Marco Cedolin
Quante schegge di realtà si abbarbicano come edera ingiallita sul tendone di quel circo equestre che siamo soliti definire informazione.
Quanti mostri, miti, demoni e santi, nascono dalla fantasia di pennivendoli imbolsiti e tele urlatori che creano opinione, nascono per poi scolorare come foglie secche che frusciano nel vento tiepido di una giornata di autunno.
La storia recente di Sergio Cofferati, il cinese, come amavano chiamarlo con simpatia i suoi tanti estimatori, è un fulgido esempio di quanto effimeri siano i messaggi attraverso i quali i media forgiano le nostre opinioni ed il nostro pensiero.
Il quotidiano Liberazione ha dedicato a Cofferati la propria prima pagina, accusandolo di avere ordinato alla polizia di bastonare un centinaio di studenti i quali, capeggiati dal deputato dei Verdi Paolo Cento e da un dirigente locale di Rifondazione Comunista, cercavano di entrare con la forza nel municipio di Bologna al grido di "Cofferati fascista."
Sergio Cofferati, proprio lui, il paladino dell'articolo 18, l'unico uomo che nell'ultimo decennio sia riuscito ad infiammare gli animi dei lavoratori, a riempire di folla piazze e palazzetti dello sport, a dare ancora a molti italiani l'illusione di potere lottare per i propri diritti, viene additato dai giovani di sinistra come fascista e dalla stampa come mandante delle cariche dei celerini, quasi si trattasse di un novello Scelba.
Dove alligna giunti a questo punto la realtà e quali mezzi abbiamo per interpretarla e farla propria?
Chi è in realtà Sergio Cofferati? Il cinese che si profondeva nelle crociate per i diritti dei lavoratori e solo un paio di anni fa si poteva definire senza tema di smentita l'uomo più popolare ed amato della sinistra, tanto da farne un papabile leader della coalizione, oppure un imborghesito reazionario, amico dei manganelli e nemico degli studenti universitari al punto da fare calare violentemente il randello sulle loro schiene?
Probabilmente né l'uno né l'altro, forse semplicemente un uomo in gamba, ricco di carisma ma povero di coerenza e pertanto incline a lasciarsi manovrare.
Una figura che la sinistra ha usato sfruttandone la crescente popolarità, quando ad inizio legislatura ancora fingeva di combattere il governo Berlusconi sui temi del lavoro e dell'occupazione e forse carezzava l'idea di proporre un uomo nuovo a guidare la coalizione per le prossime elezioni.
Una figura poi divenuta scomoda ed ingombrante allorquando il centrosinistra ha deciso di riesumare la salma di Romano Prodi, ormai da tempo mummificata a Strasburgo.
Quale soluzione migliore a quel punto che parcheggiare il cinese in quel di Bologna, attendendo che la diminuita esposizione mediatica ne intaccasse la popolarità.
Presiedere la gestione di una città, con tutte le sue problematiche e contraddizioni è certo più difficile e meno remunerativo in termini di popolarità che non guidare un sindacato che si fingeva impegnato in una battaglia epocale come quella sull'articolo 18.
Ho scritto fingeva poiché in realtà il sindacato capeggiato da Cofferati in quegli anni finse soltanto di porsi a baluardo dei diritti dei lavoratori, preservando il famoso articolo 18 dall'attacco peraltro velleitario ed improbabile del governo Berlusconi.
Mentre quegli stessi diritti venivano annientati in profondità attraverso la riforma Biagi, nei confronti della quale il sindacato si guardò bene dal manifestare la benché minima opposizione.
Se è vero che Cofferati in realtà fece ben poco per preservare i diritti di coloro che lo osannavano quando era leader della CGIL, altrettanto vero è che non mi pare stia operando a Bologna nella veste di squadrista e di picchiatore. Ma forse l'essere diventato demonio senza colpa è solo la conseguenza di essere stato santo senza merito, godiamoci questa salomonica riflessione, nell'attesa che i media forgino un nuovo mito, ho la netta sensazione che l'amatissima e Celentanissima RockPolitik ne abbia già messi in cantiere almeno un paio.
mercoledì 26 ottobre 2005
domenica 23 ottobre 2005
Incidenti di percorso
Marco Cedolin
Doveva trattarsi di una serata di gala per i candidati dell'Unione di centrosinistra alle elezioni primarie di domenica, ospiti in prima serata del programma Alice nel paese delle meraviglie, condotto su Rai due dall'inappuntabile e pacata Anna La Rosa.
Si trattava di un'occasione per confrontarsi, esponendo ciascuno la propria bozza di programma politico, in un'ottica costruttiva come si conviene fra alleati uniti e coesi.
