Marco Cedolin
Il rapporto fra gli uomini di governo e gli studenti universitari è di quelli da mettere i brividi, tanti sono gli “infortuni” che accomunano ministri ed alte cariche dello Stato ogni qualvolta decidono di varcare i cancelli di una qualche università.
A gennaio Il Ministro delle Finanze Padoa Schioppa fu pesantemente contestato da studenti e precari dinanzi al rettorato di Torino.
A febbraio i Ministri Giuliano Amato e Padoa Schioppa tennero una conferenza all’Università Statale di Milano, parlando ad un’aula magna semivuota, poiché agli studenti era stato preventivamente impedito l’ingresso nella stessa.
Lunedì 26 marzo Fausto Bertinotti, Presidente della Camera è stato animatamente contestato dagli studenti al suo arrivo alla facoltà di lettere dell’Università La Sapienza di Roma, dove si era recato in modo improvvido per partecipare ad un dibattito sulla cooperazione internazionale e lo sviluppo.
Di fronte a cartelli e cori che lo vedevano oggetto nella qualità di “buffone” e “guerrafondaio” e dinanzi all’invito a “vergognarsi” rivoltogli dagli studenti, Bertinotti, visibilmente infastidito non ha trovato di meglio che polemizzare con loro pretendendo perfino “delle scuse”.
Ormai all’acme dell’autoreferenzialità ha poi espresso parlando con i giornalisti pesanti critiche riguardo ai giovani dell’estrema sinistra che a suo avviso rifiuterebbero la politica e le esperienze di lavoro e di compromesso che si fanno (nientepopodimeno) che per cambiare il mondo.
In tutta sincerità pur non potendomi più annoverare mio malgrado nella schiera dei giovani studenti e non avendo mai avuto la velleità di appartenere all’estrema sinistra, sento emergere dal mio intimo un sentimento di estrema solidarietà con questi ragazzi.
Trovo gravissima e vergognosa la supponenza con cui Bertinotti tratta da tempo tutti coloro che hanno portato il suo partito al governo, credendo ad una lista di “false promesse” che sono state sistematicamente disattese.
Trovo parossistico che Bertinotti pretenda delle scuse dai suoi elettori quando sarebbe lui a doverle fare (le scuse) cospargendosi il capo di cenere in ossequioso silenzio.
E invece eccolo lì, altero ed indisponente a pontificare di “non violenza” con i giornalisti, per nulla preoccupato dal fatto che lui ed il governo abbiano ormai perso ogni credibilità nella società civile, al punto da non potersi più neppure permettere di rapportarsi in maniera dignitosa con gli studenti delle università.Eccolo lì, nella veste di colui che attraverso gli inciuci i pizzini, gli apparentamenti, si propone di cambiare il mondo, pur non essendo riuscito neppure (se non in maniera peggiorativa) a cambiare di una virgola il volto di questa Italia, guerrafondaia, corrotta, mafiosa, clientelare, forte con i deboli e debole con i forti. Eccolo lì a domandare le scuse degli studenti che credono ancora in “qualcosa” mentre lui che marcia nel giusto è impegnato a sponsorizzare la guerra in Afghanistan, la nuova base militare di Vicenza e il TAV, dopo avere lasciato al proprio destino i precari, i pensionati e le famiglie che non arrivano a fine mese, dopo avere svenduto il TFR dei lavoratori. Tutto ciò naturalmente con il nobile intento di cambiare questo mondo che all’incontrario va.
lunedì 26 marzo 2007
mercoledì 14 marzo 2007
Dovremo vivere così?
Marco Cedolin
La notizia ha dell’incredibile ma non si tratta di una leggenda metropolitana, bensì della pura realtà.
Un cittadino cinese del quale non si conoscono le generalità ma attribuendogli un nome di fantasia chiameremo “Xiao” ha deciso che la crescita e lo sviluppo non lo avrebbero cacciato dalla propria casa e si è asserragliato per protesta nell’abitazione. L’impresa di costruzioni che ha in progetto lo sventramento di un intero quartiere per costruire un mega centro commerciale, per tutta risposta ha proseguito con gli scavi ed ora la casa del poveraccio si ritrova sospesa con tanto di inquilino su uno spuntone di terra ad 11 metri di altezza sopra la voragine di fango e terra smossa.
La vicenda è avvenuta nella municipalità di Chongquing, situata a monte della zona dove un’infrastruttura ciclopica come la diga delle Tre Gole lo scorso anno ha sommerso 30.000 ettari di terreni coltivati e costretto all’esodo forzato 1.200.000 persone che hanno perso la propria casa ed il proprio lavoro, senza ricevere in cambio alcuna indennità e si ritrovano oggi preda della miseria.
Nel quartiere più popoloso della città, la società immobiliare Chongqing Zhengsheng Real Estate ha deciso di costruire un enorme centro commerciale con annessi centinaia di appartamenti.
