Marco Cedolin
Ci sono incubi dai quali ci si illude di essersi svegliati mentre invece si è semplicemente precipitati in un nuovo sogno che a poco a poco si scopre essere peggiore del precedente. Il TAV è uno di questi con l’unica differenza che si tratta di pura realtà e non esistono risvegli in grado di esorcizzarla.
Il vecchio TAV parlava il linguaggio dell’egoarca Berlusconi, del ministro talpa Lunardi, dell’occupazione militare del territorio, delle cariche della polizia, di un progetto senza senso di cui erano state messe in luce tutte le molteplici criticità, finalizzato alla costruzione di un’opera che nessuno in 15 anni è mai riuscito a motivare come utile e necessaria portando qualche argomento che esulasse dalla esternazioni ad effetto senza fondamento. Era un TAV odioso, portato avanti con prepotenza, imposto a forza sopra le teste dei cittadini, ma tutti avevano ben chiaro di cosa di trattasse, esisteva un progetto ben definito, esistevano dei soggetti politici determinati a metterlo in atto e degli oggetti polizieschi preposti a tradurlo in realtà con l’uso della violenza.
Andò a finire come tutti sappiamo, con molti cittadini al pronto soccorso ma molti di più nei prati di Venaus davanti alle ruspe, determinando la prima vera sconfitta del sistema di connivenza politico – mafioso legato alle grandi opere.
Il TAV di oggi tutti si domandano cosa sia, trovandosi in balia della confusione più totale, mancando qualsiasi elemento apprezzabile che sia in grado di portare a delle considerazioni oggettive. Il TAV di oggi è la rappresentazione di quel circo equestre a cui è ridotta la politica italiana, fatto di sotterfugi, mezze frasi mormorate nella penombra chiaroscurale dei bugigattoli di palazzo, progetti segreti che appaiono e scompaiono quasi si trattasse del Philadelphia Experiment, popolazioni che dovrebbero condividerli senza essere mai state neppure a conoscenza della loro esistenza, accordi con le amministrazioni locali annunciati e poi smentiti un’infinità di volte sul piano inclinato dell’imponderabile, finanziamenti UE giudicati imperdibili anche se somigliano più ad un obolo che a un intervento finanziario, conferenze dei servizi portate avanti su progetti destinati alla cancellazione, Osservatori che nascono per valutare l’opportunità di costruire un’opera e prima di essere giunti ad una conclusione diventano laboratori per l’elaborazione dell’opera stessa, senza che nessuno dei partecipanti trovi singolare questa mutazione genetica.
Il TAV di oggi è una babilonia d’intendimenti che si contraddicono l’uno con l’altro, una cacofonia di affermazioni che hanno lo scopo di creare il caos, ottundere i sensi e indurre all’intorpidimento delle coscienze.
Mercoledì 13 giugno durante il tavolo politico a Palazzo Chigi, nel corso di una riunione di sole 2 ore e mezza che stupisce per la sua brevità, il Governo presieduto da Romano Prodi, l’architetto Mario Virano Presidente dell’Osservatorio, la Presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso, il sindaco di Torino Chiamparino e gli amministratori locali della Valle di Susa da sempre NO TAV, della Val Sangone, della Gronda est ed ovest sembrano avere trovato un’intesa di massima sull’approccio alla questione TAV, tale da indurre tutti a considerarsi felici e soddisfatti dell’incontro, quasi a comporre un quadretto idilliaco simile a quello riproposto in molte nottate di spoglio elettorale.
I motivi di una così grande felicità allignano in una serie di decisioni ed accadimenti molti dei quali brillano tanto per il tempismo con cui sono stati concepiti quanto per il grado di approssimazione che li caratterizza.
Il vecchio progetto, l’unico progetto mai esistito concernente la Torino – Lione, sul quale è stata portata avanti fino ad oggi la Conferenza dei Servizi è stato stralciato e sarà sostituito da un nuovo progetto che non esiste ma in pratica è come se esistesse, seppure in forma embrionale.
Nel progetto che non c’è Il tunnel di base di 53 km che doveva sbucare a Venaus ed è costato ai valsusini tante bastonate ed altrettante notti all’addiaccio non si farà più o meglio non sbucherà più a Venaus, bensì a qualche km di distanza, in un indefinito limbo di Val di Susa e non si comprende per quale ragione la popolazione dovrebbe ritenere questa soluzione migliorativa rispetto alla precedente.
