Marco Cedolin
Il cappio che si sta stringendo intorno al collo di Saddam Hussein è simile ad un foglio intonso, abbacinante nel suo biancicare, che a breve si colorerà di fiumi di parole, rosse come il sangue con il quale da cinque anni si stanno imbrattando i “muri del mondo” con parole come democrazia, civiltà, giustizia e libertà.
L’assassinio democratico di Saddam, a prescindere da quelle che possano essere le sue colpe, rappresenta solamente il patetico tentativo da parte dell’amministrazione Bush e dei suoi alleati, di dare un senso ad una tragedia che senso non ha.
In questo Iraq precipitato a forza nel medioevo nulla ha un senso, ogni cosa è paradossale, ogni parola è stonata, ogni azione è semplicemente una scheggia di pazzia.
Non esistono giustificazioni per le centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini massacrati, straziati, mutilati senza pietà, così come non esistono per i prigionieri torturati dentro al carcere di Abu Grahib o i civili di Falluja bruciati come ceri dalle bombe al fosforo bianco. L’Iraq che si dibatte nel suo nuovo medioevo democratico non è più uno Stato, ma solamente un immenso campo di battaglia infarcito di auto bomba, di eserciti occupanti, di morte e devastazione. La democrazia in Iraq parla il linguaggio dell’egoarca e conta a livello di centinaia i morti ammazzati nelle strade ogni giorno.
Il processo farsa a Saddam, svoltosi fra le mura della cittadella fortificata statunitense, nel nome del governo fantoccio di un Paese che non esiste, alla luce di una Costituzione che non rappresenta nessuno, si è rivelata l’ennesima parossistica messinscena priva di qualunque valenza oggettiva. La condanna a morte per crimini contro l’umanità, estremamente meno pesanti di quelli compiuti in Iraq dagli americani e dai loro alleati durante questi anni, ha tramutato la messinscena in una macabra e truculenta rappresentazione.
La piccola folla d’iracheni festanti dinanzi alla forca democratica che stanotte campeggiava sugli schermi della CNN era in tutto e per tutto simile a quella (trasportata sul posto dagli stessi americani) che anni fa inneggiava ai liberatori durante la demolizione della statua di Saddam. Quelle immagini fecero, come queste faranno, il giro del mondo, nel tentativo di pacificare le coscienze, rappresentando un Iraq che non esiste e non è mai esistito.
L’Iraq e gli iracheni non vivono dentro a un “film” ma fra le strade devastate dalle bombe di un paese senza identità e se i crimini contro l’umanità venissero puniti con la forca (giusto o sbagliato che sia) Bush e Blair per primi stanotte avrebbero accompagnato Saddam nel suo lungo viaggio, probabilmente alla presenza di folle festanti molto più corpose.
sabato 30 dicembre 2006
lunedì 4 dicembre 2006
Prodi riporta l'Italia in piazza
Marco Cedolin
Che fossero uno o due milioni di persone poco importa, la realtà incontrovertibile è quella che la manifestazione indetta a Roma dalla Casa delle Libertà sabato 2 dicembre ha portato in piazza tanta gente, tanta quanto nessuna macchina organizzativa (ancorché perfetta) riuscirebbe a portarne in mancanza di un malcontento profondo e generalizzato nel paese.
Scegliere di limitarsi ad ironizzare sull’identità di coloro che hanno sfilato a Roma o peggio ancora trincerarsi dietro un fragile alibi affermando che queste persone sfilavano senza una piattaforma politica, significa isolarsi dalla realtà del Paese collocandosi in una posizione miope infarcita solamente di autoreferenzialità.
Se c’è una cosa che fin dal momento della sua entrata in politica ha sempre contraddistinto Berlusconi questa è stata l’estrema “artificiosità” che connaturava il suo partito. Forza Italia, già nel nome così simile ad una pubblicità sportiva, è nata dal nulla raccogliendo a piene mani fra le macerie di tangentopoli vecchi uomini politici che attendevano di essere riciclati ai quali affiancare schiere di manager votati alla costruzione del “partito azienda”.