Centinaia di cittadini residenti nell’area interessata dal progetto sono stati letteralmente cacciati dalle proprie abitazioni ed invitati a trovarsi un’altra sistemazione, ricevendo in cambio un indennizzo corrispondente al solo valore del terreno che certo non potrà garantire loro un futuro dignitoso.
Xiao ha ritenuto che non fosse giusto essere trattato così, ha rifiutato di cedere la propria abitazione, ha richiuso l’uscio e si è trincerato all’interno della casa, dopo avere chiesto alla società immobiliare un risarcimento di 2,5 milioni di dollari.
La società non ha ritenuto conveniente fermare i lavori poiché ciò avrebbe significato una perdita monetaria ed ha continuato a scavare ancora.
Ora Xiao si trova al centro del cantiere, dentro a un eremo sospeso ad 11 metri da terra e un portavoce della società immobiliare ha garantito che prima o poi scenderà poiché le sirene della crescita e dello sviluppo sono molto più forti di qualunque diritto della persona.
L’ostinazione di Xiao, novello Donchisciotte, che non vuole accettare che qualcuno abbia programmato per lui un futuro fatto di stenti e povertà, fotografa in maniera sorprendente tante situazioni della nostra contemporaneità di uomini moderni che rifiutano i soprusi camuffati da progresso.
Quanti Xiao anche in Italia hanno provato a non “scendere” dalla propria casa nel Vajont, così come nei nodi cittadini della linea TAV di Bologna e Roma, e quanti non sono ancora scesi come in Valle di Susa. Quanti Xiao ci vorranno ancora perché si comprenda che non esiste progresso costruito calpestando la dignità delle persone.
Un cittadino cinese del quale non si conoscono le generalità ma attribuendogli un nome di fantasia chiameremo “Xiao” ha deciso che la crescita e lo sviluppo non lo avrebbero cacciato dalla propria casa e si è asserragliato per protesta nell’abitazione. L’impresa di costruzioni che ha in progetto lo sventramento di un intero quartiere per costruire un mega centro commerciale, per tutta risposta ha proseguito con gli scavi ed ora la casa del poveraccio si ritrova sospesa con tanto di inquilino su uno spuntone di terra ad 11 metri di altezza sopra la voragine di fango e terra smossa.
La vicenda è avvenuta nella municipalità di Chongquing, situata a monte della zona dove un’infrastruttura ciclopica come la diga delle Tre Gole lo scorso anno ha sommerso 30.000 ettari di terreni coltivati e costretto all’esodo forzato 1.200.000 persone che hanno perso la propria casa ed il proprio lavoro, senza ricevere in cambio alcuna indennità e si ritrovano oggi preda della miseria.
Nel quartiere più popoloso della città, la società immobiliare Chongqing Zhengsheng Real Estate ha deciso di costruire un enorme centro commerciale con annessi centinaia di appartamenti.
Centinaia di cittadini residenti nell’area interessata dal progetto sono stati letteralmente cacciati dalle proprie abitazioni ed invitati a trovarsi un’altra sistemazione, ricevendo in cambio un indennizzo corrispondente al solo valore del terreno che certo non potrà garantire loro un futuro dignitoso.
Xiao ha ritenuto che non fosse giusto essere trattato così, ha rifiutato di cedere la propria abitazione, ha richiuso l’uscio e si è trincerato all’interno della casa, dopo avere chiesto alla società immobiliare un risarcimento di 2,5 milioni di dollari.
La società non ha ritenuto conveniente fermare i lavori poiché ciò avrebbe significato una perdita monetaria ed ha continuato a scavare ancora.
Ora Xiao si trova al centro del cantiere, dentro a un eremo sospeso ad 11 metri da terra e un portavoce della società immobiliare ha garantito che prima o poi scenderà poiché le sirene della crescita e dello sviluppo sono molto più forti di qualunque diritto della persona.
L’ostinazione di Xiao, novello Donchisciotte, che non vuole accettare che qualcuno abbia programmato per lui un futuro fatto di stenti e povertà, fotografa in maniera sorprendente tante situazioni della nostra contemporaneità di uomini moderni che rifiutano i soprusi camuffati da progresso.
Quanti Xiao anche in Italia hanno provato a non “scendere” dalla propria casa nel Vajont, così come nei nodi cittadini della linea TAV di Bologna e Roma, e quanti non sono ancora scesi come in Valle di Susa. Quanti Xiao ci vorranno ancora perché si comprenda che non esiste progresso costruito calpestando la dignità delle persone.
giovedì 8 marzo 2007
La guerra mette tutti d'accordo
Marco Cedolin
La missione sempre più di guerra e sempre meno di pace in Afghanistan raccoglie alla camera un plebiscito in stile bulgaro con 524 si, 3 no e 19 astenuti.
E’ interessante notare come il mondo politico italiano, abbandonati i falsi distinguo, si ritrovi a convergere praticamente all’unanimità ogni qualvolta occorra schierarsi su argomenti di una certa rilevanza quali le missioni militari, le basi di guerra, il TAV, il Mose, i rigassificatori, gli inceneritori, la difesa degli interessi americani ed israeliani nel mondo.
