Marco Cedolin
La morte sul lavoro di Angelo Galante, portiere 51enne di uno stabile romano, precipitato sul marciapiede da un’altezza di oltre 30 metri mentre stava procedendo alla pulizia dei vetri, e rimasto alcuni minuti riverso sul selciato con il cranio fracassato e lo straccio ancora stretto fra le mani, ha “fatto notizia” non tanto per la tragica dinamica dell’accaduto, quanto per il raccapricciante e surreale racconto di un gioielliere che dalla vetrina del suo negozio ha assistito alla tragedia.
Per alcuni minuti, mentre il gioielliere Paolo che conosceva bene la vittima tentava disperatamente di prestarle soccorso, la maggior parte dei passanti ha continuato a camminare frettolosamente come se nulla fosse accaduto ed alcune persone hanno scavalcato con noncuranza il corpo esanime senza mostrare alcuna attenzione per il poveretto, né palesare la minima emozione.
Racconti di questo tipo, fino a qualche tempo fa relegati nel novero delle leggende metropolitane concernenti le metropoli statunitensi, sempre più spesso stanno diventando parte di una cruda realtà anche nella schizofrenica cacofonia delle nostre città, dove la “massa” dei passanti inebetiti, sempre più schiava dell’ipercinetismo, sembra estraniarsi da tutto ciò che la circonda per rinchiudersi all’interno di migliaia di microcosmi atomizzati completamente impermeabili rispetto all’esterno.
La progressiva disumanizzazione dell’individuo che il racconto di Paolo mette a nudo nella sua dimensione più agghiacciante è parte integrante di un processo di “robotizzazione” della persona che nella società postmoderna sta raggiungendo livelli fino a qualche decennio fa inimmaginabili.
La crescita dell’individualismo di massa assurto allo status di valore universale, la perdita di qualsiasi senso di appartenenza ad una comunità, l’esasperazione della competizione divenuta l’unico strumento attraverso il quale rapportarsi con gli altri, la sempre più spinta mercificazione dell’esistente che determina la “cosificazione” dell’essere umano, sono solo alcuni dei fattori che stanno contribuendo a rendere possibili accadimenti come quello di ieri a Roma.
Sempre più spesso l’uomo postmoderno è indotto a relegare la sfera dei sentimenti e delle emozioni (che lo rendono vulnerabile) in una sorta di universo virtuale, affrontando il contesto reale sotto forma di puro cinismo, funzionale ad ottenere il massimo risultato in quell’arena deputata alla competizione che costituisce la sua giornata. Molte delle persone che hanno scavalcato il corpo di Angelo senza neppure degnarlo di uno sguardo, una volta tornate a casa saranno pronte a versare calde lacrime e valanghe di emozioni dinanzi alla rappresentazione virtuale costituita dallo schermo della TV, magari osservando la morte dell’attore di una fiction o un ricongiungimento famigliare strappalacrime costruito a tavolino. La maggior parte di loro stanno perdendo la propria umanità senza neppure accorgersi che qualcuno gliela sta rubando, per renderli sempre più efficienti e competitivi, sempre più adatti a costituire un perfetto ingranaggio della macchina che vive di produzione e consumo e gli ingranaggi non devono provare sentimenti ed emozioni, altrimenti potrebbero rompersi, come accaduto al gioielliere Paolo che al corpo esanime del portiere ha fatto caso eccome e intervistato dai giornalisti ha dichiarato sconvolto “Quella di stamattina è una tragedia, una immagine che non riuscirò a cancellare facilmente".
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