Marco Cedolin
Il gruppo Unieuro, fra i maggiori soggetti italiani nella distribuzione dell’elettronica di consumo, dal 2002 di proprietà della società inglese Dsgi, chiuderà entro l’anno per decisione del nuovo direttore generale Mario Maiocchi 40 dei suoi 150 punti vendita, equivalenti al 19% dei suoi incassi annuali.
Il gruppo fondato da Oscar Farinetti che si era contraddistinto per le martellanti campagne pubblicitarie improntate al più sfrontato ottimismo, sembra avere esaurito le scorte del “sale della vita” ed essersi calato suo malgrado nella realtà di tutti gli italiani, dove gli spazi per essere ottimisti stanno diventando sempre meno e le occasioni per sorridere latitano in maniera preoccupante.
La realtà di Unieuro registra un calo delle vendite di circa l’11% nel 2007 che ha determinato la discesa del fatturato al di sotto del miliardo di euro e la perdita di quasi 3 punti nelle quote di mercato, ridimensionando notevolmente le potenzialità del gruppo. Questi risultati per molti versi disastrosi s’inseriscono nell’ambito di una realtà generale del mercato dell’elettronica di consumo che sta mostrando notevoli sofferenze, in quanto al crollo dei listini e al calo dei margini di profitto intervenuti negli ultimi anni, dall’inizio del 2008 si è sommato un netto calo delle vendite di quasi il 4% nel primo bimestre che ha coinvolto anche un settore trainante come la telefonia sceso addirittura del 10%.
Nonostante i grandi gruppi abbiano finora cercato di fare fronte alla situazione attraverso una politica aggressiva consistente nell’apertura di sempre nuove superfici di vendita e campagne promozionali molto spregiudicate, la recessione del settore è ormai un dato di fatto incontrovertibile e agli operatori non sembra restare altra soluzione che sperare con molto “ottimismo” in un qualche ritorno economico derivante dai Campionati europei di calcio e dalle Olimpiadi di Pechino.
L’entrata del gruppo Unieuro nell’era del pessimismo potrebbe anche far sorridere, se pensiamo alla grande mole di spot deliranti con i quali ci ha tempestato per anni, ma si tratterebbe comunque di un sorriso amaro alla luce delle gravi ricadute in termini di occupazione che deriveranno dalla chiusura dei punti vendita, a testimonianza della sempre più drammatica situazione in cui si dibatte il mercato del lavoro nel nostro Paese.
mercoledì 30 aprile 2008
martedì 29 aprile 2008
Report Rai: non tutta la verità
Marco Cedolin
Report condotto su Rai 3 dalla brava Milena Gabanelli è una di quelle rarissime trasmissioni grazie alle quali ci si può ancora illudere che abbia un senso tenere in casa la TV. Inchieste ficcanti, documentate e precise, nessuna soggezione verso i grandi poteri, enorme capacità di sintesi, estrema linearità di linguaggio, hanno fatto negli anni di Report uno dei più fulgidi esempi di reale giornalismo d’informazione.
Forse proprio per queste ragioni l’ultima puntata della trasmissione, andata in onda domenica 27 aprile è parsa stonata nel suo incedere spesso equivoco, nella mancanza di obiettività, nella disarmante scarsità di dati oggettivi che potessero suffragare alcuni parallelismi sconcertanti portati avanti con ostinazione nel corso del programma.
Report di domenica ha esordito presentando un’interessante e documentata indagine avente per oggetto gli aeroporti italiani e l’enorme quantità di progetti concernenti il loro ampliamento attualmente in fase di proposizione. Ha messo in evidenza le pesanti conseguenze, sia dal punto di vista economico che da quello ambientale, della scelta scellerata di operare ampliamenti incontrollati, spesso senza manifestare alcuna attenzione nei confronti del territorio e dei cittadini e nell’assoluta mancanza di realistiche prospettive di ritorno economico. Ha puntato il dito contro l’incongruenza costituita dall’esistenza di una miriade di scali aeroportuali, molti dei quali situati a poche decine di chilometri l’uno dall’altro. Ha messo in luce una grande mole di “finanziamenti” scarsamente trasparenti e assai discutibili, destinati alle compagnie low cost, operati con denaro pubblico dai gestori degli scali al fine di attrarre nuovo traffico. Il tutto con estrema abbondanza di dati, testimonianze ineccepibili e grande competenza.
Giunti a questo punto la trasmissione ha cambiato angolazione, con l’intento di dimostrare come il treno sarà destinato a soppiantare l’aereo nel prossimo futuro fra i sistemi di trasporto passeggeri, e qui si è iniziato a fare una terribile confusione.
Il postulato secondo cui nei decenni futuri la movimentazione delle persone sarà destinata ad incrementare in maniera esponenziale è stato interpretato come una verità assiomatica, senza mettere neppure per un attimo in discussione gli evidenti limiti (spesso documentati nelle puntate precedenti) di un modello di sviluppo devastante, difficilmente perseguibile in prospettiva. La “necessità”di velocità è stata elevata allo status di bisogno primario dell’uomo, quasi correre sempre più veloci equivalesse a mangiare, bere o respirare.
Milena Gabanelli ha iniziato a profondersi in una serie di lodi sperticate nei confronti di Sarkozi autore di una moratoria sulla costruzione di nuovi aeroporti, aggiungendo che “in Francia si investe sulle linee ad alta velocità e si recuperano quelle dimesse ed anche in Germania non si investe su nuovi aeroporti, si investe sulle linee ad alta velocità e sotto i 400km si prende il treno perché inquina di meno”.
In questo caso purtroppo le informazioni fornite dalla brava Gabanelli sono risultate assai poco corrette, in quanto la Germania sta investendo in nuovi aeroporti, come sta a dimostrare la costruzione del nuovo megascalo Bbi di Berlino che dovrebbe essere pronto nel 2011. Se “sotto i 400 km si prende il treno” non si tratta di quello ad alta velocità, poiché tutti gli esperti di trasporti sono concordi sul fatto che i treni veloci diventano competitivi sulle tratte superiori ai 400 km. Il treno inquina meno dell’aereo se consideriamo le emissioni dei 2 mezzi di trasporto, ma se inseriamo nel confronto l’inquinamento determinato dalla costruzione delle infrastrutture (aeroporti e linee ferroviarie per l’alta velocità) deputate a permetterne la circolazione la situazione risulterà pesantemente ribaltata dagli enormi impatti determinati dalla costruzione delle linee AV, impatti che la Gabanelli oltre ad essersi dimenticata di documentare omette perfino di menzionare.
A seguire un lungo servizio sulle mirabolanti doti dell’alta velocità spagnola, con ammirato stupore per i treni che corrono ad oltre 300 km/h, per la gioia di viaggiatori e pendolari (pendolari?) che intervistati esprimono il proprio entusiasmo. Fra Madrid e Barcellona 650 km di linea TAV, solo 2 ore e mezza di viaggio, solo 130 euro di biglietto, un chiaro esempio da seguire per l’Italia che “va lenta”.
La redazione di Report ha purtroppo dimenticato di documentarsi riguardo agli impatti ambientali determinati da quella tratta di 650 km, ha dimenticato di menzionare le reiterate proteste di cittadini e comitati contrari all’opera, ha dimenticato d’intervistare le migliaia di persone evacuate dai condomini di Barcellona, poiché la costruzione della linea ad alta velocità aveva determinato il rischio di crollo per le loro abitazioni. Il parallelismo con l’Italia è poi assolutamente improponibile a causa della differente morfologia dei territori e del fatto che nel nostro Paese l’alta velocità è progettata per trasportare merci e persone (non solamente viaggiatori come in Spagna) e non presenta tratte superiori ai 200 km senza fermate intermedie.
Immancabili a questo punto le faziose interviste ai viaggiatori italiani: ma lei invece dell’aereo non poteva scegliere il treno? Assolutamente no, il treno in Italia è lento, per andare a Torino non c’è l’alta velocità (per andare a Milano, Firenze o Roma c’è?)… se ci fosse un TAV.
Stupisce oltremisura constatare come la redazione di Report attribuisca alla mancanza dell’alta velocità gli alti tempi di percorrenza dei treni italiani, dimenticando la giungla d’inefficienze, disservizi e disorganizzazione che essa stessa aveva minuziosamente documentato negli anni passati. Sarebbe stato logico domandarsi oggettivamente cosa determini la lentezza del trasporto ferroviario italiano, magari documentandosi e fornendo dati, come Report generalmente è solita fare.
Invece nulla, una sequela di vuoti slogan e la domanda finale di Giovanna Boursier che si chiede “Perché gli spagnoli riescono a fare un treno Barcellona – Madrid che ci mette 2 ore e mezza, mentre da noi non abbiamo l’alta velocità nemmeno fra Torino e Milano? Perché in Spagna ci riescono e noi non ci riusciamo?
Dopo avere ascoltato la trasmissione alcune domande sorgono spontanee e rischiano di essere perfino più dirette di quelle della Boursier.
Perché Report ha deciso di fare un servizio partigiano, scarsamente documentato e infarcito d’inesattezze finalizzato a sponsorizzare il TAV? Perché Report non racconta quanto denaro pubblico è stato sperperato nella costruzione delle linee ad alta velocità a detrimento dell’efficienza del servizio ferroviario italiano? Perché Report ha deciso di smettere con l’ottimo giornalismo d’informazione che contraddistingueva la trasmissione ed inizia a balbettare frasi sconnesse intrise di propaganda? Perché proprio Report?
Forse perché Report è sempre stata un’ottima trasmissione e la gente ha imparato nel tempo a fidarsi di quello che dice, già a fidarsi.
Report condotto su Rai 3 dalla brava Milena Gabanelli è una di quelle rarissime trasmissioni grazie alle quali ci si può ancora illudere che abbia un senso tenere in casa la TV. Inchieste ficcanti, documentate e precise, nessuna soggezione verso i grandi poteri, enorme capacità di sintesi, estrema linearità di linguaggio, hanno fatto negli anni di Report uno dei più fulgidi esempi di reale giornalismo d’informazione.
Forse proprio per queste ragioni l’ultima puntata della trasmissione, andata in onda domenica 27 aprile è parsa stonata nel suo incedere spesso equivoco, nella mancanza di obiettività, nella disarmante scarsità di dati oggettivi che potessero suffragare alcuni parallelismi sconcertanti portati avanti con ostinazione nel corso del programma.
Report di domenica ha esordito presentando un’interessante e documentata indagine avente per oggetto gli aeroporti italiani e l’enorme quantità di progetti concernenti il loro ampliamento attualmente in fase di proposizione. Ha messo in evidenza le pesanti conseguenze, sia dal punto di vista economico che da quello ambientale, della scelta scellerata di operare ampliamenti incontrollati, spesso senza manifestare alcuna attenzione nei confronti del territorio e dei cittadini e nell’assoluta mancanza di realistiche prospettive di ritorno economico. Ha puntato il dito contro l’incongruenza costituita dall’esistenza di una miriade di scali aeroportuali, molti dei quali situati a poche decine di chilometri l’uno dall’altro. Ha messo in luce una grande mole di “finanziamenti” scarsamente trasparenti e assai discutibili, destinati alle compagnie low cost, operati con denaro pubblico dai gestori degli scali al fine di attrarre nuovo traffico. Il tutto con estrema abbondanza di dati, testimonianze ineccepibili e grande competenza.
Giunti a questo punto la trasmissione ha cambiato angolazione, con l’intento di dimostrare come il treno sarà destinato a soppiantare l’aereo nel prossimo futuro fra i sistemi di trasporto passeggeri, e qui si è iniziato a fare una terribile confusione.
Il postulato secondo cui nei decenni futuri la movimentazione delle persone sarà destinata ad incrementare in maniera esponenziale è stato interpretato come una verità assiomatica, senza mettere neppure per un attimo in discussione gli evidenti limiti (spesso documentati nelle puntate precedenti) di un modello di sviluppo devastante, difficilmente perseguibile in prospettiva. La “necessità”di velocità è stata elevata allo status di bisogno primario dell’uomo, quasi correre sempre più veloci equivalesse a mangiare, bere o respirare.
Milena Gabanelli ha iniziato a profondersi in una serie di lodi sperticate nei confronti di Sarkozi autore di una moratoria sulla costruzione di nuovi aeroporti, aggiungendo che “in Francia si investe sulle linee ad alta velocità e si recuperano quelle dimesse ed anche in Germania non si investe su nuovi aeroporti, si investe sulle linee ad alta velocità e sotto i 400km si prende il treno perché inquina di meno”.
In questo caso purtroppo le informazioni fornite dalla brava Gabanelli sono risultate assai poco corrette, in quanto la Germania sta investendo in nuovi aeroporti, come sta a dimostrare la costruzione del nuovo megascalo Bbi di Berlino che dovrebbe essere pronto nel 2011. Se “sotto i 400 km si prende il treno” non si tratta di quello ad alta velocità, poiché tutti gli esperti di trasporti sono concordi sul fatto che i treni veloci diventano competitivi sulle tratte superiori ai 400 km. Il treno inquina meno dell’aereo se consideriamo le emissioni dei 2 mezzi di trasporto, ma se inseriamo nel confronto l’inquinamento determinato dalla costruzione delle infrastrutture (aeroporti e linee ferroviarie per l’alta velocità) deputate a permetterne la circolazione la situazione risulterà pesantemente ribaltata dagli enormi impatti determinati dalla costruzione delle linee AV, impatti che la Gabanelli oltre ad essersi dimenticata di documentare omette perfino di menzionare.
A seguire un lungo servizio sulle mirabolanti doti dell’alta velocità spagnola, con ammirato stupore per i treni che corrono ad oltre 300 km/h, per la gioia di viaggiatori e pendolari (pendolari?) che intervistati esprimono il proprio entusiasmo. Fra Madrid e Barcellona 650 km di linea TAV, solo 2 ore e mezza di viaggio, solo 130 euro di biglietto, un chiaro esempio da seguire per l’Italia che “va lenta”.
La redazione di Report ha purtroppo dimenticato di documentarsi riguardo agli impatti ambientali determinati da quella tratta di 650 km, ha dimenticato di menzionare le reiterate proteste di cittadini e comitati contrari all’opera, ha dimenticato d’intervistare le migliaia di persone evacuate dai condomini di Barcellona, poiché la costruzione della linea ad alta velocità aveva determinato il rischio di crollo per le loro abitazioni. Il parallelismo con l’Italia è poi assolutamente improponibile a causa della differente morfologia dei territori e del fatto che nel nostro Paese l’alta velocità è progettata per trasportare merci e persone (non solamente viaggiatori come in Spagna) e non presenta tratte superiori ai 200 km senza fermate intermedie.
Immancabili a questo punto le faziose interviste ai viaggiatori italiani: ma lei invece dell’aereo non poteva scegliere il treno? Assolutamente no, il treno in Italia è lento, per andare a Torino non c’è l’alta velocità (per andare a Milano, Firenze o Roma c’è?)… se ci fosse un TAV.
Stupisce oltremisura constatare come la redazione di Report attribuisca alla mancanza dell’alta velocità gli alti tempi di percorrenza dei treni italiani, dimenticando la giungla d’inefficienze, disservizi e disorganizzazione che essa stessa aveva minuziosamente documentato negli anni passati. Sarebbe stato logico domandarsi oggettivamente cosa determini la lentezza del trasporto ferroviario italiano, magari documentandosi e fornendo dati, come Report generalmente è solita fare.
Invece nulla, una sequela di vuoti slogan e la domanda finale di Giovanna Boursier che si chiede “Perché gli spagnoli riescono a fare un treno Barcellona – Madrid che ci mette 2 ore e mezza, mentre da noi non abbiamo l’alta velocità nemmeno fra Torino e Milano? Perché in Spagna ci riescono e noi non ci riusciamo?
Dopo avere ascoltato la trasmissione alcune domande sorgono spontanee e rischiano di essere perfino più dirette di quelle della Boursier.