Non occorre essere dotati di molto acume per rendersi conto dell’evidenza che in Italia la “grande coalizione” esiste già ed è così grande da comprendere tutti, ma proprio tutti i partiti politici rappresentati in parlamento.
Le dispute sulla legge elettorale, sui Dico, sui CPT, le rissose divisioni fra destra e sinistra, sono solo parte di una rappresentazione teatrale finalizzata a creare l’illusione di una democrazia che nei fatti non esiste. La classe politica mistifica la sua stessa natura fingendosi figlia di posizioni estremamente eterogenee e diversificate che regolarmente mancano di tradursi in realtà dentro l’aula del parlamento. L’unica posizione a ricevere sempre l’unanime appoggio del parlamento è quella dei grandi poteri economici e finanziari nazionali ed internazionali dei quali l’intera classe politica è servile e fedele dipendente.
Accade così che gran parte dei cittadini italiani si manifesti contrario alla guerra e alle missioni militari, mentre i parlamentari da loro delegati a rappresentarli votino in maniera diametralmente opposta alla volontà dei propri rappresentati.
Che senso ha discutere di leggi elettorali, di maggioranze, di coalizioni, di governabilità, se il valore del voto è ormai stato svuotato di ogni contenuto, fino al parossismo di rendere l’azione dei parlamentari totalmente indipendente dalla volontà degli elettori?
Chi rappresentano i 524 parlamentari che hanno deciso di finanziare la missione di guerra/pace in Afghanistan? Chi rappresentano i parlamentari che hanno deciso la costruzione di una nuova base di guerra americana a Vicenza? Chi rappresentano i parlamentari che hanno gettato 90 miliardi di euro dei contribuenti dentro il pozzo nero del TAV?Certamente non i cittadini italiani che li hanno votati ed iniziano a domandarsi cosa ci sia di democratico in quella che sempre più impropriamente ci si ostina a chiamare democrazia.
La missione sempre più di guerra e sempre meno di pace in Afghanistan raccoglie alla camera un plebiscito in stile bulgaro con 524 si, 3 no e 19 astenuti.
E’ interessante notare come il mondo politico italiano, abbandonati i falsi distinguo, si ritrovi a convergere praticamente all’unanimità ogni qualvolta occorra schierarsi su argomenti di una certa rilevanza quali le missioni militari, le basi di guerra, il TAV, il Mose, i rigassificatori, gli inceneritori, la difesa degli interessi americani ed israeliani nel mondo.
Non occorre essere dotati di molto acume per rendersi conto dell’evidenza che in Italia la “grande coalizione” esiste già ed è così grande da comprendere tutti, ma proprio tutti i partiti politici rappresentati in parlamento.
Le dispute sulla legge elettorale, sui Dico, sui CPT, le rissose divisioni fra destra e sinistra, sono solo parte di una rappresentazione teatrale finalizzata a creare l’illusione di una democrazia che nei fatti non esiste. La classe politica mistifica la sua stessa natura fingendosi figlia di posizioni estremamente eterogenee e diversificate che regolarmente mancano di tradursi in realtà dentro l’aula del parlamento. L’unica posizione a ricevere sempre l’unanime appoggio del parlamento è quella dei grandi poteri economici e finanziari nazionali ed internazionali dei quali l’intera classe politica è servile e fedele dipendente.
Accade così che gran parte dei cittadini italiani si manifesti contrario alla guerra e alle missioni militari, mentre i parlamentari da loro delegati a rappresentarli votino in maniera diametralmente opposta alla volontà dei propri rappresentati.
Che senso ha discutere di leggi elettorali, di maggioranze, di coalizioni, di governabilità, se il valore del voto è ormai stato svuotato di ogni contenuto, fino al parossismo di rendere l’azione dei parlamentari totalmente indipendente dalla volontà degli elettori?
Chi rappresentano i 524 parlamentari che hanno deciso di finanziare la missione di guerra/pace in Afghanistan? Chi rappresentano i parlamentari che hanno deciso la costruzione di una nuova base di guerra americana a Vicenza? Chi rappresentano i parlamentari che hanno gettato 90 miliardi di euro dei contribuenti dentro il pozzo nero del TAV?Certamente non i cittadini italiani che li hanno votati ed iniziano a domandarsi cosa ci sia di democratico in quella che sempre più impropriamente ci si ostina a chiamare democrazia.
venerdì 2 marzo 2007
Gulag Italia
Marco Cedolin e Massimo Mazzucco
In un colpo solo la dirigenza di Rifondazione Comunista è riuscita ad offendere la logica, a svelare il grande inganno della "democrazia", e a distruggere quel poco di immagine progressista che ancora riusciva a conservare, se non per merito proprio, per l'affannosa e patetica corsa al centro di tutto il resto della cosiddetta sinistra.