Qualcosa invece non ha funzionato, anzi ad essere precisi a funzionare sono state davvero pochissime cose ed il telespettatore si è trovato ad osservare un penoso siparietto, condito da tensione, insulti e palpabili imbarazzi, quasi si trovasse su blob.
Romano Prodi e Fausto Bertinotti, i due candidati più accreditati al successo nelle votazioni di domenica, avevano in verità preventivamente defezionato il programma, lasciando il proscenio ai cinque candidati minori, in ordine sparso Pecoraro Scanio presidente dei Verdi, Antonio Di Pietro leader dell'Italia dei valori, Ivan Scalfarotto candidato indipendente, Clemente Mastella leader dell'Udeur e Simona Panzino rappresentante del movimento dei "senza volto".
Il fattaccio è accaduto durante un collegamento con il vice ministro Adolfo Urso che parlava da Montecitorio. La Panzino che gli aveva appena rubato la parola e stava interloquendo sul problema degli sfratti agli anziani si è improvvisamente alzata in piedi come tarantolata indicando in direzione del pubblico dove era in atto una sorta di collutazione fra un collaboratore della stessa Panzino ed alcuni uomini del personale di studio.
Nell'evidenza che il caos era prossimo a degenerare il contatto video veniva tempestivamente sospeso ed i telespettatori si ritrovavano dinanzi prima ad una tanto imprevista quanto non richiesta pausa pubblicitaria, poi ad alcuni minuti di filmati di repertorio.
Stemperata almeno apparentemente la tensione il collegamento riprendeva ma nello studio mancava la presenza di Clemente Mastella il quale aveva abbandonato la trasmissione, subordinando la propria permanenza alla richiesta che fosse cacciata dalla trasmissione la candidata Panzino.
La conduttrice Anna La Rosa, visibilmente tesa ed imbarazzata si profondeva in scuse sia nei confronti dei telespettatori che degli ospiti, ma il clima di tensione continuava a restare l'unico vero protagonista fino alla fine della trasmissione.
Le bozze di programma illustrate dai candidati si manifestavano per molti versi antitetiche l'una rispetto all'altra ed anche riguardo alla priorità da dare ai vari problemi del paese si denotava un'evidente distonia di vedute, quasi ci si trovasse di fronte non a membri di una stessa coalizione, bensì a diverse fazioni politicamente contrapposte fra loro.L'unico argomento riguardo al quale si riscontrava perfetta consonanza era l'appello, proferito da tutti i candidati in maniera quasi ossessiva, ad andare a votare numerosi, un appello dal quale traspariva chiaramente più la paura di una defezione di massa dei cittadini dalle urne, piuttosto che la convinzione nelle proprie parole.
Doveva trattarsi di una serata di gala per i candidati dell'Unione di centrosinistra alle elezioni primarie di domenica, ospiti in prima serata del programma Alice nel paese delle meraviglie, condotto su Rai due dall'inappuntabile e pacata Anna La Rosa.
Si trattava di un'occasione per confrontarsi, esponendo ciascuno la propria bozza di programma politico, in un'ottica costruttiva come si conviene fra alleati uniti e coesi.
Qualcosa invece non ha funzionato, anzi ad essere precisi a funzionare sono state davvero pochissime cose ed il telespettatore si è trovato ad osservare un penoso siparietto, condito da tensione, insulti e palpabili imbarazzi, quasi si trovasse su blob.
Romano Prodi e Fausto Bertinotti, i due candidati più accreditati al successo nelle votazioni di domenica, avevano in verità preventivamente defezionato il programma, lasciando il proscenio ai cinque candidati minori, in ordine sparso Pecoraro Scanio presidente dei Verdi, Antonio Di Pietro leader dell'Italia dei valori, Ivan Scalfarotto candidato indipendente, Clemente Mastella leader dell'Udeur e Simona Panzino rappresentante del movimento dei "senza volto".
Il fattaccio è accaduto durante un collegamento con il vice ministro Adolfo Urso che parlava da Montecitorio. La Panzino che gli aveva appena rubato la parola e stava interloquendo sul problema degli sfratti agli anziani si è improvvisamente alzata in piedi come tarantolata indicando in direzione del pubblico dove era in atto una sorta di collutazione fra un collaboratore della stessa Panzino ed alcuni uomini del personale di studio.
Nell'evidenza che il caos era prossimo a degenerare il contatto video veniva tempestivamente sospeso ed i telespettatori si ritrovavano dinanzi prima ad una tanto imprevista quanto non richiesta pausa pubblicitaria, poi ad alcuni minuti di filmati di repertorio.
