sabato 30 dicembre 2006

La forca democratica

Marco Cedolin

Il cappio che si sta stringendo intorno al collo di Saddam Hussein è simile ad un foglio intonso, abbacinante nel suo biancicare, che a breve si colorerà di fiumi di parole, rosse come il sangue con il quale da cinque anni si stanno imbrattando i “muri del mondo” con parole come democrazia, civiltà, giustizia e libertà.
L’assassinio democratico di Saddam, a prescindere da quelle che possano essere le sue colpe, rappresenta solamente il patetico tentativo da parte dell’amministrazione Bush e dei suoi alleati, di dare un senso ad una tragedia che senso non ha.
In questo Iraq precipitato a forza nel medioevo nulla ha un senso, ogni cosa è paradossale, ogni parola è stonata, ogni azione è semplicemente una scheggia di pazzia.

Non esistono giustificazioni per le centinaia di migliaia di uomini, donne e bambini massacrati, straziati, mutilati senza pietà, così come non esistono per i prigionieri torturati dentro al carcere di Abu Grahib o i civili di Falluja bruciati come ceri dalle bombe al fosforo bianco. L’Iraq che si dibatte nel suo nuovo medioevo democratico non è più uno Stato, ma solamente un immenso campo di battaglia infarcito di auto bomba, di eserciti occupanti, di morte e devastazione. La democrazia in Iraq parla il linguaggio dell’egoarca e conta a livello di centinaia i morti ammazzati nelle strade ogni giorno.

Il processo farsa a Saddam, svoltosi fra le mura della cittadella fortificata statunitense, nel nome del governo fantoccio di un Paese che non esiste, alla luce di una Costituzione che non rappresenta nessuno, si è rivelata l’ennesima parossistica messinscena priva di qualunque valenza oggettiva. La condanna a morte per crimini contro l’umanità, estremamente meno pesanti di quelli compiuti in Iraq dagli americani e dai loro alleati durante questi anni, ha tramutato la messinscena in una macabra e truculenta rappresentazione.

La piccola folla d’iracheni festanti dinanzi alla forca democratica che stanotte campeggiava sugli schermi della CNN era in tutto e per tutto simile a quella (trasportata sul posto dagli stessi americani) che anni fa inneggiava ai liberatori durante la demolizione della statua di Saddam. Quelle immagini fecero, come queste faranno, il giro del mondo, nel tentativo di pacificare le coscienze, rappresentando un Iraq che non esiste e non è mai esistito.

L’Iraq e gli iracheni non vivono dentro a un “film” ma fra le strade devastate dalle bombe di un paese senza identità e se i crimini contro l’umanità venissero puniti con la forca (giusto o sbagliato che sia) Bush e Blair per primi stanotte avrebbero accompagnato Saddam nel suo lungo viaggio, probabilmente alla presenza di folle festanti molto più corpose.

lunedì 4 dicembre 2006

Prodi riporta l'Italia in piazza

Marco Cedolin

Che fossero uno o due milioni di persone poco importa, la realtà incontrovertibile è quella che la manifestazione indetta a Roma dalla Casa delle Libertà sabato 2 dicembre ha portato in piazza tanta gente, tanta quanto nessuna macchina organizzativa (ancorché perfetta) riuscirebbe a portarne in mancanza di un malcontento profondo e generalizzato nel paese.
Scegliere di limitarsi ad ironizzare sull’identità di coloro che hanno sfilato a Roma o peggio ancora trincerarsi dietro un fragile alibi affermando che queste persone sfilavano senza una piattaforma politica, significa isolarsi dalla realtà del Paese collocandosi in una posizione miope infarcita solamente di autoreferenzialità.

Se c’è una cosa che fin dal momento della sua entrata in politica ha sempre contraddistinto Berlusconi questa è stata l’estrema “artificiosità” che connaturava il suo partito. Forza Italia, già nel nome così simile ad una pubblicità sportiva, è nata dal nulla raccogliendo a piene mani fra le macerie di tangentopoli vecchi uomini politici che attendevano di essere riciclati ai quali affiancare schiere di manager votati alla costruzione del “partito azienda”.
Proprio la dimensione di azienda con schiere di dipendenti manager retribuiti e milioni di teledipendenti votanti ha sempre contraddistinto Forza Italia come un partito “di plastica” privo di un’ideologia che non fosse semplice appiattimento sul modello consumistico occidentale e indissolubilmente legato a Silvio Berlusconi, mentore supremo che prometteva di risolvere tramite la formula dello “Stato Azienda” tutti i problemi che il Paese si trascina appresso da sempre.
Il centrosinistra, con o senza Romano Prodi, ha sempre tentato d’incarnare l’esatta antitesi del berlusconismo, uno schieramento ricco d’ideologia, vicino alla gente, attento al “sociale” con una classe dirigente di grossa esperienza politica e un elettorato che oltre ad una base molto “sensibile” al clientelismo indotto dalla gestione di molte amministrazioni comunali, esprimeva il “sentire” di una fascia consistente e variegata della popolazione impegnata nel sociale, mediamente informata e generalmente ben disposta ad essere parte attiva nella vita politica del Paese.Non a caso durante tutto il quinquennio del governo Berlusconi questo stridente contrasto si esplicitava con chiarezza adamantina proprio nelle piazze.

I cortei, le manifestazioni, gli scioperi del centrosinistra erano momenti di aggregazione partecipata viva e vitale ai quali facevano da contraltare le asettiche “convention” berlusconiane che al di là della debolezza dei numeri lasciavano in bocca il gusto amaro dell’artefatto, dell’happening costruito a tavolino con l’ausilio di dipendenti compiacenti “usati” per sventolare tante bandierine. Il governo di Romano Prodi, che ha trovato il consenso elettorale proprio attraverso questa realtà, in soli 6 mesi è riuscito a provocare un tale terremoto in grado di sovvertire tutti i punti fermi che da più di un decennio caratterizzavano la vita politica e sociale italiana.Le scellerate scelte operate dal governo (in larga parte antitetiche ai contenuti del programma elettorale) in questi mesi partendo dall’indulto, passando per l’Afghanistan e il Libano per culminare nella “vorace” manovra finanziaria, hanno messo in crisi tutti gli equilibri consolidati, rivelando una maggioranza di centrosinistra del tutto scollata dal proprio elettorato.La gente di sinistra, quella impegnata nel sociale ed incline a “partecipare” ha continuato a sfilare e scendere in piazza, dimostrando coerenza ed attaccamento alle proprie idee, ma ha dovuto farlo contro il proprio governo, isolata ed osteggiata da quelle stesse persone che dalla piazza avevano tratto la linfa vitale per il proprio successo.
Ogni sciopero ed ogni manifestazione di sinistra in questi ultimi mesi, fosse essa contro la guerra o contro il precariato, per i diritti dei lavoratori o in difesa del popolo palestinese è stata “boicottata” dai vertici dei partiti e dai sindacati, con la risultante di ottenere un “soffocamento” della forma di protesta che più di ogni altra da sempre caratterizza il popolo di sinistra.
L’esiguità del numero di partecipanti, i molteplici casi di manifestazioni abortite dall’alto prima ancora che nascessero, gli strascichi polemici conseguenti ad ogni manifestazione e ad ogni corteo sono stati il comune denominatore di un governo di centrosinistra che ha deciso di rinchiudersi nei palazzi del potere diffidando il proprio elettorato dal portare fra la gente quella “dimensione critica” che lo aveva condotto al potere.

In queste piazze vuote, dinanzi ai balconi senza più bandiere della pace, fra le tante riforme (legge 30 e miglioramento della situazione delle famiglie su tutte) disattese e disimpegni militari mai attuati è arrivato come un ciclone il popolo di Berlusconi. Non più qualche migliaio di manager in giacca e cravatta dotati di una bandierina per l’occasione, ma centinaia, tante centinaia di migliaia di persone che hanno scelto di recarsi a Roma determinate a far sentire la propria voce.
La novità è proprio questa, e sarebbe uno sbaglio enorme non coglierla, l’eterogeneità di coloro che sabato hanno riempito le vie di Roma. Non solo liberi professionisti, manager e commercianti ma anche operai, dipendenti pubblici, precari, studenti, pensionati, casalinghe. Non pretoriani con intonse bandierine inamidate ma una moltitudine colorata, ricca di striscioni, cartelloni, caricature, ironia, che ha scoperto il piacere di socializzare, stare insieme, manifestare. Quel piacere che alla gente di sinistra oggi è interdetto pena essere classificati come estremisti e disfattisti. Il popolo di Berlusconi è sicuramente infarcito di retorica, incline all’egoismo, molto teledipendente e scarsamente acculturato politicamente ma oggi è costituito da gente vera che per la prima volta sta scoprendo come si possano riempire le piazze per manifestare le proprie idee e come sia incredibilmente bello ritrovarsi in tanti, tantissimi a farlo.

Prodi e Fassino che ribadiscono come la manifestazione di sabato non abbia cambiato di una virgola la loro finanziaria rifiutano di capire come il loro governo abbia cambiato di molto l’Italia e la sinistra che non può permettersi di restare appiattita sulla linea di un governo che ha scelto di compiacere solo il capitale ed i grandi interessi, impoverendo sempre più tutte le classi sociali ad iniziare da chi povero già lo è. Senza questa consapevolezza e le opportune reazioni rischierà di essere proprio la sinistra a diventare la nuova “Forza Italia” destinata a rimanere alla finestra imbalsamata nella sua immobilità.

mercoledì 22 novembre 2006

Visco sogna la casta dei VIP

Marco Cedolin

La “fantasia creativa” degli uomini politici italiani sembra davvero non conoscere limiti e tende a farsi ogni giorno più fervida. Dopo il colpo di genio di Francesco Rutelli che intendeva relegare le vacanze degli italiani nel periodo delle nebbie in Valpadana, ora è il turno del Vice ministro dell’Economia Vincenzo Visco, uomo che durante gli anni 90 si è distinto per l’alacrità con la quale ha portato avanti la propria “missione” di alleggerimento delle tasche dei cittadini.
Visco durante un’audizione parlamentare concernente l’anagrafe tributaria ha reso partecipi gli astanti riguardo ad una sua felice intuizione volta a risolvere il problema dell’uso improprio dei dati, connesso al recente scandalo del cosiddetto spionaggio fiscale.
Dopo essersi profuso in un sermone sull’immediata necessità di procedure più garantiste volte a controllare la coerenza delle interrogazioni con gli accertamenti in corso, il Vice ministro ha estratto dal cilindro un coniglietto che pur essendo assai poco democratico e per nulla incline a rappresentare i valori della nostra costituzione potrebbe (a suo dire) costituire una panacea per il problema della tutela dei grandi interessi.

Secondo le parole di Visco bisognerebbe introdurre “un archivio delle persone sensibili, non solo del mondo politico ma anche Vip, personaggi ricchi per i quali c’è la necessità di garantire la privacy”. Politici e Vip verrebbero in pratica inseriti all’interno di una lista “esclusiva” in modo che scatti una sorta di allarme informatico ogni volta che qualcuno di loro viene sottoposto a qualche sorta di controllo. Nella perversa logica del Vice Ministro il diritto alla privacy finisce dunque di essere un patrimonio di tutti i comuni mortali per diventare esclusivo appannaggio di una casta di eletti (non certo dai cittadini) che potranno così vantare diritti e doveri differenti da quelli del resto della popolazione. La legge finirebbe dunque di essere “uguale per tutti” oltre che nei fatti (come lo è da sempre) anche nei proponimenti del legislatore che dovrebbe adeguarsi allo stato delle cose ufficializzando i privilegi di un’elite. Ci sarebbe molto da riflettere riguardo a questo tentativo di rilettura in chiave “indiana” della nostra costituzione da parte di un Vice Ministro facente parte di quella maggioranza di centrosinistra che fino a pochi mesi fa ha fatto della difesa costituzionale la propria bandiera. Così come ci sarebbe da riflettere su quanto una visione piramidale dei diritti del cittadino sia in sintonia con il programma di governo di quella stessa maggioranza.