Leggiamo e commentiamo il comunicato ufficiale [link] che il partito ha diramato in occasione dell'"allontanamento" del senatore Turigliatto, per essersi astenuto al momento del voto sulla guerra in Afghanistan:
Allontanamento Turigliatto. Il dispositivo del collegio di garanzia
Il dispositivo è stato approvato con 14 voti favorevoli, sei contrari. Totale membri del collegio di garanzia:
(Visto che quattrodici più sei fa ventuno, vorrà dire che i membri del collegio possono astenersi. Turigliatto no.).
Al Compagno Senatore
Franco Turigliatto
Alla Direzione Nazionale
PRC - sede
Il C.N.G. riunito in seduta plenaria in Roma presso la sede del P.R.C. il giorno 1° marzo 2007 ha esaminato e discusso la posizione del compagno Senatore Franco Turigliatto deferito a questo Collegio dalla Direzione Nazionale del Partito.
Fatto: il compagno Turigliatto non ha partecipato al voto sulla Relazione di politica estera fatta dal Ministro degli esteri a nome del Governo nella seduta del 21. 2. 2007, nonostante che gli organismi dirigenti del PRC ed il gruppo senatoriale avessero deciso di approvare la Relazione stessa.
La Relazione di politica estera non ha avuto i voti necessari per l'approvazione per cui si è aperta la crisi di Governo con le dimissioni del Presidente del Consiglio.
La non partecipazione al voto del compagno Turigliatto se non è stata la causa della caduta del Governo, ha tuttavia creato grave tensione all'interno e difficoltà all'esterno del Partito, indicato come corresponsabile primo della crisi, come quello che avrebbe aperto la porta ad un possibile ritorno della destra alla guida del Governo.
A ben comprendere quindi, la colpa di Turigliatto non sarebbe quella di una astensione "ideologicamente" contraria alla linea politica indicata dalla direzione, ma il rischio di perdere la "cadrega" collettiva.
Sottoposto a procedimento disciplinare il compagno Franco Turigliatto è stato sentito dalla Presidenza del CNG nell'audizione del 28. 2. 2007. Il compagno Turigliatto ha sostenuto il diritto di esprimere le proprie opinioni politiche. E' stato chiesto al compagno se il suo comportamento poteva essere considerato un unicum cui non ne sarebbero seguiti altri. La risposta è stata che certamente lo avrebbe reiterato.
Questo in effetti è abbastanza grave. Un politico che intenda comportarsi una maniera coerente, e che lo dichiari pure in anticipo, è una mina vagante che nessun partito serio oggi si può più permettere.
Diritto: lo Statuto del PRC garantisce ad ogni iscritto il diritto di esprimere anche pubblicamente le proprie opinioni politiche (art. 3) ed il dissenso politico non può essere motivo di applicazione di misure disciplinari (art. 52). Ma accanto a questo diritto universalmente garantito lo Statuto pone dei doveri che attengono non all'universalità degli iscritti ma segnatamente a coloro che sono eletti alle cariche pubbliche.
In altre parole, al bar puoi dire quello che vuoi, ma se vieni eletto dai cittadini per quello che sostieni al bar, in parlamento non puoi più dirlo.
Questi compagni accanto al diritto al dissenso hanno l'obbligo di conformarsi rigorosamente agli orientamenti del Partito e al regolamento del gruppo nell'esercizio del loro mandato (art. 56).
Se Madre Logica avese un fegato, in questo momento starebbe esplodendo. Come sarebbe a dire "accanto al diritto al dissenso" hai il dovere di conformarti? E' come dire "hai diritto di respirare, ma se apri la bocca ti dò una legnata in testa".
Ma poi, gli "orientamenti del partito" non erano contro l'intervento militare? Come ha sottolineato lo stesso Turigliatto, non erano tutti a Vicenaza a marciare per la pace, solo 48 ore prima?
Nel caso del compagno Turigliatto si tratta dunque non di valutarne le opinioni politiche, ma i comportamenti e valutare quindi se questi e non quelle hanno determinato o meno violazioni dello Statuto ovvero pregiudizio al Partito.
Qui bisognerebbe capire secondo quale benedettisimo ragionamento non dovrebbero essere le opinioni politiche a determinare i comportamenti di un parlamentare. Ma forse stiamo chiedendo troppo.
Il Collegio ritiene che vi sia stata violazione grave dello Statuto da parte del compagno Turigliatto. L'orientamento del Partito verso l'attuale Governo è quello di un sostegno al fine di realizzare il programma concordato.
Ah, ora è più chiaro. "L' orientamento del partito" non ha nulla a che vedere con le idee politiche, è inteso solo in senso letterale. Cioè vuol dire "in che direzione è orientato", a seconda del vento che tira.
Da qui discendeva la decisione del gruppo senatoriale di votare a favore della Relazione di politica estera e da qui l'obbligo dei compagni senatori di conformarsi alla decisione.
Il Collegio ritiene altresì che vi sia stato grave pregiudizio all'organizzazione del Partito. L'intero corpo politico che fa capo al Partito (iscritti ed elettori) è stato posto in difficoltà dalle conseguenze del non - voto e dalla crisi di Governo che ne è seguita.
