secondo un meccanismo ben oliato studiato fin nei minimi dettagli. La serata nel teatrino di Porta a Porta, ormai assurto a succedaneo del parlamento, del Quirinale e di ogni altra istituzione dello stato italiano.
Una serata insolitamente in diretta, quasi la drammaticità del divenire fosse stata prevista. Ospite fra gli ospiti il ministro degli esteri Frattini, uomo che avrebbe dovuto trovarsi ben lontano dagli schermi TV, impegnato a compiere il proprio lavoro, che consisteva nel seguire la vicenda dalla sede deputata ad impegni di questo tipo.
Gradita la presenza in sala di alcuni parenti dei malcapitati ostaggi, tranne per una strana ironia del destino i parenti di Quattrocchi.
La notizia dell’uccisione vissuta in diretta, veicolata presso l’emittente araba Al Jazeera da una di quelle videocassette che oramai sembrano l’unico anello di congiunzione fra l’immaginario collettivo e la realtà dei fatti, una realtà comunque sempre filmica in quanto impressa sopra ad un nastro VHS. Il pathos che aleggia fra gli ospiti dello studio nell’attesa di una conferma o smentita dell’uccisione, con il ministro Frattini nell’inusuale veste di spettatore fra gli spettatori, lui che la logica avrebbe voluto in prima linea nell’appurare i fatti.
Poi lo sgomento, i pianti, la disperazione dei parenti degli altri ostaggi, tutto in diretta TV, tutto parte di un reality show nel quale anche le pause, le notizie, le attese, le lacrime sembravano frutto di un’attenta regia; ogni cosa al momento giusto, ogni cosa al punto giusto, senza sbavature.
Avete presente quando si esce da una sala cinematografica e si percepisce come una piccola sensazione di esaltazione? Se abbiamo visto un film di azione viene quasi voglia di menare le mani, un film ispirato ai buoni sentimenti ci rende per qualche momento più inclini alla bontà, uno d’amore ci spinge a donarci all’anima gemella e così via. Ecco,dopo l’overdose emozionale del Porta a Porta di mercoledì sera sentiamo chiaramente di poter discernere la verità con una chiarezza mai sperimentata prima.
In Iraq non esiste un popolo in rivolta ma solo terroristi sanguinari. Il terrorismo va combattuto ed è giusto che i nostri soldati (che lo combattono) restino là tutto il tempo necessario. Fabrizio Quattrocchi è stato ammazzato dagli arabi ed è morto come un eroe invocando il nome della Patria.
E gli arabi che stanno tentando d’invaderci dovranno passare sul cadavere di noi tutti prima di riuscire a farlo.Ma qualcuno di voi ricorda in che anno la colonia d’Iraq è stata annessa alla madrepatria?
martedì 13 aprile 2004
Agnelli sacrificali
Marco Cedolin
Mentre in Iraq continua lo sterminio senza fine, l'ecatombe di un popolo che mai avrebbe voluto vedere da vicino la vera faccia della "democrazia"; mentre l'egoarca a stelle e strisce, forte della propria edacità si effonde con sempre maggiore violenza in un genocidio per il quale mai ci potrà essere perdono, da noi in Italia, il ministro Frattini asserisce con sciolta noncuranza come "non si tratti assolutamente di guerra e sia azione irresponsabile ritirare i nostri soldati".
Impossibile non restare basiti dinanzi a parole così imbevute di mistificatorio pressappochismo.
Non sappiamo che idea abbiano della guerra quel salapuzio di Silvio Berlusconi ed i suoi dipendenti, ma se c'è qualcosa che appare lapalissiano a qualunque persona osservi i fatti in buona fede è come la guerra in Iraq non sia mai finita e si manifesti in queste settimane più sanguinosa che mai.
L'ostinazione indisponente con la quale il governo e purtroppo anche una parte di quella che dovrebbe essere l'opposizione, continuano a spacciare i mercenari tricolore sotto le mentite spoglie di una missione umanitaria è al contempo disarmante ed offensiva, quasi quanto il riso sardonico della patetica Star di Porta a Porta.
I mercenari italiani, raccomandati e superpagati (ma nessuna cifra potrà mai valere la vita di un ragazzo di vent'anni), non si trovano in Iraq per costruire asili e dare pacche sulle spalle ai poveri orfanelli, come la consorteria che da noi gestisce il potere continua a ripetere mentendo spudoratamente anche di fronte all'evidenza dei fatti. I soldati italiani fanno parte di una coalizione che opera sotto comando americano, occupa in armi il territorio di uno stato sovrano, uccide, strazia, bombarda, annienta e quegli orfani continua a crearli giorno dopo giorno, quando non sono i bambini stessi le vittime dei massacri.