Perché Report ha deciso di fare un servizio partigiano, scarsamente documentato e infarcito d’inesattezze finalizzato a sponsorizzare il TAV? Perché Report non racconta quanto denaro pubblico è stato sperperato nella costruzione delle linee ad alta velocità a detrimento dell’efficienza del servizio ferroviario italiano? Perché Report ha deciso di smettere con l’ottimo giornalismo d’informazione che contraddistingueva la trasmissione ed inizia a balbettare frasi sconnesse intrise di propaganda? Perché proprio Report?
Forse perché Report è sempre stata un’ottima trasmissione e la gente ha imparato nel tempo a fidarsi di quello che dice, già a fidarsi.
giovedì 24 aprile 2008
Riappropriamoci della realtà
Marco Cedolin
Ben venga il V-Day del 25 aprile organizzato da Beppe Grillo, perché a prescindere da quanto in profondità si condividano le scelte e le proposte portate avanti dal comico genovese, mettere sotto i riflettori la disinformazione costruita dai media e finanziata attraverso il denaro pubblico è una necessità assoluta per chiunque aspiri a cambiare qualcosa in questo disgraziato Paese.
L’importanza dell’informazione nella nostra società contemporanea è enorme, così come spaventoso si rivela il potere concentrato nelle mani dei grandi media che gestiscono la costruzione della realtà.
Quasi tutto ciò che conosciamo e travalica le mura della nostra casa, della fabbrica o dell’ufficio in cui lavoriamo e della ristretta cerchia dei nostri amici e delle nostre conoscenze non esiste nella sua vera natura, bensì in quella in cui i media hanno ritenuto di rappresentarla.
Una protesta, una manifestazione, un qualsivoglia accadimento di qualunque genere esso sia, a meno che ci abbiano coinvolto personalmente, faranno parte della nostra consapevolezza solamente se l’informazione ha deciso di darcene notizia, altrimenti per noi sarà come se non fossero mai esistiti.
Un progetto come quello dell’Alta Velocità ferroviaria sarà da noi giudicato indispensabile, inutile, dannoso o strategico, solamente in funzione dei vari giudizi che gli esperti e gli uomini politici avranno espresso attraverso i media che sono perciò in grado di filtrarli al fine di ottenere l’effetto voluto.
Se non viviamo in Valle di Susa saranno stati i media a svelarci l’identità e le motivazioni dei contestatori e in funzione della realtà che i media ci hanno rappresentato noi li abbiamo considerati: anarco insurrezionalisti, provocatori, teppisti alla ricerca di ogni occasione che permettesse loro di sfogare la propria violenza, oppure onesti cittadini e brave persone che pacificamente difendevano la propria terra.
Sono i giornali e le televisioni ad offrirci i parametri attraverso i quali leggere il mondo che ci circonda, individuare i buoni e i cattivi, separare i progetti utili da quelli sbagliati, considerare la validità delle scelte di ordine economico, ambientale, etico, scientifico, formarci un’opinione su tutto ciò che accade. Sono i giornali e le televisioni a fornirci le coordinate che ci permetteranno di entusiasmarci, preoccuparci, indignarci, emozionarci, solidarizzare, condividere, contestare, disapprovare, manifestare qualsivoglia genere di emozione funzionale alla realtà che ci viene rappresentata.
Ma i media non si limitano a plasmare e costruire la realtà a loro piacimento attraverso la disinformazione mirata, essi sono in grado di decidere se un determinato evento è esistito o meno e possono operare in questo senso con molta facilità, limitandosi a rendere pubblica o ignorare una determinata notizia. Tutto ciò che non viene rappresentato dai giornali e dalle televisioni, semplicemente non è esistito, tranne ovviamente per chi è stato direttamente coinvolto nell’evento.
Il controllo dell’informazione al fine di disinformare selettivamente è perciò indispensabile all’oligarchia di potere, tanto quanto lo è quello della politica, poiché solo attraverso la condiscendenza dei media è infatti possibile gestire l’opinione pubblica, costruire consenso e distruggere eventuali avversari.
Proprio in virtù di ciò l’investimento di risorse monetarie, una cospicua parte delle quali sottratte dalle tasche dei contribuenti, nell’ambito dell’informazione è estremamente consistente e in continua crescita. Costruire la realtà e poterne disporre a proprio piacimento si rivela infatti per qualsiasi gruppo di potere un investimento quanto mai remunerativo in termini di risultati, meglio ancora se il finanziamento verrà attuato attingendo direttamente al denaro pubblico, facendo si che ad esso contribuiscano quegli stessi cittadini che s’intende imbonire.
Il caso del TAV a questo riguardo è emblematico, ma ritratta solo di un esempio come mille altri se ne potrebbero fare. Un gruppo di potere con appoggi politici quanto mai solidi ed eterogenei ha deciso di costruire un’infrastruttura dagli enormi contenuti economici, partendo da una situazione nella quale non si riscontrava assolutamente la necessità dell’infrastruttura stessa.
Questa necessità è stata costruita artificialmente attraverso il lavoro dei media per far si che il cittadino percepisse come reale una necessità al contrario inesistente.
In tutta Italia fino al momento della grande rivolta in Val di Susa dell’autunno 2005, il progetto TAV è stato accettato dalle popolazioni come necessario poiché rispondente a specifici bisogni della collettività che pur non essendo tali sono stati resi reali dai servizi dei TG, dalle pagine dei giornali, dalle interviste di personaggi compiacenti che hanno costruito la disinformazione finalizzata allo scopo che si erano prefissi.
La battaglia per una corretta informazione è indispensabile perché in mancanza di essa qualunque altra battaglia è destinata a fallire miseramente, come se non fosse mai esistita in quanto chi gestisce la disinformazione può decidere di non volerla rappresentare come reale.
Riappropriarsi della realtà che gli appartiene è il primo passo che ognuno di noi deve compiere se aspira ad un futuro migliore, il V-Day di Torino può essere una piccola occasione in questo senso che vale la pena di raccogliere, con la consapevolezza che si tratta di una lunga strada che può sparire all’improvviso da sotto i nostri piedi se non riusciremo ad essere “reali” in maniera continuativa e non un solo giorno l’anno.
Ben venga il V-Day del 25 aprile organizzato da Beppe Grillo, perché a prescindere da quanto in profondità si condividano le scelte e le proposte portate avanti dal comico genovese, mettere sotto i riflettori la disinformazione costruita dai media e finanziata attraverso il denaro pubblico è una necessità assoluta per chiunque aspiri a cambiare qualcosa in questo disgraziato Paese.
L’importanza dell’informazione nella nostra società contemporanea è enorme, così come spaventoso si rivela il potere concentrato nelle mani dei grandi media che gestiscono la costruzione della realtà.
Quasi tutto ciò che conosciamo e travalica le mura della nostra casa, della fabbrica o dell’ufficio in cui lavoriamo e della ristretta cerchia dei nostri amici e delle nostre conoscenze non esiste nella sua vera natura, bensì in quella in cui i media hanno ritenuto di rappresentarla.
Una protesta, una manifestazione, un qualsivoglia accadimento di qualunque genere esso sia, a meno che ci abbiano coinvolto personalmente, faranno parte della nostra consapevolezza solamente se l’informazione ha deciso di darcene notizia, altrimenti per noi sarà come se non fossero mai esistiti.
Un progetto come quello dell’Alta Velocità ferroviaria sarà da noi giudicato indispensabile, inutile, dannoso o strategico, solamente in funzione dei vari giudizi che gli esperti e gli uomini politici avranno espresso attraverso i media che sono perciò in grado di filtrarli al fine di ottenere l’effetto voluto.
Se non viviamo in Valle di Susa saranno stati i media a svelarci l’identità e le motivazioni dei contestatori e in funzione della realtà che i media ci hanno rappresentato noi li abbiamo considerati: anarco insurrezionalisti, provocatori, teppisti alla ricerca di ogni occasione che permettesse loro di sfogare la propria violenza, oppure onesti cittadini e brave persone che pacificamente difendevano la propria terra.
Sono i giornali e le televisioni ad offrirci i parametri attraverso i quali leggere il mondo che ci circonda, individuare i buoni e i cattivi, separare i progetti utili da quelli sbagliati, considerare la validità delle scelte di ordine economico, ambientale, etico, scientifico, formarci un’opinione su tutto ciò che accade. Sono i giornali e le televisioni a fornirci le coordinate che ci permetteranno di entusiasmarci, preoccuparci, indignarci, emozionarci, solidarizzare, condividere, contestare, disapprovare, manifestare qualsivoglia genere di emozione funzionale alla realtà che ci viene rappresentata.
Ma i media non si limitano a plasmare e costruire la realtà a loro piacimento attraverso la disinformazione mirata, essi sono in grado di decidere se un determinato evento è esistito o meno e possono operare in questo senso con molta facilità, limitandosi a rendere pubblica o ignorare una determinata notizia. Tutto ciò che non viene rappresentato dai giornali e dalle televisioni, semplicemente non è esistito, tranne ovviamente per chi è stato direttamente coinvolto nell’evento.
Il controllo dell’informazione al fine di disinformare selettivamente è perciò indispensabile all’oligarchia di potere, tanto quanto lo è quello della politica, poiché solo attraverso la condiscendenza dei media è infatti possibile gestire l’opinione pubblica, costruire consenso e distruggere eventuali avversari.
Proprio in virtù di ciò l’investimento di risorse monetarie, una cospicua parte delle quali sottratte dalle tasche dei contribuenti, nell’ambito dell’informazione è estremamente consistente e in continua crescita. Costruire la realtà e poterne disporre a proprio piacimento si rivela infatti per qualsiasi gruppo di potere un investimento quanto mai remunerativo in termini di risultati, meglio ancora se il finanziamento verrà attuato attingendo direttamente al denaro pubblico, facendo si che ad esso contribuiscano quegli stessi cittadini che s’intende imbonire.
Il caso del TAV a questo riguardo è emblematico, ma ritratta solo di un esempio come mille altri se ne potrebbero fare. Un gruppo di potere con appoggi politici quanto mai solidi ed eterogenei ha deciso di costruire un’infrastruttura dagli enormi contenuti economici, partendo da una situazione nella quale non si riscontrava assolutamente la necessità dell’infrastruttura stessa.
Questa necessità è stata costruita artificialmente attraverso il lavoro dei media per far si che il cittadino percepisse come reale una necessità al contrario inesistente.
In tutta Italia fino al momento della grande rivolta in Val di Susa dell’autunno 2005, il progetto TAV è stato accettato dalle popolazioni come necessario poiché rispondente a specifici bisogni della collettività che pur non essendo tali sono stati resi reali dai servizi dei TG, dalle pagine dei giornali, dalle interviste di personaggi compiacenti che hanno costruito la disinformazione finalizzata allo scopo che si erano prefissi.
La battaglia per una corretta informazione è indispensabile perché in mancanza di essa qualunque altra battaglia è destinata a fallire miseramente, come se non fosse mai esistita in quanto chi gestisce la disinformazione può decidere di non volerla rappresentare come reale.
Riappropriarsi della realtà che gli appartiene è il primo passo che ognuno di noi deve compiere se aspira ad un futuro migliore, il V-Day di Torino può essere una piccola occasione in questo senso che vale la pena di raccogliere, con la consapevolezza che si tratta di una lunga strada che può sparire all’improvviso da sotto i nostri piedi se non riusciremo ad essere “reali” in maniera continuativa e non un solo giorno l’anno.
Si cammina di fretta
Marco Cedolin
La morte sul lavoro di Angelo Galante, portiere 51enne di uno stabile romano, precipitato sul marciapiede da un’altezza di oltre 30 metri mentre stava procedendo alla pulizia dei vetri, e rimasto alcuni minuti riverso sul selciato con il cranio fracassato e lo straccio ancora stretto fra le mani, ha “fatto notizia” non tanto per la tragica dinamica dell’accaduto, quanto per il raccapricciante e surreale racconto di un gioielliere che dalla vetrina del suo negozio ha assistito alla tragedia.
Per alcuni minuti, mentre il gioielliere Paolo che conosceva bene la vittima tentava disperatamente di prestarle soccorso, la maggior parte dei passanti ha continuato a camminare frettolosamente come se nulla fosse accaduto ed alcune persone hanno scavalcato con noncuranza il corpo esanime senza mostrare alcuna attenzione per il poveretto, né palesare la minima emozione.
Racconti di questo tipo, fino a qualche tempo fa relegati nel novero delle leggende metropolitane concernenti le metropoli statunitensi, sempre più spesso stanno diventando parte di una cruda realtà anche nella schizofrenica cacofonia delle nostre città, dove la “massa” dei passanti inebetiti, sempre più schiava dell’ipercinetismo, sembra estraniarsi da tutto ciò che la circonda per rinchiudersi all’interno di migliaia di microcosmi atomizzati completamente impermeabili rispetto all’esterno.
La progressiva disumanizzazione dell’individuo che il racconto di Paolo mette a nudo nella sua dimensione più agghiacciante è parte integrante di un processo di “robotizzazione” della persona che nella società postmoderna sta raggiungendo livelli fino a qualche decennio fa inimmaginabili.
La crescita dell’individualismo di massa assurto allo status di valore universale, la perdita di qualsiasi senso di appartenenza ad una comunità, l’esasperazione della competizione divenuta l’unico strumento attraverso il quale rapportarsi con gli altri, la sempre più spinta mercificazione dell’esistente che determina la “cosificazione” dell’essere umano, sono solo alcuni dei fattori che stanno contribuendo a rendere possibili accadimenti come quello di ieri a Roma.
Sempre più spesso l’uomo postmoderno è indotto a relegare la sfera dei sentimenti e delle emozioni (che lo rendono vulnerabile) in una sorta di universo virtuale, affrontando il contesto reale sotto forma di puro cinismo, funzionale ad ottenere il massimo risultato in quell’arena deputata alla competizione che costituisce la sua giornata. Molte delle persone che hanno scavalcato il corpo di Angelo senza neppure degnarlo di uno sguardo, una volta tornate a casa saranno pronte a versare calde lacrime e valanghe di emozioni dinanzi alla rappresentazione virtuale costituita dallo schermo della TV, magari osservando la morte dell’attore di una fiction o un ricongiungimento famigliare strappalacrime costruito a tavolino. La maggior parte di loro stanno perdendo la propria umanità senza neppure accorgersi che qualcuno gliela sta rubando, per renderli sempre più efficienti e competitivi, sempre più adatti a costituire un perfetto ingranaggio della macchina che vive di produzione e consumo e gli ingranaggi non devono provare sentimenti ed emozioni, altrimenti potrebbero rompersi, come accaduto al gioielliere Paolo che al corpo esanime del portiere ha fatto caso eccome e intervistato dai giornalisti ha dichiarato sconvolto “Quella di stamattina è una tragedia, una immagine che non riuscirò a cancellare facilmente".
La morte sul lavoro di Angelo Galante, portiere 51enne di uno stabile romano, precipitato sul marciapiede da un’altezza di oltre 30 metri mentre stava procedendo alla pulizia dei vetri, e rimasto alcuni minuti riverso sul selciato con il cranio fracassato e lo straccio ancora stretto fra le mani, ha “fatto notizia” non tanto per la tragica dinamica dell’accaduto, quanto per il raccapricciante e surreale racconto di un gioielliere che dalla vetrina del suo negozio ha assistito alla tragedia.
Per alcuni minuti, mentre il gioielliere Paolo che conosceva bene la vittima tentava disperatamente di prestarle soccorso, la maggior parte dei passanti ha continuato a camminare frettolosamente come se nulla fosse accaduto ed alcune persone hanno scavalcato con noncuranza il corpo esanime senza mostrare alcuna attenzione per il poveretto, né palesare la minima emozione.
Racconti di questo tipo, fino a qualche tempo fa relegati nel novero delle leggende metropolitane concernenti le metropoli statunitensi, sempre più spesso stanno diventando parte di una cruda realtà anche nella schizofrenica cacofonia delle nostre città, dove la “massa” dei passanti inebetiti, sempre più schiava dell’ipercinetismo, sembra estraniarsi da tutto ciò che la circonda per rinchiudersi all’interno di migliaia di microcosmi atomizzati completamente impermeabili rispetto all’esterno.