Proprio la dimensione di azienda con schiere di dipendenti manager retribuiti e milioni di teledipendenti votanti ha sempre contraddistinto Forza Italia come un partito “di plastica” privo di un’ideologia che non fosse semplice appiattimento sul modello consumistico occidentale e indissolubilmente legato a Silvio Berlusconi, mentore supremo che prometteva di risolvere tramite la formula dello “Stato Azienda” tutti i problemi che il Paese si trascina appresso da sempre.
Il centrosinistra, con o senza Romano Prodi, ha sempre tentato d’incarnare l’esatta antitesi del berlusconismo, uno schieramento ricco d’ideologia, vicino alla gente, attento al “sociale” con una classe dirigente di grossa esperienza politica e un elettorato che oltre ad una base molto “sensibile” al clientelismo indotto dalla gestione di molte amministrazioni comunali, esprimeva il “sentire” di una fascia consistente e variegata della popolazione impegnata nel sociale, mediamente informata e generalmente ben disposta ad essere parte attiva nella vita politica del Paese.Non a caso durante tutto il quinquennio del governo Berlusconi questo stridente contrasto si esplicitava con chiarezza adamantina proprio nelle piazze.
I cortei, le manifestazioni, gli scioperi del centrosinistra erano momenti di aggregazione partecipata viva e vitale ai quali facevano da contraltare le asettiche “convention” berlusconiane che al di là della debolezza dei numeri lasciavano in bocca il gusto amaro dell’artefatto, dell’happening costruito a tavolino con l’ausilio di dipendenti compiacenti “usati” per sventolare tante bandierine. Il governo di Romano Prodi, che ha trovato il consenso elettorale proprio attraverso questa realtà, in soli 6 mesi è riuscito a provocare un tale terremoto in grado di sovvertire tutti i punti fermi che da più di un decennio caratterizzavano la vita politica e sociale italiana.Le scellerate scelte operate dal governo (in larga parte antitetiche ai contenuti del programma elettorale) in questi mesi partendo dall’indulto, passando per l’Afghanistan e il Libano per culminare nella “vorace” manovra finanziaria, hanno messo in crisi tutti gli equilibri consolidati, rivelando una maggioranza di centrosinistra del tutto scollata dal proprio elettorato.La gente di sinistra, quella impegnata nel sociale ed incline a “partecipare” ha continuato a sfilare e scendere in piazza, dimostrando coerenza ed attaccamento alle proprie idee, ma ha dovuto farlo contro il proprio governo, isolata ed osteggiata da quelle stesse persone che dalla piazza avevano tratto la linfa vitale per il proprio successo.
Ogni sciopero ed ogni manifestazione di sinistra in questi ultimi mesi, fosse essa contro la guerra o contro il precariato, per i diritti dei lavoratori o in difesa del popolo palestinese è stata “boicottata” dai vertici dei partiti e dai sindacati, con la risultante di ottenere un “soffocamento” della forma di protesta che più di ogni altra da sempre caratterizza il popolo di sinistra.
L’esiguità del numero di partecipanti, i molteplici casi di manifestazioni abortite dall’alto prima ancora che nascessero, gli strascichi polemici conseguenti ad ogni manifestazione e ad ogni corteo sono stati il comune denominatore di un governo di centrosinistra che ha deciso di rinchiudersi nei palazzi del potere diffidando il proprio elettorato dal portare fra la gente quella “dimensione critica” che lo aveva condotto al potere.
In queste piazze vuote, dinanzi ai balconi senza più bandiere della pace, fra le tante riforme (legge 30 e miglioramento della situazione delle famiglie su tutte) disattese e disimpegni militari mai attuati è arrivato come un ciclone il popolo di Berlusconi. Non più qualche migliaio di manager in giacca e cravatta dotati di una bandierina per l’occasione, ma centinaia, tante centinaia di migliaia di persone che hanno scelto di recarsi a Roma determinate a far sentire la propria voce.