Ma scusate, non avevano appena detto che "la non partecipazione al voto del compagno Turigliatto se non è stata la causa della caduta del Governo"?
Il Partito si è trovato sotto attacco ed indicato come responsabile della crisi e si è potuta tentare una manovra di spostamento dell'asse politico del Governo. Il Collegio nell'audizione del 28. 2. 2007 ha indicato al compagno Turigliatto la possibilità di una soluzione del caso che escludesse la sanzione dell'allontanamento dal Partito, ma purtroppo tale possibilità è stata respinta sia in quella sede, sia con la dichiarazione di voto da lui espressa nella seduta del Senato del 28. 2. 2007.
Ovvero, ha insistito per restare coerente a se stesso. Pazzesco.
P.Q.M.
Il Collegio Nazionale di Garanzia, con decisione a maggioranza, applica nei confronti del compagno Franco Turigliatto la sanzione dell'allontanamento dal Partito.
In Siberia, si immagina.
Agghiaccianti e al tempo stesso affascinanti nella loro anacronistica sonorità, i toni da guerra fredda che traspaiono da ogni sillaba del comunicato.
Stridente il contrasto fra la severità degli ammonimenti e la leggerezza con la quale si auspica il sacrificio delle idee del singolo (che sono quelle da sempre professate dal partito) in virtù di un “bene superiore” identificato nella posizione utilitaristica del partito che arriva a negare la sua stessa ideologia, sublimandosi nell’eroico tentativo di sbarrare la strada alla destra.
Gioielli incastonati fra le sillabe di un tempo passato le intonazioni solenni con le quali Turigliatto viene messo alla gogna nell’incedere stentoreo del processo inquisitorio.
Patetica e al tempo stesso intrisa di vero eroismo la figura di Turigliatto, così simile a un personaggio Kafkiano che in quel processo si ritrova coinvolto suo malgrado, dopo avere fatto il suo dovere che in quanto politico era quello di rappresentare i propri elettori. Un processo di cui Turigliatto non riesce a capire le ragioni, poiché non vi è ragione alcuna di processarlo che non sia la “ragion di stato”. Gli si rimprovera di non essersi uniformato all’orientamento del partito, ma sarebbe più giusto rimproverarlo di essersi uniformato troppo, fino al punto di non accettare che l’orientamento fosse cambiato diametralmente. Si arriva al punto di graziarlo dall’infamante colpa di avere fatto cadere il governo, ma dopo avergli fatto vedere la luce lo si ricaccia nell’ignominia poiché il suo gesto ha scatenato sul partito le ire degli alleati di governo e l’onta non può mancare di essere lavata col sangue.
Gli si offre la possibilità di redenzione, invitandolo a non sbagliare più, dimenticando che è stato proprio lui a non avere sbagliato.
Formidabile il tono chiaroscurale della chiusa, l’uomo e le proprie idee condannati al confino, all’oblio, il compagno che ha sbagliato condannato all’allontanamento dal proprio partito, dai propri compagni che compagni non lo sono più. O forse non lo sono mai stati.
In un colpo solo la dirigenza di Rifondazione Comunista è riuscita ad offendere la logica, a svelare il grande inganno della "democrazia", e a distruggere quel poco di immagine progressista che ancora riusciva a conservare, se non per merito proprio, per l'affannosa e patetica corsa al centro di tutto il resto della cosiddetta sinistra.
Leggiamo e commentiamo il comunicato ufficiale [link] che il partito ha diramato in occasione dell'"allontanamento" del senatore Turigliatto, per essersi astenuto al momento del voto sulla guerra in Afghanistan:
Allontanamento Turigliatto. Il dispositivo del collegio di garanzia
Il dispositivo è stato approvato con 14 voti favorevoli, sei contrari. Totale membri del collegio di garanzia:
(Visto che quattrodici più sei fa ventuno, vorrà dire che i membri del collegio possono astenersi. Turigliatto no.).
Al Compagno Senatore
Franco Turigliatto
Alla Direzione Nazionale
PRC - sede
Il C.N.G. riunito in seduta plenaria in Roma presso la sede del P.R.C. il giorno 1° marzo 2007 ha esaminato e discusso la posizione del compagno Senatore Franco Turigliatto deferito a questo Collegio dalla Direzione Nazionale del Partito.
Fatto: il compagno Turigliatto non ha partecipato al voto sulla Relazione di politica estera fatta dal Ministro degli esteri a nome del Governo nella seduta del 21. 2. 2007, nonostante che gli organismi dirigenti del PRC ed il gruppo senatoriale avessero deciso di approvare la Relazione stessa.
La Relazione di politica estera non ha avuto i voti necessari per l'approvazione per cui si è aperta la crisi di Governo con le dimissioni del Presidente del Consiglio.