La progressiva disumanizzazione dell’individuo che il racconto di Paolo mette a nudo nella sua dimensione più agghiacciante è parte integrante di un processo di “robotizzazione” della persona che nella società postmoderna sta raggiungendo livelli fino a qualche decennio fa inimmaginabili.
La crescita dell’individualismo di massa assurto allo status di valore universale, la perdita di qualsiasi senso di appartenenza ad una comunità, l’esasperazione della competizione divenuta l’unico strumento attraverso il quale rapportarsi con gli altri, la sempre più spinta mercificazione dell’esistente che determina la “cosificazione” dell’essere umano, sono solo alcuni dei fattori che stanno contribuendo a rendere possibili accadimenti come quello di ieri a Roma.
Sempre più spesso l’uomo postmoderno è indotto a relegare la sfera dei sentimenti e delle emozioni (che lo rendono vulnerabile) in una sorta di universo virtuale, affrontando il contesto reale sotto forma di puro cinismo, funzionale ad ottenere il massimo risultato in quell’arena deputata alla competizione che costituisce la sua giornata. Molte delle persone che hanno scavalcato il corpo di Angelo senza neppure degnarlo di uno sguardo, una volta tornate a casa saranno pronte a versare calde lacrime e valanghe di emozioni dinanzi alla rappresentazione virtuale costituita dallo schermo della TV, magari osservando la morte dell’attore di una fiction o un ricongiungimento famigliare strappalacrime costruito a tavolino. La maggior parte di loro stanno perdendo la propria umanità senza neppure accorgersi che qualcuno gliela sta rubando, per renderli sempre più efficienti e competitivi, sempre più adatti a costituire un perfetto ingranaggio della macchina che vive di produzione e consumo e gli ingranaggi non devono provare sentimenti ed emozioni, altrimenti potrebbero rompersi, come accaduto al gioielliere Paolo che al corpo esanime del portiere ha fatto caso eccome e intervistato dai giornalisti ha dichiarato sconvolto “Quella di stamattina è una tragedia, una immagine che non riuscirò a cancellare facilmente".
mercoledì 23 aprile 2008
Farmaci killer
Marco Cedolin
Continua a farsi sempre più intricata la vicenda legata ad alcuni lotti di eparina “killer” che sembra continuino a mietere vittime negli Stati Uniti e non solo. Il farmaco usato come fluidificante del sangue avrebbe causato ad oggi la morte di 81 pazienti negli USA e seri problemi ad alcuni pazienti diabetici in Germania. Secondo le fonti della Food and Drug Administration americana il farmaco, contaminato da condroitinsolfato ipersolfatato, sarebbe stato prodotto da dodici fabbriche cinesi e successivamente venduto in 11 paesi fra i quali l’Italia. Le autorità cinesi hanno finora negato la responsabilità di quanto accaduto, sostenendo che la contaminazione possa essere intervenuta nelle fabbriche occidentali dove è stato preparato il prodotto finito, e negando anche la corrispondenza tra contaminante e decessi in quanto in Cina non si sarebbe verificato alcun caso di morte. In Italia ad inizio aprile l’Agenzia italiana del farmaco aveva reso noto l’avvenuto ritiro a scopo cautelativo da parte dell’azienda Sanofi Aventis di un lotto del medicinale Clexane T6000 UI a base di enoxaparina.
La vicenda dell’eparina “killer”, raccontata brevemente solo dalle agenzie di stampa invisibili ai più, in quanto giornali e TV sono monopolizzati da questioni esiziali come il toto ministri e il novello vincitore del Grande Fratello, contornate dalla telenovela Alitalia, ripropone il dramma costituito da migliaia di persone che anche nel nostro paese ogni anno si ammalano e muoiono a causa dei farmaci. Come ampiamente dimostrato dalla strage del Vioxx, l’antidolorifico imputato di avere causato nel mondo oltre 130.000 morti, la spregiudicatezza delle case farmaceutiche, molto spesso disposte ad “addomesticare” i risultati delle proprie ricerche al fine di massimizzare i profitti, trova il proprio contraltare nel pressappochismo degli organi preposti al controllo, troppo spesso compiacenti, in quanto legati a doppio filo agli interessi delle grandi corporation del farmaco.
Il malato, rappresentando l’anello debole della catena, si ritrova così inserito all’interno di un meccanismo diabolico nel quale le conseguenze della medicina possono essere molto più gravi di quelle della malattia, senza che gli venga permesso di essere adeguatamente informato riguardo al rischio ferale cui sta andando incontro.
Continua a farsi sempre più intricata la vicenda legata ad alcuni lotti di eparina “killer” che sembra continuino a mietere vittime negli Stati Uniti e non solo. Il farmaco usato come fluidificante del sangue avrebbe causato ad oggi la morte di 81 pazienti negli USA e seri problemi ad alcuni pazienti diabetici in Germania. Secondo le fonti della Food and Drug Administration americana il farmaco, contaminato da condroitinsolfato ipersolfatato, sarebbe stato prodotto da dodici fabbriche cinesi e successivamente venduto in 11 paesi fra i quali l’Italia. Le autorità cinesi hanno finora negato la responsabilità di quanto accaduto, sostenendo che la contaminazione possa essere intervenuta nelle fabbriche occidentali dove è stato preparato il prodotto finito, e negando anche la corrispondenza tra contaminante e decessi in quanto in Cina non si sarebbe verificato alcun caso di morte. In Italia ad inizio aprile l’Agenzia italiana del farmaco aveva reso noto l’avvenuto ritiro a scopo cautelativo da parte dell’azienda Sanofi Aventis di un lotto del medicinale Clexane T6000 UI a base di enoxaparina.
La vicenda dell’eparina “killer”, raccontata brevemente solo dalle agenzie di stampa invisibili ai più, in quanto giornali e TV sono monopolizzati da questioni esiziali come il toto ministri e il novello vincitore del Grande Fratello, contornate dalla telenovela Alitalia, ripropone il dramma costituito da migliaia di persone che anche nel nostro paese ogni anno si ammalano e muoiono a causa dei farmaci. Come ampiamente dimostrato dalla strage del Vioxx, l’antidolorifico imputato di avere causato nel mondo oltre 130.000 morti, la spregiudicatezza delle case farmaceutiche, molto spesso disposte ad “addomesticare” i risultati delle proprie ricerche al fine di massimizzare i profitti, trova il proprio contraltare nel pressappochismo degli organi preposti al controllo, troppo spesso compiacenti, in quanto legati a doppio filo agli interessi delle grandi corporation del farmaco.
Il malato, rappresentando l’anello debole della catena, si ritrova così inserito all’interno di un meccanismo diabolico nel quale le conseguenze della medicina possono essere molto più gravi di quelle della malattia, senza che gli venga permesso di essere adeguatamente informato riguardo al rischio ferale cui sta andando incontro.
martedì 22 aprile 2008
Sviluppo insostenibile
Marco Cedolin
Il relatore speciale ONU per il diritto al cibo Jean Ziegler ha recentemente accusato le multinazionali di praticare una sorta di “violenza strutturale” nei confronti dei paesi poveri, mettendo di fatto pesantemente in discussione il neocolonialismo dello “sviluppo” attraverso il quale l’Occidente, con la compiacenza dei maggiori organismi internazionali come la Banca Mondiale e la stessa ONU, ha sradicato culture millenarie ed economie di sussistenza basate sul rapporto armonico con la natura, causando l’impoverimento d’interi continenti.
Jean Ziegler in un’intervista al giornale austriaco Kurier am Sonntag ha affermato che “l’aumento globale dei prezzi del cibo sta conducendo a un silenzioso omicidio di massa” aggiungendo che “la crescita dei biocarburanti, le speculazioni dei mercati ed i sussidi all’esportazione messi in atto dall’Unione Europea, qualificano l’Occidente come il vero responsabile per la morte per fame nei paesi più poveri. Ziegler ha anche accusato la globalizzazione, colpevole di “accentrare il monopolio fra i ricchi della terra” e ha detto di ritenere probabile che la gente costretta a morire di fame giunga a ribellarsi contro i suoi persecutori, come già sta accadendo in alcuni paesi africani quali Camerun, Egitto e Burkina Faso, dove la crescita di circa il 40% del prezzo dei beni alimentari sta scatenando malcontento e sommosse.
I catastrofici effetti del colonialismo dello sviluppo stanno evidentemente iniziando a manifestarsi in maniera sempre più evidente, se perfino personaggi facenti parte degli organismi internazionali che lo hanno sempre fattivamente sostenuto, come Jean Ziegler, iniziano ad esternare con forza critiche e preoccupazioni aventi per oggetto la condotta politico/economica finora espressa dall’Occidente nei confronti dei paesi poveri e addirittura il segretario generale dell’ONU Ban Ki – moon, in occasione dell’apertura della conferenza internazionale sullo sviluppo organizzata in Ghana, si è dichiarato molto preoccupato per la situazione ed ha invitato la comunità internazionale a prendere in tempi brevi misure per arrestare l’aumento del prezzo dei generi alimentari.
Qualunque presa di coscienza concernente le conseguenze deleterie del sistema sviluppista, imposto spesso con la forza al resto del mondo, sembra comunque rivelarsi estremamente tardiva, arrivando a prendere corpo solamente ora che le devastanti conseguenze dello sviluppo iniziano a palesarsi drammaticamente anche all’interno della stessa società occidentale, sotto forma di degenerazione dell’ambiente, disoccupazione, insicurezza economica, mancanza di prospettive per le nuove generazioni e tensioni sociali.
Occorre un’alternativa al dominio delle multinazionali e dell’economia globalizzata, ma soprattutto occorre la volontà di realizzarla in tempi brevi, prima che gli effetti dello sviluppo diventino irreversibili e qualunque strada differente divenga per forza di cose impraticabile.
Il relatore speciale ONU per il diritto al cibo Jean Ziegler ha recentemente accusato le multinazionali di praticare una sorta di “violenza strutturale” nei confronti dei paesi poveri, mettendo di fatto pesantemente in discussione il neocolonialismo dello “sviluppo” attraverso il quale l’Occidente, con la compiacenza dei maggiori organismi internazionali come la Banca Mondiale e la stessa ONU, ha sradicato culture millenarie ed economie di sussistenza basate sul rapporto armonico con la natura, causando l’impoverimento d’interi continenti.
Jean Ziegler in un’intervista al giornale austriaco Kurier am Sonntag ha affermato che “l’aumento globale dei prezzi del cibo sta conducendo a un silenzioso omicidio di massa” aggiungendo che “la crescita dei biocarburanti, le speculazioni dei mercati ed i sussidi all’esportazione messi in atto dall’Unione Europea, qualificano l’Occidente come il vero responsabile per la morte per fame nei paesi più poveri. Ziegler ha anche accusato la globalizzazione, colpevole di “accentrare il monopolio fra i ricchi della terra” e ha detto di ritenere probabile che la gente costretta a morire di fame giunga a ribellarsi contro i suoi persecutori, come già sta accadendo in alcuni paesi africani quali Camerun, Egitto e Burkina Faso, dove la crescita di circa il 40% del prezzo dei beni alimentari sta scatenando malcontento e sommosse.
I catastrofici effetti del colonialismo dello sviluppo stanno evidentemente iniziando a manifestarsi in maniera sempre più evidente, se perfino personaggi facenti parte degli organismi internazionali che lo hanno sempre fattivamente sostenuto, come Jean Ziegler, iniziano ad esternare con forza critiche e preoccupazioni aventi per oggetto la condotta politico/economica finora espressa dall’Occidente nei confronti dei paesi poveri e addirittura il segretario generale dell’ONU Ban Ki – moon, in occasione dell’apertura della conferenza internazionale sullo sviluppo organizzata in Ghana, si è dichiarato molto preoccupato per la situazione ed ha invitato la comunità internazionale a prendere in tempi brevi misure per arrestare l’aumento del prezzo dei generi alimentari.
Qualunque presa di coscienza concernente le conseguenze deleterie del sistema sviluppista, imposto spesso con la forza al resto del mondo, sembra comunque rivelarsi estremamente tardiva, arrivando a prendere corpo solamente ora che le devastanti conseguenze dello sviluppo iniziano a palesarsi drammaticamente anche all’interno della stessa società occidentale, sotto forma di degenerazione dell’ambiente, disoccupazione, insicurezza economica, mancanza di prospettive per le nuove generazioni e tensioni sociali.
Occorre un’alternativa al dominio delle multinazionali e dell’economia globalizzata, ma soprattutto occorre la volontà di realizzarla in tempi brevi, prima che gli effetti dello sviluppo diventino irreversibili e qualunque strada differente divenga per forza di cose impraticabile.
lunedì 21 aprile 2008
Quella fiaccola senza senso
Marco Cedolin
E’ notizia di ieri quella secondo la quale il governo nepalese ha già provveduto ad inviare 25 fra militari e poliziotti in un campo base a 6.500 metri di altezza nel versante nepalese dell’Everest, dove avranno il compito di proteggere il passaggio della fiaccola olimpica previsto per i primi giorni di maggio. Il Ministro degli interni nepalese Dotel ha affermato che i militari saranno autorizzati ad aprire il fuoco nel caso le contestazioni diventino violente e possano mettere a rischio lo svolgimento della cerimonia. Per garantire la sicurezza della fiaccola il Nepal ha già provveduto ad imporre restrizioni alle spedizioni di scalatori che saranno regolarmente accompagnate da ufficiali di polizia, onde evitare che possano contribuire alle contestazioni.
Sarebbe giusto domandarsi quale senso abbia una manifestazione come quella olimpica, con relativo siparietto della circumnavigazione del globo da parte di fiaccola e sponsor, gestita dalla mafia del CIO e ormai completamente deprivata da qualsiasi retaggio di genuino “spirito olimpico”.
Quali valori morali e sportivi siano in grado di esprimere le Olimpiadi, che anziché il linguaggio sportivo parlano esclusivamente il vernacolo della speculazione edilizia e della cementificazione indiscriminata (oltre 20 miliardi di dollari di opere cementizie per Pechino 2008), delle grandi sponsorizzazioni miliardarie (Coca Cola, Mc Donald’s, Samsung, Nike, Adidas, Rebbook, Fila, Puma su tutte), dei diritti televisivi (1 miliardo e 400 milioni di dollari ad Atene 2004), del profitto economico ottenuto attraverso la malversazione.
Le immagini costituite dal passaggio della fiaccola olimpica di Pechino 2008 in giro per il mondo, fra pestaggi a sangue dei contestatori, a Londra come a Parigi, come a San Francisco, non hanno nulla a che fare con lo sport, non si fanno portatrici di valori culturali e sportivi, ma semplicemente dimostrano l’assoluta vacuità di una manifestazione finalizzata a costruire business e nulla più.
Ricordo ancora con orrore il passaggio della fiaccola olimpica di Torino 2006 nei paesi della cintura torinese (la Valle di Susa fu estromessa dall’evento in quanto ritenuta a rischio) scortata da decine e decine di blindati della polizia e dei carabinieri, quasi si trattasse della sfilata del 2 giugno, e preceduta dai camion della Coca Cola sopra ai quali ballavano uno stuolo di giovani lavoratori precari assunti per l’occasione. Ai due lati della strada si mescolavano le bandiere NO TAV, tanti curiosi e le scolaresche che le maestre diligentemente avevano condotto ad assistere all’evento. I bimbi preventivamente muniti di bandierina con il logo Samsung da sventolare a tempo di musica come tanti piccoli “ometti sponsor” continuavano a domandarsi dove fosse la fiaccola, che ben pochi fra i presenti riuscirono a scorgere, sommersa fra camionette e blindati, agenti in tenuta antisommossa e ballerini interinali, ma in compenso portarono a casa i gadget degli sponsor estremamente utili per indirizzare i loro acquisti futuri.
Anche perché altri bambini nel mondo non debbano subire violenze psicologiche e indottrinamenti di questo genere, credo sarebbe opportuno spegnerla da subito questa fiaccola senza senso, prima che i militari del Nepal provvedano magari a sparare addosso ai contestatori, dimostrando con quanto spirito olimpico venga gestito il dissenso nel mondo dello sport globalizzato.