Come nel caso di Rutelli credo comunque sia meglio fingere si sia trattato di una boutade di cattivo gusto, di una celia magari riuscita male, di un escamotage per distrarre l’attenzione generale dal problema della finanziaria e pertanto sorridere sull’aspetto ludico della vicenda.Con quali criteri il buon Visco intenderà procedere nello stilare la lista degli eletti? Oltre agli uomini politici che da sempre anche davanti alla legge godono di privilegi inenarrabili quali saranno i nomi dei futuri intoccabili?
Sicuramente il carnet comprenderà grandi industriali, finanzieri, attori, cantanti, showman e showgirl, telegenici assortiti, scrittori “di grido” e giornalisti che gridano, opinionisti, psicologici, grandi dottori e uomini di scienza. Ma con quale criterio e da chi saranno decisi i nomi di coloro che meritano lo status di VIP e di quelli irrimediabilmente destinati a rimanere nel novero delle persone comuni, la cui privacy è talmente insignificante da non meritare neppure di essere tutelata? Nel portare avanti questa operazione non ci sentiamo in tutta franchezza d’invidiare Visco. Già si materializza davanti ai nostri occhi la marea di “pizzini”, pressioni, raccomandazioni, inciuci, prebende, rimostranze, da cui verrebbe letteralmente sommerso chiunque fosse deputato a farsi carico della scelta.
Migliaia di “personaggi in cerca d’autore” che protestano per il loro mancato inserimento nel gotha, schiere di veline, letterine, pupe e secchioni che si sentono defraudati di un loro diritto inalienabile, naufraghi famosi che si accapigliano fra loro per entrare nel clan, una folla inesausta di persone “importanti” che qualora escluse dal baccanale, in perfetto stile italico saranno pronte ad urlare con pervicacia – Lei non sa chi sono io!-

venerdì 3 novembre 2006

Grandi sconti grandi occasioni

Marco Cedolin

Con il passare degli anni le manovre finanziarie stanno diventando sempre più simili alle pubblicazioni pubblicitarie dei grandi ipermercati che con regolarità disarmante stipano all’inverosimile le nostre buche delle lettere dopo aver contribuito a disboscare parecchi ettari di foresta vergine. Come nel caso della buca di casa nostra, dove in mezzo all’ammasso di offerte irripetibili e sconti convenienza, destinati in un batter di ciglia a trasmutare allo stato di (gravoso per le nostre tasche e la nostra salute) rifiuto solido, finiscono irrimediabilmente lettere e bollette estremamente importanti; anche nelle finanziarie le “grandi offerte” distolgono il nostro sguardo dalla miriade di tasse, gabelle, imposte e contributi che graveranno pesantemente su quello che resta del nostro reddito, sempre se siamo ancora così fortunati da averne uno.

Per una volta voglio però evitare di spaziare con lo sguardo su quello che ci viene nascosto, risparmiandovi la lettura di tabelline infarcite di cifre e calcolazioni assortite volte a dimostrare come l’operaio di Caserta con 2 figli guadagnerà con la finanziaria 11 euro mentre l’insegnante single di Cologno Monzese ne perderà ahimè 7. Da un mese a questa parte le tabelline, i calcoli, le percentuali, le stime, stanno riempiendoci la vita più di quanto non lo facciano le realtà tangibili, tentando di farci dimenticare come la loro valenza rasenti in effetti quella dello zero assoluto. Nessuna tabellina e nessun calcolo per quanto complesso potrà mai fornirci neppure uno scampolo di verità. Anche lo studioso di statistica più virtuoso e politicamente corretto si trova infatti nell’assoluta impossibilità di determinare quanta benzina consumerà Luigi, quante volte pagherà il ticket sanitario Cristina, con quale frequenza Alberto posteggerà sulle strisce blu, a quale classe di euromerito appartenga la macchina di Anna, se Federico si concederà una vacanza e pagherà la tassa di soggiorno, di quante ricette mediche abbisognerà Lorena e se Mario l’anno venturo finirà o meno al pronto soccorso.Concentriamoci perciò sui saldi irripetibili, sul fascino un po’ perverso delle offerte convenienza, sul profumo carezzevole delle grandi occasioni, sul volto angelicato dell’opportunità di risparmio.

Dopo decenni di ossessiva attenzione nei confronti del mercato dell’auto, con un occhio di riguardo per casa FIAT diventata nel tempo grazie ai molti “governi amici” monopolista nazionale del settore, in barba ai proclami sulla concorrenza che sembrano essere il credo assoluto degli imbonitori politici di ogni colore, sono per ora terminati (almeno su scala nazionale) i contributi statali per la rottamazione attraverso i quali abbiamo per molti anni finanziato l’industria automobilistica. Per garantire comunque la tranquillità di Montezemolo e degli altri produttori di lamiere gommate, lo stesso effetto “incentivo” di prima sarà garantito stavolta non tramite elargizioni e prebende ma semplicemente tartassando i consumatori che anni fa avevano acquistato a sconto le auto nuove e nel tempo sono stati colpevoli di non aver optato (o non aver potuto optare) per un nuovo acquisto. Entra nel novero dei ricordi anche il contributo per l’acquisto del decoder digitale terrestre fortemente voluto dall’ex ministro Gasparri. In virtù di questa offerta strepitosa adesso la maggior parte degli italiani ha in casa una scatoletta nera pagata pochi euro nel negozio ma molti dal contribuente e può trastullarsi nel vedere gli stessi canali che vedeva prima, con la stessa qualità di prima, più qualche canale tematico finalizzato ad indurre la letargia nell’arco di pochi minuti. Un’operazione la cui risultante, oltre agli enormi guadagni di chi importandoli dall’oriente commercializzava i decoder, si può riscontrare solamente nell’accresciuto consumo energetico indotto dall’accensione di un apparecchio in più, ma anche la bolletta dell’Enel contribuisce ad incrementare il PIL e va bene così.

Le novità più accattivanti nel panorama delle offerte speciali 2007, promosse questa volta con il marchio della coop di centrosinistra riguardano gli elettrodomestici e il vecchio tubo catodico ormai trasmutato verso nuovi livelli tecnologici d’eccellenza.Già da tempo si parla di un incentivo per l’acquisto di un nuovo frigorifero, proposto con la motivazione di favorire i nuovi refrigeratori meno, energivori e più rispettosi dell’ambiente e in realtà anche utilissimi per incrementare i guadagni di coloro che li producono, o meglio anche in questo caso commercializzano poiché praticamente tutta la produzione tecnologica è stata delocalizzata all’estero da tempo. L’ultimo sconto speciale, da non perdere in quanto irripetibile, è destinato ai soli soci RAI e partirà il 28 febbraio del 2007 senza che siano necessari altri bollini fedeltà se non quello di possedere l’ultimo canone pagato della TV di stato. Riguarderà l’acquisto delle nuove TV digitali, così nuove da far si che non siano ancora stati definiti in finanziaria i parametri perché un apparecchio rientri nell’ambita categoria. Tutti i fortunati possessori dei requisiti per potere accedere all’incentivo avranno modo di acquistare queste meravigliose sintesi d’innovazione tecnologica e stilistica con uno sconto del 20% fino ad un massimo di 200 euro sul prezzo di acquisto, il tutto per un costo previsto a carico dello stato di circa 40 milioni di euro.Non potendo essere addotte a questo riguardo motivazioni “ecologiche” (anzi lo smaltimento dei vecchi TV obsoleti ma funzionanti sarà alquanto gravoso dal punto di vista ambientale) il governo ha giustificato l’operazione tramite motivazioni più “elevate” volte a migliorare il bagaglio socio – culturale degli italiani. Lo svecchiamento del parco degli apparecchi televisivi e la sensibilizzazione della popolazione verso la nuova tecnologia rappresentano infatti secondo il ministero il vero incipit che ha determinato questo tipo d’investimento.

Cambiano i governi, cambiano le maggioranze ma ciò che sembra davvero non cambiare mai è l’assoluta mancanza di qualunque seria politica programmatica volta a sostenere l’economia del nostro paese.Gli sconti convenienza e le offerte speciali che favoriscono per un lasso di tempo limitato specifici settori della produzione e della vendita sono la vera dimostrazione di questa assoluta inanità e della mancanza d’idee che accomuna al riguardo tutta la classe politica.Sorge inoltre logico domandarsi perché i frigoriferi e non i forni a microonde, le lavatrici o le lavastoviglie? Perché le TV digitali e non le scarpe, l’abbigliamento, le radiosveglie o le biciclette, queste ultime anche ecologiche e con emissioni zero?

Il solito mistero che si perde nell’imponderabile e ci fa capire che è giunta l’ora d’incominciare a cercare la bolletta, frugando (magari con i guanti) nel marasma della spazzatura.

giovedì 12 ottobre 2006

Questa finanziaria è tutta da rifare

Marco Cedolin

Presentata poco più di una settimana fa come la finanziaria che avrebbe dovuto far piangere i ricchi e donare il sorriso ai poveri, la nuova manovra targata Romano Prodi ha prima stentato nel farsi comprendere (complice il reiterato sciopero dei giornalisti che ha determinato un grave stillicidio dell’informazione) ed una volta compresa ha finito per rivelarsi un disordinato coacervo di provvedimenti in grado di scontentare praticamente tutte le categorie sociali del nostro paese.
I sindaci delle grandi città hanno inveito con furia belluina contro il taglio dei finanziamenti agli enti locali, fino a rivoltarsi contro il loro stesso governo. Confindustria nonostante la regalia da “cuneo fiscale” si è detta contrariata e non disposta ad accettare il trasferimento del TFR presso l’INPS in un apposito “fondo infrastrutture”. I sindacati hanno espresso soddisfazione molto tiepida, faticando non poco a trovare la giustificazione per prodursi in qualche sorriso. Gran parte delle associazioni (anche di quelle politicamente vicine al governo) e la maggioranza dei cittadini, hanno espresso un numero tale di perplessità che occorrerebbe riscrivere altre 250 pagine per nutrire qualche speranza di elencarle tutte.

Nello stesso momento in cui il Ministro Padoa Schioppa presentava la manovra all’Europa, incassando l’approvazione del Commissario UE Almunia, in Italia la manovra si scioglieva come un cono gelato sotto il solleone, nell’evidente impossibilità di tradurre nella realtà un tale conglomerato di pressappochismo, scelte sbagliate, decisioni scellerate. Nonostante la televisione ed i giornali continuassero a diffondere in maniera ossessiva e fuorviante solamente le tabelline concernenti le aliquote dell’IRPEF, producendosi in esempi molte volte improbabili (mi è capitato perfino di sentire stime riferite a famiglie con due figli e mezzo) volti a dimostrare che per i cittadini si sarebbe trattato di una finanziaria in grado di “toccarli” in maniera tutto sommato trascurabile, l’evidenza non ha tardato a prendere corpo. Nonostante la commistione perversa fra nuovi tagli e nuovi prelievi fiscali venisse mascherata con il nobile proposito di un’improbabile redistribuzione della ricchezza, “traducendo” il testo appariva sempre più chiaro come l’unica cosa che s’intendesse distribuire sul serio fosse in realtà la povertà, oltre la soglia della quale s’intendeva trasferire buona parte della popolazione.Come risultato di tutto ciò la manovra finanziaria, svestita del falso populismo di cui era infarcita, si è trasformata in un vero e proprio “cantiere” di quelli che tanto amano Lunardi e Fassino.Tutto ma proprio tutto è stato messo in discussione ed elevato a materia per “tavoli”, confronti, trattative pubbliche e segrete, inciuci e scambi di favori.

Nel berciare scomposto dei commensali intenti alla spartizione della tavola imbandita s’intrecciano senza sosta aggiustamenti di aliquote, esenzioni di classi, caroselli di cifre, ipotesi d’imposte, abrogazione di soglie. I sindaci dissenzienti sono stati calmierati attraverso la promessa di una riduzione di 600 milioni di euro dell’entità del taglio, unitamente alle assicurazioni sul fatto che potranno procedere ad un’infinità di prelievi fiscali dalle tasche dei cittadini.Confindustria ha ricevuto la promessa di una revisione del capitolo relativo al TFR, il finanziamento “occulto” e continuativo delle missioni di pace/guerra all’estero dovrebbe venire stralciato, l’imposta di successione è ancora in fase di definizione così come lo sono le regole del nuovo superbollo per i SUV e le esenzioni per i veicoli di nuova immatricolazione, ma sostanzialmente quasi tutti i capitoli concernenti il reperimento delle risorse ed una parte di quelli che fanno riferimento alla destinazione delle stesse sono ancora avvolti nel mistero del divenire.