La non partecipazione al voto del compagno Turigliatto se non è stata la causa della caduta del Governo, ha tuttavia creato grave tensione all'interno e difficoltà all'esterno del Partito, indicato come corresponsabile primo della crisi, come quello che avrebbe aperto la porta ad un possibile ritorno della destra alla guida del Governo.
A ben comprendere quindi, la colpa di Turigliatto non sarebbe quella di una astensione "ideologicamente" contraria alla linea politica indicata dalla direzione, ma il rischio di perdere la "cadrega" collettiva.
Sottoposto a procedimento disciplinare il compagno Franco Turigliatto è stato sentito dalla Presidenza del CNG nell'audizione del 28. 2. 2007. Il compagno Turigliatto ha sostenuto il diritto di esprimere le proprie opinioni politiche. E' stato chiesto al compagno se il suo comportamento poteva essere considerato un unicum cui non ne sarebbero seguiti altri. La risposta è stata che certamente lo avrebbe reiterato.
Questo in effetti è abbastanza grave. Un politico che intenda comportarsi una maniera coerente, e che lo dichiari pure in anticipo, è una mina vagante che nessun partito serio oggi si può più permettere.
Diritto: lo Statuto del PRC garantisce ad ogni iscritto il diritto di esprimere anche pubblicamente le proprie opinioni politiche (art. 3) ed il dissenso politico non può essere motivo di applicazione di misure disciplinari (art. 52). Ma accanto a questo diritto universalmente garantito lo Statuto pone dei doveri che attengono non all'universalità degli iscritti ma segnatamente a coloro che sono eletti alle cariche pubbliche.
In altre parole, al bar puoi dire quello che vuoi, ma se vieni eletto dai cittadini per quello che sostieni al bar, in parlamento non puoi più dirlo.
Questi compagni accanto al diritto al dissenso hanno l'obbligo di conformarsi rigorosamente agli orientamenti del Partito e al regolamento del gruppo nell'esercizio del loro mandato (art. 56).
Se Madre Logica avese un fegato, in questo momento starebbe esplodendo. Come sarebbe a dire "accanto al diritto al dissenso" hai il dovere di conformarti? E' come dire "hai diritto di respirare, ma se apri la bocca ti dò una legnata in testa".
Ma poi, gli "orientamenti del partito" non erano contro l'intervento militare? Come ha sottolineato lo stesso Turigliatto, non erano tutti a Vicenaza a marciare per la pace, solo 48 ore prima?
Nel caso del compagno Turigliatto si tratta dunque non di valutarne le opinioni politiche, ma i comportamenti e valutare quindi se questi e non quelle hanno determinato o meno violazioni dello Statuto ovvero pregiudizio al Partito.
Qui bisognerebbe capire secondo quale benedettisimo ragionamento non dovrebbero essere le opinioni politiche a determinare i comportamenti di un parlamentare. Ma forse stiamo chiedendo troppo.
Il Collegio ritiene che vi sia stata violazione grave dello Statuto da parte del compagno Turigliatto. L'orientamento del Partito verso l'attuale Governo è quello di un sostegno al fine di realizzare il programma concordato.
Ah, ora è più chiaro. "L' orientamento del partito" non ha nulla a che vedere con le idee politiche, è inteso solo in senso letterale. Cioè vuol dire "in che direzione è orientato", a seconda del vento che tira.
Da qui discendeva la decisione del gruppo senatoriale di votare a favore della Relazione di politica estera e da qui l'obbligo dei compagni senatori di conformarsi alla decisione.
Il Collegio ritiene altresì che vi sia stato grave pregiudizio all'organizzazione del Partito. L'intero corpo politico che fa capo al Partito (iscritti ed elettori) è stato posto in difficoltà dalle conseguenze del non - voto e dalla crisi di Governo che ne è seguita.
Ma scusate, non avevano appena detto che "la non partecipazione al voto del compagno Turigliatto se non è stata la causa della caduta del Governo"?
Il Partito si è trovato sotto attacco ed indicato come responsabile della crisi e si è potuta tentare una manovra di spostamento dell'asse politico del Governo. Il Collegio nell'audizione del 28. 2. 2007 ha indicato al compagno Turigliatto la possibilità di una soluzione del caso che escludesse la sanzione dell'allontanamento dal Partito, ma purtroppo tale possibilità è stata respinta sia in quella sede, sia con la dichiarazione di voto da lui espressa nella seduta del Senato del 28. 2. 2007.
Ovvero, ha insistito per restare coerente a se stesso. Pazzesco.
P.Q.M.
Il Collegio Nazionale di Garanzia, con decisione a maggioranza, applica nei confronti del compagno Franco Turigliatto la sanzione dell'allontanamento dal Partito.
In Siberia, si immagina.
Agghiaccianti e al tempo stesso affascinanti nella loro anacronistica sonorità, i toni da guerra fredda che traspaiono da ogni sillaba del comunicato.
Stridente il contrasto fra la severità degli ammonimenti e la leggerezza con la quale si auspica il sacrificio delle idee del singolo (che sono quelle da sempre professate dal partito) in virtù di un “bene superiore” identificato nella posizione utilitaristica del partito che arriva a negare la sua stessa ideologia, sublimandosi nell’eroico tentativo di sbarrare la strada alla destra.