E’ notizia di ieri quella secondo la quale il governo nepalese ha già provveduto ad inviare 25 fra militari e poliziotti in un campo base a 6.500 metri di altezza nel versante nepalese dell’Everest, dove avranno il compito di proteggere il passaggio della fiaccola olimpica previsto per i primi giorni di maggio. Il Ministro degli interni nepalese Dotel ha affermato che i militari saranno autorizzati ad aprire il fuoco nel caso le contestazioni diventino violente e possano mettere a rischio lo svolgimento della cerimonia. Per garantire la sicurezza della fiaccola il Nepal ha già provveduto ad imporre restrizioni alle spedizioni di scalatori che saranno regolarmente accompagnate da ufficiali di polizia, onde evitare che possano contribuire alle contestazioni.
Sarebbe giusto domandarsi quale senso abbia una manifestazione come quella olimpica, con relativo siparietto della circumnavigazione del globo da parte di fiaccola e sponsor, gestita dalla mafia del CIO e ormai completamente deprivata da qualsiasi retaggio di genuino “spirito olimpico”.
Quali valori morali e sportivi siano in grado di esprimere le Olimpiadi, che anziché il linguaggio sportivo parlano esclusivamente il vernacolo della speculazione edilizia e della cementificazione indiscriminata (oltre 20 miliardi di dollari di opere cementizie per Pechino 2008), delle grandi sponsorizzazioni miliardarie (Coca Cola, Mc Donald’s, Samsung, Nike, Adidas, Rebbook, Fila, Puma su tutte), dei diritti televisivi (1 miliardo e 400 milioni di dollari ad Atene 2004), del profitto economico ottenuto attraverso la malversazione.
Le immagini costituite dal passaggio della fiaccola olimpica di Pechino 2008 in giro per il mondo, fra pestaggi a sangue dei contestatori, a Londra come a Parigi, come a San Francisco, non hanno nulla a che fare con lo sport, non si fanno portatrici di valori culturali e sportivi, ma semplicemente dimostrano l’assoluta vacuità di una manifestazione finalizzata a costruire business e nulla più.
Ricordo ancora con orrore il passaggio della fiaccola olimpica di Torino 2006 nei paesi della cintura torinese (la Valle di Susa fu estromessa dall’evento in quanto ritenuta a rischio) scortata da decine e decine di blindati della polizia e dei carabinieri, quasi si trattasse della sfilata del 2 giugno, e preceduta dai camion della Coca Cola sopra ai quali ballavano uno stuolo di giovani lavoratori precari assunti per l’occasione. Ai due lati della strada si mescolavano le bandiere NO TAV, tanti curiosi e le scolaresche che le maestre diligentemente avevano condotto ad assistere all’evento. I bimbi preventivamente muniti di bandierina con il logo Samsung da sventolare a tempo di musica come tanti piccoli “ometti sponsor” continuavano a domandarsi dove fosse la fiaccola, che ben pochi fra i presenti riuscirono a scorgere, sommersa fra camionette e blindati, agenti in tenuta antisommossa e ballerini interinali, ma in compenso portarono a casa i gadget degli sponsor estremamente utili per indirizzare i loro acquisti futuri.
Anche perché altri bambini nel mondo non debbano subire violenze psicologiche e indottrinamenti di questo genere, credo sarebbe opportuno spegnerla da subito questa fiaccola senza senso, prima che i militari del Nepal provvedano magari a sparare addosso ai contestatori, dimostrando con quanto spirito olimpico venga gestito il dissenso nel mondo dello sport globalizzato.
venerdì 18 aprile 2008
Filma il colpo che lo uccide
Marco Cedolin
In questa società profondamente disumanizzata, dove l’informazione costituisce un conglomerato di messaggi urlati che corrono in superficie senza mai approfondire nulla, dove notizie e spettacolo s’intrecciano fra loro in una cacofonia di stimoli sensoriali che addormentano le coscienze ed abituano alla violenza, al dolore e alla sopraffazione, rendendoli parte di un universo onirico nel quale tutto, anche la morte e le carni straziate diventano rappresentazione filmica, Fadel Shana verrà probabilmente ricordato solamente per avere filmato la propria morte, racchiusa nella sua fissità in un video fra i più visti sul web.
Fadel Shana, operatore della Reuters di 23 anni, compariva ieri sul sito web di Repubblica in un articolo dal titolo “Filma il colpo che lo uccide” all’interno del quale era contenuto un breve filmato di 46 secondi, la prima parte del quale (che riprendeva il colpo mortale sparato da un carro armato israeliano) girata da Fadel stesso e la seconda costituita invece dalle immagini del fuoristrada della troupe devastato dall’esplosione e dal concitato via vai di ambulanze che tentavano di prestare soccorso. A contornare il filmato un trafiletto di 4 righe nel quale si potevano leggere il nome e l’età del giovane operatore Reuters e apprendere che con lui erano stati ammazzati anche due civili dei quali non veniva resa nota neppure l’identità, né esplicitato il fatto che probabilmente si trattava dei suoi collaboratori.
La morte di Fadel Shana ha dunque “bucato” i grandi media dell’informazione solo in virtù dell’anomalia determinata dall’essere stata filmata da lui stesso, diventando in questo modo una notizia originale e appetibile, funzionale ad attrarre l’attenzione dei lettori, interessati solamente “all’anomalia” e indotti a concentrarsi esclusivamente su di essa dalla totale mancanza di ulteriori informazioni concernenti il contesto e le dinamiche dell’accaduto.
La morte di tre persone che sono state ammazzate come cani mentre stavano facendo il proprio lavoro, in quella striscia di Gaza dove i civili inermi vengono uccisi praticamente ogni giorno dall’esercito israeliano, non sarebbe stata probabilmente neppure menzionata se uno strano scherzo del destino non li avesse resi una notizia che stupisce. Lo “stupore” nell’informazione di oggi è costituito dall’operatore che filma il colpo che lo uccide, spettacolo macabro in grado di creare interesse, scorrendo sulle coscienze ormai pietrificate. La morte e la vita esaurita la loro componente cinematografica non meritano approfondimenti, perché sarebbe troppo complicato entrare nel merito della vicenda e fare vero giornalismo, domandandosi perché simili atrocità continuino ad accadere con l’acquiescenza di organismi internazionali come l’ONU il cui sguardo è perennemente voltato in altre direzioni.
In fondo palestinesi e giornalisti ammazzati nella striscia di Gaza, iracheni che saltano in aria nei mercati di Bagdad, talebani sterminati dalle truppe “alleate” in Afghanistan, fanno parte del tran tran di tutti i giorni, quella routine che ormai non genera più emozioni, non fa spettacolo e di conseguenza neppure merita di essere raccontata.
In questa società profondamente disumanizzata, dove l’informazione costituisce un conglomerato di messaggi urlati che corrono in superficie senza mai approfondire nulla, dove notizie e spettacolo s’intrecciano fra loro in una cacofonia di stimoli sensoriali che addormentano le coscienze ed abituano alla violenza, al dolore e alla sopraffazione, rendendoli parte di un universo onirico nel quale tutto, anche la morte e le carni straziate diventano rappresentazione filmica, Fadel Shana verrà probabilmente ricordato solamente per avere filmato la propria morte, racchiusa nella sua fissità in un video fra i più visti sul web.
Fadel Shana, operatore della Reuters di 23 anni, compariva ieri sul sito web di Repubblica in un articolo dal titolo “Filma il colpo che lo uccide” all’interno del quale era contenuto un breve filmato di 46 secondi, la prima parte del quale (che riprendeva il colpo mortale sparato da un carro armato israeliano) girata da Fadel stesso e la seconda costituita invece dalle immagini del fuoristrada della troupe devastato dall’esplosione e dal concitato via vai di ambulanze che tentavano di prestare soccorso. A contornare il filmato un trafiletto di 4 righe nel quale si potevano leggere il nome e l’età del giovane operatore Reuters e apprendere che con lui erano stati ammazzati anche due civili dei quali non veniva resa nota neppure l’identità, né esplicitato il fatto che probabilmente si trattava dei suoi collaboratori.
La morte di Fadel Shana ha dunque “bucato” i grandi media dell’informazione solo in virtù dell’anomalia determinata dall’essere stata filmata da lui stesso, diventando in questo modo una notizia originale e appetibile, funzionale ad attrarre l’attenzione dei lettori, interessati solamente “all’anomalia” e indotti a concentrarsi esclusivamente su di essa dalla totale mancanza di ulteriori informazioni concernenti il contesto e le dinamiche dell’accaduto.
La morte di tre persone che sono state ammazzate come cani mentre stavano facendo il proprio lavoro, in quella striscia di Gaza dove i civili inermi vengono uccisi praticamente ogni giorno dall’esercito israeliano, non sarebbe stata probabilmente neppure menzionata se uno strano scherzo del destino non li avesse resi una notizia che stupisce. Lo “stupore” nell’informazione di oggi è costituito dall’operatore che filma il colpo che lo uccide, spettacolo macabro in grado di creare interesse, scorrendo sulle coscienze ormai pietrificate. La morte e la vita esaurita la loro componente cinematografica non meritano approfondimenti, perché sarebbe troppo complicato entrare nel merito della vicenda e fare vero giornalismo, domandandosi perché simili atrocità continuino ad accadere con l’acquiescenza di organismi internazionali come l’ONU il cui sguardo è perennemente voltato in altre direzioni.
In fondo palestinesi e giornalisti ammazzati nella striscia di Gaza, iracheni che saltano in aria nei mercati di Bagdad, talebani sterminati dalle truppe “alleate” in Afghanistan, fanno parte del tran tran di tutti i giorni, quella routine che ormai non genera più emozioni, non fa spettacolo e di conseguenza neppure merita di essere raccontata.
giovedì 17 aprile 2008
Verranno tempi duri
Marco Cedolin
Le urne si sono chiuse da appena 24 ore e già Silvio Berlusconi si è affrettato ad annunciare che “verranno tempi duri” ci “saranno momenti difficili” ed il futuro governo (probabilmente insieme a quello ombra di Walter Veltroni) sarà costretto ad approvare misure impopolari ma necessarie.
Con la chiusura dei seggi è dunque svanita come in una dissolvenza tutta la lunga sequela di fantasmagoriche promesse elettorali attraverso le quali i partiti politici sono riusciti a carpire il voto dei cittadini. Tagli delle tasse, aumenti dei salari, nuovi posti di lavoro, ripresa economica, incrementi delle pensioni, aiuti alle famiglie, riduzioni degli sprechi, miglioramento della giustizia, redistribuzione della ricchezza, nuove case per tutti, sono solo alcune delle “allucinazioni” vendute come buone dagli imbonitori di professione pur essendo già morte ancora prima di nascere.
Il bengodi prospettato alla vigilia del voto non è durato neppure un battito di ciglia e mentre le urne sono ancora calde già si scontra con una realtà dai contorni diametralmente opposti, fatta di tempi duri, momenti difficili, riforme impopolari.
A stupire non è la caducità di promesse talmente surreali da somigliare a veri e propri deliri onirici, che pure hanno ottenuto l’effetto voluto. Ciò che stupisce realmente è come Berlusconi possa prospettare “tempi duri” per quei cittadini che già oggi stanno vivendo tempi durissimi, senza riuscire ad arrivare a fine mese, con l’incubo del lavoro precario e con salari dal potere di acquisto in caduta libera. Pensare di rendere la vita degli italiani ancora più dura e difficile di quanto lo sia oggi, attraverso riforme impopolari, è un proposito talmente peregrino da rasentare l’assurdo. Affermarlo pubblicamente il giorno dopo le votazioni, mentre in campagna elettorale si è provveduto a vendere una marea di sogni, dimostra semplicemente che la vera assurdità consiste nell’illudersi che esista ancora una logica a muovere la politica.
Le urne si sono chiuse da appena 24 ore e già Silvio Berlusconi si è affrettato ad annunciare che “verranno tempi duri” ci “saranno momenti difficili” ed il futuro governo (probabilmente insieme a quello ombra di Walter Veltroni) sarà costretto ad approvare misure impopolari ma necessarie.
Con la chiusura dei seggi è dunque svanita come in una dissolvenza tutta la lunga sequela di fantasmagoriche promesse elettorali attraverso le quali i partiti politici sono riusciti a carpire il voto dei cittadini. Tagli delle tasse, aumenti dei salari, nuovi posti di lavoro, ripresa economica, incrementi delle pensioni, aiuti alle famiglie, riduzioni degli sprechi, miglioramento della giustizia, redistribuzione della ricchezza, nuove case per tutti, sono solo alcune delle “allucinazioni” vendute come buone dagli imbonitori di professione pur essendo già morte ancora prima di nascere.
Il bengodi prospettato alla vigilia del voto non è durato neppure un battito di ciglia e mentre le urne sono ancora calde già si scontra con una realtà dai contorni diametralmente opposti, fatta di tempi duri, momenti difficili, riforme impopolari.
A stupire non è la caducità di promesse talmente surreali da somigliare a veri e propri deliri onirici, che pure hanno ottenuto l’effetto voluto. Ciò che stupisce realmente è come Berlusconi possa prospettare “tempi duri” per quei cittadini che già oggi stanno vivendo tempi durissimi, senza riuscire ad arrivare a fine mese, con l’incubo del lavoro precario e con salari dal potere di acquisto in caduta libera. Pensare di rendere la vita degli italiani ancora più dura e difficile di quanto lo sia oggi, attraverso riforme impopolari, è un proposito talmente peregrino da rasentare l’assurdo. Affermarlo pubblicamente il giorno dopo le votazioni, mentre in campagna elettorale si è provveduto a vendere una marea di sogni, dimostra semplicemente che la vera assurdità consiste nell’illudersi che esista ancora una logica a muovere la politica.
martedì 15 aprile 2008
Ha vinto la sindrome di Stoccolma
Marco Cedolin
Il primo elemento che emerge in maniera adamantina dalle urne è costituito dalla paura che mai come oggi attanaglia i cittadini italiani, fino ad indurli all’inanità, come spesso accade all’individuo terrorizzato che si ritrova immobilizzato davanti al pericolo. Paura di cambiare, paura del futuro, paura di scegliere, paura di dare corpo alla sequela di proteste di cui si sono resi artefici fino al giorno del voto. Gli elettori italiani, figli della paura, non sono sembrati le stesse persone che hanno ingrossato le fila del V Day di Grillo, che a milioni hanno esternato indignazione leggendo La Casta di Rizzo e Stella, che da anni lamentano di non arrivare a fine mese, che soffrono le conseguenze della precarietà, che compongono le centinaia di comitati in lotta contro le grandi opere e le nocività, che ostentano contrarietà nei confronti delle politiche economiche, sociali ed ambientali messe in atto fino ad oggi. Gli elettori italiani, come in preda alla sindrome di Stoccolma, hanno scelto di premiare i propri aguzzini, correndo a votare in massa coloro che da 15 anni governano questo paese con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
L’astensione, nonostante fosse estremamente diffuso il rigetto nei confronti della politica, è risultata tutto sommato contenuta e l’80% degli aventi diritto al voto si sono recati alle urne. I piccoli partiti “nuovi” affrancati dalle logiche di potere hanno ottenuto risultati estremamente modesti e la maggior parte delle scelte è ricaduta proprio sui protagonisti della Casta di Rizzo e Stella. A prescindere dal fatto che si tratti di Berlusconi o Veltroni, di Bassolino o Cuffaro, di Fassino o Dell’Utri, gli elettori italiani hanno deciso ancora una volta di dare fiducia agli stessi uomini, mossi dalle stesse logiche, quasi a sublimare l’arte del malgoverno trasformandola in una sorta di sacrificio ineluttabile.
Non sono cambiati i nomi e neppure il disegno che li muove, ma il panorama del nuovo Parlamento sarà molto differente da quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi e non solamente in virtù della schiacciante (e largamente prevedibile) vittoria di Bossi e Berlusconi, innescata dai catastrofici risultati del Governo Prodi.