Per ora non ci restano che le algide cifre volte ad infarcire le tabelline dell’Irpef, pur sapendo bene che saranno altre decisioni ad incidere pesantemente sul nostro tenore di vita e sulla qualità dei servizi essenziali, le esternazioni ad effetto (magari smentite qualche ora dopo) del ministro di turno, il biascicare inconcludente di politici, giornalisti, economisti, sinistri, destristi ed ogni altro esemplare della fauna che compone il circo della cattiva informazione.

domenica 1 ottobre 2006

Rubo ai ricchi ed anche ai poveri

Marco Cedolin

Per quanto si tenti di guardarla con occhio benevolo, per quanto ci si sforzi d’interpretarla in maniera positiva, per quanto si tenti di soppesarla con cautela, si è costretti ad ammettere che la nuova finanziaria sta nascendo sotto una cattiva stella.
Romano Prodi nelle vesti di novello Robin Hood è poco credibile, troppo sovrappeso e troppo poco incline ad imprese eroiche, così come inclini a ben altro genere d’imprese sono Little John Fassino e gli altri suoi compagni. L’Italia come rappresentazione della foresta di Sherwood non convince, deturpata dalle infrastrutture e dall’inquinamento propone più piloni di cemento armato che alberi. Gli Sceriffi di Nottingham sono troppi e quando espropriano le case per fare passare il TAV, per costruire un inceneritore o una circonvallazione raccontano di farlo per il bene dei poveri.

Il tutto è ancora in fase di discussione, di concertazione, di confronto fra le parti ma fra le pieghe del brusio di questo conciliabolo qualche indicazione di massima sembra emergere e prestarsi a qualche sia pur prematura considerazione.
Innanzitutto l’entità della manovra sembra attestarsi definitivamente sui 33 miliardi di euro, una grossa cifra che imporrà giocoforza altrettanto grossi sacrifici per tutti a prescindere dalla logica con la quale si è inteso ripartirla.

Il primo sacrificio in ordine d’importanza riguarda il taglio dei finanziamenti agli enti locali, nell’ordine dei 5 miliardi di euro. Questo taglio si ripercuoterà automaticamente su servizi essenziali quali sanità e scuola ed indurrà le amministrazioni a recuperare almeno parzialmente il minore gettito attraverso l’introduzione di nuove tasse e l’innalzamento delle aliquote di quelle che già esistono.
A questo riguardo è probabile l’introduzione del ticket sul pronto soccorso (fatti salvi i casi più gravi) sulle ricette, l’aumento di oltre il 10% dei ticket sulla diagnostica e sulle prestazioni specialistiche, l’introduzione della “tassa di scopo” e la devoluzione del catasto a partire da Febbraio 2007.
E’ bene sottolineare come il taglio dei finanziamenti agli enti locali e tutte le sue conseguenze in termine di decadimento del servizio e aumento della tassazione colpirà in maniera indiscriminata tutti i cittadini a prescindere dall’entità del loro reddito, rivelandosi in proporzione maggiormente gravoso per coloro che hanno scarsa disponibilità finanziaria e non possono oltretutto permettersi a livello sanitario e scolastico l’alternativa privata.

Dopo le accese discussioni delle ultime settimane le pensioni non dovrebbero essere oggetto d’interventi sostanziali, tranne un ritardo nei tempi “di uscita” per coloro che andranno in pensione il prossimo anno.
Sarà però anticipata al 2007 la riforma del TFR che da tempo suscita forti perplessità. In questo ambito l’intenzione sembra quella di destinare all’INPS al fine di “ossigenarla” una quota del TFR che precedentemente restava immobilizzata nelle aziende.

In campo IRPEF è previsto un modesto innalzamento (da 7500 a 8000 euro) del vergognosamente basso limite di reddito sotto al quale non si pagano le tasse, tale da consentire al massimo il recupero dell’inflazione. A questo proposito credo sia doveroso sottolineare come il vero problema che affligge chi deve sopravvivere con un reddito di 600/650 euro al mese non risieda certo nelle tasse ma nell’impossibilità di mettere tutti i giorni qualcosa sotto i denti e dotarsi di un riparo contro le intemperie.
Dovrebbe (anche se le discussioni a questo riguardo sono ancora molto accese) salire al 43% l’aliquota per i redditi superiori ai 70.000 euro e diminuire leggermente quella per i redditi inferiori ai 40.000 euro, intervento che se sarà confermato si manifesterà, insieme all’aumento degli assegni famigliari per i redditi medio/bassi, come l’unico di tutta la finanziaria vagamente ispirato all’eroe popolare inglese.

La tassazione delle rendite salirà al 20% uniformandosi agli altri paesi europei, anche se si ventila che da questa operazione potrebbero essere esentati i nuovi “bond-infrastrutture” verso i quali si vuole evidentemente indirizzare l’attenzione del risparmiatore.

Saranno aumentati i contributi dei lavoratori autonomi e parasubordinati, colpendo anche in questo caso in maniera indiscriminata milioni di contribuenti dalla componente estremamente eterogenea. Non esistono infatti affinità di reddito fra un ricco notaio e il ragazzo che guida il camion dei gelati, il titolare di un grande magazzino e un rappresentante di prodotti per cartoleria, un farmacista e la signora che sopravvive dentro una piccola merceria.

Sono previsti svariati interventi per sostenere il mezzogiorno, dal deja vu del bonus automatico per le imprese che assumono e fanno investimenti, al progetto d’importazione francese che consiste nell’individuazione di alcune aree nelle quali sarà possibile avviare nuove piccole attività imprenditoriali con sgravi fiscali e contributivi, fino al creativo escamotage di destinare le risorse stanziate per la costruzione del Ponte di Messina alla costruzione nel meridione di quelle infrastrutture basilari che attualmente mancano.

Sarà introdotta una supertassa per i SUV nel tentativo incomprensibile di colpire le categorie più ricche solamente in funzione del fatto che viaggino su un fuoristrada anziché in coupè o sullo station wagon. Per pareggiare il conto saranno esentati dal pagamento del bollo di circolazione per 5 anni coloro che dal primo gennaio 2007 acquisteranno un’auto euro4. Un provvedimento di falso spirito ecologico volto da un lato a favorire il monopolista italiano delle automobili, dall’altro a penalizzare le categorie meno abbienti che oltre al danno consistente nel non potersi permettere di cambiare l’auto, subiranno anche la beffa di pagare un balzello dal quale i redditi più alti (sempre che non incorrano nell’errore di acquistare un SUV) saranno esentati.

Il pubblico impiego è oggetto di feroci singolar tenzoni fra le varie parti dello stesso governo e le organizzazioni sindacali.
Le risorse destinate al rinnovo dei contratti allignano ancora nell’imponderabile mentre sembra sarà preso per buono l’assurto in virtù del quale sarà possibile assumere un lavoratore ogni 5 effettivi che per pensionamento o altro usciranno dal lavoro. Una condizione che porta automaticamente a riflettere sulle prospettive di occupazione che s’intendono dare ai giovani in questo paese.
Sarà riproposta la (spesso ventilata dal governo Berlusconi) polizza obbligatoria per i danni dovuti a calamità naturali. Un provvedimento finalizzato a preservare lo Stato da grandi esborsi in caso di terremoti, alluvioni ed altre catastrofi il cui costo ricadrà inevitabilmente sulle spalle dei cittadini proprietari di un immobile (la stragrande maggioranza degli italiani) con un peso inversamente proporzionale alla loro capacità di reddito.

sabato 23 settembre 2006

Più veloci della vita

Marco Cedolin

Ieri in Germania, nella tratta di 31 km fra Lathen e Melstrup, il Transrapid, un vero mostro tecnologico in grado di declassare i TAV nostrani al ruolo di anacronistici retaggi del passato, si è schiantato alla velocità di 200 km/h contro una piattaforma mobile destinata alla manutenzione causando la morte di 23 fra i 30 passeggeri del convoglio.
Un brivido corre lungo la schiena al solo pensiero di cosa sarebbe potuto accadere se anziché una corsa di prova con una trentina di passeggeri a bordo si fosse trattato di una normale corsa di linea con il convoglio occupato da centinaia di persone e i brividi si moltiplicano se pensiamo che il treno si è praticamente polverizzato a 200 km/h, una velocità inferiore alla metà di quella massima di 450km/h di cui il Transrapid è accreditato.

La causa della sciagura è stata attribuita ad un errore umano imputabile agli addetti alla manutenzione, ma il vero errore umano si palesa senza dubbio nello sciagurato progetto che pone sulla rotaia (per la precisione a circa 10 cm. dal suolo trattandosi di un treno a levitazione magnetica) un mezzo privo di conducente in grado di sfrecciare ad oltre 400 km/h nell’evidente impossibilità di porre rimedio ad una imprevista situazione di pericolo.

Il treno a levitazione magnetica, attualmente a livello mondiale operativo solo nel collegamento fra Shanghai ed il suo aeroporto, rappresenta il gradino successivo al TAV nella scala evolutiva dei treni superveloci. Rispetto al “nonno” può vantare una superiore velocità ed un minore impatto ambientale delle infrastrutture (pur sempre fortemente invasive) deputate a farlo correre. La complessità delle stesse infrastrutture le rende però enormemente costose ed esistono forti perplessità legate alle conseguenze sul corpo umano del forte campo magnetico necessario per muovere il treno.

L’incidente tedesco, oltre a porre in risalto la pericolosità di sistemi di trasporto tanto avveniristici quanto scarsamente inclini al rispetto delle più elementari regole della sicurezza, ci porta ad una riflessione sulla spasmodica ricerca di “velocità” che ammorba la nostra società contemporanea. E’ lecito domandarsi quante risorse energetiche ed ambientali sia ragionevole sacrificare sull’altare di un molte volte risibile risparmio di tempo.
Nonostante la diffusa propensione all’ipercinetismo e un’artificiosa “fretta compulsiva” che sempre più s’insinuano nelle nostre giornate, credo sarebbe opportuno riconsiderare razionalmente ritmi e tempi che ci stanno sempre più sfuggendo di mano.

Una normale linea ferroviaria, scarsamente impattante dal punto di vista ambientale, sulla quale corrano treni altrettanto normali, pilotati da un conducente in carne ed ossa, possibilmente puliti e sicuri, rappresenterebbe un vero segnale di progresso.Il futuro non alligna nell’illusorio risparmio di tempo pagato a caro prezzo ma nella capacità di usare in maniera costruttiva il tempo che si ha a disposizione, premurandosi che ne ereditino un poco anche i nostri nipoti.

venerdì 8 settembre 2006

L'arte del nemico invisibile

Marco Cedolin

Quando intorno al V secolo AC il Maestro Sun Tzu si accingeva a scrivere “l’arte della guerra” non esistevano ancora i mass media, la televisione e le registrazioni digitali. Non si stava avvicinando il quinto anniversario dell’11 settembre e Al Jazira doveva ancora lanciare nelle edicole il nuovo video dell’infinita produzione CIA, incentrato sulle bucoliche passeggiate di Osama Bin Ladin intento a progettare la distruzione delle Torri Gemelle, mentre con passo sicuro pratica esercizio di trekking fra le montagne dell’Afghanistan.

Nonostante ciò il suo libretto universalmente considerato un vero capolavoro nell’ambito della strategia militare è stato tramandato fino ai nostri giorni, contribuendo alla formazione di generazioni e generazioni di generali ed esperti militari. Insegnamenti vecchi di oltre duemila anni sembrano essere di un’attualità sconcertante, tanto universale pur nella sua semplicità è la valenza dei concetti esposti.
Esiste però un piccolo particolare in virtù del quale il libretto di Sun Tzu si mostra anacronistico ed incapace d’interpretare la realtà dei nostri giorni, fatta di videoclip e di dissolvenze.
Sun Tzu nel suo componimento immagina sempre di avere di fronte un vero nemico. Un nemico in carne ed ossa per intenderci, magari scaltro, magari coraggioso, talvolta numericamente superiore, altre volte inferiore, talvolta propenso ad attaccare in massa oppure a tergiversare ma sempre e comunque dotato di una dimensione reale.

Nel mondo di Sun Tzu l’esistenza di un nemico era prerogativa imprescindibile perché fosse necessario l’uso “dell’arte della guerra”, nel mondo di Geoge Bush e di tutta la schiera di feudatari che ne compongono la corte, la prerogativa è costituita invece dalla guerra (artistica o meno poco importa non essendo i firmatari del PNAC palati così fini) e in mancanza di un nemico si procede a costruirlo “in laboratorio”. Nessun nemico sarà mai perfetto e funzionale a giustificare le mira imperialistiche di una nazione o di un blocco di nazioni come un nemico che non esiste.

Il nemico che non esiste è il più scaltro di tutti, il più feroce di tutti, il più pericoloso di tutti, e conseguentemente il più detestabile. Il nemico che non esiste compare e scompare con la velocità di una tigre, colpisce senza pietà, alligna dappertutto ed in nessun posto ed è immarcescibile.
Nel mondo di Sun Tzu i nemici (quelli reali) venivano sconfitti e le guerre finivano, in quello dei nostri giorni i nemici (costruiti in laboratorio) si rigenerano come per incanto e la guerra diventa un’arte permanente da portare avanti giorno dopo giorno per conseguire gli scopi più svariati.
Nel mondo di Sun Tzu i generali badavano alla strategia ed i soldati combattevano contro altri soldati. Nel nostro le strategie vincenti sono quelle dei mass media con le loro schiere di pennivendoli, produttori di videoclip e opinionisti da talk show, mentre battaglioni di mercenari e droni (intelligenti?!) massacrano popolazioni civili.