Sempre nel progetto che non c’è il TAV non correrà più sulla sinistra della Dora bensì sulla destra, evitando l’amianto del Musinè ma sventrando la collina Morenica nei pressi di Avigliana in un territorio geologicamente altrettanto problematico. Poi proseguirà il suo cammino in maniera indefinita per lunghi tratti parallelamente alla ferrovia attuale che verrà in parte interrata (o meglio “annacquata” dal momento che nella realtà la falda acquifera in Valle si trova a soli 2 metri di profondità) al fine di ricucire il territorio, con impatti ambientali e costi che non vi è ragione di ritenere inferiori rispetto a quelli del progetto precedente.
Il progetto che non c’è verrà discusso, sviscerato ed eventualmente integrato e modificato durante le prossime sedute dell’Osservatorio presieduto da Mario Virano, all’interno del quale gli amministratori NO TAV della Val di Susa potranno proporre osservazioni e modifiche concernenti l’opera (il TAV) alla quale da sempre si oppongono in quanto inutile e devastante.
Entro il 23 luglio il progetto che non c’è dovrà trasmutare dallo stato metafisico ad una qualche parvenza di realtà per essere proposto alla UE al fine di ottenere l’agognato finanziamento la cui consistenza sembra essere tanto ectoplasmatica almeno quanto quella del progetto.
Naturalmente del progetto che non c’è non si conoscono i costi, né l’esatta ubicazione, né tanto meno gli impatti ambientali e le criticità, forse proprio per questo il governo ha già anticipato il suo proposito di ottenere il consenso della popolazione che anche in questo caso non c’è, in quanto nessuno ha mai ritenuto opportuno dialogare con tutti coloro che vivono in Val di Susa e da sempre contestano l’opera in quanto inutile, costosa ed invasiva a prescindere da quale sia il progetto. Il nuovo TAV è solo all’inizio del proprio camminamento, ma già s’incomincia a rimpiangere quello vecchio, lì esisteva un progetto da analizzare e contestare nel merito, esistevano i buoni ed i cattivi, esistevano soddisfatti ed insoddisfatti, i valsusini erano ottusi e “sfaccendati” ma contrari al TAV. Qui i valsusini diventano creature di fantasia che iniziano a comprendere l’importanza dell’opera, esistono solo il TAV, una marea di parole senza senso ed una selva di facce che sorridono senza che si possa comprenderne il perché.
venerdì 15 giugno 2007
lunedì 4 giugno 2007
Romano Prodi fra fischi e fiaschi
Marco Cedolin
Poche volte nella sia pur disastrata storia politica italiana del dopoguerra un governo è stato in grado nel lasso temporale di un solo anno di accumulare una massa d’insuccessi simile a quella dell’esecutivo capitanato dal “professore”.
In sole 24 ore Romano Prodi è riuscito nella difficile alchimia di raccogliere prima i fischi e le contestazioni di coloro che appoggiano le forze armate e sostengono la politica dell’amministrazione americana, poi i fischi e le contestazioni di coloro che avversano il militarismo, le politiche di guerra e la costruzione della nuova base americana di Vicenza.
Il Presidente del Consiglio ieri mattina era stato infatti pesantemente contestato ed invitato a “tornare a casa” da larga parte degli astanti, in occasione della parata militare del 2 giugno. Stamattina all’auditorium Santa Chiara di Trento, dove partecipava ad un Festival dell’economia, Prodi è stato accolto al grido di “vergogna” da parte di un folto gruppo di vicentini del movimento NO Dal Molin che hanno anche interrotto per qualche minuto il convegno, prima che il moderatore dello stesso desse il microfono ad uno di loro per consentire un breve intervento.
Di fronte alle argomentate proteste dei cittadini il Premier è rimasto in silenzio, salvo commentare successivamente con i giornalisti affermando che “queste contrapposizioni che vengono fatte da un giorno all’altro distruggono il paese”.
Le rimostranze di Romano Prodi nei confronti delle contrapposizioni sembrano tanto più incomprensibili se pensiamo che il governo, reduce dalle disastrose elezioni amministrative, sta perdendo consensi e ricevendo critiche da parte di fasce sempre più ampie e composite della società italiana, a destra come a sinistra, e si ritrova ormai arroccato sulle posizioni del Premier, “imposte” perfino ad una parte cospicua della maggioranza che non le condivide.