Innanzitutto circa il 30% degli italiani (il 20% che non ha votato, l’8% che ha votato partiti esclusi dalla rappresentanza parlamentare e una parte degli elettori UDC al senato) non sarà rappresentato in Parlamento e la presenza di oltre 14 milioni di cittadini “senza voce” dovrebbe indurre a più di una riflessione.
Nel nuovo Parlamento siederanno esclusivamente i rappresentanti di due partiti fotocopia, con gli stessi programmi e gli stessi padroni a cui ubbidire, come il Pdl-Lega Nord e PD-Idv che da soli rappresentano l’84% dei votanti, contornati da qualche deputato dell’UDC di Casini le cui posizioni sono appiattite sulle stesse loro logiche.
La Sinistra Arcobaleno (che incorporava Rifondazione Comunista, Verdi e Pdci) è uscita dalle urne praticamente polverizzata e non porterà in Parlamento neppure un deputato, mentre solo 2 anni fa i partiti che la compongono raccoglievano il sostegno di circa 5 milioni d’italiani. La Destra della Santanchè non è arrivata dove “credeva” e nonostante 1 milione di voti sarà costretta a rimanere al palo. I Socialisti di Boselli non hanno superato l’1% e tutti gli altri partiti minori sono rimasti allo stato di decimali.
La condizione giunti a questo punto è quella ottimale per gestire in completa libertà le riforme impopolari imposte dai grandi potentati finanziari ed industriali, per costruire grandi opere devastanti con il denaro dei contribuenti, per attuare una politica estera sempre più belligerante e spregiudicata, per esercitare sempre più controllo sui cittadini. Le nuove elezioni hanno consegnato alla classe politica dominante il Parlamento “perfetto” composto esclusivamente dalla maggioranza, mentre l’opposizione sarà costretta a sedersi fuori, dove potrà strepitare a piacimento (sempre che non esageri altrimenti arriverà la cura del manganello) ma si troverà nell’impossibilità di votare ed incidere concretamente sul futuro del Paese. Due soli dentro e tutti gli altri fuori, l’Italia si sta evolvendo sempre più, scimmiottando il modello americano in un crescendo di progresso e democrazia che a breve termine renderà inutile e superata anche la creazione di una farsa elettorale.
Il primo elemento che emerge in maniera adamantina dalle urne è costituito dalla paura che mai come oggi attanaglia i cittadini italiani, fino ad indurli all’inanità, come spesso accade all’individuo terrorizzato che si ritrova immobilizzato davanti al pericolo. Paura di cambiare, paura del futuro, paura di scegliere, paura di dare corpo alla sequela di proteste di cui si sono resi artefici fino al giorno del voto. Gli elettori italiani, figli della paura, non sono sembrati le stesse persone che hanno ingrossato le fila del V Day di Grillo, che a milioni hanno esternato indignazione leggendo La Casta di Rizzo e Stella, che da anni lamentano di non arrivare a fine mese, che soffrono le conseguenze della precarietà, che compongono le centinaia di comitati in lotta contro le grandi opere e le nocività, che ostentano contrarietà nei confronti delle politiche economiche, sociali ed ambientali messe in atto fino ad oggi. Gli elettori italiani, come in preda alla sindrome di Stoccolma, hanno scelto di premiare i propri aguzzini, correndo a votare in massa coloro che da 15 anni governano questo paese con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
L’astensione, nonostante fosse estremamente diffuso il rigetto nei confronti della politica, è risultata tutto sommato contenuta e l’80% degli aventi diritto al voto si sono recati alle urne. I piccoli partiti “nuovi” affrancati dalle logiche di potere hanno ottenuto risultati estremamente modesti e la maggior parte delle scelte è ricaduta proprio sui protagonisti della Casta di Rizzo e Stella. A prescindere dal fatto che si tratti di Berlusconi o Veltroni, di Bassolino o Cuffaro, di Fassino o Dell’Utri, gli elettori italiani hanno deciso ancora una volta di dare fiducia agli stessi uomini, mossi dalle stesse logiche, quasi a sublimare l’arte del malgoverno trasformandola in una sorta di sacrificio ineluttabile.
Non sono cambiati i nomi e neppure il disegno che li muove, ma il panorama del nuovo Parlamento sarà molto differente da quello che abbiamo conosciuto fino ad oggi e non solamente in virtù della schiacciante (e largamente prevedibile) vittoria di Bossi e Berlusconi, innescata dai catastrofici risultati del Governo Prodi.
Innanzitutto circa il 30% degli italiani (il 20% che non ha votato, l’8% che ha votato partiti esclusi dalla rappresentanza parlamentare e una parte degli elettori UDC al senato) non sarà rappresentato in Parlamento e la presenza di oltre 14 milioni di cittadini “senza voce” dovrebbe indurre a più di una riflessione.
Nel nuovo Parlamento siederanno esclusivamente i rappresentanti di due partiti fotocopia, con gli stessi programmi e gli stessi padroni a cui ubbidire, come il Pdl-Lega Nord e PD-Idv che da soli rappresentano l’84% dei votanti, contornati da qualche deputato dell’UDC di Casini le cui posizioni sono appiattite sulle stesse loro logiche.
La Sinistra Arcobaleno (che incorporava Rifondazione Comunista, Verdi e Pdci) è uscita dalle urne praticamente polverizzata e non porterà in Parlamento neppure un deputato, mentre solo 2 anni fa i partiti che la compongono raccoglievano il sostegno di circa 5 milioni d’italiani. La Destra della Santanchè non è arrivata dove “credeva” e nonostante 1 milione di voti sarà costretta a rimanere al palo. I Socialisti di Boselli non hanno superato l’1% e tutti gli altri partiti minori sono rimasti allo stato di decimali.
La condizione giunti a questo punto è quella ottimale per gestire in completa libertà le riforme impopolari imposte dai grandi potentati finanziari ed industriali, per costruire grandi opere devastanti con il denaro dei contribuenti, per attuare una politica estera sempre più belligerante e spregiudicata, per esercitare sempre più controllo sui cittadini. Le nuove elezioni hanno consegnato alla classe politica dominante il Parlamento “perfetto” composto esclusivamente dalla maggioranza, mentre l’opposizione sarà costretta a sedersi fuori, dove potrà strepitare a piacimento (sempre che non esageri altrimenti arriverà la cura del manganello) ma si troverà nell’impossibilità di votare ed incidere concretamente sul futuro del Paese. Due soli dentro e tutti gli altri fuori, l’Italia si sta evolvendo sempre più, scimmiottando il modello americano in un crescendo di progresso e democrazia che a breve termine renderà inutile e superata anche la creazione di una farsa elettorale.
domenica 13 aprile 2008
Vota Antonio?
Marco Cedolin
In concomitanza con la campagna elettorale gli ottimi giornalisti Marco Travaglio e Peter Gomez hanno pubblicato un interessante libro dal titolo “se li conosci li eviti” dove viene stilato l’elenco dei 100 fra condannati, prescritti, indagati, imputati e rinviati a giudizio, presentati dai vari partiti come candidati alle elezioni. L’elenco, oltremodo indicativo per comprendere quanto le formazioni politiche siano sensibili nei confronti dell’argomento giustizia è stato ieri pubblicato sul frequentatissimo blog di Beppe Grillo esattamente come segue:
Classifica partiti per numero di condannati, prescritti, indagati e rinviati a giudizio- PDL 56- PD 18- UDC - Rosa Bianca 9- Lega Nord 8- Partito Socialista 3- Sinistra Arcobaleno 3- La Destra 2- Aborto No Grazie 1- Italia dei Valori 0
Fonte “se li conosci li eviti” di Marco Travaglio e Peter Gomez
Dinanzi ad una classifica di questa tipo, qualunque lettore intenzionato a votare, nonostante Grillo abbia suggerito di non farlo, è stato indotto a considerare l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro come l’unico partito “votabile” in quanto in possesso di una “fedina penale” completamente intonsa. Nonostante nell’elenco dei “cattivi” figurino anche alcuni partiti minori, come il Partito Socialista, Aborto No Grazie, La Destra, l’UDC- Rosa Bianca, la Sinistra Arcobaleno, inspiegabilmente i partiti minori scompaiono dall’elenco dei “buoni” dove l’unico partito senza condannati, prescritti, indagati, imputati e rinviati a giudizio sembra essere l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro.
Sorge spontaneo domandarsi che fine abbiano fatto il partito Del Bene Comune di Stefano Montanari, il No Euro di Renzo Rabellino, il Meda di Sergio Riboldi, Sinistra Critica del sen. Turigliatto, il PCL di Marco Ferrando, l’Unione Democratica per i Consumatori di Bruno De Vita e molti altri.
Non essendo compresi nell’elenco dei condannati, prescritti, indagati, imputati e rinviati a giudizio di Travaglio e Gomez sicuramente anche questi partiti hanno la “fedina penale” pulita e meriterebbero di essere valutati dai lettori di Grillo alla stessa stregua dell’Italia dei Valori.
Ma allora perché lo Zero viene attribuito solo ed esclusivamente ad Antonio Di Pietro, quasi si trattasse di un invito a votare lui?
Sicuramente si sarà trattato di una svista, ma il bisogno di corretta informazione che verrà rivendicato con il mio pieno appoggio tramite il V Day del 25 aprile ritengo non debba essere mai disatteso, nemmeno quando ad un giorno dal voto si è tentati di fare un favore ad un vecchio amico.
In concomitanza con la campagna elettorale gli ottimi giornalisti Marco Travaglio e Peter Gomez hanno pubblicato un interessante libro dal titolo “se li conosci li eviti” dove viene stilato l’elenco dei 100 fra condannati, prescritti, indagati, imputati e rinviati a giudizio, presentati dai vari partiti come candidati alle elezioni. L’elenco, oltremodo indicativo per comprendere quanto le formazioni politiche siano sensibili nei confronti dell’argomento giustizia è stato ieri pubblicato sul frequentatissimo blog di Beppe Grillo esattamente come segue:
Classifica partiti per numero di condannati, prescritti, indagati e rinviati a giudizio- PDL 56- PD 18- UDC - Rosa Bianca 9- Lega Nord 8- Partito Socialista 3- Sinistra Arcobaleno 3- La Destra 2- Aborto No Grazie 1- Italia dei Valori 0
Fonte “se li conosci li eviti” di Marco Travaglio e Peter Gomez
Dinanzi ad una classifica di questa tipo, qualunque lettore intenzionato a votare, nonostante Grillo abbia suggerito di non farlo, è stato indotto a considerare l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro come l’unico partito “votabile” in quanto in possesso di una “fedina penale” completamente intonsa. Nonostante nell’elenco dei “cattivi” figurino anche alcuni partiti minori, come il Partito Socialista, Aborto No Grazie, La Destra, l’UDC- Rosa Bianca, la Sinistra Arcobaleno, inspiegabilmente i partiti minori scompaiono dall’elenco dei “buoni” dove l’unico partito senza condannati, prescritti, indagati, imputati e rinviati a giudizio sembra essere l’Italia dei Valori di Antonio Di Pietro.
Sorge spontaneo domandarsi che fine abbiano fatto il partito Del Bene Comune di Stefano Montanari, il No Euro di Renzo Rabellino, il Meda di Sergio Riboldi, Sinistra Critica del sen. Turigliatto, il PCL di Marco Ferrando, l’Unione Democratica per i Consumatori di Bruno De Vita e molti altri.
Non essendo compresi nell’elenco dei condannati, prescritti, indagati, imputati e rinviati a giudizio di Travaglio e Gomez sicuramente anche questi partiti hanno la “fedina penale” pulita e meriterebbero di essere valutati dai lettori di Grillo alla stessa stregua dell’Italia dei Valori.
Ma allora perché lo Zero viene attribuito solo ed esclusivamente ad Antonio Di Pietro, quasi si trattasse di un invito a votare lui?
Sicuramente si sarà trattato di una svista, ma il bisogno di corretta informazione che verrà rivendicato con il mio pieno appoggio tramite il V Day del 25 aprile ritengo non debba essere mai disatteso, nemmeno quando ad un giorno dal voto si è tentati di fare un favore ad un vecchio amico.
venerdì 11 aprile 2008
Nuova condanna per l'Italia del malrifiuto
Marco Cedolin
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha espresso oggi l’ennesima di una lunga serie di condanne nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto delle Direttive europee in tema di rifiuti.
La condanna in questione che fa seguito ad un primo deferimento del luglio 2006 riguarda la tardiva e non corretta applicazione della Direttiva UE del 1999 che definisce la nozione di rifiuti pericolosi e quindi il loro diverso trattamento rispetto a quelli innocui.
L’Italia è accusata di avere autorizzato nel periodo 2001/2003 la costruzione di nuove discariche applicando anziché i criteri definiti dalla direttiva UE le vecchie norme esistenti molto meno restrittive soprattutto in tema di rifiuti pericolosi.
La condanna di oggi fa parte della trentina di procedimenti aventi per oggetto lo smaltimento dei rifiuti che l’Unione europea sta portando avanti nei confronti del nostro Paese per violazioni di varia natura che vanno dalla truffa dei CIP6 (4 procedure d’infrazione e una lettera di messa in mora) al megainceneritore Asm di Brescia, a più riprese spacciato impropriamente come esempio “d’incenerimento pulito”, messo in mora dalla Corte Europea per l’inadempimento di ben 4 direttive europee sull’ambiente, fra le quali la mancanza della procedura di VIA che non è mai stata effettuata.
I cittadini italiani che già finanziano la consorteria dell’incenerimento attraverso il prelievo coatto nelle bollette dell’energia e subiscono da tempo sulla propria pelle le tragiche conseguenze di tecniche troppo “disinvolte” nello smaltimento dei rifiuti, grazie all’incapacità di una classe politica collusa con il malaffare, dovranno perciò continuare a fare fronte anche alle sanzioni pecuniarie della UE conseguenti al comportamento irresponsabile dei governi che si sono succeduti alla guida del Paese.
Governi sempre disposti a permettere con disinvoltura lo scaricamento dei rifiuti tossici nel territorio, ma altrettanto sempre pronti ad indignarsi ogni qualvolta le conseguenze delle loro azioni si traducono in maniera devastante sulla qualità della nostra produzione agricola e casearia che all’estero viene da tempo guardata con giustificato sospetto.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha espresso oggi l’ennesima di una lunga serie di condanne nei confronti dell’Italia per il mancato rispetto delle Direttive europee in tema di rifiuti.
La condanna in questione che fa seguito ad un primo deferimento del luglio 2006 riguarda la tardiva e non corretta applicazione della Direttiva UE del 1999 che definisce la nozione di rifiuti pericolosi e quindi il loro diverso trattamento rispetto a quelli innocui.
L’Italia è accusata di avere autorizzato nel periodo 2001/2003 la costruzione di nuove discariche applicando anziché i criteri definiti dalla direttiva UE le vecchie norme esistenti molto meno restrittive soprattutto in tema di rifiuti pericolosi.
La condanna di oggi fa parte della trentina di procedimenti aventi per oggetto lo smaltimento dei rifiuti che l’Unione europea sta portando avanti nei confronti del nostro Paese per violazioni di varia natura che vanno dalla truffa dei CIP6 (4 procedure d’infrazione e una lettera di messa in mora) al megainceneritore Asm di Brescia, a più riprese spacciato impropriamente come esempio “d’incenerimento pulito”, messo in mora dalla Corte Europea per l’inadempimento di ben 4 direttive europee sull’ambiente, fra le quali la mancanza della procedura di VIA che non è mai stata effettuata.
I cittadini italiani che già finanziano la consorteria dell’incenerimento attraverso il prelievo coatto nelle bollette dell’energia e subiscono da tempo sulla propria pelle le tragiche conseguenze di tecniche troppo “disinvolte” nello smaltimento dei rifiuti, grazie all’incapacità di una classe politica collusa con il malaffare, dovranno perciò continuare a fare fronte anche alle sanzioni pecuniarie della UE conseguenti al comportamento irresponsabile dei governi che si sono succeduti alla guida del Paese.