I soldati italiani che martedì mattina hanno assassinato 15 persone in quel di Nassiriya non sono una forza di pace né stanno intrattenendo un corso di "pace keeping" con finalità umanitarie.
Sono ragazzi addestrati e pagati per combattere (anche se quei morti credo resteranno per molto tempo a turbare i loro sonni) in difesa della propria patria, proiettati invece, contro i dettami della nostra costituzione in un'assurda e sanguinaria guerra di conquista.
In Iraq non è in corso un'operazione antiterrorismo ma una carneficina senza fine e senza senso.
Gli iracheni, abbiano essi imbracciato o meno un fucile, sono uomini, né più né meno di come lo siamo noi occidentali.
Uomini ai quali è stata bruciata la casa, annientata la famiglia, tolto il lavoro, calpestata ogni dignità.
Uomini che noi ci permettiamo di giudicare imbarbariti e incivili qualora manifestano il proprio odio nei nostri confronti.
Uomini ai quali abbiamo ritenuto giusto imporre la nostra "democrazia" fatta di bombe all'uranio, di missili, di elicotteri Apache, di carri armati, di morte e disprezzo.
Uomini che abbiamo calpestato in virtù della nostra sfrenata egolatria che ci porta a considerarli solo carne da macello, quasi solo alla razza eletta fosse dato il privilegio di avere un'anima.
Uomini ai quali, forti della nostra supponenza, pretendiamo d'imporre la nostra cultura e la nostra religione mediante l'uso delle armi.
Uomini che abbiamo ricacciato indietro nei secoli fino al medioevo, regalando loro per gli anni a venire un territorio radioattivo come i dintorni di Cernobyl.
Tutti coloro che asseriscono non ci ritireremo mai e che ancora si ostinano, dando sfoggio della propria demente ecolalia, a sostenere la necessità del nostro contingente mercenario, quale contributo ad una pace che esiste solo nell'immaginario collettivo di chi si rifiuta di guardare in faccia la realtà, non fanno altro che aggiungere vergogna alla vergogna.
Seguiti a ruota nell'ignominia da chi si schiera a favore di un futuribile ritiro a giugno delle truppe, di fantomatici mandati dell'ONU e di ogni altro escamotage che giustifichi la nostra presenza in armi sul suolo iracheno.
Anziché preoccuparci di presidiare 13421 obiettivi sensibili fingendoci vittime del terrorismo islamico che a tutt'oggi in Italia non è stato responsabile neppure di un ferimento lieve, occorre ritirare subito e non a giugno uomini ed armi dal suolo iracheno. Occorre ritirali subito non per codardia o per manifesta paura di ritorsioni terroristiche, bensì perché stanno combattendo una sporca guerra di conquista che non ci appartiene, né mai ci apparterrà.
Mentre in Iraq continua lo sterminio senza fine, l'ecatombe di un popolo che mai avrebbe voluto vedere da vicino la vera faccia della "democrazia"; mentre l'egoarca a stelle e strisce, forte della propria edacità si effonde con sempre maggiore violenza in un genocidio per il quale mai ci potrà essere perdono, da noi in Italia, il ministro Frattini asserisce con sciolta noncuranza come "non si tratti assolutamente di guerra e sia azione irresponsabile ritirare i nostri soldati".
Impossibile non restare basiti dinanzi a parole così imbevute di mistificatorio pressappochismo.
Non sappiamo che idea abbiano della guerra quel salapuzio di Silvio Berlusconi ed i suoi dipendenti, ma se c'è qualcosa che appare lapalissiano a qualunque persona osservi i fatti in buona fede è come la guerra in Iraq non sia mai finita e si manifesti in queste settimane più sanguinosa che mai.
L'ostinazione indisponente con la quale il governo e purtroppo anche una parte di quella che dovrebbe essere l'opposizione, continuano a spacciare i mercenari tricolore sotto le mentite spoglie di una missione umanitaria è al contempo disarmante ed offensiva, quasi quanto il riso sardonico della patetica Star di Porta a Porta.
