Marco Cedolin
I Giochi Olimpici di "Torino 2006" che fra pochi giorni prenderanno il via, non mancheranno di essere ricordati a lungo, ma non saranno atleti, medaglie e prestazioni sportive ad essere oggetto della memoria, in quanto proprio lo sport si manifesterà come il grande assente di queste Olimpiadi. Mai come in questo caso (anche se nella storia olimpica recente i precedenti certo non mancano) gli unici veri protagonisti dei Giochi, fin dai primi momenti della loro preparazione, sono stati il business selvaggio, la speculazione indiscriminata, il mancato rispetto dei diritti dell’individuo, l’assoluto disprezzo nei confronti del territorio e dell’ambiente. L’organizzazione della manifestazione, che per ironia della sorte annovera fra i suoi palcoscenici proprio quella Valle di Susa che ha avuto il coraggio d’insorgere contro l’ennesima speculazione portata avanti dai grandi poteri politici, economici e finanziari, ha fatto fino ad oggi parlare di sé per peculiarità che non rivestono in verità un carattere prettamente sportivo. L’aver bruciato, in un paese come il nostro che oggettivamente non versa certo in un buon stato di salute economica, enormi risorse finanziarie per circa 4 miliardi di euro (l’equivalente del progetto per il ponte sullo stretto di Messina) nella costruzione d’infrastrutture invasive e spesso di dubbia utilità e nella cementificazione sistematica delle località montane teatro delle future gare, non è stata un’azione dalla quale potere esperire i dettami di quello “spirito olimpico” che avrebbe dovuto animare gli organizzatori.
Il sistematico utilizzo nei cantieri olimpici, che hanno trasformato Torino in una città più adatta alle talpe che non al normale deambulare degli esseri umani, di manodopera in nero pagata dai 3 ai 5 euro l’ora e privata dei più elementari diritti che spettano a un lavoratore, si è rivelato uno “sport estremo” che è stato causa d’innumerevoli incidenti in quella nuova disciplina olimpica che è il “lavoro tramite caporalato”. L’assunzione di circa 40.000 volontari ai quali demandare la manovalanza nella macchina organizzativa e nella gestione dell’accoglienza ha contribuito a creare una nuova forma di occupazione a costo zero che anziché distribuire ricchezza si contenta di dispensare quei buoni sentimenti (purtroppo ipocalorici e poco commestibili) tanto cari agli organizzatori del Toroc che ne fanno volentieri a meno devolvendoli a piene mani.
Questi volontari saranno gratuitamente forniti di una divisa sgargiante che, per aiutare l’occupazione piemontese, si è pensato bene di fare fabbricare in Cina.
Almeno 15.000 uomini delle forze dell’ordine invaderanno Torino e le vallate olimpiche per garantire la sicurezza degli atleti, degli addetti ai lavori e degli abitanti, anche se gli abitanti, in special modo quelli della valsusa, dopo le recenti esperienze ritengono di sentirsi molto più sicuri quando caschi scudi e manganelli evitano di fare capolino di fronte alle loro case. Il “braciere olimpico” nel quale arderà il sacro fuoco, il più grande della storia, brucerà 8000 metri cubi l’ora di gas, per un totale di circa 3 milioni di metri cubi durante l’intera durata dei giochi, tutto ciò mentre a causa della penuria dei rifornimenti russi, lo Stato ha chiesto ai cittadini di diminuire il riscaldamento nelle case per far fronte all’handicap energetico.
Il business collegato agli sponsor, fra i quali spiccano nomi quali “Coca cola”, “Adecco”, “Mc Donalds” e “Finmeccanica (fra i più grandi magnati mondiali della produzione di armi)” tutte multinazionali che notoriamente trovano nello spirito olimpico e sportivo la vera ragione della propria esistenza, si è rivelato quanto mai redditizio. Talmente remunerativo da avere dato origine ad un vero e proprio “supermercato olimpico” nel quale saranno in vendita gadget di ogni genere e foggia, intere collezioni di abbigliamento, scarpe, occhiali, tazze, profumi, puzzles, vini, cioccolatini ed ogni altro oggetto sul quale sia possibile applicare un logo. In ossequio alla Coca Cola, fra gli sponsor più impegnati nel campo del sociale, soprattutto in Colombia dove risulta essere leader indiscussa in questo genere di tematiche, gli organizzatori sono perfino riusciti a superarsi, dimostrando una volta di più che al peggio non vi è mai limite.
La fiaccola olimpica, disegnata con una foggia avveniristica che non avrebbe mancato di entusiasmare Filippo Tommaso Martinetti, ed opportunamente griffata con il marchio della bevanda è stata deputata ad attraversare le strade di ogni città e cittadina del nostro Paese, nella quale fossero presenti almeno un migliaio di anime in grado di recepire il “messaggio olimpico” opportunamente veicolato da furgoni e banchetti della multinazionale. Alcune volte nel proprio incedere fra le vie cittadine i tedofori che si sono fatti carico di trasportare la fiaccola sponsorizzata sono stati oggetto di contestazioni veementi da parte di cittadini che non sono riusciti a cogliere lo spirito di sport e convivialità che traspare in maniera adamantina da questi Giochi Olimpici.
Tutta colpa ovviamente dei NO TAV valsusini che hanno innescato nel paese il germe del sospetto e della contestazione. La cosa più avvilente fra tutte è che mancano ancora alcuni giorni all’inizio delle Olimpiadi e per almeno un mese saremo costretti a sopportare la farsa di questa manifestazione divisa a metà fra business e speculazione edilizia, ma in grado di catalizzare tutta l’attenzione mediatica, poiché lo spirito olimpico, si sa, in fondo in fondo è quello che conta.