Governi sempre disposti a permettere con disinvoltura lo scaricamento dei rifiuti tossici nel territorio, ma altrettanto sempre pronti ad indignarsi ogni qualvolta le conseguenze delle loro azioni si traducono in maniera devastante sulla qualità della nostra produzione agricola e casearia che all’estero viene da tempo guardata con giustificato sospetto.
giovedì 10 aprile 2008
Come una talpa
Marco Cedolin
La Presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso sembra ormai giunta all’apice di quel processo di maturazione interiore che da anima ecologista impegnata a scrivere libri in elogio della lentezza e della salvaguardia ambientale, l’ha condotta a sponsorizzare il progetto del TAV e molte altre opere cementizie, estremamente impattanti per l’ambiente ma molto efficaci nell’operare il trasferimento “veloce” del denaro dei contribuenti nelle tasche della consorteria di cui ella stessa fa parte.
Il guaio è che quando s’incomincia a “fare buchi” molto spesso si finisce col prenderci gusto (come l’ex Ministro Lunardi purtroppo ha dimostrato fin troppo bene) e la Mercedes nazionale dopo avere iniziato la sua opera di cementificazione e perforazione del territorio piemontese oggi si ritrova visibilmente in crisi di astinenza, delusa e rammaricata per il fatto che in Val di Susa, nonostante le sue grandi aspirazioni aventi per oggetto megatunnel e gallerie, non riesce neppure ad ottenere il forellino per un sondaggio. L’importante è scavare “basta che sia un buco” viene da pensare osservando il nuovo progetto che il team Bresso in preda alla frustrazione sembra avere in serbo per la gioia futura dei torinesi. Si tratta di un piccolo Eurotunnel con pedaggio a pagamento che anziché sotto la Manica correrà sotto il PO per collegare Corso Unità d’Italia con l’ex area Italgas sulla sponda opposta del fiume.
Il progetto “TunnelPo” è integrato in un contesto più ampio di opere i cui costi previsti ammonterebbero a circa 2,5 miliardi di euro, che comprendono fra le altre la nuova tangenziale est e il progetto “panino” di Corso Marche. Per fare fronte al grande investimento la Presidente piemontese ha creato, con la benedizione di Antonio Di Pietro, leader dell’”Italia dei lavori” e degno successore dell’indimenticato Lunardi, la CAP (concessioni autostradali piemontesi), una società mista tra Anas e Regione che sarà chiamata a finanziare (insieme con l’imprenditoria privata che come sempre si occuperà soprattutto di raccogliere i profitti derivanti dai pedaggi) la costruzione delle nuove infrastrutture.
I disagi per i cittadini torinesi che dovranno fare i conti con i cantieri di “TunnelPo” saranno sicuramente ingenti, così come l’impatto ambientale dell’opera ed i costi destinati a pesare sulle spalle dei contribuenti, ma “finalmente” Mercedes ritroverà il sorriso ed inizierà a scavare, alla faccia dei valsusini che il buco non vogliono proprio lasciarglielo fare, nonostante l’ingente quantità di “letterine a carico del contribuente” che sta mandando a casa loro per cercare di convincerli.
La Presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso sembra ormai giunta all’apice di quel processo di maturazione interiore che da anima ecologista impegnata a scrivere libri in elogio della lentezza e della salvaguardia ambientale, l’ha condotta a sponsorizzare il progetto del TAV e molte altre opere cementizie, estremamente impattanti per l’ambiente ma molto efficaci nell’operare il trasferimento “veloce” del denaro dei contribuenti nelle tasche della consorteria di cui ella stessa fa parte.
Il guaio è che quando s’incomincia a “fare buchi” molto spesso si finisce col prenderci gusto (come l’ex Ministro Lunardi purtroppo ha dimostrato fin troppo bene) e la Mercedes nazionale dopo avere iniziato la sua opera di cementificazione e perforazione del territorio piemontese oggi si ritrova visibilmente in crisi di astinenza, delusa e rammaricata per il fatto che in Val di Susa, nonostante le sue grandi aspirazioni aventi per oggetto megatunnel e gallerie, non riesce neppure ad ottenere il forellino per un sondaggio. L’importante è scavare “basta che sia un buco” viene da pensare osservando il nuovo progetto che il team Bresso in preda alla frustrazione sembra avere in serbo per la gioia futura dei torinesi. Si tratta di un piccolo Eurotunnel con pedaggio a pagamento che anziché sotto la Manica correrà sotto il PO per collegare Corso Unità d’Italia con l’ex area Italgas sulla sponda opposta del fiume.
Il progetto “TunnelPo” è integrato in un contesto più ampio di opere i cui costi previsti ammonterebbero a circa 2,5 miliardi di euro, che comprendono fra le altre la nuova tangenziale est e il progetto “panino” di Corso Marche. Per fare fronte al grande investimento la Presidente piemontese ha creato, con la benedizione di Antonio Di Pietro, leader dell’”Italia dei lavori” e degno successore dell’indimenticato Lunardi, la CAP (concessioni autostradali piemontesi), una società mista tra Anas e Regione che sarà chiamata a finanziare (insieme con l’imprenditoria privata che come sempre si occuperà soprattutto di raccogliere i profitti derivanti dai pedaggi) la costruzione delle nuove infrastrutture.
I disagi per i cittadini torinesi che dovranno fare i conti con i cantieri di “TunnelPo” saranno sicuramente ingenti, così come l’impatto ambientale dell’opera ed i costi destinati a pesare sulle spalle dei contribuenti, ma “finalmente” Mercedes ritroverà il sorriso ed inizierà a scavare, alla faccia dei valsusini che il buco non vogliono proprio lasciarglielo fare, nonostante l’ingente quantità di “letterine a carico del contribuente” che sta mandando a casa loro per cercare di convincerli.
martedì 8 aprile 2008
La farsa elettorale
Marco Cedolin
Siamo finalmente giunti all’ultima settimana di questo teatrino pietoso chiamato campagna elettorale, finalizzato a partorire la “dittatura” di due partiti fotocopia intenzionati a legittimare attraverso il voto un pensiero unico che in realtà non corrisponde alla sensibilità dei cittadini italiani.
Gli ingredienti di questa alchimia sono di una semplicità disarmante, avendo come fulcro una legge elettorale finalizzata allo scopo, condita da un ricorso smodato alla disinformazione.
Gli sbarramenti precostituiti del 4% alla Camera e dell’8% al senato ora che tutti (o quasi) corrono da soli impediranno di fatto la possibilità di essere presenti nel prossimo Parlamento a qualunque voce fuori dal coro (solo la Sinistra Arcobaleno, l’UDC e la Destra possono forse aspirare ad ottenere qualche rappresentante) concentrando le scelte degli italiani verso l’unico “voto utile” a produrre rappresentazione parlamentare ed inducendo chiunque non si riconosca nel partito unico di Veltrusconi a disertare le urne senza avere possibilità d’incidere politicamente.
Che scenda dal pullman del PD o dal palco del PDL, Veltrusconi racconta tutto ed il contrario di tutto, di fronte ad un’esposizione mediatica totalizzante costruita per trasformare in verità anche le peggiori menzogne e contraddizioni.
Veltrusconi si presenta come il più grande ambientalista, ma anche come il più grande cementificatore, come fautore dell’ecologia, ma anche degli inceneritori, come l’amico degli operai, ma anche degli industriali, come il difensore dei diritti dei precari, ma anche della legge Biagi che li rende tali, come sostenitore della pace, ma anche delle missioni di guerra, come colui che getterà altri miliardi nel buco nero del TAV ma risanerà anche il debito pubblico, come il grande riformatore ma anche conservatore, come amico dell’energia pulita ma anche del petrolio e del nucleare, come fautore della riduzione del traffico ma anche dell’incremento nelle vendite delle automobili, come sostenitore degli aumenti salariali ma anche dell’incremento della produttività aziendale, come paladino della sicurezza ma anche della libertà, come colui che diminuirà le tasse ma comunque spenderà più denaro pubblico.
Durante questa ultima settimana di farsa elettorale il carattere ed il grado della manipolazione hanno raggiunto livelli parossistici e praticamente ogni cittadino viene imbonito attraverso la “promessa” di realizzare esattamente quello che desidera, poco importa se la realizzazione risulta impossibile ed i desideri sono spesso apertamente in contrasto gli uni con gli altri. L’importante è che ciascuno si senta promettere esattamente quello che vorrebbe sentirsi promettere, non sia così curioso da domandarsi cosa è stato promesso al suo vicino e non abbia alternative, in quanto gli altri che non arriveranno alla soglia del 4% di promesse “concrete” non potranno farne nessuna.
Giunti a questo punto l’unico vero problema di Veltrusconi è costituito dal fatto che gli elettori non si confondano mettendo la croce sul simbolo sbagliato e per evitare che questo accada il Viminale sta provvedendo, a spese dei cittadini, alla stampa di migliaia di manifesti e alla messa in onda di altrettanti spot televisivi che spieghino come votare correttamente. Dopo questo ultimo sforzo sia chiaro che chi per errore non avrà messo la X su Veltrusconi non potrà poi venirsi a lamentare dicendo che la lampada di Aladino non funziona, in quanto era stato avvertito prima e uomo avvisato...
Siamo finalmente giunti all’ultima settimana di questo teatrino pietoso chiamato campagna elettorale, finalizzato a partorire la “dittatura” di due partiti fotocopia intenzionati a legittimare attraverso il voto un pensiero unico che in realtà non corrisponde alla sensibilità dei cittadini italiani.
Gli ingredienti di questa alchimia sono di una semplicità disarmante, avendo come fulcro una legge elettorale finalizzata allo scopo, condita da un ricorso smodato alla disinformazione.
Gli sbarramenti precostituiti del 4% alla Camera e dell’8% al senato ora che tutti (o quasi) corrono da soli impediranno di fatto la possibilità di essere presenti nel prossimo Parlamento a qualunque voce fuori dal coro (solo la Sinistra Arcobaleno, l’UDC e la Destra possono forse aspirare ad ottenere qualche rappresentante) concentrando le scelte degli italiani verso l’unico “voto utile” a produrre rappresentazione parlamentare ed inducendo chiunque non si riconosca nel partito unico di Veltrusconi a disertare le urne senza avere possibilità d’incidere politicamente.
Che scenda dal pullman del PD o dal palco del PDL, Veltrusconi racconta tutto ed il contrario di tutto, di fronte ad un’esposizione mediatica totalizzante costruita per trasformare in verità anche le peggiori menzogne e contraddizioni.
Veltrusconi si presenta come il più grande ambientalista, ma anche come il più grande cementificatore, come fautore dell’ecologia, ma anche degli inceneritori, come l’amico degli operai, ma anche degli industriali, come il difensore dei diritti dei precari, ma anche della legge Biagi che li rende tali, come sostenitore della pace, ma anche delle missioni di guerra, come colui che getterà altri miliardi nel buco nero del TAV ma risanerà anche il debito pubblico, come il grande riformatore ma anche conservatore, come amico dell’energia pulita ma anche del petrolio e del nucleare, come fautore della riduzione del traffico ma anche dell’incremento nelle vendite delle automobili, come sostenitore degli aumenti salariali ma anche dell’incremento della produttività aziendale, come paladino della sicurezza ma anche della libertà, come colui che diminuirà le tasse ma comunque spenderà più denaro pubblico.
Durante questa ultima settimana di farsa elettorale il carattere ed il grado della manipolazione hanno raggiunto livelli parossistici e praticamente ogni cittadino viene imbonito attraverso la “promessa” di realizzare esattamente quello che desidera, poco importa se la realizzazione risulta impossibile ed i desideri sono spesso apertamente in contrasto gli uni con gli altri. L’importante è che ciascuno si senta promettere esattamente quello che vorrebbe sentirsi promettere, non sia così curioso da domandarsi cosa è stato promesso al suo vicino e non abbia alternative, in quanto gli altri che non arriveranno alla soglia del 4% di promesse “concrete” non potranno farne nessuna.
Giunti a questo punto l’unico vero problema di Veltrusconi è costituito dal fatto che gli elettori non si confondano mettendo la croce sul simbolo sbagliato e per evitare che questo accada il Viminale sta provvedendo, a spese dei cittadini, alla stampa di migliaia di manifesti e alla messa in onda di altrettanti spot televisivi che spieghino come votare correttamente. Dopo questo ultimo sforzo sia chiaro che chi per errore non avrà messo la X su Veltrusconi non potrà poi venirsi a lamentare dicendo che la lampada di Aladino non funziona, in quanto era stato avvertito prima e uomo avvisato...
domenica 6 aprile 2008
A Treviso i cittadini alzano la testa
Marco Cedolin
Avrei voluto esserci anche io oggi accanto agli amici dei Grilli Treviso che insieme a Beppe Grillo hanno “festeggiato” la loro candidatura alle elezioni comunali, purtroppo dei problemi famigliari me lo hanno impedito ma è comunque come fossi stato lì con loro.
Avrei voluto esserci, oltre che per la profonda amicizia che mi lega a questo gruppo di ragazzi meravigliosi, anche per esprimere loro la mia gratitudine di cittadino per la strada (sicuramente in salita) lungo la quale hanno deciso d’inerpicarsi, rifiutando la condizione di sudditi silenti e mettendosi in gioco in prima persona per tentare di costruire qualcosa di diverso e migliore.
Loro, ed i tanti che in Italia (con o senza l’appoggio di Beppe Grillo) stanno maturando le stesse consapevolezze, rappresentano un esempio per tutti coloro che ogni giorno sono costretti a subire sulla propria pelle la prevaricazione messa in atto dai partiti politici e dai loro padroni ed hanno sempre pensato di non potere incidere sui problemi, lasciando che fossero i professionisti della politica a decidere in loro vece. Cittadini costretti a convivere con un ambiente devastato dalle colate di cemento, costretti a respirare i miasmi venefici degli inceneritori e degli impianti industriali, costretti a mangiare cibo “di plastica” ed a bere vino chimico costruito in laboratorio, costretti a subire il precariato che li condanna ad una “vita ad interim” senza prospettive, costretti ad accettare meccanismi disumanizzanti che li vogliono “capitale umano” senza identità e anonimi tubi digerenti della macchina del consumo.
Mettersi in gioco in prima persona, sia che si tratti di costruire una lista di cittadini per le elezioni comunali come hanno fatto gli amici di Treviso, sia che si tratti di bloccare fisicamente i cantieri del Tav come abbiamo fatto noi in Val di Susa, sia che si tratti di bloccare una base di guerra come a Vicenza, sia che si tratti di dare vita a movimenti ed associazioni finalizzate a creare conoscenza e consapevolezza, non solo si può ma è indispensabile se si aspira a cambiare qualcosa in questa disgraziata società della crescita e dello sviluppo che persegue la mercificazione di tutto l’esistente e la cosificazione dell’essere umano.
Tocca ai cittadini, alle “persone normali” uscire dalla gabbia dell’indifferenza e dell’inanità, dove si mugugna sottovoce, dove si vota “turandosi il naso”, dove si mormora “tanto io che ci posso fare”, dove ad ogni vessazione si risponde abbassando la testa, dove si rischia di perdere perfino il rispetto per sé stessi. Uscire dalla gabbia dell’indifferenza e prendere in mano la propria vita ed il proprio futuro, perché ci appartengono e nessuno, si tratti di un “Gentilini” o di una multinazionale, può venire a rubarceli per distruggerli nel nome del proprio profitto.
I Grilli di Treviso ci stanno provando, contro le logiche dei partiti che tentano di boicottarli in ogni modo, contro la macchina dell’informazione che cerca di renderli invisibili, contro i poteri economici che li osteggiano e contro l’indifferenza di chi preferisce restare silenzioso lasciando che le decisioni passino sopra la sua testa. Ci stanno provando anche e soprattutto per il loro concittadini, perché questa non è “antipolitica” ma l’unico vero modo di fare politica, spendendosi in prima persona e riappropriandosi della propria dignità.
Avrei voluto esserci anche io oggi accanto agli amici dei Grilli Treviso che insieme a Beppe Grillo hanno “festeggiato” la loro candidatura alle elezioni comunali, purtroppo dei problemi famigliari me lo hanno impedito ma è comunque come fossi stato lì con loro.