Nel nostro mondo si avvicina il quinto anniversario dell’11 settembre, forse la più grande e drammatica rappresentazione filmica che la storia abbia mai conosciuto ed il nemico che non esiste diventa ogni giorno più invisibile e al contempo onnipresente, un nemico camaleontico che si specchia nel viso smunto di Osama Bin Ladin a passeggio fra le montagne o nelle foto segnaletiche dei “terroristi” pachistani autori di un attentato che non è mai esistito, con buona pace del Maestro Sun Tzu che al nemico invisibile non aveva proprio pensato.

domenica 3 settembre 2006

Rutelli ha scoperto le ferie permanenti

Marco Cedolin

Nell’atmosfera pesante che permea questi primi giorni di settembre, fra le pieghe di argomenti spinosi e complessi quali la nuova finanziaria, il destino delle pensioni, la missione italiana in Libano, il problema del difficile risanamento del debito pubblico del Paese che sembra dovere giocoforza passare attraverso l’incremento del debito personale di coloro che il paese lo abitano, per fortuna c’è ancora spazio per sorridere. Magari si tratterà di un sorriso amaro, più simile ad un tic nervoso che non a quei sorrisi distesi e giocondi che traggono spunto dalla gioia dell’animo ma siccome “accontentarsi” è la prima regola per assurgere alla felicità è impossibile non essere grati al Vice Presidente del Consiglio Francesco Rutelli per le esternazioni pronunciate in quel di Cernobbio.

Rutelli ha esordito affermando “come sia tempo che gli italiani cambino le loro abitudini per quanto riguarda le vacanze” dimenticando che negli ultimi anni per una grossa parte d’italiani si è purtroppo persa proprio l’abitudine di andare in vacanza a causa dell’evidente indisponibilità a recuperare quei quattrini indispensabili per trasmigrare verso i luoghi deputati all’ozio e alla contemplazione. Il Vice Presidente del Consiglio si è poi chiesto “se sia giusto che nel 2006 si vada in vacanza come si andava nel 1966” nonostante il progresso (aggiungo io che a sorridere ci provo sempre un gran gusto) ci abbia finalmente affrancati da quei mezzi obsoleti (auto e moto) che nel 1966 erano indispensabili per raggiungere le spiagge e i monti.“Basta con i tre mesi estivi, l’Italia deve adeguare le sue vacanze ad un nuovo modo di fare turismo” che contempli dunque tutti i mesi dell’anno, continua Rutelli che poi aggiunge come questa sua proposta già portata in Consiglio dei Ministri avrebbe ricadute importanti “su quella grande industria nazionale, con grandi potenzialità che è il turismo”.

Premesso il radicale cambiamento (in parte voluto e in parte obbligato) delle abitudini degli italiani che da molti anni a questa parte si sono visti costretti o hanno scelto di mutuare il canonico “mese di agosto in vacanza” proprio degli anni 60/70 con periodi molto più brevi spalmati nel corso dell’anno, fino ad arrivare al weekend mordi e fuggi, davvero si fatica non poco ad evitare di sorridere entrando nel merito delle parole pronunciate dal vice Premier. Anche nel 2006 l’aereo, poco inquinante e poco costoso, per quanto ne sia aumentato l’uso è ancora lontano dall’essere in cima alla lista dei mezzi di trasporto adottati dagli italiani che per andare in vacanza continuano a preferire mezzi anacronistici quali l’auto, la moto ed il treno come nel 1966 e questo piccolo particolare sembra essere il primo a rivelarsi in netto contrasto con il progetto di Rutelli.L’impiegato di Milano, come l’operaio di Torino, il bancario di Prato o l’insegnante di Frosinone, condannati alle “ferie” nei mesi di ottobre e novembre o gennaio e febbraio credo avrebbero qualche difficoltà a distendersi sulle spiagge umide e gelate della riviera romagnola, pur sostituendo l’olio solare con abbondanti dosi di grasso di foca e certo non andrebbe meglio a coloro che scegliessero le rive del Tirreno, il mare della Sardegna o il fascino del Lago di Garda, sulle cui sponde oltretutto la nebbia li metterebbe a rischio di colossali capocciate durante la passeggiata sul bagnasciuga.
Credo il discorso sarebbe paritetico ed il divertimento assai contenuto anche per coloro che “usano” le ferie per abitare la casa in campagna (per pagare l’ICI della quale sacrificano almeno un mese del loro stipendio) alle prese con la bruma mattutina e la natura decorata dalla galaverna sarebbero costretti a “sopravvivere” lunghe penose giornate davanti al camino a giocare a carte, per evitare di diventare anche loro parte integrante (congelata) dell’immagine poetica che la natura offre di sé quando giace addormentata durante il sonno invernale.
Anche i soggiorni negli agriturismo e le visite alle città d’arte perdono gran parte del loro fascino quando si deve combattere contro l’inclinazione dell’ombrello, il vento gelato che ti sferza la faccia, i piedi che iniziano ad intorpidirsi, la navigazione a vista nelle pozzanghere ed altre esperienze che accompagnano immancabilmente il deambulare nelle nostre città durante i mesi invernali.Pur comprendendo quanto Rutelli confidi nello stravolgimento del clima indotto dall’effetto serra, l’unica possibilità per il forzato delle ferie Autunno/Inverno resterebbe dunque quella dell’espatrio coatto verso qualche località esotica , ammesso che le sue finanze possano sostenerlo in questo intendimento.

Le ricadute di un simile progetto sull’industria del turismo nazionale sarebbero perciò sicuramente importanti, come dice Rutelli, ma solamente perché condurrebbero sul lastrico gran parte degli albergatori, stabilimenti balneari, agriturismo, e tutti coloro che operano nell’ambito dell’accoglienza turistica nel nostro paese. Costringere una parte d’italiani a trascorrere le ferie all’estero, disertando le località di casa nostra non mi sembra un grande esercizio di buon senso, ma piuttosto un’idea balzana e pericolosa a prescindere dal fatto che si rapporti con la realtà del 1966 o del 2006.

La proposta delle “ferie permanenti” sempre che non si confondano le ferie con la disoccupazione, troverebbe anche parecchi scogli nell’ambito dell’integrazione con l’anno scolastico. Rutelli a questo proposito afferma di averne già parlato con il Ministro della Pubblica Istruzione Fioroni e da questo confronto d’idee forse nascerà un nuovo sistema di valutazione delle assenze scolastiche fondato sui debiti e crediti in questo caso vacanzieri e non formativi.
Potrebbe non essere inusuale in futuro prossimo vedere le scuole aperte nel mese di agosto, così incuranti della canicola e del solleone il ragazzino umbro trascinato dalla famiglia nel mese di novembre su quel ramo del lago di Como tanto caro al Manzoni potrà ascoltare la lezione della professoressa toscana che ha trascorso metà gennaio fra i licheni della tundra di Riccione, entrambi figli del progresso e della crescita, della fantasia.

lunedì 28 agosto 2006

Armiamoci e partite

Marco Cedolin

Dopo settimane dense d’incertezza, dichiarazioni, smentite, ipotesi, ambizioni di comando, comandanti ambiziosi e governi recalcitranti, il “grande giorno” sembra davvero essere arrivato.La prima missione (di guerra? Di pace?) del governo Prodi sta spiegando le vele in direzione del Libano dove dovrebbe giungere nella giornata di venerdì.
Questa notizia, la sommaria composizione della forza militare italiana deputata, almeno inizialmente, a costituire il nostro contributo alla forza d’interposizione che stazionerà in Libano sotto la bandiera dell’ONU e le prime stime dei costi della missione stessa sono in realtà le uniche certezze.
Si tratta di 5 navi con circa 2500 uomini (compresi 1500 marinai che costituiscono gli equipaggi) prevalentemente fanti di Marina del reggimento San Marco, 120 lagunari dell’esercito e un numero imprecisato di piloti di elicotteri e caccia AV8B con i loro mezzi, il tutto al comando dell’Ammiraglio Giuseppe De Giorni.Un migliaio di uomini destinati dunque a prendere posizione in terra libanese nell’attesa che entro un paio di mesi possano essere integrati e sostituiti da altri commilitoni fino al raggiungimento delle 3000 unità previste.La prima ipotesi di costo stimato parla di circa 65 milioni di euro il mese, cioè quasi 800 milioni di euro l’anno, un esborso certo non indifferente per un paese come l’Italia, la cui condizione economica disastrata è fra le peggiori d’Europa, se pensiamo che costituisce quasi la metà della cifra (2 miliardi di euro) che Tremonti nella scorsa finanziaria tagliò a regioni, province e comuni, suscitando polemiche e malcontento. Concluso il breve elenco delle certezze non possiamo prescindere da quello di tutto ciò che certo non è, anzi in molti casi sembra profondamente restio a diventarlo.

La forza d’interposizione posta sotto la bandiera dell’ONU dovrebbe restare sotto comando francese fino a febbraio 2007 allorquando toccherà all’Italia assumerne le redini. Il numero dei militari partecipanti alla missione è sceso dai 15000 inizialmente previsti a circa 6900 dei quali 2000 francesi, 3000 italiani (quasi la metà dell’intero contingente) ed i restanti da dividersi fra altri paesi europei ed islamici ancora in fase di definizione.I caschi blu non avranno il compito di disarmare gli Hezbollah ma quello di monitorare la cessazione delle ostilità e coadiuvare i militari libanesi nell’impedire l’ingresso di armi nel paese.Potranno usare le armi in caso di minaccia o intento ostile (sarebbe stato parossistico immaginare dei soldati che si lascino sparare addosso senza reagire) e dovranno richiamarsi ai dettami della risoluzione 1701.
Anche se Prodi e buona parte degli uomini politici italiani si dicono soddisfatti dalla definizione delle regole d’ingaggio, appare evidente come le vaghe indicazioni contenute nella risoluzione 1701 lascino aperte una serie infinita d’interrogativi e perplessità. L’Italia pur non trovandosi inizialmente sul ponte di comando mette sul campo quasi la metà dell’intero contingente e per forza di cose si assume in assoluto la maggiore responsabilità in seno ad una missione ad alto rischio che oltretutto non coordina personalmente.

La forza d’interposizione costituita quasi all’80% da soldati italo – francesi sarà in grado d’imporre in maniera equanime il rispetto della tregua anche di fronte alle probabili violazioni messe in atto da Israele? E nel caso che queste avvengano quale dovrà essere l’atteggiamento dei caschi blu? L’ipotesi di una reazione violenta nei confronti d’Israele sembra aliena anche alla più fervida fantasia, ma nel caso si scelga la semplice “osservazione” lo stesso metro andrà applicato anche nei confronti di Hezbollah e la funzione dei caschi blu si ridurrà a quella di spettatori oltretutto paganti. A questo riguardo (fermo restando i 3000 soldati italiani il cui numero non è cambiato) sarebbe stata preferibile una forza di 15000 uomini il cui peso sarebbe risultato sicuramente maggiore. Per quale ragione gli altri Paesi, europei e non, si sono guardati bene dal profondersi in un contributo corposo ad una missione che viene spacciata come importante e da tutti condivisa? Paura? Opportunità? Egoismo? Lungimiranza?I soldati ONU dovranno impedire l’importazione di armi ma la Siria ha già affermato a più riprese di non gradire ingerenze alle sue frontiere e un compito del genere si presenta quanto mai ostico, soprattutto in virtù del fatto che nessuna limitazione al riguardo viene imposta ad Israele.In maniera analoga i caschi blu dovranno contribuire a creare nel sud del Libano una zona libera da personale armato (Hezbollah) ma non avranno alcun compito di questo genere in territorio israeliano a ridosso del confine.In sostanza la missione dovrebbe tendere a preservare la sicurezza d’Israele, senza fare altrettanto per la sicurezza della popolazione libanese, stazionando oltretutto in un territorio a larga maggioranza sciita.
I presupposti per delle frizioni con la popolazione locale e con Hezbollah ci sono dunque tutti anche senza tener conto dell’eventualità che qualche soldato (spaventato o su di giri) manifesti la propensione ad avere il “grilletto facile”.Al tempo stesso permane il timore (a pensar male troppo spesso ci si prende) che Israele possa “usare” la forza d’interposizione come oggetto di qualche attentato da attribuire ad Hezbollah, finalizzato a screditare le milizie sciite in occidente a proprio uso e consumo.L’ennesima missione (di pace? Di guerra?) si presenta indubbiamente come la più ostica e complicata fra quelle sul tappeto. In Libano non sarà possibile rinchiudersi dentro ad un fortino in un angolo dimenticato del paese come abbiamo fatto in Iraq, né tanto meno restare all’ombra dei soldati americani come in Afghanistan. In Libano il rischio per i nostri soldati sarà enormemente maggiore, lo dimostra in maniera inequivocabile la scarsità dei nostri compagni di viaggio.