Stemperata almeno apparentemente la tensione il collegamento riprendeva ma nello studio mancava la presenza di Clemente Mastella il quale aveva abbandonato la trasmissione, subordinando la propria permanenza alla richiesta che fosse cacciata dalla trasmissione la candidata Panzino.
La conduttrice Anna La Rosa, visibilmente tesa ed imbarazzata si profondeva in scuse sia nei confronti dei telespettatori che degli ospiti, ma il clima di tensione continuava a restare l'unico vero protagonista fino alla fine della trasmissione.
Le bozze di programma illustrate dai candidati si manifestavano per molti versi antitetiche l'una rispetto all'altra ed anche riguardo alla priorità da dare ai vari problemi del paese si denotava un'evidente distonia di vedute, quasi ci si trovasse di fronte non a membri di una stessa coalizione, bensì a diverse fazioni politicamente contrapposte fra loro.L'unico argomento riguardo al quale si riscontrava perfetta consonanza era l'appello, proferito da tutti i candidati in maniera quasi ossessiva, ad andare a votare numerosi, un appello dal quale traspariva chiaramente più la paura di una defezione di massa dei cittadini dalle urne, piuttosto che la convinzione nelle proprie parole.
sabato 22 ottobre 2005
Poco rock niente politik
Marco Cedolin
L’evento televisivo era stato preparato da tempo, curando con precisione certosina tutti i particolari che ne consentissero un facile successo sia in termini di ascolto (di share, come amano definirlo i tele acculturati doc) sia in termini di risonanza mediatica.
La scelta di Adriano Celentano, l’unico uomo in grado di scalare i dati Auditel con il solo ausilio dei propri silenzi, come conduttore del programma non avrebbe potuto essere più azzeccata.
Così come intrigante risultava il nome della trasmissione, quel “RockPolitik” che nell’immaginario collettivo prometteva di fondere i ritmi forsennati della musica con l’andamento lento tipico del mondo politico.
Ad aumentare l’aspettativa, già creata con notevole dispendio di energia dall’ampio spazio dedicato al futuro evento da giornali e TV, si aggiungeva l’annuncio del ritorno sul piccolo schermo di quel Michele Santoro che veste ormai da tempo l’abito dell’epurato numero uno della televisione pubblica.
Lo spettacolo condotto dal molleggiato è invece riuscito a disattendere qualsiasi tipo di aspettativa una persona si fosse creata nella propria mente.
Celentano ha portato avanti per un paio d’ore una sorta di commistione fra i tipici varietà musicali del sabato sera ed una fantomatica riconquista della libertà d’informazione, il tutto condito da una ridda esagerata di luoghi comuni, facile demagogia e retorica, non dimenticando di strizzare l’occhio alla chiesa cattolica.
L’ascoltatore, che veniva invitato da una scritta in sovrimpressione all’inizio del programma ad ascoltare lo stesso a tutto volume, si è reso conto ben presto suo malgrado che l’unica vera protagonista del palcoscenico rischiava di essere la noia.
La trasmissione si è trascinata sonnolenta fra canzonette, monologhi stucchevoli, statistiche riguardanti la libertà d’espressione ormai note da tempo spacciate come rivelazioni ed i consueti silenzi carichi di filosofica riflessione.
Celentano ha speso alcune parole criticando la presenza degli ecomostri che deturpano la bellezza del paesaggio italiano, ma non ha fatto menzione del disastro economico che deturpa in maniera ben peggiore la vita di tanti italiani.
Ha attaccato gli immobiliaristi che la trasmissione Report aveva già denunciato, oltretutto fornendo in merito ampie documentazioni, quasi una settimana fa.
All’acme del proprio sdegno nei confronti del sistema ci ha reso partecipi dell’incredibile rivelazione secondo la quale “tutti hanno paura delle parole ed oggi si possono dire solo cose che non danno fastidio a nessuno.”
L’entrata in scena di Michele Santoro, evento epico che in ossequio alla fantasia del molleggiato sarebbe valso a riportare l’Italia al primo posto nella classifica della libertà d’espressione (quasi Santoro anziché deputato al parlamento europeo fosse rimasto fino ad oggi rinchiuso in qualche carcere di massima sicurezza) non ha aggiunto assolutamente pepe né ritmo alla trasmissione.
L’indimenticato protagonista di Sciuscià si è prodotto anch’egli in un breve soliloquio ma non è riuscito ad esperire altro che poche parole intrise di buoni sentimenti e nulla più.
“Viva la fratellanza, viva l’eguaglianza, viva la cultura, viva la libertà.”
Impossibile ovviamente non condividere queste parole, ma forse il telespettatore aveva l’ambizione che qualcuno provasse a spiegargli per quale arcana ragione tali nobili parole continuano a restare un mero esercizio sillabico anziché tradursi in realtà.