L’imposizione del dodecalogo fatto firmare a forza a tutti i partiti della coalizione (alcuni dei quali non lo condividevano) in occasione del ruzzolone di febbraio si è rivelato un maldestro tentativo di blindare una linea di governo in aperta distonia tanto con il programma elettorale originario quanto con la sensibilità dell’elettorato che aveva portato quel programma al governo.
Per i ministri ed i leader della maggioranza sembra ormai diventato quasi naturale essere oggetto di contestazioni ogni qualvolta si ritrovano per loro sventura a rapportarsi in qualche maniera con la società civile, a prescindere dal fatto che questo avvenga in un’università, davanti ai cancelli della Fiat o durante una cerimonia ufficiale.
Più il governo tenta di ostentare sicurezza, più emergono le contraddizioni, la confusione, l’incapacità di rapportarsi con i problemi reali del paese che non sono la distribuzione delle poltrone nel nascente Partito Democratico e neppure gli inciuci concernenti la messa in cantiere della nuova legge elettorale. Le vicende concernenti Visco ed Unipol fanno solo da corollario ad un quadretto già di suo desolante.
Il 9 giugno G.W. Bush è stato invitato a Roma da un governo, parte del quale lo ha sempre contestato aspramente per le devastazioni e le guerre messe in atto in giro per il mondo dalla sua amministrazione. Prodi ha intimato ai suoi ministri di astenersi dal partecipare alla manifestazione di protesta contro il Presidente americano che sicuramente sarà anche in Italia assai calorosa e partecipata, come ultimamente avviene in ogni paese al quale Bush decida di fare visita. Non contento di avere dato un simile sfoggio di democrazia il “professore” ha inoltre vietato anche ai leader dei partiti della sua maggioranza di partecipare alla contestazione a Bush, ricevendo in merito dagli stessi delle risposte non proprio accomodanti.
Dopo avere gestito in maniera pessima, spesso con l’ausilio dei manganelli e di false promesse che difficilmente saranno mantenute, l’emergenza dei rifiuti a Napoli, Romano Prodi si troverà presto dinanzi a scogli quanto mai ostici e pericolosi. L’ostinazione nel volere portare avanti propositi peregrini fortemente contestati dai cittadini quali la truffa del TAV in Valle di Susa e la costruzione della nuova base militare americana Dal Molin non sembra davvero costituire un preludio alla diminuzione delle contrapposizioni. Al contrario le contrapposizioni sembrano destinate ad approfondirsi nei mesi futuri, a meno che il Premier decida d’intimare a tutti gli italiani di non contrapporsi, costringendoli magari con la forza a firmare un qualche patto di fiducia e fedeltà, così come ha fatto con i partiti della propria coalizione.
Poche volte nella sia pur disastrata storia politica italiana del dopoguerra un governo è stato in grado nel lasso temporale di un solo anno di accumulare una massa d’insuccessi simile a quella dell’esecutivo capitanato dal “professore”.
In sole 24 ore Romano Prodi è riuscito nella difficile alchimia di raccogliere prima i fischi e le contestazioni di coloro che appoggiano le forze armate e sostengono la politica dell’amministrazione americana, poi i fischi e le contestazioni di coloro che avversano il militarismo, le politiche di guerra e la costruzione della nuova base americana di Vicenza.
Il Presidente del Consiglio ieri mattina era stato infatti pesantemente contestato ed invitato a “tornare a casa” da larga parte degli astanti, in occasione della parata militare del 2 giugno. Stamattina all’auditorium Santa Chiara di Trento, dove partecipava ad un Festival dell’economia, Prodi è stato accolto al grido di “vergogna” da parte di un folto gruppo di vicentini del movimento NO Dal Molin che hanno anche interrotto per qualche minuto il convegno, prima che il moderatore dello stesso desse il microfono ad uno di loro per consentire un breve intervento.
Di fronte alle argomentate proteste dei cittadini il Premier è rimasto in silenzio, salvo commentare successivamente con i giornalisti affermando che “queste contrapposizioni che vengono fatte da un giorno all’altro distruggono il paese”.