La novità è proprio questa, e sarebbe uno sbaglio enorme non coglierla, l’eterogeneità di coloro che sabato hanno riempito le vie di Roma. Non solo liberi professionisti, manager e commercianti ma anche operai, dipendenti pubblici, precari, studenti, pensionati, casalinghe. Non pretoriani con intonse bandierine inamidate ma una moltitudine colorata, ricca di striscioni, cartelloni, caricature, ironia, che ha scoperto il piacere di socializzare, stare insieme, manifestare. Quel piacere che alla gente di sinistra oggi è interdetto pena essere classificati come estremisti e disfattisti. Il popolo di Berlusconi è sicuramente infarcito di retorica, incline all’egoismo, molto teledipendente e scarsamente acculturato politicamente ma oggi è costituito da gente vera che per la prima volta sta scoprendo come si possano riempire le piazze per manifestare le proprie idee e come sia incredibilmente bello ritrovarsi in tanti, tantissimi a farlo.
Prodi e Fassino che ribadiscono come la manifestazione di sabato non abbia cambiato di una virgola la loro finanziaria rifiutano di capire come il loro governo abbia cambiato di molto l’Italia e la sinistra che non può permettersi di restare appiattita sulla linea di un governo che ha scelto di compiacere solo il capitale ed i grandi interessi, impoverendo sempre più tutte le classi sociali ad iniziare da chi povero già lo è. Senza questa consapevolezza e le opportune reazioni rischierà di essere proprio la sinistra a diventare la nuova “Forza Italia” destinata a rimanere alla finestra imbalsamata nella sua immobilità.
Che fossero uno o due milioni di persone poco importa, la realtà incontrovertibile è quella che la manifestazione indetta a Roma dalla Casa delle Libertà sabato 2 dicembre ha portato in piazza tanta gente, tanta quanto nessuna macchina organizzativa (ancorché perfetta) riuscirebbe a portarne in mancanza di un malcontento profondo e generalizzato nel paese.
Scegliere di limitarsi ad ironizzare sull’identità di coloro che hanno sfilato a Roma o peggio ancora trincerarsi dietro un fragile alibi affermando che queste persone sfilavano senza una piattaforma politica, significa isolarsi dalla realtà del Paese collocandosi in una posizione miope infarcita solamente di autoreferenzialità.
Se c’è una cosa che fin dal momento della sua entrata in politica ha sempre contraddistinto Berlusconi questa è stata l’estrema “artificiosità” che connaturava il suo partito. Forza Italia, già nel nome così simile ad una pubblicità sportiva, è nata dal nulla raccogliendo a piene mani fra le macerie di tangentopoli vecchi uomini politici che attendevano di essere riciclati ai quali affiancare schiere di manager votati alla costruzione del “partito azienda”.
Proprio la dimensione di azienda con schiere di dipendenti manager retribuiti e milioni di teledipendenti votanti ha sempre contraddistinto Forza Italia come un partito “di plastica” privo di un’ideologia che non fosse semplice appiattimento sul modello consumistico occidentale e indissolubilmente legato a Silvio Berlusconi, mentore supremo che prometteva di risolvere tramite la formula dello “Stato Azienda” tutti i problemi che il Paese si trascina appresso da sempre.
Il centrosinistra, con o senza Romano Prodi, ha sempre tentato d’incarnare l’esatta antitesi del berlusconismo, uno schieramento ricco d’ideologia, vicino alla gente, attento al “sociale” con una classe dirigente di grossa esperienza politica e un elettorato che oltre ad una base molto “sensibile” al clientelismo indotto dalla gestione di molte amministrazioni comunali, esprimeva il “sentire” di una fascia consistente e variegata della popolazione impegnata nel sociale, mediamente informata e generalmente ben disposta ad essere parte attiva nella vita politica del Paese.Non a caso durante tutto il quinquennio del governo Berlusconi questo stridente contrasto si esplicitava con chiarezza adamantina proprio nelle piazze.