Il sistema, dopo avere dato prova attraverso il controllo sistematico dei media, di riuscire a plasmare il mondo reale a proprio uso e consumo, sta diventando sempre più bravo anche nell’artificio di creare falsa contro informazione pilotata che dimostri la presenza di quella libertà di pensiero che si è invece ormai persa da tempo.L’ordalia d’indignazione ed esternazioni critiche che tutto il centro destra non ha mancato fin da subito d’indirizzare nei confronti di Celentano e della trasmissione sono solo irrinunciabili elementi di coreografia che alimentano l’illusione di libertà.
L’evento televisivo era stato preparato da tempo, curando con precisione certosina tutti i particolari che ne consentissero un facile successo sia in termini di ascolto (di share, come amano definirlo i tele acculturati doc) sia in termini di risonanza mediatica.
La scelta di Adriano Celentano, l’unico uomo in grado di scalare i dati Auditel con il solo ausilio dei propri silenzi, come conduttore del programma non avrebbe potuto essere più azzeccata.
Così come intrigante risultava il nome della trasmissione, quel “RockPolitik” che nell’immaginario collettivo prometteva di fondere i ritmi forsennati della musica con l’andamento lento tipico del mondo politico.
Ad aumentare l’aspettativa, già creata con notevole dispendio di energia dall’ampio spazio dedicato al futuro evento da giornali e TV, si aggiungeva l’annuncio del ritorno sul piccolo schermo di quel Michele Santoro che veste ormai da tempo l’abito dell’epurato numero uno della televisione pubblica.
Lo spettacolo condotto dal molleggiato è invece riuscito a disattendere qualsiasi tipo di aspettativa una persona si fosse creata nella propria mente.
Celentano ha portato avanti per un paio d’ore una sorta di commistione fra i tipici varietà musicali del sabato sera ed una fantomatica riconquista della libertà d’informazione, il tutto condito da una ridda esagerata di luoghi comuni, facile demagogia e retorica, non dimenticando di strizzare l’occhio alla chiesa cattolica.
L’ascoltatore, che veniva invitato da una scritta in sovrimpressione all’inizio del programma ad ascoltare lo stesso a tutto volume, si è reso conto ben presto suo malgrado che l’unica vera protagonista del palcoscenico rischiava di essere la noia.
La trasmissione si è trascinata sonnolenta fra canzonette, monologhi stucchevoli, statistiche riguardanti la libertà d’espressione ormai note da tempo spacciate come rivelazioni ed i consueti silenzi carichi di filosofica riflessione.
Celentano ha speso alcune parole criticando la presenza degli ecomostri che deturpano la bellezza del paesaggio italiano, ma non ha fatto menzione del disastro economico che deturpa in maniera ben peggiore la vita di tanti italiani.
Ha attaccato gli immobiliaristi che la trasmissione Report aveva già denunciato, oltretutto fornendo in merito ampie documentazioni, quasi una settimana fa.
All’acme del proprio sdegno nei confronti del sistema ci ha reso partecipi dell’incredibile rivelazione secondo la quale “tutti hanno paura delle parole ed oggi si possono dire solo cose che non danno fastidio a nessuno.”
L’entrata in scena di Michele Santoro, evento epico che in ossequio alla fantasia del molleggiato sarebbe valso a riportare l’Italia al primo posto nella classifica della libertà d’espressione (quasi Santoro anziché deputato al parlamento europeo fosse rimasto fino ad oggi rinchiuso in qualche carcere di massima sicurezza) non ha aggiunto assolutamente pepe né ritmo alla trasmissione.
L’indimenticato protagonista di Sciuscià si è prodotto anch’egli in un breve soliloquio ma non è riuscito ad esperire altro che poche parole intrise di buoni sentimenti e nulla più.
“Viva la fratellanza, viva l’eguaglianza, viva la cultura, viva la libertà.”
Impossibile ovviamente non condividere queste parole, ma forse il telespettatore aveva l’ambizione che qualcuno provasse a spiegargli per quale arcana ragione tali nobili parole continuano a restare un mero esercizio sillabico anziché tradursi in realtà.
Il sistema, dopo avere dato prova attraverso il controllo sistematico dei media, di riuscire a plasmare il mondo reale a proprio uso e consumo, sta diventando sempre più bravo anche nell’artificio di creare falsa contro informazione pilotata che dimostri la presenza di quella libertà di pensiero che si è invece ormai persa da tempo.L’ordalia d’indignazione ed esternazioni critiche che tutto il centro destra non ha mancato fin da subito d’indirizzare nei confronti di Celentano e della trasmissione sono solo irrinunciabili elementi di coreografia che alimentano l’illusione di libertà.
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