Le rimostranze di Romano Prodi nei confronti delle contrapposizioni sembrano tanto più incomprensibili se pensiamo che il governo, reduce dalle disastrose elezioni amministrative, sta perdendo consensi e ricevendo critiche da parte di fasce sempre più ampie e composite della società italiana, a destra come a sinistra, e si ritrova ormai arroccato sulle posizioni del Premier, “imposte” perfino ad una parte cospicua della maggioranza che non le condivide.
L’imposizione del dodecalogo fatto firmare a forza a tutti i partiti della coalizione (alcuni dei quali non lo condividevano) in occasione del ruzzolone di febbraio si è rivelato un maldestro tentativo di blindare una linea di governo in aperta distonia tanto con il programma elettorale originario quanto con la sensibilità dell’elettorato che aveva portato quel programma al governo.
Per i ministri ed i leader della maggioranza sembra ormai diventato quasi naturale essere oggetto di contestazioni ogni qualvolta si ritrovano per loro sventura a rapportarsi in qualche maniera con la società civile, a prescindere dal fatto che questo avvenga in un’università, davanti ai cancelli della Fiat o durante una cerimonia ufficiale.
Più il governo tenta di ostentare sicurezza, più emergono le contraddizioni, la confusione, l’incapacità di rapportarsi con i problemi reali del paese che non sono la distribuzione delle poltrone nel nascente Partito Democratico e neppure gli inciuci concernenti la messa in cantiere della nuova legge elettorale. Le vicende concernenti Visco ed Unipol fanno solo da corollario ad un quadretto già di suo desolante.
Il 9 giugno G.W. Bush è stato invitato a Roma da un governo, parte del quale lo ha sempre contestato aspramente per le devastazioni e le guerre messe in atto in giro per il mondo dalla sua amministrazione. Prodi ha intimato ai suoi ministri di astenersi dal partecipare alla manifestazione di protesta contro il Presidente americano che sicuramente sarà anche in Italia assai calorosa e partecipata, come ultimamente avviene in ogni paese al quale Bush decida di fare visita. Non contento di avere dato un simile sfoggio di democrazia il “professore” ha inoltre vietato anche ai leader dei partiti della sua maggioranza di partecipare alla contestazione a Bush, ricevendo in merito dagli stessi delle risposte non proprio accomodanti.
Dopo avere gestito in maniera pessima, spesso con l’ausilio dei manganelli e di false promesse che difficilmente saranno mantenute, l’emergenza dei rifiuti a Napoli, Romano Prodi si troverà presto dinanzi a scogli quanto mai ostici e pericolosi. L’ostinazione nel volere portare avanti propositi peregrini fortemente contestati dai cittadini quali la truffa del TAV in Valle di Susa e la costruzione della nuova base militare americana Dal Molin non sembra davvero costituire un preludio alla diminuzione delle contrapposizioni. Al contrario le contrapposizioni sembrano destinate ad approfondirsi nei mesi futuri, a meno che il Premier decida d’intimare a tutti gli italiani di non contrapporsi, costringendoli magari con la forza a firmare un qualche patto di fiducia e fedeltà, così come ha fatto con i partiti della propria coalizione.
venerdì 1 giugno 2007
Più Taxi per tutti con i liberi oligopoli
Marco Cedolin
Le auto bianche ritornano ad invadere Roma, bloccano il traffico di Genova, lasciano a piedi viaggiatori un po’ in tutta Italia, ma la cosa suscita scarso interesse, al più provoca un poco di fastidio e si confonde nelle pagine dei giornali fra la marea di scioperi messi in atto, promessi o soltanto minacciati che infarciscono le cronache di questi mesi. I tassisti, diciamocelo chiaramente, non piacciono quasi a nessuno, godono fama di avere un pessimo carattere, vengono giudicati una corporazione chiusa economicamente poco interessante poiché caratterizzata da singole individualità, fanno la cresta sulle corse e non foraggiano i sindacati istituzionali. Il centrosinistra li considera nemici giurati, il centrodestra li tratta con diffidenza tranne cavalcarne saltuariamente la protesta a proprio uso e consumo, l’informazione li stigmatizza come disturbatori, l’opinione pubblica li tratta come lavoratori arricchiti e petulanti che difendono i propri privilegi.