Il fatto che quasi tutti si siano defilati o abbiano assunto posizioni di basso profilo avrebbe dovuto far riflettere tanto il governo quanto l’opposizione.L’orgoglio e la ricerca della fama purtroppo sono spesso sirene che giocano brutti scherzi (il nostro passato è infarcito di esempi in merito) e anche Romano Prodi non ha saputo trattenersi dal gridare Armiamoci e Partite, sono partiti, forse è giunta l’ora d’iniziare davvero a preoccuparsi.

sabato 26 agosto 2006

Quando i caprioli danneggiano l'ambiente

Marco Cedolin


Da sempre mi vengono i brividi quando mi accingo a leggere “il mondo secondo Mercedes Bresso” pessimo libro infarcito di visionaria lucidità che ogni mese si arricchisce di qualche nuovo capitolo.
La visione della realtà che il Governatore Bresso e la maggioranza che la sostiene in seno alla Regione Piemonte tentano di portare avanti è tanto bizzarra quanto agghiacciante poiché in grado di stravolgere tutto e tutti a loro esclusivo uso e consumo.

In questa sorta di realtà parallela il Piemonte giace isolato dal resto del continente europeo, pur transitando attraverso la sola Valle di Susa ben un terzo di tutto il traffico merci che valica l’arco alpino.
Il TAV è talmente indispensabile da trasmutare a questione di vita o di morte, poiché ritenuto l’unico mezzo idoneo a trasportare quelle merci che mai sono esistite nella nostra realtà mentre invece abbondano e s’incrementano in maniera esponenziale in quella del Governatore.
La colpa dell’inquinamento è tutta di coloro che irrispettosi dell’ambiente e talvolta pure colpevoli di essere poveri, si ostinano a possedere un’auto di vecchia generazione con la quale osano transitare su quelle strade per usare le quali pagano annualmente un salatissimo bollo di circolazione.
Gli inceneritori, come quello che sorgerà al Gerbido, s’integrano perfettamente con l’ambiente, anzi finiscono per costituire un valore aggiunto poiché carichi di messaggi architettonici, così come architettonicamente gradevoli saranno i nuovi depositi che la Sogin costruirà per le scorie radioattive di Saluggia.
Nella realtà di Mercedes Bresso perfino le acciaierie Beltrame di San Didero, un mostro in grado d’inquinare quanto 20 megainceneritori immerso nel bel mezzo di una valle alpina, sono in sintonia con l’ambiente circostante e la vocazione agricolo/turistica che ad una valle alpina dovrebbe per forza appartenere.
Autostrade, tunnel, ferrovie (possibilmente ad alta velocità) ponti, centrali idroelettriche, viadotti, mega centri commerciali ed ogni altro manufatto di derivazione cementizia sono dunque in “Mercedes nel paese delle meraviglie” gli unici strumenti in grado di permettere una sana integrazione dell’uomo con la natura e l’ambiente, un’integrazione rispettosa degli animali, delle piante, dell’uomo e soprattutto del cemento che serve a “legarli” insieme in un quadretto cosmico intriso di felicità.

Ma i caprioli no!
I caprioli nel mondo di Mercedes Bresso proprio non ci devono stare, o meglio non ci possono stare tante sono le loro colpe imperdonabili ed inqualificabili.
I caprioli danneggiano l’ambiente peggio di quanto non lo faccia un cementificio o un’acciaieria, mangiano ed in quanto mangiatori devastano (novelle locuste) i raccolti rovinando la fiorente agricoltura piemontese e come se non bastasse ogni giorno si gettano contro le auto in corsa sulle strade di montagna, occupando un ambiente che non è il loro, osando ribellarsi come novelli attentatori suicidi, all’occupazione che il cemento e l’asfalto devono fare della montagna, affinché l’integrazione con la città non risulti solamente utopia.
I caprioli non hanno scusanti, sono tanti, troppi perché l’ambiente possa sostenerli, probabilmente le loro emissioni di diossine e pcb sforano di molto le norme europee e anche il loro respiro affannoso (perché corrono, corrono troppo) contribuisce ad impedirci di rispettare gli accordi di Kyoto.

E allora avanti con la mattanza, ne verranno uccisi circa 5000, nonostante il dissenso del Ministro per l’Ambiente Pecoraio Scanio, nonostante le proteste degli animalisti e degli ambientalisti, nonostante la logica più elementare avrebbe imposto almeno un ripensamento.
Fuori i caprioli dal mondo di Mercedes Bresso, per far spazio a nuovi tunnel, ponti, viadotti, strade, autostrade, ferrovie, centrali elettriche, inceneritori.
Una volta eliminati i caprioli poco rispettosi dell’ambiente, veri usurpatori di aria e spazio, sorge spontaneo domandarsi a chi toccherà la prossima volta.Le rondini? I cani? i gatti? Le lepri? Le marmotte? Gli scoiattoli? Oppure qualche specie umana come i valsusini incazzati e sfaccendati impenitenti?

mercoledì 23 agosto 2006

Tutti ci vogliono caput mundi

Marco Cedolin

Quando tutti ti vogliono a capo di un progetto può significare che sei il più bravo oppure che il rischio di fallimento connesso al progetto stesso appaia talmente alto da far si che nessuno abbia intenzione di accollarselo.La forza d’interposizione che sotto la bandiera dell’ONU dovrebbe contribuire a consolidare la tregua fra Israele ed Hezbollah come previsto dalla risoluzione 1701 è ormai in fase di gestazione da una decina di giorni durante i quali è stato detto e scritto tutto ed il contrario di tutto senza che sia stato fatto alcun passo in avanti. I passi indietro al contrario sono stati molti se è vero che la Francia deputata inizialmente al comando della missione stessa non solo si è defilata dal ruolo di leader ma ha anche ridotto il potenziale del proprio contributo da alcune migliaia a circa 200 uomini. La Germania si è detta disponibile solamente al pattugliamento delle coste, Stati Uniti ed Inghilterra si sono chiamati fuori fin dall’inizio da una partecipazione attiva al contingente ed i resto dei paesi europei attende perplesso che vengano definiti nel dettaglio il ruolo ed i compiti dei caschi blu. Le regole d’ingaggio ed i compiti specifici della forza d’interposizione costituiscono infatti la cruna dell’ago attraverso la quale inevitabilmente dovranno passare tutte le aspirazioni connesse a questo progetto. Ancora una volta l’ONU sta dando prova della propria inanità, pietrificata in quell’immobilismo figlio della sua sudditanza agli Stati Uniti e ad Israele.La risoluzione 1701 (che il Presidente Bush ha dichiarato sarà seguita a breve da una nuova risoluzione) ha avuto il merito indiscutibile di costituirsi quale presupposto per la tregua ma al contempo si è rivelata un vero e proprio boomerang che impedisce di tradurre in realtà qualunque ipotesi di missione militare non belligerante.

Il disarmo delle milizie Hezbollah ed il presidio dei confini affinché le milizie stesse non possano “importare” armi sono due punti fermi che se da un lato garantiscono il favore d’Israele dall’altro privano il contingente ONU di tutti i presupposti necessari ad intraprendere una missione pacifica.Anche se il disarmo di Hezbollah dovrebbe spettare secondo la risoluzione all’esercito libanese e non ai caschi blu, tutti gli esperti militari non hanno mancato di mettere in luce la situazione di estremo pericolo nella quale verrà a trovarsi il contingente in mancanza di regole precise e di compiti ben definiti.Precisare le regole e definire i compiti in funzione della risoluzione 1701 significa però inevitabilmente dare alla forza d’interposizione il carattere di una missione belligerante pronta a combattere e sparare per far rispettare quelle stesse regole che stanno alla base della risoluzione. Si chiude così il circolo vizioso in quanto una missione belligerante si troverebbe comunque in situazione di estremo pericolo con il rischio di pagare un alto tributo in termini di vite umane.

Nessun governo europeo, tanto meno quello italiano può permettersi uno stillicidio di bare che giorno dopo giorno tornano a casa trasportate da un aereo militare. Così come nessun governo europeo credo sia disposto, solo per compiacere Israele e l’amministrazione Bush, ad infilare a cuor leggero i propri soldati dentro un cul de sac dal quale sarebbe poi difficilissimo uscire.Di contralto affinché la missione possa assumere carattere pacifico ed i rischi essere contenuti in una dimensione ragionevole occorrerebbe che l’ONU prescindesse dal disarmo di Hezbollah e dal presidio dei confini, deputando alla forza d’interposizione solo un compito di “cuscinetto” funzionale alla preservazione del cessate il fuoco nell’attesa che la “politica” si faccia carico di risolvere le altre questioni.Difficilmente Israele e gli Stati Uniti saranno disposti ad accettare una missione contenuta in questi termini ed ecco palesarsi i presupposti per la stasi di queste settimane, una stasi che rischierà di protrarsi a lungo, mascherata dalla babele di dichiarazioni e smentite, condite da una ridda di riunioni ed incontri ad alto livello durante i quali non si decide nulla perché nulla vi è da decidere se non si sceglie di cambiare le basi stesse del contendere.Nella babilonia di questi giorni tutti chiedono che l’Italia prenda il comando della missione in Libano, una richiesta che non ha mancato d’inorgoglire Romano Prodi che si è detto felice, se l’ONU lo domanderà, di prendere in mano le redini.

Resta da capire le redini di cosa perché quelle dell’Armata Brancaleone è meglio lasciarle all’interpretazione dell’indimenticato Vittorio Gassman.

martedì 8 agosto 2006

Non serve un grande medico ma una tessera di partito

Marco Cedolin

Lo chiamano “spoil system” e tradotto nella lingua che ci dovrebbe essere propria significa pressappoco rivoluzionare politicamente tutti i vertici delle varie istituzioni esistenti nel paese ad ogni cambio di colore della maggioranza di governo.
In una dimensione politica come quella del nostro paese, ormai da un paio di decenni in balia dell’alternanza, la pratica d’insediare sulle varie “poltrone che contano” l’amico o l’amico del partito, scalzando il predecessore senza curarsi dei risultati del suo operato, si qualifica come esercizio scarsamente virtuoso e spesso nocivo nell’ottica di una buona gestione della “cosa pubblica”.
In questa sorta di resa dei conti quinquennale sarebbe auspicabile che i “tagliatori di teste” facessero ricorso almeno ad un minimo di logica e sensibilità quando si apprestano a falcidiare settori altamente delicati quali la salute pubblica e la ricerca. Settori laddove i programmi portati avanti nelle singole strutture sono spesso a medio termine e travalicano abbondantemente il battito di ciglia di una legislatura.

Logica e sensibilità non sono certo venute in soccorso del neo Ministro della Salute Livia Turco che procedendo nell’applicazione dello “spoil system” ha pensato bene di sostituire alla Direzione scientifica dell’Istituto dei tumori Regina Elena di Roma, il professor Francesco Cognetti (reo di essere stato a suo tempo nominato da Berlusconi) oncologo di fama internazionale, con l’epidemiologa dottoressa Paola Muti.
Senza sindacare sulla valenza professionale di entrambi i soggetti in questione, (su quella del ministro sarebbe invece logico azzardare più di qualche ragionevole dubbio) fermo restando la convinzione che trattandosi di lotta ai tumori la figura di un oncologo fosse quanto mai appropriata, ciò che colpisce maggiormente è l’assoluto disinteresse dell’autorità politica nei confronti dei risultati che il professor Cognetti ha ottenuto durante questi anni.
In un paese come l’Italia dove per acquistare la proprietà di una farmacia occorre per forza essere medici ma può bastare una laurea in filosofia per diventare ministri della salute tutto sembra piegarsi alla logica dei partiti che distribuiscono il potere talvolta in spregio alle più elementari regole del buon senso.