I mercenari italiani, raccomandati e superpagati (ma nessuna cifra potrà mai valere la vita di un ragazzo di vent'anni), non si trovano in Iraq per costruire asili e dare pacche sulle spalle ai poveri orfanelli, come la consorteria che da noi gestisce il potere continua a ripetere mentendo spudoratamente anche di fronte all'evidenza dei fatti. I soldati italiani fanno parte di una coalizione che opera sotto comando americano, occupa in armi il territorio di uno stato sovrano, uccide, strazia, bombarda, annienta e quegli orfani continua a crearli giorno dopo giorno, quando non sono i bambini stessi le vittime dei massacri.
I soldati italiani che martedì mattina hanno assassinato 15 persone in quel di Nassiriya non sono una forza di pace né stanno intrattenendo un corso di "pace keeping" con finalità umanitarie.
Sono ragazzi addestrati e pagati per combattere (anche se quei morti credo resteranno per molto tempo a turbare i loro sonni) in difesa della propria patria, proiettati invece, contro i dettami della nostra costituzione in un'assurda e sanguinaria guerra di conquista.
In Iraq non è in corso un'operazione antiterrorismo ma una carneficina senza fine e senza senso.
Gli iracheni, abbiano essi imbracciato o meno un fucile, sono uomini, né più né meno di come lo siamo noi occidentali.
Uomini ai quali è stata bruciata la casa, annientata la famiglia, tolto il lavoro, calpestata ogni dignità.
Uomini che noi ci permettiamo di giudicare imbarbariti e incivili qualora manifestano il proprio odio nei nostri confronti.
Uomini ai quali abbiamo ritenuto giusto imporre la nostra "democrazia" fatta di bombe all'uranio, di missili, di elicotteri Apache, di carri armati, di morte e disprezzo.
Uomini che abbiamo calpestato in virtù della nostra sfrenata egolatria che ci porta a considerarli solo carne da macello, quasi solo alla razza eletta fosse dato il privilegio di avere un'anima.
Uomini ai quali, forti della nostra supponenza, pretendiamo d'imporre la nostra cultura e la nostra religione mediante l'uso delle armi.
Uomini che abbiamo ricacciato indietro nei secoli fino al medioevo, regalando loro per gli anni a venire un territorio radioattivo come i dintorni di Cernobyl.
Tutti coloro che asseriscono non ci ritireremo mai e che ancora si ostinano, dando sfoggio della propria demente ecolalia, a sostenere la necessità del nostro contingente mercenario, quale contributo ad una pace che esiste solo nell'immaginario collettivo di chi si rifiuta di guardare in faccia la realtà, non fanno altro che aggiungere vergogna alla vergogna.
Seguiti a ruota nell'ignominia da chi si schiera a favore di un futuribile ritiro a giugno delle truppe, di fantomatici mandati dell'ONU e di ogni altro escamotage che giustifichi la nostra presenza in armi sul suolo iracheno.
Anziché preoccuparci di presidiare 13421 obiettivi sensibili fingendoci vittime del terrorismo islamico che a tutt'oggi in Italia non è stato responsabile neppure di un ferimento lieve, occorre ritirare subito e non a giugno uomini ed armi dal suolo iracheno. Occorre ritirali subito non per codardia o per manifesta paura di ritorsioni terroristiche, bensì perché stanno combattendo una sporca guerra di conquista che non ci appartiene, né mai ci apparterrà.
lunedì 5 aprile 2004
Caccia alle streghe
Marco Cedolin
Chiunque nelle ultime settimane abbia prestato attenzione ai messaggi provenienti dai media dell'informazione, si sarà certamente accorto di una particolarità a dir poco curiosa che caratterizza il nostro paese.
L'Italia si distingue inequivocabilmente per il grandissimo numero di persone dedite all'arte del terrorismo e al fiancheggiamento dello stesso.
Si potrebbe quasi azzardare l'ipotesi che almeno un residente su cento sia legato in qualche misura alle pratiche terroristiche, tanti e tali sono stati in così pochi giorni i ritrovamenti di ordigni, gli arresti, le trame oscure sventate e quelle ancora più oscure che per il momento vengono solo monitorate.
Il quadro della nostra realtà, quello partorito dal tubo catodico e dalle pagine stampate per intenderci, non quello che emerge dalla vita reale di tutti i giorni, sembra essere costellato da una miriade senza fine di gruppi, gruppetti e gruppuscoli di facinorosi che hanno scelto la pratica terrorista quale scopo della propria esistenza.
Cerchiamo allora di capire insieme se veramente stiamo convivendo, senza essercene mai accorti prima, con un nugolo di bande armate o sedicenti tali oppure se l'informazione di regime è affetta da una sorta di macropsia in virtù della quale vede un dinosauro laddove alligna solo una piccola formica.