Gioielli incastonati fra le sillabe di un tempo passato le intonazioni solenni con le quali Turigliatto viene messo alla gogna nell’incedere stentoreo del processo inquisitorio.
Patetica e al tempo stesso intrisa di vero eroismo la figura di Turigliatto, così simile a un personaggio Kafkiano che in quel processo si ritrova coinvolto suo malgrado, dopo avere fatto il suo dovere che in quanto politico era quello di rappresentare i propri elettori. Un processo di cui Turigliatto non riesce a capire le ragioni, poiché non vi è ragione alcuna di processarlo che non sia la “ragion di stato”. Gli si rimprovera di non essersi uniformato all’orientamento del partito, ma sarebbe più giusto rimproverarlo di essersi uniformato troppo, fino al punto di non accettare che l’orientamento fosse cambiato diametralmente. Si arriva al punto di graziarlo dall’infamante colpa di avere fatto cadere il governo, ma dopo avergli fatto vedere la luce lo si ricaccia nell’ignominia poiché il suo gesto ha scatenato sul partito le ire degli alleati di governo e l’onta non può mancare di essere lavata col sangue.
Gli si offre la possibilità di redenzione, invitandolo a non sbagliare più, dimenticando che è stato proprio lui a non avere sbagliato.
Formidabile il tono chiaroscurale della chiusa, l’uomo e le proprie idee condannati al confino, all’oblio, il compagno che ha sbagliato condannato all’allontanamento dal proprio partito, dai propri compagni che compagni non lo sono più. O forse non lo sono mai stati.
giovedì 1 marzo 2007
Lazzaro alzati e cammina
Marco Cedolin
La novità è di quelle che in realtà non contengono nulla di nuovo, dopo una settimana di morte apparente il governo Prodi è pronto a ricominciare dallo stesso punto in cui aveva inciampato, un po’ per distrazione e molto per effetto di una ben precisa scelta strategica.
La crisi di governo che in Italia ha suscitato tanto clamore e una cacofonia di sentimenti contrastanti nell’ambito delle varie “tifoserie politiche” ha assunto fin da subito le sembianze di una commedia ben orchestrata dove ogni attore ha interpretato con sapienza il copione mandato a memoria.
L’indignazione del centrosinistra nei confronti della cosidetta sinistra radicale che non volendo “adeguarsi” alla linea del governo avrebbe rischiato di riportare Berlusconi sull’ambito scranno, il linciaggio morale e in parte anche fisico al quale sono stati sottoposti i senatori dissenzienti Turigliatto e Rossi (probabilmente unici attori inconsapevoli dell’intera commedia) da parte dei loro stessi compagni di partito, la pervicacia con la quale il centrodestra ha continuato ad attaccare il governo in quanto ostaggio di una fantomatica sinistra radicale, lo spettro delle elezioni immediate rese impraticabili da una pessima legge elettorale che tutti criticano ma al contempo si guardano bene dal modificare, sono stati solo alcuni dei penosi siparietti che hanno condito la rappresentazione.
Romano Prodi scivolato o tuffatosi sulla buccia di banana della politica estera, aveva già in mano i 12 comandamenti necessari per garantire la sua resurrezione. Un dodecalogo in grado di rendere l’Italia molto simile ad una repubblica presidenziale e la coalizione di centrosinistra così omogenea nella sua linea di pensiero unico da garantire la totale assenza di qualunque voce fuori dal coro.
I 12 “punti fermi” non negoziabili, stringati ed estremamente chiari che sono stati sottoscritti servilmente da tutti i partiti della coalizione hanno di fatto sostituito il logorroico programma elettorale tanto complesso quanto evanescente nel suo prestarsi ad un’infinita serie d’interpretazioni.
Tutti i punti più controversi in questo momento sul tappeto, il TAV, la nuova base americana di Vicenza, il finanziamento della missione di pace/guerra in Afghanistan, la costruzione dei rigassificatori, sono così diventati obiettivi non negoziabili della politica di un governo che ha scelto una posizione di assoluta autoreferenzialità, imponendo ad alcuni partiti della sua coalizione atteggiamenti autolesionisti quali la rottura dei legami consolidati negli anni con i movimenti che si battono per la pace e contro le nocività. La questione dei Pacs già precedentemente ridimensionati in Dico è al contrario sparita dall’agenda delle priorità politiche.
Proprio l’acquisizione di un nuovo programma, peraltro mai votato dagli italiani, credo rappresenti l’elemento sul quale occorre riflettere con tutta l’attenzione che sarebbe invece inutile dedicare alle febbrili attività di calciomercato senatoriale, con al “centro” il transfuga Follini, che hanno ammorbato le pagine dei giornali in questi giorni.
Adesso che il redivivo Lazzaro si è alzato ed ha iniziato a camminare, sorge spontaneo domandarsi dove abbia intenzione di condurci e quanto durerà il viaggio.