Il filosofo Livia Turco non ha tenuto conto del notevole prestigio di cui il professor Cognetti gode anche a livello internazionale e neppure del fatto che in 5 anni sia riuscito ad incrementare concretamente dell’800% le ricerche scientifiche sul cancro. Non ha tenuto conto del fatto che nello stesso periodo grazie all’attività “promozionale” del professor Cognetti l’entità dei finanziamenti sia pubblici che privati verso l’Istituto sia più che raddoppiata, nonostante i tagli ai fondi per la ricerca presenti nelle ultime finanziarie.
Così come non ha tenuto conto del fatto che il professor Cognetti ha recentemente elaborato un interessante progetto nel campo dell’oncologia molecolare che, se portato avanti, nei prossimi anni potrebbe produrre ottimi risultati.

La decisione ha sollevato molte polemiche non solo da parte degli esponenti del mondo scientifico, ma anche di molti uomini politici sia di opposizione che di maggioranza, fra i quali Rizzo dei Comunisti italiani, Di Pietro dell’Italia dei valori e Ronchi di Alleanza Nazionale. E’ drammatico constatare come in un mondo politico che si finge sensibile alla meritocrazia e al conseguimento dei risultati i pochi personaggi che si sono distinti per la propria competenza e professionalità finiscano immolati sull’altare delle tessere di partito, con il risultato spesso disastroso di vanificare l’ottimo lavoro che stavano portando avanti.

La guerra buona che piace all'Occidente

Marco Cedolin

Spesso camminando per le vie della mia città in questi giorni di piena estate, durante i quali l’esercito israeliano sta massacrando la popolazione del Libano, mi capita di volgere lo sguardo all’insù alla ricerca di quelle bandiere che dovrebbero essere appese ai nostri balconi ma gli occhi si perdono nel vuoto delle ringhiere intercalato a qualche sdrucito tricolore reduce dal baccanale delle notti mondiali.
Il Primo Ministro israeliano Olmert, piglio da sceriffo e faccia da consumato agente del Mossad ha iniziato a bombardare il Libano con il proprio arsenale ipertecnologico, corredato oltretutto da una discreta dose di armi chimiche non convenzionali vietate dagli accordi internazionali, come ritorsione al rapimento di 02 (due) soldati israeliani da parte delle milizie Hezbollah che sembra abbiano rinvenuto la coppia di militari a passeggio sul proprio territorio.

Tutto è kafkiano in questa guerra motivata con ragioni ammissibili solo nel delirio di uno psicopatico ma accettate dalla Comunità Europea e dal nostro Presidente Romano Prodi che si sono limitati a mettere in luce una certa sproporzione nella risposta israeliana.E’ kafkiana la partigianeria con la quale il Ministro degli Esteri D’Alema è corso in Israele per distribuire a piene mani solidarietà ed appoggio, nonché l’impegno dei nostri soldati in una guerra mercenaria volta a disarmare le milizie Hezbollah e portare a termine la pulizia etnica nella regione. E’kafkiano l’atteggiamento di politici e giornalisti che per settimane hanno continuato a parlare di situazione critica evitando accuratamente di pronunciare la parola guerra mentre sul Libano venivano scaricate tonnellate di bombe e missili che radevano al suolo interi villaggi, ponti, infrastrutture, quartieri della Capitale, perpetuando un massacro ed una catastrofe dalle proporzioni inenarabbili.

Solo ad oggi, mentre il genocidio continua, a causa della crisi almeno 1000 civili libanesi, fra i quali moltissimi bambini, hanno trovato la morte fra le mura delle proprie case e circa un milione di persone (un quarto della popolazione totale del Libano) hanno dovuto abbandonare il tetto per trasmigrare alla condizione di profughi.La crisi che ora anche politici e giornalisti hanno iniziato a chiamare guerra ha riportato indietro di 50 anni un paese come il Libano che dopo un passato martoriato stava iniziando a conoscere un presente migliore fatto di pace e discreta prosperità. Il futuro sarà tale da far rimpiangere perfino il passato e parlerà il linguaggio che Israele sembra avere in serbo per tutto il Medioriente, un linguaggio fatto di vite spese dentro a campi profughi, di povertà assoluta, di macerie, di morte, di odio che cresce laddove si è ormai persa anche la speranza.
E’ kafkiano il tenore dei telegiornali e del circo mediatico occidentale all’interno del quale ci si ostina a proporre l’annientamento e l’invasione di uno stato sovrano come un conflitto fra due superpotenze. Il continuo paragone dal punto di vista militare fra gli attacchi dell’esercito israeliano e la risposta Hezbollah è puro esercizio di fantasia senza alcun riscontro nella realtà.Israele possiede uno fra gli eserciti più potenti, meglio addestrati e meglio armati del mondo, mentre gli Hezbollah rispondono a bombe e missili dalla potenza e precisione devastanti con razzi katyusha pericolosi soprattutto per gli uccelli.
Nonostante ciò i vari TG si ostinano a proporre l’inviato da Beirut che parla da una città in gran parte rasa al suolo in alternanza con quello da Haifa che illustra l’incendio di una drogheria o la distruzione di un paio di macchine parcheggiate.Fermo restando il convincimento che tutte le vittime civili meritino grande ed eguale rispetto, è enorme la sproporzione fra le strade ed i quartieri lindi e puliti di Haifa, dove le ambulanze arrivano entro 8 minuti dalla chiamata ed i feriti vengono trasportati in strutture ospedaliere allo stato dell’arte e il cumulo di macerie delle città libanesi. Macerie sotto le quali i poveretti vengono lasciati “marcire” per mezze giornate intere, poiché non esistono più strumenti per scavare e le ambulanze non arriveranno mai in quanto le strade sono ormai distrutte.

E’ proprio all’interno di questa sproporzione che nasce il convincimento di trovarci di fronte ad un’informazione partigiana e malata, poiché non si può chiamare incontro di boxe il pestaggio selvaggio di un bimbo di 3 anni da parte di un uomo nerboruto che brandisce una mazza da baseball.
E’ kafkiano l’atteggiamento dell’ONU, un organismo ormai privo di ogni credibilità, divenuto arma impropria nelle mani dell’imperialismo americano e dei suoi figli o padri che dir si voglia. Un organismo impaludato nel proprio immobilismo che riesce ad esperire solo piani di pace inaccettabili con lo scopo neppure troppo nascosto di concedere ad Israele il tempo necessario affinché l’opera di genocidio possa essere portata a completamento nella sua interezza.
E’ kafkiana l’intenzione d’inviare in Libano un corposo contingente militare internazionale (sotto la bandiera dell’ONU o quella della NATO) con il compito di portare a termine la pulizia etnica messa in atto da Israele, rendendo duratura l’occupazione del Libano e l’allontanamento dalle proprie case di un quarto della sua popolazione. Un contingente che gli stessi israeliani pretendono sia costituito da soldati pronti a combattere, ma combattere per chi e per cosa?

Ma in tutto questo teatrino dell’assurdo dove un morto israeliano conta quanto 15 cadaveri libanesi, in questa sorta di borsino della tragedia vissuto con ipocrita impotenza ciò che più mi amareggia è non ritrovare quelle bandiere. Dove sono le centinaia di migliaia di persone che in Italia sfilavano per le strade protestando contro l’imminente invasione dell’Iraq?
Dove sono i pacifisti con le loro bandiere, le loro convinzioni, il loro no alla guerra?Dove sono i balconi addobbati di bandiere arcobaleno a ricordare che non siamo ciechi ma abbiamo un’anima, una dignità e una coerenza?
Le ringhiere purtroppo restano vuote, come le piazze, come le coscienze smacchiate indelebilmente attraverso la voglia di vacanze, la coppa del mondo, l’ultimo concerto di Madonna e la serietà al governo.

venerdì 28 luglio 2006

Caos permanente

Marco Cedolin

Se la maggior parte degli argomenti sul tappeto non fossero pregni di drammatica serietà ci sarebbe quasi da sorridere nell’osservare la babele ormai fuori controllo, costituita dal canicolato serraglio della politica italiana.
Partiti, correnti, tradizioni consolidate nel tempo, alleanze di governo e di opposizione hanno ormai esondato dal proprio corso logico per confluire in una miscellanea la cui natura instabile la priva di ogni identità.
Silvio Berlusconi, il Cagliostro che per 5 anni ha illuso metà degli italiani promettendo “l’America” e contemporaneamente istigato l’altra metà a dare sfoggio dei propri istinti più bassi, sembra diventato un vecchio generale che ordina la carica senza avvedersi che le sue truppe hanno ormai da tempo sciolto le fila. Il centrodestra è evaporato come neve al sole di fronte alla manifesta impossibilità di fare opposizione contro le sue stesse idee.
Provate ad immaginare l’atteggiamento di Bertinotti o Diliberto se nella scorsa legislazione si fossero trovati di fronte il Cavaliere che proponeva il ripristino della scala mobile, l’estensione dell’articolo 18 e il disimpegno dei militari italiani dalle missioni all’estero.

Proprio Bertinotti dall’alto della sua carica istituzionale è fra le figure che destano più sorpresa, nel sentirlo propugnare la necessità della missione in Afghanistan e le ragioni dell’indulto si resta per un attimo basiti ma a condurci all’acme della sorpresa è il suo silenzio carico di parole riguardo alla sorte del popolo libanese e di coloro che abitano la terra di Palestina.
Di fronte al massacro del popolo libanese da parte dell’Imperatore Olmert, un uomo che è riuscito nel compito praticamente impossibile di far rimpiangere il vecchio Sharon, le parole del governo di centrosinistra sono suonate stonate quasi quanto quelle dell’opposizione. Perfino il Papa è riuscito ad andare molto oltre, affermando il diritto inalienabile del popolo libanese e di quello palestinese ad avere una propria patria libera da ingerenze esterne. A differenza di Romano Prodi che senza spendere una sola parola per le vittime del massacro si è limitato a giudicare sproporzionata la risposta israeliana, ritenendo forse che qualche carneficina in meno e un numero inferiore di profughi sarebbero stati invece una risposta congrua.

Il rifinanziamento della missione in Afghanistan, sospesa nel limbo fra guerra e pace, però in grado di produrre una trentina di morti ammazzati (presunti talebani) al giorno, trova contraria una grande parte della sinistra, da sempre pacifista. Questa contrarietà però si fermerà alla soglia del parlamento in quanto costoro voteranno a favore del rifinanziamento (contro i valori che gli sono propri da sempre) per evitare che il governo rischi di cadere. Viene spontaneo domandarsi se non fosse meglio prima quando Berlusconi finanziava le missioni all’estero, quelli di sinistra le chiamavano “missioni di guerra” e andavano in parlamento per esprimere il proprio voto contrario. Oggi il centrosinistra siede al governo ma contro le missioni militari non vota più nessuno, probabilmente ha ragione Gino Strada, uno dei pochi uomini che meritino veramente rispetto, quando afferma che il pacifismo è morto ed occorre iniziare a gridare “siamo contro la guerra”.

Di Pietro la cui fede nella legalità e nel diritto con annessa certezza della pena è da sempre risaputa si ritrova fianco a fianco con gli altri uomini del governo che propongono l’indulto e con Silvio Berlusconi che ringrazia e sorride con quel sorriso che troppe volte abbiamo avuto modo di ammirare.
Di Pietro si autosospende dalla sua carica ministeriale e con un escamotage degno della più fervida fantasia scende in piazza a creare un presidio contro la proposta d’indulto portata avanti dalla sua stessa maggioranza, il siparietto è comico ma almeno dimostra di possedere quel minimo di coerenza che non appartiene a tutti gli altri.
Nessuno si ricorda d’informare i cittadini che grazie all’indulto i criminali ex titolari dell’Eternit non solo scamperanno la propria condanna ma eviteranno anche di risarcire i parenti dei morti ammazzati dall’amianto nel corso degli anni, ma probabilmente questo e altri centinaia di casi similari vengono considerati anomalie senza importanza.

Casini e l’UDC si ritrovano a perfezione nei passi del governo al punto di sembrarne molto più parte integrante di quanto non lo siano molte forze della maggioranza.
Alleanza Nazionale, il partito oggi più vicino ad Israele, è ormai diviso su tutto ed ex di tutto, probabilmente anche ex membro della Casa delle libertà.
Sarebbe giusto spendere qualche parola anche sul decreto Bersani che dopo i tassisti è riuscito a far scendere in piazza perfino gli avvocati e i farmacisti, categorie non proprio abituate a spintonarsi con la polizia, ma in tema di lavoratori che protestano credo sia meglio aspettare l’autunno che insieme al refrigerio porterà sicuramente nelle piazze molte altre schiere di lavoratori fra quelli che in piazza sono abituati a scenderci sempre ma questa volta speravano di non doverlo fare più.

giovedì 20 luglio 2006

Quella risalita che fa scendere la democrazia

Marco Cedolin

La maggioranza di centrosinistra che amministra la città di Rivoli, pur sforzandosi di promuovere convegni sulla decrescita non ha mai dato la sensazione di possedere grande sensibilità riguardo a temi quali la salvaguardia dell’ambiente, del territorio e della salute dei propri cittadini.
Nessuno si è perciò stupito più di tanto nel trovarsi di fronte ad un progetto peregrino come quello della “risalita meccanizzata”, una sorta di scala mobile che dopo varie mutazioni genetiche dovrebbe collegare il famoso Castello di Rivoli, dove è ospitato il museo di arte contemporanea, con un punto della collina situato una trentina di metri più in basso, totalmente privo di negozi, locali e posteggi.