In primo luogo rifacciamoci al passato per comprendere quali nella storia recente siano stati i gruppi terroristici di stampo politico che realmente hanno calcato la scena del nostro paese.
Ci renderemo conto che le Brigate Rosse, quelle vere degli anni 70, insieme a Prima Linea e ad alcuni altri piccoli gruppi che gravitavano nella medesima area, restano l'unico esempio che abbia una qualche attendibilità.
Tutta l'eversione nera risalente alla medesima epoca non può annoverarsi all’interno di un progetto volto a sovvertire l’ordine dello Stato, bensì alla scelta di ricorrere alla lotta armata, operata da gruppi quantitativamente esigui e generalmente privi di un vero e proprio progetto rivoluzionario. Gruppi il cui nome è spesso stato usato dai servizi segreti ed altre eminenze grigie deviate per coprire la vera natura della strategia della tensione e le stragi di Stato. Sicuramente nulla che possa essere assimilabile ad un progetto politico d'insurrezione armata.
Né in Italia (e neppure in altri paesi del mondo per la verità) hanno mai agito gruppi terroristici capitanati da qualche miliardario pazzo (stile Spectra) o manipoli di paramilitari eclettici che intendono ricattare il mondo sulla falsariga dei protagonisti di tantissimi movie americani.
Affinché nasca un gruppo terrorista con fini politici, nella vita reale e non nella pellicola occorrono alla base almeno due presupposti senza i quali è impossibile che questo avvenga.
Innanzitutto un progetto credibile attraverso il quale sia ipotizzabile un sovvertimento del regime per mezzo della lotta armata.
In secondo luogo un humus fertile nella società fatto d'insofferenza al potere costituito, disaggregazione sociale, disperazione e rabbia, indispensabile sia per il reclutamento sia perché il gruppo possa sperare di trovare un minimo di condivisione da parte dell'opinione pubblica.
Senza un progetto credibile che possa essere condiviso da una fetta della pubblica opinione non può esistere terrorismo politico in quanto verrebbero a mancare sia gli insorti, sia i proseliti sia il fine stesso dell'insurrezione.
Anche solo pensare che in Italia oggi ci siano questi presupposti mi sembra una chiara manifestazione di follia o cattiva fede con qualche finalità mistificatoria.
Il nostro paese è lontano anni luce dalla realtà degli anni 70 nella quale nacquero le Brigate Rosse ed ogni parallelismo con il tessuto sociale di quell'epoca mi sembra sinceramente improponibile.
Oggi chiunque asserisse di voler portare avanti un progetto d'insurrezione armata volto a sovvertire l'ordine costituito, anziché fare proseliti sarebbe immediatamente tradotto all'ospedale psichiatrico più vicino, per il semplice fatto che qualunque progetto del genere si rivela chiaramente inattuabile nella realtà contemporanea.
Lo dimostra chiaramente il fatto che a livello mondiale nell'ultimo ventennio non vi è traccia di rivoluzioni ingenerate dalla volontà popolare.
Da dove provengono allora i pacchi bomba che immancabilmente non esplodono mai e ci vengono quasi quotidianamente proposti in TV con belle riprese che ne evidenziano perfino gli inneschi e le batterie alcaline?
Quali rivoluzioni stanno progettando o compiendo le decine di arrestati ed indagati per reati terroristici?
Che senso hanno le bombe come quella di Genova nei pressi della stazione di polizia che esplodono senza fare vittime e vengono spacciate come parte di un progetto eversivo talmente fantomatico da rasentare l'assurdo?
Gli immigrati clandestini sbarcano nel nostro paese alla ricerca di una vita migliore. Alcune volte la trovano, altre no. Spesso costituiscono un retroterra ideale per i reclutamenti della microcriminalità.
Ma davvero dietro a ogni mussulmano si nasconde l'ectoplasma di un militante di Al Quaeda come l'informazione intende farci credere?
Davvero il nostro paese è impregnato di cellule del terrorismo islamico pronte a colpire? A colpire cosa e perché?
L'intifada palestinese e la resistenza irachena nascono figlie di due situazioni diverse ma assimilabili nella realtà di persone che non hanno nulla se non la propria disperazione. Uomini senza più una patria, un lavoro, una casa una famiglia, una dignità. Uomini per i quali spesso perfino la propria vita è svuotata di ogni valore intrinseco.