Avrei voluto esserci, oltre che per la profonda amicizia che mi lega a questo gruppo di ragazzi meravigliosi, anche per esprimere loro la mia gratitudine di cittadino per la strada (sicuramente in salita) lungo la quale hanno deciso d’inerpicarsi, rifiutando la condizione di sudditi silenti e mettendosi in gioco in prima persona per tentare di costruire qualcosa di diverso e migliore.
Loro, ed i tanti che in Italia (con o senza l’appoggio di Beppe Grillo) stanno maturando le stesse consapevolezze, rappresentano un esempio per tutti coloro che ogni giorno sono costretti a subire sulla propria pelle la prevaricazione messa in atto dai partiti politici e dai loro padroni ed hanno sempre pensato di non potere incidere sui problemi, lasciando che fossero i professionisti della politica a decidere in loro vece. Cittadini costretti a convivere con un ambiente devastato dalle colate di cemento, costretti a respirare i miasmi venefici degli inceneritori e degli impianti industriali, costretti a mangiare cibo “di plastica” ed a bere vino chimico costruito in laboratorio, costretti a subire il precariato che li condanna ad una “vita ad interim” senza prospettive, costretti ad accettare meccanismi disumanizzanti che li vogliono “capitale umano” senza identità e anonimi tubi digerenti della macchina del consumo.
Mettersi in gioco in prima persona, sia che si tratti di costruire una lista di cittadini per le elezioni comunali come hanno fatto gli amici di Treviso, sia che si tratti di bloccare fisicamente i cantieri del Tav come abbiamo fatto noi in Val di Susa, sia che si tratti di bloccare una base di guerra come a Vicenza, sia che si tratti di dare vita a movimenti ed associazioni finalizzate a creare conoscenza e consapevolezza, non solo si può ma è indispensabile se si aspira a cambiare qualcosa in questa disgraziata società della crescita e dello sviluppo che persegue la mercificazione di tutto l’esistente e la cosificazione dell’essere umano.
Tocca ai cittadini, alle “persone normali” uscire dalla gabbia dell’indifferenza e dell’inanità, dove si mugugna sottovoce, dove si vota “turandosi il naso”, dove si mormora “tanto io che ci posso fare”, dove ad ogni vessazione si risponde abbassando la testa, dove si rischia di perdere perfino il rispetto per sé stessi. Uscire dalla gabbia dell’indifferenza e prendere in mano la propria vita ed il proprio futuro, perché ci appartengono e nessuno, si tratti di un “Gentilini” o di una multinazionale, può venire a rubarceli per distruggerli nel nome del proprio profitto.
I Grilli di Treviso ci stanno provando, contro le logiche dei partiti che tentano di boicottarli in ogni modo, contro la macchina dell’informazione che cerca di renderli invisibili, contro i poteri economici che li osteggiano e contro l’indifferenza di chi preferisce restare silenzioso lasciando che le decisioni passino sopra la sua testa. Ci stanno provando anche e soprattutto per il loro concittadini, perché questa non è “antipolitica” ma l’unico vero modo di fare politica, spendendosi in prima persona e riappropriandosi della propria dignità.
sabato 5 aprile 2008
I Sacerdoti del TAV restano senza fedeli
Marco Cedolin
Per il partito del TAV capitanato dalla Presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso, dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino e dal Presidente della provincia di Torino Antonio Saitta, la settimana che sta per concludersi è stata veramente nera che più nera non si può.
Domenica 30 marzo a Chiomonte, in quella Valle di Susa da loro presentata in Italia e in Europa come “convertita” alla logica dell’alta velocità, quasi 1500 persone di tutte le età si sono spese dedicando oltre a 15 euro alcune ore del proprio tempo e almeno un quarto d’ora di camminata in salita, per acquistare un metro quadrato dei terreni che dovrebbero essere oggetto dei futuri cantieri del TAV. All’inizio di giugno la stessa operazione con tutta probabilità si ripeterà con un’altra esaltante giornata di festa e partecipazione popolare che vedrà raddoppiare il numero di valsusini in “prima fila” e mettere sempre più a nudo la lunga sequela di bugie che Bresso, Chiamparino e Saitta hanno continuato in questi mesi a raccontare ai loro padroni di partito e ai cittadini italiani ed europei.
Giovedì 3 aprile Bresso, Chiamparino e Saitta, non paghi della figuraccia rimediata pochi giorni prima, avevano in programma di andare in Val di Susa ad Almese per parlare di TAV e sviluppo, nell’ambito della campagna elettorale del PD di Veltroni, ma anche per dimostrare che il vento in “Valle” è cambiato ed i cittadini sono più disponibili a parlare di alta velocità.
Se lo avessero fatto, anziché fermarsi in autostrada dinanzi alle prime folate di vento, avrebbero trovato ad Almese ad attenderli alcune migliaia di valsusini corredati di bandiere e strumenti musicali, tanto chiassosi quanto pacifici, disposti a spiegare loro cosa ne pensano i cittadini del TAV e dei progetti di sviluppo ad esso correlati.
Purtroppo il partito del TAV non è abituato ad argomentare attraverso un pubblico confronto e preferisce praticare il soliloquio nei convegni semi-clandestini organizzati per pochi intimi, in TV e sulle pagine dei giornali, ragione per cui Bresso, Chiamparino e Saitta hanno preferito invertire il senso di marcia delle loro auto blu verso Torino, costretti a realizzare che il “vento” in Val di Susa non è affatto quella “brezza” marzolina che amano raccontare in giro, dando sfoggio di quell’inclinazione alla menzogna che è parte integrante del bagaglio di ogni uomo politico.
Soli con le loro bugie, delle quali dovranno rendere conto in primo luogo ai propri padroni di partito, soli con le menzogne che hanno infarcito la carta straccia dei giornali e dei progetti presentati in Europa per ottenere i finanziamenti del TAV, soli con la propria supponenza, forse inizieranno a capire che in Val di Susa il clima è veramente cambiato, perché anche i pochi che bonariamente davano loro credito hanno ormai cambiato idea e l’unica operazione di “sviluppo” possibile riguarda l’acquisto dei terreni “in prima fila”.
Per il partito del TAV capitanato dalla Presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso, dal sindaco di Torino Sergio Chiamparino e dal Presidente della provincia di Torino Antonio Saitta, la settimana che sta per concludersi è stata veramente nera che più nera non si può.
Domenica 30 marzo a Chiomonte, in quella Valle di Susa da loro presentata in Italia e in Europa come “convertita” alla logica dell’alta velocità, quasi 1500 persone di tutte le età si sono spese dedicando oltre a 15 euro alcune ore del proprio tempo e almeno un quarto d’ora di camminata in salita, per acquistare un metro quadrato dei terreni che dovrebbero essere oggetto dei futuri cantieri del TAV. All’inizio di giugno la stessa operazione con tutta probabilità si ripeterà con un’altra esaltante giornata di festa e partecipazione popolare che vedrà raddoppiare il numero di valsusini in “prima fila” e mettere sempre più a nudo la lunga sequela di bugie che Bresso, Chiamparino e Saitta hanno continuato in questi mesi a raccontare ai loro padroni di partito e ai cittadini italiani ed europei.
Giovedì 3 aprile Bresso, Chiamparino e Saitta, non paghi della figuraccia rimediata pochi giorni prima, avevano in programma di andare in Val di Susa ad Almese per parlare di TAV e sviluppo, nell’ambito della campagna elettorale del PD di Veltroni, ma anche per dimostrare che il vento in “Valle” è cambiato ed i cittadini sono più disponibili a parlare di alta velocità.
Se lo avessero fatto, anziché fermarsi in autostrada dinanzi alle prime folate di vento, avrebbero trovato ad Almese ad attenderli alcune migliaia di valsusini corredati di bandiere e strumenti musicali, tanto chiassosi quanto pacifici, disposti a spiegare loro cosa ne pensano i cittadini del TAV e dei progetti di sviluppo ad esso correlati.
Purtroppo il partito del TAV non è abituato ad argomentare attraverso un pubblico confronto e preferisce praticare il soliloquio nei convegni semi-clandestini organizzati per pochi intimi, in TV e sulle pagine dei giornali, ragione per cui Bresso, Chiamparino e Saitta hanno preferito invertire il senso di marcia delle loro auto blu verso Torino, costretti a realizzare che il “vento” in Val di Susa non è affatto quella “brezza” marzolina che amano raccontare in giro, dando sfoggio di quell’inclinazione alla menzogna che è parte integrante del bagaglio di ogni uomo politico.
Soli con le loro bugie, delle quali dovranno rendere conto in primo luogo ai propri padroni di partito, soli con le menzogne che hanno infarcito la carta straccia dei giornali e dei progetti presentati in Europa per ottenere i finanziamenti del TAV, soli con la propria supponenza, forse inizieranno a capire che in Val di Susa il clima è veramente cambiato, perché anche i pochi che bonariamente davano loro credito hanno ormai cambiato idea e l’unica operazione di “sviluppo” possibile riguarda l’acquisto dei terreni “in prima fila”.
venerdì 4 aprile 2008
GRANDI OPERE da oggi in libreria
Viviamo in un mondo in cui la grandezza dimensionale è assurta a sinonimo di bellezza e modernità, mentre il futuro viene concepito esclusivamente come una ricerca spasmodica di crescita e sviluppo, da realizzarsi attraverso la creazione di Grandi Opere infrastrutturali che vengono finanziate con il denaro dei cittadini, senza averli neppure mai interpellati.
In Cina è da poco terminata la costruzione della diga delle Tre Gole che sbarra il passo del fiume Yangtze, un mostro di cemento costato 21 miliardi di euro, alto 185 metri e lungo 2,5 km, il riempimento del cui invaso, lungo 600 km, ha già causato l’abbattimento di 75 città e 1.500 villaggi, condannando all’esodo forzato oltre 1,2 milioni di persone.
L’Eurotunnel che corre sotto la Manica per collegare Parigi con Londra è costato 15 miliardi di euro. La società che lo gestisce in 12 anni non è mai riuscita a chiudere una sola volta il bilancio in attivo, ha accumulato un debito di oltre 9 miliardi di euro ed i 741.000 investitori privati che finanziarono l’opera hanno ormai perduto il 90% del proprio capitale.
Il Mose è un progetto faraonico dal costo previsto di 4,3 miliardi di euro volto a difendere Venezia dal fenomeno delle acque alte. Stravolgerà in maniera irreversibile gli equilibri dell’intero ecosistema lagunare ma non servirà a nulla, se non a rimpinguare le tasche del Consorzio Venezia Nuova che lo costruisce.
Il deposito per le scorie nucleari di Yucca Mountain costerà più di 60 miliardi di dollari e metterà a rischio la vita di 1,4 milioni di persone. Negli oltre 80 km di tunnel scavati a 300 metri di profondità saranno stivate 77.000 tonnellate di scorie altamente radioattive provenienti da oltre 100 reattori sparsi in ogni angolo degli Stati Uniti, con l’obiettivo di garantirne la sicurezza per 10.000 anni, ma una parte del mondo scientifico pensa che non vadano seppellite e che non saranno affatto al sicuro.
Il TAV in Italia è costituito da 1000 km d’infrastrutture ferroviarie che costeranno circa 90 miliardi di euro interamente a carico dei contribuenti. La sua costruzione ha devastato l’integrità dei territori, non risolverà i problemi dei pendolari e non proporrà benefici in termini ecologici, ma sono già in cantiere progetti per altri 1000 km o forse più.
L’oleodotto BTC trasporterà il greggio per 1.770 km dal Mar Caspio fino al Mediterraneo orientale e avrà una capacità pari al 7% dell’intero flusso di petrolio mondiale. Economicamente la sua costruzione non avrebbe avuto senso, ma strategicamente è indispensabile per le ambizioni d’indipendenza energetica degli Stati Uniti e d’Israele.
Il Megainceneritore del Gerbido verrà costruito in un’area già oggi pesantemente inquinata ai confini della città di Torino, avrà camini alti 120 metri, dissiperà oltre 1 milione di metri cubi di acqua l’anno e sorgerà a meno di 2 km dall’ospedale San Luigi di Orbassano specializzato in pneumologia.
La Stazione Spaziale Internazionale (ISS), peserà 426 tonnellate, ospiterà 7 laboratori, la sua cubatura abitabile sarà di 1330 m³ e costerà intorno ai 100 miliardi di dollari pur garantendo una vita operativa di soli 10 anni.
I motori delle grandi navi da crociera di ultima generazione producono una potenza che sarebbe sufficiente ad alimentare una città di 200.000 abitanti.
Al largo di Dubai si sta completando la creazione di un arcipelago composto da 300 isole artificiali, mentre in città accanto alle spiagge assolate con una temperatura di oltre 40 gradi sorge Sky Dubai dove in un’atmosfera da pieno inverno si può sciare e sorseggiare vino speziato sulle poltroncine del St. Moritz Cafè.
La costruzione delle grandi opere arricchisce a dismisura i grandi potentati finanziari ed industriali ma non produce alcun benessere per le popolazioni che sono chiamate a finanziarle. Al contrario sia la condizione economica che la qualità di vita dell’uomo stanno regredendo di pari passo con il depauperamento delle risorse economiche, energetiche ed ambientali che la costruzione delle Grandi Opere impone.Attraverso un meccanismo di plagio che fa leva sulle debolezze umane i manipolatori sono riusciti nell’intento di rendere l’individuo “felice” di essere oggetto stesso della loro manipolazione, costringendolo a diventare complice entusiasta di un “progresso” che in realtà si rivela funzionale solamente ai loro interessi, ma si tratta di vera felicità?La crescita e lo sviluppo si stanno rivelando incapaci di generare benessere e qualità della vita, le famiglie s’impoveriscono, le prospettive occupazionali si riducono, l’ambiente diventa sempre più asfittico e degradato, l’insicurezza dilaga, l’umanità appare sempre più disumanizzata, ridotta al ruolo di tubo digerente della megamacchina consumista.Molte persone stanno iniziando a domandarsi se sia davvero questo il modo migliore di vivere sul pianeta. La prospettiva di una società della decrescita rappresenta il terminale logico per tutti coloro che hanno iniziato ad accumulare nuove conoscenze, maturando un diverso grado di consapevolezza che li conduce alla ricerca di un’alternativa praticabile nell’immediato. Occorre applicare una riduzione di scala, una cultura di empatia con l’ambiente e la natura, una riscoperta della comunità, del senso del limite e delle proporzioni, limitare l’ingerenza dell’economia nella società, perseguendo l’autoproduzione di beni e servizi ed occorre farlo fin da subito iniziando ad impegnarsi in prima persona.
Marco Cedolin
mercoledì 2 aprile 2008
Più Expo per tutti
Marco Cedolin
Evviva! Milano avrà l’Expo 2015.
La notizia rimbalza roboante sui TG della sera illuminando come non mai i teleschermi sempre più piatti degli italiani, per poi andare a riempire le prime pagine dei giornali, incastonata all’interno di titoloni che esaltano ora l’orgoglio, ora la commozione, ora la felicità di un Paese in festa, quasi si trattasse del revival degli ultimi vittoriosi mondiali di calcio.
La “vittoria” ottenuta da Letizia Moratti riuscendo a portare l’expo 2015 sotto la Madonnina riesce ad oscurare qualsiasi problema di questa Italia disgraziata, poco importa se i salari degli italiani continuano a restare i più bassi, poco importa se i morti sul lavoro continuano ad aumentare anche adesso che in campagna elettorale non fanno più notizia, poco importa se non si riesce neppure a decidere a chi “regalare” la compagnia aerea di bandiera, poco importa se sulle prime pagine di ieri l’inflazione era schizzata al 3,3% toccando il livello più alto degli ultimi 12 anni, adesso abbiamo l’Expo e possiamo guardare al futuro con giustificato ottimismo, godendoci la “Milano da bere” che ritorna e le fantasie visionarie che amministratori, architetti, giornalisti ed opinion leader ormai scatenati stanno affrettandosi a “mettere in cantiere” per noi.