Insieme a benzinai e farmacisti proprio coloro che vivono sui taxi sono vittime del pacchetto Bersani sulle liberalizzazioni, da più parti considerato come una delle pochissime “cose buone” fatte dal governo Prodi in questo primo anno di attività. Liberalizzare, creare più concorrenza e competitività, al fine di ridurre i prezzi, aumentare l’offerta per il consumatore e creare nuove opportunità di lavoro sembra una ricetta magica condivisa dalla maggioranza degli italiani di ogni colore politico. Sicuramente nell’ottica di proponimenti così virtuosi qualche sacrificio da parte di categorie benestanti (solo i farmacisti purtroppo lo sono davvero) e neppure troppo “simpatiche” risulterebbe pienamente accettabile e Bersani potrebbe fregiarsi dell’etichetta di uomo illuminato della quale da molti viene accreditato.
Liberalizzare le licenze dei taxi facendo si che molti disoccupati possano intraprendere la professione con il solo investimento monetario dell’acquisto di un’auto e del suo mantenimento creerebbe sicuramente una sperequazione sociale nei confronti di coloro che la licenza l’hanno acquistata a caro prezzo magari indebitandosi, ma consentirebbe nuova occupazione e probabilmente comporterebbe un certo risparmio per i cittadini fruitori del servizio. Anche liberalizzare le licenze per l’attività di benzinaio potrebbe costituire stimolo per nuova occupazione, pur manifestandosi come un provvedimento in controtendenza con le politiche portate avanti negli ultimi 15 anni che hanno mirato a ridurre drasticamente il numero dei punti vendita di carburante (in Italia molto più alto rispetto agli altri paesi europei) privilegiando l’esistenza di attività di media dimensione ed eliminando i piccoli benzinai.
Permettere ad un giovane farmacista di aprire una nuova attività, senza per questo dovere acquistare una licenza a prezzi improponibili, potrebbe anche in questo caso rivelarsi proponimento virtuoso in grado di creare nuove opportunità di lavoro e maggiore concorrenza a tutto vantaggio dei consumatori, pur danneggiando coloro che hanno fino ad oggi sborsato cifre considerevoli per acquistare la licenza di una farmacia.
Si tratterebbe insomma di imporre un sacrificio economico ad alcune categorie di lavoratori al fine di privilegiare altri lavoratori potenziali e in prospettiva creare qualche vantaggio per i consumatori.
Purtroppo il pacchetto Bersani non va in questa direzione che, seppur discutibile potrebbe offrire molti elementi di condivisione, non liberalizza insomma, ma al contrario si propone di sostituire i privilegi che oggi appartengono ad una moltitudine di individualità (gli appartenenti alle pseudo corporazioni dei tassisti, benzinai, farmacisti) per accentrarli in un oligopolio i cui fruitori saranno una ristretta cerchia di soggetti della grande imprenditoria economica e finanziaria.
La norma che permette ad un singolo soggetto di cumulare più licenze di taxi è infatti prodromica di un futuro nel quale le grandi compagnie di taxi di proprietà d’importanti gruppi industriali, finanziari e cooperativi (Fiat in testa) sostituiranno i piccoli imprenditori tassisti di oggi e chi guiderà materialmente il taxi spaccandosi la schiena in giro per la città sarà un lavoratore precario, magari “acquistato” giornalmente dalle agenzie interinali come già oggi avviene con gli autisti degli autobus delle grandi compagnie di trasporto. I privilegi rimarranno ma ricadranno nelle tasche di pochi singoli soggetti (laddove prima erano distribuite su una molteplicità) ed i benefici per il consumatore finiranno per azzerarsi con l’immancabile creazione di cartelli come già accaduto con le banche e le assicurazioni.
Nel caso dei benzinai (che sciopereranno la settimana prossima) e dei farmacisti non si tratterà di una liberalizzazione ma semplicemente della possibilità di subentrare nei privilegi (senza nessun esborso monetario per l’acquisto di una licenza) da parte dei grandi ipermercati attualmente nelle mani di una decina di soggetti che spaziano da Auchan (famiglia Agnelli) alle Coop, a Carrefour, Panorama ecc.
Le nuove norme permetteranno inoltre, contrariamente a quanto avveniva in passato, il possesso delle farmacie da parte di soggetti quali gli ingrossi farmaceutici e le stesse industrie farmaceutiche, permettendo in questo modo la creazione di veri e propri oligopoli del farmaco che comprendano tutta la filiera dalla produzione alla distribuzione. Un recente emendamento che ha finora avuto il via libera della Camera estende inoltre ai farmaci di fascia C non rimborsati dal servizio sanitario nazionale il ventaglio dei prodotti farmaceutici che potranno essere venduti all’interno degli ipermercati, equiparandoli in questo modo quasi per intero ad una farmacia.