E' in questa realtà che si immolano con una bomba addosso nel tentativo di spegnere le vite di quelli che considerano i propri persecutori.
Non intendo qui giudicare se e quanto questo possa essere giusto o sbagliato, dal momento che ritengo lo possa fare solamente chi vive realmente una babilonia di morte quale sono oggi la Palestina e l'Iraq.
Mi preme invece sottolineare come i mussulmani che risiedono in Italia, clandestini e non si trovino in un contesto di tutt'altro genere. Per quale ragione dovrebbero essere pronti a dilaniarsi pur avendo tutto sommato una vita normale?
Si può rubare ed uccidere per soldi ma ci si immola in attentato suicida solo per disperazione e ai mussulmani che vivono accanto a noi non appartiene la disperazione, non certo quella disperazione che ti può far diventare kamikaze.
L'impressione globale è quella che sia interesse della confraternita che gestisce il potere presentare l'ologramma di un'Italia che non esiste, attraverso una sorta di caccia alle streghe di medioevale memoria.
Un'Italia nella quale diventi più facile eliminare le persone scomode, un'Italia nella quale ogni genere di repressione sia giustificata e giustificabile, un'Italia dove ogni mussulmano non sia da considerare un uomo ma semplicemente il tuo nemico.
Un paese che ha bisogno di ordine, di leggi più severe, di controllo, del pugno di ferro.
A pensarci bene è lo stesso concetto utilizzato dal racket per raccogliere il pizzo. Sfascio qualche negozio, innesco la paura e poi passo a riscuotere i soldi della protezione.Una vecchia pratica mafiosa purtroppo quanto mai attuale.
Chiunque nelle ultime settimane abbia prestato attenzione ai messaggi provenienti dai media dell'informazione, si sarà certamente accorto di una particolarità a dir poco curiosa che caratterizza il nostro paese.
L'Italia si distingue inequivocabilmente per il grandissimo numero di persone dedite all'arte del terrorismo e al fiancheggiamento dello stesso.
Si potrebbe quasi azzardare l'ipotesi che almeno un residente su cento sia legato in qualche misura alle pratiche terroristiche, tanti e tali sono stati in così pochi giorni i ritrovamenti di ordigni, gli arresti, le trame oscure sventate e quelle ancora più oscure che per il momento vengono solo monitorate.
Il quadro della nostra realtà, quello partorito dal tubo catodico e dalle pagine stampate per intenderci, non quello che emerge dalla vita reale di tutti i giorni, sembra essere costellato da una miriade senza fine di gruppi, gruppetti e gruppuscoli di facinorosi che hanno scelto la pratica terrorista quale scopo della propria esistenza.
Cerchiamo allora di capire insieme se veramente stiamo convivendo, senza essercene mai accorti prima, con un nugolo di bande armate o sedicenti tali oppure se l'informazione di regime è affetta da una sorta di macropsia in virtù della quale vede un dinosauro laddove alligna solo una piccola formica.
In primo luogo rifacciamoci al passato per comprendere quali nella storia recente siano stati i gruppi terroristici di stampo politico che realmente hanno calcato la scena del nostro paese.
Ci renderemo conto che le Brigate Rosse, quelle vere degli anni 70, insieme a Prima Linea e ad alcuni altri piccoli gruppi che gravitavano nella medesima area, restano l'unico esempio che abbia una qualche attendibilità.
Tutta l'eversione nera risalente alla medesima epoca non può annoverarsi all’interno di un progetto volto a sovvertire l’ordine dello Stato, bensì alla scelta di ricorrere alla lotta armata, operata da gruppi quantitativamente esigui e generalmente privi di un vero e proprio progetto rivoluzionario. Gruppi il cui nome è spesso stato usato dai servizi segreti ed altre eminenze grigie deviate per coprire la vera natura della strategia della tensione e le stragi di Stato. Sicuramente nulla che possa essere assimilabile ad un progetto politico d'insurrezione armata.
Né in Italia (e neppure in altri paesi del mondo per la verità) hanno mai agito gruppi terroristici capitanati da qualche miliardario pazzo (stile Spectra) o manipoli di paramilitari eclettici che intendono ricattare il mondo sulla falsariga dei protagonisti di tantissimi movie americani.
Affinché nasca un gruppo terrorista con fini politici, nella vita reale e non nella pellicola occorrono alla base almeno due presupposti senza i quali è impossibile che questo avvenga.