I cortei, le manifestazioni, gli scioperi del centrosinistra erano momenti di aggregazione partecipata viva e vitale ai quali facevano da contraltare le asettiche “convention” berlusconiane che al di là della debolezza dei numeri lasciavano in bocca il gusto amaro dell’artefatto, dell’happening costruito a tavolino con l’ausilio di dipendenti compiacenti “usati” per sventolare tante bandierine. Il governo di Romano Prodi, che ha trovato il consenso elettorale proprio attraverso questa realtà, in soli 6 mesi è riuscito a provocare un tale terremoto in grado di sovvertire tutti i punti fermi che da più di un decennio caratterizzavano la vita politica e sociale italiana.Le scellerate scelte operate dal governo (in larga parte antitetiche ai contenuti del programma elettorale) in questi mesi partendo dall’indulto, passando per l’Afghanistan e il Libano per culminare nella “vorace” manovra finanziaria, hanno messo in crisi tutti gli equilibri consolidati, rivelando una maggioranza di centrosinistra del tutto scollata dal proprio elettorato.La gente di sinistra, quella impegnata nel sociale ed incline a “partecipare” ha continuato a sfilare e scendere in piazza, dimostrando coerenza ed attaccamento alle proprie idee, ma ha dovuto farlo contro il proprio governo, isolata ed osteggiata da quelle stesse persone che dalla piazza avevano tratto la linfa vitale per il proprio successo.
Ogni sciopero ed ogni manifestazione di sinistra in questi ultimi mesi, fosse essa contro la guerra o contro il precariato, per i diritti dei lavoratori o in difesa del popolo palestinese è stata “boicottata” dai vertici dei partiti e dai sindacati, con la risultante di ottenere un “soffocamento” della forma di protesta che più di ogni altra da sempre caratterizza il popolo di sinistra.
L’esiguità del numero di partecipanti, i molteplici casi di manifestazioni abortite dall’alto prima ancora che nascessero, gli strascichi polemici conseguenti ad ogni manifestazione e ad ogni corteo sono stati il comune denominatore di un governo di centrosinistra che ha deciso di rinchiudersi nei palazzi del potere diffidando il proprio elettorato dal portare fra la gente quella “dimensione critica” che lo aveva condotto al potere.
In queste piazze vuote, dinanzi ai balconi senza più bandiere della pace, fra le tante riforme (legge 30 e miglioramento della situazione delle famiglie su tutte) disattese e disimpegni militari mai attuati è arrivato come un ciclone il popolo di Berlusconi. Non più qualche migliaio di manager in giacca e cravatta dotati di una bandierina per l’occasione, ma centinaia, tante centinaia di migliaia di persone che hanno scelto di recarsi a Roma determinate a far sentire la propria voce.
La novità è proprio questa, e sarebbe uno sbaglio enorme non coglierla, l’eterogeneità di coloro che sabato hanno riempito le vie di Roma. Non solo liberi professionisti, manager e commercianti ma anche operai, dipendenti pubblici, precari, studenti, pensionati, casalinghe. Non pretoriani con intonse bandierine inamidate ma una moltitudine colorata, ricca di striscioni, cartelloni, caricature, ironia, che ha scoperto il piacere di socializzare, stare insieme, manifestare. Quel piacere che alla gente di sinistra oggi è interdetto pena essere classificati come estremisti e disfattisti. Il popolo di Berlusconi è sicuramente infarcito di retorica, incline all’egoismo, molto teledipendente e scarsamente acculturato politicamente ma oggi è costituito da gente vera che per la prima volta sta scoprendo come si possano riempire le piazze per manifestare le proprie idee e come sia incredibilmente bello ritrovarsi in tanti, tantissimi a farlo.
Prodi e Fassino che ribadiscono come la manifestazione di sabato non abbia cambiato di una virgola la loro finanziaria rifiutano di capire come il loro governo abbia cambiato di molto l’Italia e la sinistra che non può permettersi di restare appiattita sulla linea di un governo che ha scelto di compiacere solo il capitale ed i grandi interessi, impoverendo sempre più tutte le classi sociali ad iniziare da chi povero già lo è. Senza questa consapevolezza e le opportune reazioni rischierà di essere proprio la sinistra a diventare la nuova “Forza Italia” destinata a rimanere alla finestra imbalsamata nella sua immobilità.
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