Per il giovane farmacista si prospetterà come unica opportunità quella di andare a lavorare alle dipendenze di un ipermercato ed i consumatori potranno godere inizialmente di un risparmio che nel tempo tenderà ad elidersi sempre più di pari passo con la scomparsa delle piccole farmacie. Al contempo molti benzinai e le farmacie più piccole saranno costretti a chiudere i battenti andando ad ingrossare la copiosa fila dei disoccupati italiani che rappresentano ormai una realtà virtuale in quanto sia l’Istat che i vari governi si rifiutano di ammetterne l’esistenza.
Intanto mentre scende la sera i tassisti sono ancora a Roma, in Piazza S. Apostoli e giurano che non se ne andranno fino a quando non riceveranno una risposta dal governo. I giornali li racchiudono dentro qualche trafiletto perché sono scomodi, cattivi e qualcuno giura anche violenti, al punto che perfino quando come oggi la polizia li carica lo fa soltanto per proteggere un autista “crumiro” che casualmente si aggirava nei paraggi del corteo, forse al fine di alzare la tensione e riconfermare come si tratti di una categoria che non merita alcuna solidarietà. La solidarietà al contrario è tutta per Bersani ed i nuovi oligopoli chiamati impropriamente liberalizzazioni, ma nell’Italia di oggi troppo spesso bastano le parole, anche qualora svuotate di ogni contenuto.
Le auto bianche ritornano ad invadere Roma, bloccano il traffico di Genova, lasciano a piedi viaggiatori un po’ in tutta Italia, ma la cosa suscita scarso interesse, al più provoca un poco di fastidio e si confonde nelle pagine dei giornali fra la marea di scioperi messi in atto, promessi o soltanto minacciati che infarciscono le cronache di questi mesi. I tassisti, diciamocelo chiaramente, non piacciono quasi a nessuno, godono fama di avere un pessimo carattere, vengono giudicati una corporazione chiusa economicamente poco interessante poiché caratterizzata da singole individualità, fanno la cresta sulle corse e non foraggiano i sindacati istituzionali. Il centrosinistra li considera nemici giurati, il centrodestra li tratta con diffidenza tranne cavalcarne saltuariamente la protesta a proprio uso e consumo, l’informazione li stigmatizza come disturbatori, l’opinione pubblica li tratta come lavoratori arricchiti e petulanti che difendono i propri privilegi.
Insieme a benzinai e farmacisti proprio coloro che vivono sui taxi sono vittime del pacchetto Bersani sulle liberalizzazioni, da più parti considerato come una delle pochissime “cose buone” fatte dal governo Prodi in questo primo anno di attività. Liberalizzare, creare più concorrenza e competitività, al fine di ridurre i prezzi, aumentare l’offerta per il consumatore e creare nuove opportunità di lavoro sembra una ricetta magica condivisa dalla maggioranza degli italiani di ogni colore politico. Sicuramente nell’ottica di proponimenti così virtuosi qualche sacrificio da parte di categorie benestanti (solo i farmacisti purtroppo lo sono davvero) e neppure troppo “simpatiche” risulterebbe pienamente accettabile e Bersani potrebbe fregiarsi dell’etichetta di uomo illuminato della quale da molti viene accreditato.
Liberalizzare le licenze dei taxi facendo si che molti disoccupati possano intraprendere la professione con il solo investimento monetario dell’acquisto di un’auto e del suo mantenimento creerebbe sicuramente una sperequazione sociale nei confronti di coloro che la licenza l’hanno acquistata a caro prezzo magari indebitandosi, ma consentirebbe nuova occupazione e probabilmente comporterebbe un certo risparmio per i cittadini fruitori del servizio. Anche liberalizzare le licenze per l’attività di benzinaio potrebbe costituire stimolo per nuova occupazione, pur manifestandosi come un provvedimento in controtendenza con le politiche portate avanti negli ultimi 15 anni che hanno mirato a ridurre drasticamente il numero dei punti vendita di carburante (in Italia molto più alto rispetto agli altri paesi europei) privilegiando l’esistenza di attività di media dimensione ed eliminando i piccoli benzinai.