La sensazione è quella che il governo Prodi, sia pur blindato dai comandamenti e rinvigorito dalla compattezza ritrovata con l’uso della forza, resti comunque un governo debole, vittima di una linea politica che non gli appartiene e sempre più distante dai suoi elettori. Un governo che nella migliore delle ipotesi potrà nutrire l’ambizione di traghettare il paese per qualche mese verso l’incognita di nuove elezioni.Abbracciare la politica di Berlusconi per evitare che Berlusconi ritorni, sembra una scelta assai lontana dal rivelarsi felice, così come la presunzione di avere imbavagliato con un dodecalogo le voci di tutti coloro che da anni urlano inascoltati la propria protesta contro il TAV, il Mose, il Dal Molin, i rigassificatori e tutte le nocività che devastano l’ambiente e l’economia del nostro paese.
La novità è di quelle che in realtà non contengono nulla di nuovo, dopo una settimana di morte apparente il governo Prodi è pronto a ricominciare dallo stesso punto in cui aveva inciampato, un po’ per distrazione e molto per effetto di una ben precisa scelta strategica.
La crisi di governo che in Italia ha suscitato tanto clamore e una cacofonia di sentimenti contrastanti nell’ambito delle varie “tifoserie politiche” ha assunto fin da subito le sembianze di una commedia ben orchestrata dove ogni attore ha interpretato con sapienza il copione mandato a memoria.
L’indignazione del centrosinistra nei confronti della cosidetta sinistra radicale che non volendo “adeguarsi” alla linea del governo avrebbe rischiato di riportare Berlusconi sull’ambito scranno, il linciaggio morale e in parte anche fisico al quale sono stati sottoposti i senatori dissenzienti Turigliatto e Rossi (probabilmente unici attori inconsapevoli dell’intera commedia) da parte dei loro stessi compagni di partito, la pervicacia con la quale il centrodestra ha continuato ad attaccare il governo in quanto ostaggio di una fantomatica sinistra radicale, lo spettro delle elezioni immediate rese impraticabili da una pessima legge elettorale che tutti criticano ma al contempo si guardano bene dal modificare, sono stati solo alcuni dei penosi siparietti che hanno condito la rappresentazione.
Romano Prodi scivolato o tuffatosi sulla buccia di banana della politica estera, aveva già in mano i 12 comandamenti necessari per garantire la sua resurrezione. Un dodecalogo in grado di rendere l’Italia molto simile ad una repubblica presidenziale e la coalizione di centrosinistra così omogenea nella sua linea di pensiero unico da garantire la totale assenza di qualunque voce fuori dal coro.
I 12 “punti fermi” non negoziabili, stringati ed estremamente chiari che sono stati sottoscritti servilmente da tutti i partiti della coalizione hanno di fatto sostituito il logorroico programma elettorale tanto complesso quanto evanescente nel suo prestarsi ad un’infinita serie d’interpretazioni.
Tutti i punti più controversi in questo momento sul tappeto, il TAV, la nuova base americana di Vicenza, il finanziamento della missione di pace/guerra in Afghanistan, la costruzione dei rigassificatori, sono così diventati obiettivi non negoziabili della politica di un governo che ha scelto una posizione di assoluta autoreferenzialità, imponendo ad alcuni partiti della sua coalizione atteggiamenti autolesionisti quali la rottura dei legami consolidati negli anni con i movimenti che si battono per la pace e contro le nocività. La questione dei Pacs già precedentemente ridimensionati in Dico è al contrario sparita dall’agenda delle priorità politiche.
Proprio l’acquisizione di un nuovo programma, peraltro mai votato dagli italiani, credo rappresenti l’elemento sul quale occorre riflettere con tutta l’attenzione che sarebbe invece inutile dedicare alle febbrili attività di calciomercato senatoriale, con al “centro” il transfuga Follini, che hanno ammorbato le pagine dei giornali in questi giorni.
Adesso che il redivivo Lazzaro si è alzato ed ha iniziato a camminare, sorge spontaneo domandarsi dove abbia intenzione di condurci e quanto durerà il viaggio.
La sensazione è quella che il governo Prodi, sia pur blindato dai comandamenti e rinvigorito dalla compattezza ritrovata con l’uso della forza, resti comunque un governo debole, vittima di una linea politica che non gli appartiene e sempre più distante dai suoi elettori. Un governo che nella migliore delle ipotesi potrà nutrire l’ambizione di traghettare il paese per qualche mese verso l’incognita di nuove elezioni.Abbracciare la politica di Berlusconi per evitare che Berlusconi ritorni, sembra una scelta assai lontana dal rivelarsi felice, così come la presunzione di avere imbavagliato con un dodecalogo le voci di tutti coloro che da anni urlano inascoltati la propria protesta contro il TAV, il Mose, il Dal Molin, i rigassificatori e tutte le nocività che devastano l’ambiente e l’economia del nostro paese.
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