Gli aggettivi si affastellano gli uni agli altri con i loro suoni suadenti e carichi di musicalità, somigliano alle sirene di Ulisse nate per ammaliare, imbonire, suggestionare e persuadere il cittadino – consumatore di sogni, incantesimi ed alchimie.
Le cifre vengono sciorinate disordinatamente in un crescendo musicale carico di suggestioni immaginifiche promettendo per tutti scampoli di quella “ricchezza” ormai dimenticata dai più, fra le pieghe di un divenire sempre più incerto.
Tutto è grande se osservato sotto le fantasmagoriche luci dell’Expo, immensa l’area di esposizione prevista in 1,7 milioni di metri quadri, così come lo spazio di 530 mila metri quadrati dedicato ai parcheggi, colossali gli investimenti (in larga parte pubblici) stimati in 20 miliardi di euro, enorme il numero dei visitatori attesi, oltre 29 milioni, straordinarie le ipotesi d’incremento di fatturato per le aziende locali che ammonterebbero a 44 miliardi di euro secondo una ricerca della Camera di commercio milanese, addirittura incredibile il numero di “posti di lavoro” che potrebbe creare la manifestazione, secondo una ricerca condotta dalla Bocconi che li stima in circa 70.000.
Tutto cresce nella fantascientifica Milano “del futuro” che nascerà attraverso oltre 7 anni di cantieri finalizzati a stravolgerne in profondità la fisionomia, fino a trasformarla in una piccola Dubai, tanto artificiale quanto improbabile nella sua veste di metropoli “ecosostenibile” incastonata all’ombra della futura Expo Tower che s’innalzerà nel cielo per 200 metri, pronta a specchiarsi dentro a laghi e torrenti artificiali contornati dalla nuova stazione del TAV, da nuovo cemento, nuove strade, nuove occasioni di speculazione edilizia.
Tutto resta uguale nelle case delle famiglie italiane, milanesi e non, spesso abbarbicate nei quartieri dormitorio delle grandi periferie atomizzate, dove mancano anche i servizi primari e l’unico panorama godibile è costituito dal muro di un palazzone scrostato e fatiscente. Tutto resta uguale nell’Italia della disoccupazione dimenticata dall’Istat e del lavoro precario che avvelena la vita annientando anche la speranza. Tutto resta uguale per gli italiani costretti a tirare la fine del mese con sempre meno potere di acquisto perché schiacciati (come gli viene raccontato dagli economisti) da un debito pubblico insostenibile.
Eppure saranno proprio loro, le famiglie italiane che non sono state invitate a partecipare al baccanale, a finanziare attraverso nuovo debito pubblico, anche la mega kermesse dell’Expo di Milano 2015 dove la lobby del cemento e del tondino, sotto la direzione degli architetti di grido, costruirà la “città del futuro”, luminosa, colossale, artificiale, ecosostenibile, universalmente inutile e soprattutto lontana, così lontana dal Paese reale da perdersi in quella cappa di nebbia e smog che nonostante il miracolo dell’Expo a Milano continua a farla da padrone.
Evviva! Milano avrà l’Expo 2015.
La notizia rimbalza roboante sui TG della sera illuminando come non mai i teleschermi sempre più piatti degli italiani, per poi andare a riempire le prime pagine dei giornali, incastonata all’interno di titoloni che esaltano ora l’orgoglio, ora la commozione, ora la felicità di un Paese in festa, quasi si trattasse del revival degli ultimi vittoriosi mondiali di calcio.
La “vittoria” ottenuta da Letizia Moratti riuscendo a portare l’expo 2015 sotto la Madonnina riesce ad oscurare qualsiasi problema di questa Italia disgraziata, poco importa se i salari degli italiani continuano a restare i più bassi, poco importa se i morti sul lavoro continuano ad aumentare anche adesso che in campagna elettorale non fanno più notizia, poco importa se non si riesce neppure a decidere a chi “regalare” la compagnia aerea di bandiera, poco importa se sulle prime pagine di ieri l’inflazione era schizzata al 3,3% toccando il livello più alto degli ultimi 12 anni, adesso abbiamo l’Expo e possiamo guardare al futuro con giustificato ottimismo, godendoci la “Milano da bere” che ritorna e le fantasie visionarie che amministratori, architetti, giornalisti ed opinion leader ormai scatenati stanno affrettandosi a “mettere in cantiere” per noi.
Gli aggettivi si affastellano gli uni agli altri con i loro suoni suadenti e carichi di musicalità, somigliano alle sirene di Ulisse nate per ammaliare, imbonire, suggestionare e persuadere il cittadino – consumatore di sogni, incantesimi ed alchimie.
Le cifre vengono sciorinate disordinatamente in un crescendo musicale carico di suggestioni immaginifiche promettendo per tutti scampoli di quella “ricchezza” ormai dimenticata dai più, fra le pieghe di un divenire sempre più incerto.
Tutto è grande se osservato sotto le fantasmagoriche luci dell’Expo, immensa l’area di esposizione prevista in 1,7 milioni di metri quadri, così come lo spazio di 530 mila metri quadrati dedicato ai parcheggi, colossali gli investimenti (in larga parte pubblici) stimati in 20 miliardi di euro, enorme il numero dei visitatori attesi, oltre 29 milioni, straordinarie le ipotesi d’incremento di fatturato per le aziende locali che ammonterebbero a 44 miliardi di euro secondo una ricerca della Camera di commercio milanese, addirittura incredibile il numero di “posti di lavoro” che potrebbe creare la manifestazione, secondo una ricerca condotta dalla Bocconi che li stima in circa 70.000.
Tutto cresce nella fantascientifica Milano “del futuro” che nascerà attraverso oltre 7 anni di cantieri finalizzati a stravolgerne in profondità la fisionomia, fino a trasformarla in una piccola Dubai, tanto artificiale quanto improbabile nella sua veste di metropoli “ecosostenibile” incastonata all’ombra della futura Expo Tower che s’innalzerà nel cielo per 200 metri, pronta a specchiarsi dentro a laghi e torrenti artificiali contornati dalla nuova stazione del TAV, da nuovo cemento, nuove strade, nuove occasioni di speculazione edilizia.
Tutto resta uguale nelle case delle famiglie italiane, milanesi e non, spesso abbarbicate nei quartieri dormitorio delle grandi periferie atomizzate, dove mancano anche i servizi primari e l’unico panorama godibile è costituito dal muro di un palazzone scrostato e fatiscente. Tutto resta uguale nell’Italia della disoccupazione dimenticata dall’Istat e del lavoro precario che avvelena la vita annientando anche la speranza. Tutto resta uguale per gli italiani costretti a tirare la fine del mese con sempre meno potere di acquisto perché schiacciati (come gli viene raccontato dagli economisti) da un debito pubblico insostenibile.
Eppure saranno proprio loro, le famiglie italiane che non sono state invitate a partecipare al baccanale, a finanziare attraverso nuovo debito pubblico, anche la mega kermesse dell’Expo di Milano 2015 dove la lobby del cemento e del tondino, sotto la direzione degli architetti di grido, costruirà la “città del futuro”, luminosa, colossale, artificiale, ecosostenibile, universalmente inutile e soprattutto lontana, così lontana dal Paese reale da perdersi in quella cappa di nebbia e smog che nonostante il miracolo dell’Expo a Milano continua a farla da padrone.
martedì 1 aprile 2008
Russiatunnel
Marco Cedolin
Gli interessi finanziari derivanti dalla speculazione connessa alla costruzione delle grandi opere continuano a dimostrasi un collante straordinario in grado di superare qualunque barriera politica e ideologica. L’assoluto appiattimento dei nostri partiti politici, siano essi di derivazione liberista, comunista, post fascista, democristiana, socialista o repubblicana, riguardo alla necessità della costruzione di qualunque infrastruttura (TAV, Mose, inceneritori, rigassificatori, autostrade, viadotti, megatunnel, parcheggi sotterranei, centrali turbogas, a carbone ecc.) sta a dimostrarlo in maniera incontrovertibile. Il partito delle grandi opere non ha colore, tranne ovviamente quello dei soldi, così perfino la Russia e gli Stati Uniti, i più grandi antagonisti degli ultimi 60 anni, sembrano pronti a dimenticare ogni ruggine per mettere in cantiere il tunnel sottomarino più lungo del mondo che li unisca passando al di sotto dello Stretto di Bering.
Il progetto che il presidente russo Vladimir Putin si appresta a discutere con l’omologo americano Gorge W. Bush durante il vertice in programma domenica prossima sul Mar Nero, riguarda un tunnel sottomarino della lunghezza di circa 100 km e del costo previsto di oltre 41 miliardi di euro che unisca la Chukotka (estremo nord est della Russia) con l’Alaska, permettendo il trasporto delle merci dall’Europa all’america via terra e rendendo di fatto la Russia il fulcro del commercio internazionale.
Il principale artefice di un’opera fra le più ciclopiche al mondo potrebbe essere la società Infrastruktura di proprietà dell’oligarca russo e Governatore della Chukotka Roman Abramovich che proprio recentemente ha investito 170 milioni di dollari nell’acquisto, presso l’azienda tedesca Herrenknecht, della più grande macchina scavatrice che sia mai stata costruita. Una mega trivellatrice che possiede un diametro di 19 metri, enorme se confrontato con i 7 metri delle macchine che hanno scavato l’Eurotunnel che corre sotto la Manica.
Il progetto del mega tunnel fra Russia ed Usa che sembra sia già stato oggetto di precedenti discussioni ed accordi fra i vertici dei due paesi, contemplerebbe infrastrutture sia per il traffico su gomma che su rotaia, nonché per il trasporto di petrolio, gas ed energia elettrica. Gli esperti interpellati sembrano prevedere (con molto ottimismo) un traffico merci potenziale di 100.000 tonnellate/anno lungo l’asse del tunnel, che dovrebbe agevolmente comportare un rientro in tempi relativamente brevi dell’enorme investimento, destinato a raddoppiare se non triplicare in virtù dell’altissimo numero d’infrastrutture di collegamento (autostrade, ferrovie, gasdotti, oleodotti) la cui costruzione si renderebbe necessaria. Proprio in virtù di ciò Cina, India, Corea e Giappone si sono già dichiarate favorevoli all’idea e disponibili a partecipare in prima persona al progetto.
Pur senza entrare nel merito dei devastanti impatti ambientali che potrebbero venire determinati da un’opera di queste dimensioni, non si può astenersi dall’esternare alcune perplessità nei confronti del progetto di Putin il cui unico scopo sembra quello di arricchire l’oligarchia delle costruzioni che prospera sulle spalle dei contribuenti. La pesante situazione di recessione a livello mondiale, il sempre più grave problema dei mutamenti climatici ed il progressivo esaurimento delle risorse energetiche fossili, non sembrano essere infatti gli elementi ideali per giustificare un progetto colossale, estremamente costoso in termini monetari ed energetici, finalizzato a far correre nel 2020 in maniera sempre più schizofrenica le merci in giro per il mondo.
Le previsioni di traffico merci operate dagli esperti sembrano costruite ispirandosi unicamente all’incremento della movimentazione avvenuto nei decenni passati, mentre la situazione attuale dei mercati e l’alto prezzo del petrolio portano ad ipotizzare volumi di scambio molto più contenuti nei decenni futuri, il che sposterebbe indefinitamente nel tempo la prospettiva di ritorno economico dell’investimento con il grave pericolo di riproporre un’operazione fallimentare come si è rivelata quella di Eurotunnel.
A pagare alla fine sarebbero come sempre i cittadini, dal momento che l’opera ciclopica verrebbe finanziata in larga parte attraverso il denaro pubblico, rendendoli affamati ed indebitati ancora più di quanto non lo siano già adesso.
Gli interessi finanziari derivanti dalla speculazione connessa alla costruzione delle grandi opere continuano a dimostrasi un collante straordinario in grado di superare qualunque barriera politica e ideologica. L’assoluto appiattimento dei nostri partiti politici, siano essi di derivazione liberista, comunista, post fascista, democristiana, socialista o repubblicana, riguardo alla necessità della costruzione di qualunque infrastruttura (TAV, Mose, inceneritori, rigassificatori, autostrade, viadotti, megatunnel, parcheggi sotterranei, centrali turbogas, a carbone ecc.) sta a dimostrarlo in maniera incontrovertibile. Il partito delle grandi opere non ha colore, tranne ovviamente quello dei soldi, così perfino la Russia e gli Stati Uniti, i più grandi antagonisti degli ultimi 60 anni, sembrano pronti a dimenticare ogni ruggine per mettere in cantiere il tunnel sottomarino più lungo del mondo che li unisca passando al di sotto dello Stretto di Bering.
Il progetto che il presidente russo Vladimir Putin si appresta a discutere con l’omologo americano Gorge W. Bush durante il vertice in programma domenica prossima sul Mar Nero, riguarda un tunnel sottomarino della lunghezza di circa 100 km e del costo previsto di oltre 41 miliardi di euro che unisca la Chukotka (estremo nord est della Russia) con l’Alaska, permettendo il trasporto delle merci dall’Europa all’america via terra e rendendo di fatto la Russia il fulcro del commercio internazionale.
Il principale artefice di un’opera fra le più ciclopiche al mondo potrebbe essere la società Infrastruktura di proprietà dell’oligarca russo e Governatore della Chukotka Roman Abramovich che proprio recentemente ha investito 170 milioni di dollari nell’acquisto, presso l’azienda tedesca Herrenknecht, della più grande macchina scavatrice che sia mai stata costruita. Una mega trivellatrice che possiede un diametro di 19 metri, enorme se confrontato con i 7 metri delle macchine che hanno scavato l’Eurotunnel che corre sotto la Manica.
Il progetto del mega tunnel fra Russia ed Usa che sembra sia già stato oggetto di precedenti discussioni ed accordi fra i vertici dei due paesi, contemplerebbe infrastrutture sia per il traffico su gomma che su rotaia, nonché per il trasporto di petrolio, gas ed energia elettrica. Gli esperti interpellati sembrano prevedere (con molto ottimismo) un traffico merci potenziale di 100.000 tonnellate/anno lungo l’asse del tunnel, che dovrebbe agevolmente comportare un rientro in tempi relativamente brevi dell’enorme investimento, destinato a raddoppiare se non triplicare in virtù dell’altissimo numero d’infrastrutture di collegamento (autostrade, ferrovie, gasdotti, oleodotti) la cui costruzione si renderebbe necessaria. Proprio in virtù di ciò Cina, India, Corea e Giappone si sono già dichiarate favorevoli all’idea e disponibili a partecipare in prima persona al progetto.
Pur senza entrare nel merito dei devastanti impatti ambientali che potrebbero venire determinati da un’opera di queste dimensioni, non si può astenersi dall’esternare alcune perplessità nei confronti del progetto di Putin il cui unico scopo sembra quello di arricchire l’oligarchia delle costruzioni che prospera sulle spalle dei contribuenti. La pesante situazione di recessione a livello mondiale, il sempre più grave problema dei mutamenti climatici ed il progressivo esaurimento delle risorse energetiche fossili, non sembrano essere infatti gli elementi ideali per giustificare un progetto colossale, estremamente costoso in termini monetari ed energetici, finalizzato a far correre nel 2020 in maniera sempre più schizofrenica le merci in giro per il mondo.
Le previsioni di traffico merci operate dagli esperti sembrano costruite ispirandosi unicamente all’incremento della movimentazione avvenuto nei decenni passati, mentre la situazione attuale dei mercati e l’alto prezzo del petrolio portano ad ipotizzare volumi di scambio molto più contenuti nei decenni futuri, il che sposterebbe indefinitamente nel tempo la prospettiva di ritorno economico dell’investimento con il grave pericolo di riproporre un’operazione fallimentare come si è rivelata quella di Eurotunnel.
A pagare alla fine sarebbero come sempre i cittadini, dal momento che l’opera ciclopica verrebbe finanziata in larga parte attraverso il denaro pubblico, rendendoli affamati ed indebitati ancora più di quanto non lo siano già adesso.
Iscriviti a:
Post (Atom)