Molto più stupore ha invece destato il fatto che a difendere il territorio da un’opera altamente impattante e sostanzialmente inutile, insieme al Comitato Risalita NO Grazie e all’associazione culturale La Meridiana non si siano ritrovati (come sarebbe stato logico attendersi) i Verdi e la sinistra ecologista, bensì la minoranza di centrodestra (AN, Lega, Forza Italia e UDC) che è stata in grado d’interpretare, senza peraltro cavalcarlo, il disagio dei cittadini.
Non mi preme entrare nei dettagli tecnici della questione, poiché ritengo che il vero nocciolo del problema non alligni in questioni tecniche e finanziarie.

Sicuramente le motivazioni addotte dall’amministrazione per suffragare un’opera costosissima (anche in termini di manutenzione annuale) che stravolge una delle zone fra le più belle e antiche della città sono parse fin da subito molto farraginose e assai poco convincenti. Anche con l’ausilio di molta fantasia è infatti difficile immaginare che una scala mobile lunga 30 metri che si perde nel vuoto possa rivitalizzare come paventato il commercio nel centro cittadino in mancanza di un piano strategico volto ad ottenere questo effetto. Così come pare insensato che un’opera venga motivata semplicemente dal fatto che i finanziamenti sono già stati stanziati e si perderebbero nel caso non venisse costruita. Preferisco poi lasciare obliare nel dimenticatoio paragoni impropri proposti dall’amministrazione come quelli fra Rivoli e Perugia ed esercizi di demagogia creativa volti a dimostrare che la suddetta scala mobile sarebbe in grado di risolvere ogni problema della città.

Il vero problema riguarda il tema ben più importante e significativo del rispetto della democrazia.
Sul progetto della risalita meccanizzata è stato infatti indetto un referendum comunale in virtù del quale il 2 luglio tutti i cittadini sono stati chiamati alle urne per pronunciarsi favorevolmente o meno riguardo all’opera.
Nonostante la data della consultazione sia stata posizionata in un’assolata domenica di luglio, evitando volutamente la concomitanza con il referendum costituzionale (cosa che avrebbe determinato oltretutto un notevole risparmio di denaro pubblico), nonostante il comune abbia mancato al suo impegno d’informare i cittadini in merito all’esistenza della consultazione stessa, nonostante l’amministrazione abbia fatto propaganda per il SI ben oltre i termini consentiti dalla legge, il referendum si è tenuto ed il NO alla risalita si è affermato con oltre il 60% dei consensi.
Si è trattato di un referendum consuntivo il cui scopo è quello di rendere pubblica la posizione dei cittadini nei confronti di una determinata tematica, in questo caso la prevista costruzione della risalita. Gli unici numeri ad avere importanza sono quelli dei SI e dei NO essendo il dato dell’affluenza alle urne del tutto ininfluente come avviene nelle elezioni politiche dove la validità delle stesse non può certo essere messa in dubbio dall’eventuale esiguità del numero dei votanti.

Queste semplici considerazioni sono sembrate non appartenere al bagaglio democratico del sindaco Guido Tallone che si è immediatamente profuso in dichiarazioni ai giornali tanto sconvolgenti da rasentare l’autolesionismo. Tallone ha affermato che l’opera sarebbe iniziata in tempi brevi poiché la bassa affluenza al referendum (circa il 20% a luglio senza che i cittadini fossero informati) rendeva ininfluente il pronunciamento e lo incoraggiava nell’intenzione d’iniziare i lavori.
Fatta la debita premessa che un referendum consuntivo non impegna l’amministrazione a desistere da un progetto ma dovrebbe comunque imporre alla stessa una riflessione sull’opportunità o meno di continuare per la propria strada contro il parere della maggioranza dei cittadini, credo sia evidente che Tallone e l’amministrazione sono stati vittima di un abbaglio quanto mai grave.
In democrazia chi si reca a votare (tranne nel caso dei referendum abrogativi) esprime la volontà di tutti coloro che hanno diritto al voto. Chi non va a votare rinunciando al proprio diritto/dovere viene automaticamente rappresentato da coloro che il voto lo hanno espresso.
Queste dichiarazioni e la successiva seduta del consiglio comunale che ha ribadito le stesse posizioni hanno prodotto fra il comitato NO risalita e l’amministrazione un muro contro muro certo poco edificante in quanto unica risultante del totale disprezzo delle più elementari regole democratiche.
Il 14 luglio si è svolta una fiaccolata di protesta e in quell’occasione è stato istituito un presidio volto a contrastare l’eventuale inizio dei lavori.
Lunedì 2 ottobre circa un centinaio di cittadini si sono opposti pacificamente all’inizio dei lavori contrastando l’installazione del cantiere e l’amministrazione si è vista costretta a desistere momentaneamente da un’operazione che avrebbe potuto condurre in porto solo con l’ausilio della forza pubblica.

Il sindaco Tallone nonostante l’esito del referendum e la palese contrarietà di gran parte della popolazione non sembra comunque assolutamente propenso a mettere in discussione l’opportunità dell’opera e pur avendo indetto un tavolo di confronto si manifesta intenzionato ad iniziare i lavori dopo una pausa di una decina di giorni. I cittadini che contestano si dicono pronti a continuare il presidio ad oltranza, opponendosi agli scavi in maniera pacifica ma estremamente risoluta.Viene spontaneo domandarsi se valga davvero la pena di mettere a repentaglio la democrazia e la pace sociale per costruire una scala mobile lunga 30 metri che nessuno sembra volere tranne coloro che la propongono. La risposta credo sia una sola poiché ritengo sarebbe segno d’intelligenza per ogni amministratore ammettere di avere fatto una scelta sbagliata.

Il pensiero unico

Marco Cedolin

Chiunque di noi con l’ausilio di un videoregistratore e un paio d’ore di tempo può fare un semplice esperimento volto a dimostrare come l’Italia della campagna elettorale e quella di oggi siano due paesi che a dispetto della cartina geografica si trovano agli antipodi uno rispetto all’altro.
E’ sufficiente prendere dalla scansia qualche vecchia videocassetta sulla quale avevamo registrato (magari per sbaglio) una puntata di Ballarò, qualche concitato scontro verbale andato in onda su Matrix, l’infinita sequela di dichiarazioni esperite dai vari esponenti politici che con furia belluina per mesi si sono disputati il monopolio del tubo catodico, oppure se si è fortunati possessori dell’ambita reliquia, perfino lo storico faccia a faccia a cronometro Berlusconi vs Prodi o l’altrettanto struggente sequel Prodi vs Berlusconi.

Le immagini ci ricorderanno come tutta la campagna elettorale abbia mostrato due schieramenti contrapposti che si affrontavano usando toni molto accesi e palesando apparentemente abissali differenze nel modo di affrontare le varie tematiche politiche sia di ordine nazionale che internazionale.
Gli uni a propagandare un paese in salute grazie all’enorme mole di riforme messe in atto, tutte eccezionali e tutte indispensabili, gli altri a piangere un paese devastato da 5 anni di malgoverno, con le famiglie non più in grado di arrivare alla fine del mese, la sanità lasciata senza fondi, il lavoro precario dilagante.
Gli uni appiattiti sulle posizioni americane ed israeliane, disposti ad “investire” in uomini e mezzi nelle guerre di Bush, tutti lì a soffiare sulle ceneri dell’odio anti islamico, agitando lo spettro del terrorismo quale minaccia globale buona per ogni occasione; gli altri a difendere il pacifismo, a promettere immediati disimpegni militari, disposti ad impegnarsi per far si che i nostri troppi soldati di pace evitassero di trasformarsi in altrettanti caduti di guerra.
Nelle immagini delle videocassette i contorni delle cose erano netti, le contrapposizioni chiare, così come si percepiva altrettanto chiaramente l’impressione di trovarsi di fronte a due interpretazioni profondamente diverse della realtà sia in chiave presente che futura.

L’Italia del dopo elezioni che man mano emerge in questi mesi è un paese sfocato, brumoso dove tutti cercano di mistificare la realtà giocando con il senso delle parole.
Un paese dove governo ed opposizione sembrano essersi fusi in un’unica classe politica, appiattita sulle medesime logiche di potere ed eterodiretta dall’alto.
Il voto di ieri alla Camera concernente il rifinanziamento della missione militare in Afghanistan, approvato praticamente all’unanimità da tutti i deputati (549 voti favorevoli e 4 contrari) dimostra inequivocabilmente la presenza di un “pensiero unico” favorevole alla presenza militare del nostro paese a fianco degli Stati Uniti laddove a Bush necessiti un appoggio armato.
Anche di fronte alla guerra (perché di sporca guerra si tratta e non di crisi) che lo Stato d’Israele sta conducendo in Libano si percepisce lo stesso pensiero unico, perché al di là delle tenui sfumature con le quali si cercano di colorire le parole, governo ed opposizione due sere fa erano a Roma dalla stessa parte della barricata a difendere i diritti d’Israele quasi si trattasse di una guerra fra due superpotenze e non dell’aggressione da parte di uno dei più potenti eserciti del mondo che ha deciso d’invadere uno stato sovrano adducendo come scusa del suo gesto il rapimento di 2 militari.
Se si eccettuano le prese di posizione dei partiti della cosiddetta “sinistra radicale” dove l’accezione radicale (che non cesserà mai di stupirmi) indica semplicemente un minimo di coerenza con le idee da sempre patrimonio della sinistra, nessun rappresentante del governo e dell’opposizione si è minimamente preoccupato della catastrofe umanitaria consistente in oltre 700.000 profughi cacciati dalle proprie case. Tutti esternano preoccupazione e biascicano parole di rincrescimento ribadendo il diritto d’Israele a difendere la propria sicurezza, dimenticando colpevolmente che in Medio Oriente da sempre dentro i campi profughi ci sono i palestinesi della cui sicurezza non è mai importato nulla a nessuno.

Anche nel DPEF che pur sommariamente identifica la direzione nella quale il governo intende muoversi in materia finanziaria il pensiero unico si ripropone con chiarezza adamantina. Tagli alla sanità, alle pensioni, nuovi sacrifici per le famiglie (ma non era stato ripetutamente affermato che le stesse famiglie già si trovavano nell’incapacità di arrivare alla fine del mese?) lotta all’evasione fiscale e tagli agli sprechi. Seppure con una manovra di dimensioni notevolmente inferiori Tremonti aveva fatto e detto praticamente le stesse cose varando l’ultima finanziaria.
Nel leggere il decreto Bersani messo in essere con l’intento di smantellare alcune corporazioni per sostituirle con altrettanti oligopoli anche se mascherato attraverso buoni sentimenti quali la “difesa del consumatore” molti rappresentanti del centrodestra hanno affermato che tale operazione avrebbero dovuto portarla avanti loro nella passata legislatura.
In effetti l’accentramento del commercio e dei servizi nelle mani di pochi colossi e multinazionali, la propensione a favorire l’assorbimento di tutti i piccoli gruppi industriali e finanziari, la volontà di dissipare enormi risorse (anche in questo caso come per le missioni militari la necessità di tagliare gli sprechi viene lasciata obliare) nella costruzione delle grandi opere che spesso si rivelano vere e proprie cattedrali nel deserto, appartengono tanto al governo quanto all’opposizione.

Il pensiero unico è rimasta l’unica grande certezza di questo paese dove tutti i partiti politici si accapigliano l’un l’altro nel tentativo d’inglobarsi anche loro in un soggetto politico sempre più grande, fingendo d’ignorare che il partito unico in realtà esiste già ed è sotto gli occhi di tutti.

lunedì 3 luglio 2006

Questa sinistra tanto americana

Marco Cedolin

Il decreto Bersani, contenuto nella manovra bis che il governo si appresta a varare è il primo atto di una certa rilevanza messo in essere da questo esecutivo e si rivela quanto mai indicativo della linea di tendenza che il governo Prodi intende perseguire nell’ambito di materia economica.
Liberalizzare al fine di favorire la concorrenza è stata fin dall’inizio degli anni 90 la parola d’ordine attraverso la quale le forze politiche di ogni colore hanno tentato di scimmiottare il modello americano, ottenendo in verità pessimi risultati e peggiorando talvolta la situazione preesistente.
Il consumatore che avrebbe dovuto essere il soggetto deputato a fruire dei benefici di liberalizzazioni e concorrenza si trova infatti oggi in una situazione molto più complicata e sfavorevole di quanto non lo fosse 15 anni fa.