Permettere ad un giovane farmacista di aprire una nuova attività, senza per questo dovere acquistare una licenza a prezzi improponibili, potrebbe anche in questo caso rivelarsi proponimento virtuoso in grado di creare nuove opportunità di lavoro e maggiore concorrenza a tutto vantaggio dei consumatori, pur danneggiando coloro che hanno fino ad oggi sborsato cifre considerevoli per acquistare la licenza di una farmacia.
Si tratterebbe insomma di imporre un sacrificio economico ad alcune categorie di lavoratori al fine di privilegiare altri lavoratori potenziali e in prospettiva creare qualche vantaggio per i consumatori.
Purtroppo il pacchetto Bersani non va in questa direzione che, seppur discutibile potrebbe offrire molti elementi di condivisione, non liberalizza insomma, ma al contrario si propone di sostituire i privilegi che oggi appartengono ad una moltitudine di individualità (gli appartenenti alle pseudo corporazioni dei tassisti, benzinai, farmacisti) per accentrarli in un oligopolio i cui fruitori saranno una ristretta cerchia di soggetti della grande imprenditoria economica e finanziaria.
La norma che permette ad un singolo soggetto di cumulare più licenze di taxi è infatti prodromica di un futuro nel quale le grandi compagnie di taxi di proprietà d’importanti gruppi industriali, finanziari e cooperativi (Fiat in testa) sostituiranno i piccoli imprenditori tassisti di oggi e chi guiderà materialmente il taxi spaccandosi la schiena in giro per la città sarà un lavoratore precario, magari “acquistato” giornalmente dalle agenzie interinali come già oggi avviene con gli autisti degli autobus delle grandi compagnie di trasporto. I privilegi rimarranno ma ricadranno nelle tasche di pochi singoli soggetti (laddove prima erano distribuite su una molteplicità) ed i benefici per il consumatore finiranno per azzerarsi con l’immancabile creazione di cartelli come già accaduto con le banche e le assicurazioni.
Nel caso dei benzinai (che sciopereranno la settimana prossima) e dei farmacisti non si tratterà di una liberalizzazione ma semplicemente della possibilità di subentrare nei privilegi (senza nessun esborso monetario per l’acquisto di una licenza) da parte dei grandi ipermercati attualmente nelle mani di una decina di soggetti che spaziano da Auchan (famiglia Agnelli) alle Coop, a Carrefour, Panorama ecc.
Le nuove norme permetteranno inoltre, contrariamente a quanto avveniva in passato, il possesso delle farmacie da parte di soggetti quali gli ingrossi farmaceutici e le stesse industrie farmaceutiche, permettendo in questo modo la creazione di veri e propri oligopoli del farmaco che comprendano tutta la filiera dalla produzione alla distribuzione. Un recente emendamento che ha finora avuto il via libera della Camera estende inoltre ai farmaci di fascia C non rimborsati dal servizio sanitario nazionale il ventaglio dei prodotti farmaceutici che potranno essere venduti all’interno degli ipermercati, equiparandoli in questo modo quasi per intero ad una farmacia.
Per il giovane farmacista si prospetterà come unica opportunità quella di andare a lavorare alle dipendenze di un ipermercato ed i consumatori potranno godere inizialmente di un risparmio che nel tempo tenderà ad elidersi sempre più di pari passo con la scomparsa delle piccole farmacie. Al contempo molti benzinai e le farmacie più piccole saranno costretti a chiudere i battenti andando ad ingrossare la copiosa fila dei disoccupati italiani che rappresentano ormai una realtà virtuale in quanto sia l’Istat che i vari governi si rifiutano di ammetterne l’esistenza.
Intanto mentre scende la sera i tassisti sono ancora a Roma, in Piazza S. Apostoli e giurano che non se ne andranno fino a quando non riceveranno una risposta dal governo. I giornali li racchiudono dentro qualche trafiletto perché sono scomodi, cattivi e qualcuno giura anche violenti, al punto che perfino quando come oggi la polizia li carica lo fa soltanto per proteggere un autista “crumiro” che casualmente si aggirava nei paraggi del corteo, forse al fine di alzare la tensione e riconfermare come si tratti di una categoria che non merita alcuna solidarietà. La solidarietà al contrario è tutta per Bersani ed i nuovi oligopoli chiamati impropriamente liberalizzazioni, ma nell’Italia di oggi troppo spesso bastano le parole, anche qualora svuotate di ogni contenuto.
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