Innanzitutto un progetto credibile attraverso il quale sia ipotizzabile un sovvertimento del regime per mezzo della lotta armata.
In secondo luogo un humus fertile nella società fatto d'insofferenza al potere costituito, disaggregazione sociale, disperazione e rabbia, indispensabile sia per il reclutamento sia perché il gruppo possa sperare di trovare un minimo di condivisione da parte dell'opinione pubblica.
Senza un progetto credibile che possa essere condiviso da una fetta della pubblica opinione non può esistere terrorismo politico in quanto verrebbero a mancare sia gli insorti, sia i proseliti sia il fine stesso dell'insurrezione.
Anche solo pensare che in Italia oggi ci siano questi presupposti mi sembra una chiara manifestazione di follia o cattiva fede con qualche finalità mistificatoria.
Il nostro paese è lontano anni luce dalla realtà degli anni 70 nella quale nacquero le Brigate Rosse ed ogni parallelismo con il tessuto sociale di quell'epoca mi sembra sinceramente improponibile.
Oggi chiunque asserisse di voler portare avanti un progetto d'insurrezione armata volto a sovvertire l'ordine costituito, anziché fare proseliti sarebbe immediatamente tradotto all'ospedale psichiatrico più vicino, per il semplice fatto che qualunque progetto del genere si rivela chiaramente inattuabile nella realtà contemporanea.
Lo dimostra chiaramente il fatto che a livello mondiale nell'ultimo ventennio non vi è traccia di rivoluzioni ingenerate dalla volontà popolare.
Da dove provengono allora i pacchi bomba che immancabilmente non esplodono mai e ci vengono quasi quotidianamente proposti in TV con belle riprese che ne evidenziano perfino gli inneschi e le batterie alcaline?
Quali rivoluzioni stanno progettando o compiendo le decine di arrestati ed indagati per reati terroristici?
Che senso hanno le bombe come quella di Genova nei pressi della stazione di polizia che esplodono senza fare vittime e vengono spacciate come parte di un progetto eversivo talmente fantomatico da rasentare l'assurdo?
Gli immigrati clandestini sbarcano nel nostro paese alla ricerca di una vita migliore. Alcune volte la trovano, altre no. Spesso costituiscono un retroterra ideale per i reclutamenti della microcriminalità.
Ma davvero dietro a ogni mussulmano si nasconde l'ectoplasma di un militante di Al Quaeda come l'informazione intende farci credere?
Davvero il nostro paese è impregnato di cellule del terrorismo islamico pronte a colpire? A colpire cosa e perché?
L'intifada palestinese e la resistenza irachena nascono figlie di due situazioni diverse ma assimilabili nella realtà di persone che non hanno nulla se non la propria disperazione. Uomini senza più una patria, un lavoro, una casa una famiglia, una dignità. Uomini per i quali spesso perfino la propria vita è svuotata di ogni valore intrinseco.
E' in questa realtà che si immolano con una bomba addosso nel tentativo di spegnere le vite di quelli che considerano i propri persecutori.
Non intendo qui giudicare se e quanto questo possa essere giusto o sbagliato, dal momento che ritengo lo possa fare solamente chi vive realmente una babilonia di morte quale sono oggi la Palestina e l'Iraq.
Mi preme invece sottolineare come i mussulmani che risiedono in Italia, clandestini e non si trovino in un contesto di tutt'altro genere. Per quale ragione dovrebbero essere pronti a dilaniarsi pur avendo tutto sommato una vita normale?
Si può rubare ed uccidere per soldi ma ci si immola in attentato suicida solo per disperazione e ai mussulmani che vivono accanto a noi non appartiene la disperazione, non certo quella disperazione che ti può far diventare kamikaze.
L'impressione globale è quella che sia interesse della confraternita che gestisce il potere presentare l'ologramma di un'Italia che non esiste, attraverso una sorta di caccia alle streghe di medioevale memoria.
Un'Italia nella quale diventi più facile eliminare le persone scomode, un'Italia nella quale ogni genere di repressione sia giustificata e giustificabile, un'Italia dove ogni mussulmano non sia da considerare un uomo ma semplicemente il tuo nemico.
Un paese che ha bisogno di ordine, di leggi più severe, di controllo, del pugno di ferro.
A pensarci bene è lo stesso concetto utilizzato dal racket per raccogliere il pizzo. Sfascio qualche negozio, innesco la paura e poi passo a riscuotere i soldi della protezione.Una vecchia pratica mafiosa purtroppo quanto mai attuale.
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