Anche in questo caso Bersani strizza l’occhio ai consumatori, attaccando gli interessi corporativi nel nome del libero mercato e della libera concorrenza. Leggendo le cose in questo modo non ci sarebbe nulla de eccepire e sembrerebbe che il decreto sia in grado di coniugare il pensiero di sinistra con la moderna realtà della società capitalista occidentale.
Se entriamo però nel merito del decreto stesso scopriamo che la realtà si rivela molto differente rispetto ai nobili propositi propagandati.

La liberalizzazione delle licenze dei taxi ed il permesso dato ad un unico soggetto di possedere e gestire più taxi è senza dubbio il punto che colpisce più di ogni altro e sta già iniziando a suscitare polemiche.
I tassisti innanzitutto, pur risultando nella nostra normativa come imprenditori o liberi professionisti, non somigliano neppure da lontano ad una classe privilegiata detentrice magari di grandi capitali. Chi possiede un taxi in Italia ha pagato la propria licenza a caro prezzo e si spende in un lavoro duro all’interno di città caotiche ed inquinate, con il solo risultato di riuscire a sbarcare il lunario alla stessa stregua della maggior parte dei lavoratori dipendenti.
Non occorre essere dotati di una mente eccelsa per comprendere che la liberalizzazione metterà in ginocchio molti tassisti, i quali mentre stanno ancora pagando il debito relativo all’acquisto della licenza si ritroveranno con il valore della stessa diventato uguale a quello della carta straccia e la redditività del proprio taxi profondamente diminuita grazie all’enorme aumento dei mezzi concorrenti. Così come appare lapalissiano che il permesso per un unico soggetto di gestire più taxi comporterà automaticamente la concentrazione del mercato nelle mani di pochi soggetti con disponibilità economiche elevate, alla stessa stregua di quanto è già avvenuto in passato in molti settori del commercio.
La bella favola secondo la quale tramite la concorrenza si abbasseranno le tariffe sarà come sempre destinata a rimanere una chimera, poiché nessun soggetto imprenditoriale sarebbe così folle da operare senza ottenere un minimo margine di guadagno e l’ampliamento della quantità di taxi circolanti avrà già ridotto al minimo il margine stesso.
Nasceranno insomma le grandi compagnie di taxi che nel medio e lungo periodo costituiranno un cartello e porteranno gradualmente verso l’alto le tariffe, così come è già avvenuto per le banche e le assicurazioni.

I farmacisti come categoria non sono certo assimilabili a chi guida un taxi, essendo innanzitutto la redditività delle loro imprese di gran lunga più elevata, ma anche in questo ambito dietro al mistificatorio velo di buone intenzioni si può intravedere un disegno di segno ben diverso.
La liberalizzazione introduce la possibilità per un unico soggetto di essere titolare di più farmacie, associarsi, gestire attività all’ingrosso e al dettaglio, senza vincoli territoriali all’attività.
Anche in questo caso senza l’ausilio di molta fantasia è facile apprezzare l’apertura del settore alle economie di scala e ai grandi capitali, laddove oltretutto soggetti economicamente preminenti potranno costruire veri e propri “imperi” grazie alla commistione fra catene di punti vendita e ingrossi farmaceutici. Per quanto concerne gli ingrossi farmaceutici scompare inoltre l’obbligo di detenere almeno il 90% delle specialità in commercio (per i medicinali non ammessi al rimborso da parte del SSN) con ricadute certo non positive per il consumatore finale che in questo caso è spesso un soggetto debole in quanto afflitto da problemi di salute.
La possibilità data ai supermercati di vendere i farmaci da banco, se da un lato favorirà i consumatori in termini di comodità e possibilità (tutta da verificare) di ottenere sconti sugli stessi, dall’altro li priverà dell’assistenza di una figura competente in grado di consigliarli al meglio (stiamo comunque sempre parlando di farmaci) e soprattutto sposterà un mare di miliardi nelle tasche della grande distribuzione. Le varie COOP, Auchan, Carrefour, Panorama e tutta la lobby degli ipermercati sono in realtà gli unici soggetti che gongolano in virtù della novità.

La soppressione della distanza minima tra un esercizio commerciale e l’altro e la liberalizzazione delle merci che possono essere tenute in un negozio, così come quella riguardante la produzione di pane fanno da corollario al tutto, contribuendo a smantellare quelle poche nicchie in ambito commerciale che ancora erano riuscite a sottrarsi all’oligopolio della grande distribuzione.

Le associazioni dei consumatori si dicono soddisfatte dai provvedimenti, forse ostentando troppa fretta nel prendere una posizione. I consumatori, come gli automobilisti sono in realtà una categoria omnicomprensiva della quale fanno parte anche i tassisti, i commercianti, i farmacisti e qualunque categoria trarrà dal decreto Bersani grossi svantaggi, senza contare che i benefici vanno apprezzati quando si traducono in realtà e non sono soltanto ventilati ipoteticamente sulla carta. Le sorprese in questo senso sono state talmente tante da avercene fatto perdere il conto.

Togliere reddito alle categorie medie per introitare tale reddito nelle casse di chi detiene il grande capitale non mi sembra in tutta sincerità un pensiero di sinistra, al contrario risulta in sintonia con il modello americano, proprio quel modello che il centrosinistra nostrano insegue pedissequamente inneggiando ogni giorno a miti ormai desueti quali crescita, sviluppo, concorrenza, modernizzazione, competitività. Un risultato sicuramente il nuovo governo targato Romano Prodi lo ha già ottenuto, rubando al centrodestra tutte le idee che in 5 anni ha avuto timore di tradurre in realtà, lo ha messo nella condizione di non avere i mezzi per prodursi in alcun tipo di opposizione.

lunedì 19 giugno 2006

La serietà al governo

Marco Cedolin

Gli slogan elettorali, studiati attentamente a tavolino dagli esperti di comunicazione, qualche volta colgono nel segno riuscendo ad interpretare ciò che la gente desidera o pensa di desiderare o più semplicemente è stata indotta a desiderare.
In effetti dopo 5 anni di governo Berlusconi, vissuti all’insegna della rappresentazione clownesca, della boutade, dell’istrionismo autoreferenziale, della finanza creativa, del milione di posti di lavoro che neppure gli appassionati di ufo hanno mai visto, dei rilevamenti ISTAT simili a specchi deformanti, di serietà in ambito governativo se ne percepiva davvero un gran bisogno. Il grande dubbio che dopo appena un mese dall’insediamento del nuovo esecutivo targato Romano Prodi, attanaglia gran parte dei cittadini che in quello slogan si sono riconosciuti è la sensazione che il nuovo che avanza abbia esaurito ogni stilla di serietà nel dipingere i manifesti elettorali e si proponga in realtà nella dimessa veste di una minestra riscaldata i cui ingredienti oltretutto fanno a pugni gli uni con gli altri.

Durante oltre un anno di campagna elettorale (prima per le elezioni amministrative, poi per le politiche) tutto il centrosinistra ha basato il proprio programma su tematiche quanto mai serie, quali la famiglia, il lavoro, la politica estera. Il dilagare del precariato e l’assurto quanto mai realistico in virtù del quale le famiglie italiane non riuscivano più ad arrivare alla fine del mese, sono stati insieme alla necessità di ritirare i soldati dall’Iraq i veri punti cardine intorno ai quali la disomogenea compagine che faceva capo a Romano Prodi ha costruito il proprio consenso e la propria sia pur risicata vittoria.
Se è vero che il buongiorno si vede dal mattino, non ci è ancora stato dato modo di scorgere neppure i prodromi di un pur timido albore.Queste prime settimane all’insegna del nuovo governo sono state una continua sequela di delusioni, contraddizioni e nonsense al limite dell’autolesionismo. Prima la battaglia delle poltrone, condotta da ministri ed aspiranti tali in stato di trance da combattimento e risolta solo attraverso la bonomia del professore che ha deciso di moltiplicare all’uopo le cariche ministeriali ed i relativi stipendi.
Poi il ritiro dei nostri soldati dalla terra d’Iraq che per qualche arcana ragione non poteva avvenire in maniera semplice e sbrigativa seguendo l’esempio di Zapatero. Prodi ha deciso di concertare il ritiro con tutti coloro che non avevano voce in capitolo per entrare nel merito di una questione unicamente italiana, con il governo americano, con quello inglese e perfino con quello iracheno, sulla cui esistenza al di fuori dell’immaginario collettivo è lecito nutrire forti dubbi.

Risultato di tutta questa complessa operazione volta a non scontentare nessuno è che le truppe italiane verranno ritirate in tempo per i botti di Capodanno, entro la stessa data in merito alla quale Berlusconi aveva concertato la cosa un anno fa con "l’amico" Bush.
Poi la scoperta (si potrà mai scoprire qualcosa di conclamato da tempo immemorabile?) del disastroso stato in cui versano i conti pubblici italiani.Il ministro delle Finanze Padoa Schioppa, dopo avere definito la situazione molto più grave del previsto ha prima ventilato e poi smentito almeno una decina di volte l’ipotesi di una manovra correttiva, fino ad arrivare a definirla indispensabile e quantificarla in circa 10 miliardi di euro. Secondo le parole del Ministro tale corposa manovra, legata indissolubilmente ad un preciso piano di rientro del deficit in merito al quale egli si è impegnato in chiave europea, non svuoterà ulteriormente le tasche degli italiani, ma pensare che lo Stato possa recuperare una cifra di queste dimensioni unicamente attraverso tagli degli sprechi e lotta all’evasione fiscale sarebbe esercizio di pura follia.
Ha cantato nel coro anche il Ministro delle Infrastrutture Antonio Di Pietro che ha lamentato la necessità di almeno 4 o 5 miliardi di euro indispensabili per tenere aperti per i prossimi 6 mesi i cantieri delle grandi e piccole opere ed inaugurare quelli ritenuti (a torto o a ragione) indispensabili. Anche in questo caso l’unica prospettiva è il salasso delle tasche degli italiani, probabilmente attraverso addizionali che colpiranno gli automobilisti.

Come se non bastasse, per evitare di scontentare Montezemolo, Prodi dovrà procedere in tempi brevi al taglio del cuneo fiscale, partito come misura volta a favorire le imprese e i lavoratori ma ormai trasmutato come manovra volta unicamente a sovvenzionare il mondo imprenditoriale alla ricerca della competitività perduta. Anche in questo caso si parla di una cifra nell’ordine dei 10 miliardi di euro che sicuramente non potranno materializzarsi dal nulla.Come corollario di questi primi incerti passi compiuti dal governo, una moltitudine di esternazioni compiute da ministri e uomini politici, disarmoniche e spesso in contraddizione l’uno con l’altro, a confermare quanto sia difficile fare coesistere in uno stesso esecutivo forze ideologicamente e tradizionalmente così distanti fra loro da potere rappresentare l’intero arco costituzionale di un qualunque paese europeo.

Ma in tutto questo balletto di cifre volto a rinsaldare i conti pubblici, a rassicurare l’Europa, a mantenere in essere i progetti delle grandi opere, a sovvenzionare la consorteria di confindustria, che fine hanno fatto le famiglie che non riuscivano più ad arrivare alla fine del mese?Prima di tutte queste macro realtà dai nomi altisonanti ogni cittadino non è forse costretto a fare i conti con il proprio bilancio, dal momento che se non paga l’affitto lo cacciano in mezzo ad una strada e se non paga le bollette resta al buio senza nemmeno un fornello per preparare il desco? E’ davvero realistico immaginare che la famiglia media italiana già oggi in forte sofferenza possa immolare ulteriori risorse sull’altare del debito pubblico e della competitività industriale, senza scendere sotto quella soglia di povertà alla quale è ormai davvero molto vicina?L’unica serietà purtroppo non alligna nel governo ma negli animi delle molte, troppe persone che continuano a stare sempre peggio e si ritrovano in attesa di ulteriori ennesime stangate che le porteranno sempre più in basso. E l’espressione del viso rischia di farsi ancora più seria di fronte alla consapevolezza che non esistono alternative credibili a questo stato di cose, quando si volge lo sguardo di lato a scorgere Silvio Berlusconi diventa pura utopia anche l’ultimo anelito di speranza.