Marco Cedolin
Piove, le giornate si sono fatte corte ed uggiose, l'aria è più fresca, il cielo cenericcio sembra sbiadire contro i muri ingrigiti di città, dentro l'umore bigiognolo delle persone che incrociamo per la strada, che poi è anche il nostro e non potrebbe essere altrimenti.
L'Istat stamani ci ha resi edotti del fatto che a novembre l'inflazione sarebbe rimasta stabile, confermando il dato tendenziale del 2% su base annua, il più basso, viene sottolineato dal 1999.
E' difficile però gioire di questo dato, empirico, poco commestibile ed oltretutto difficile da masticare.
Anche il nostro potere d'acquisto risulta il più basso e continua a rimanere tale anche se si risale la corrente a ritroso per parecchi decenni prima del 1999.
Così come risulteranno sempre più ridimensionate le strenne di Natale, le nostre poche sicurezze economiche, la capacità di far fronte al mutuo della casa, alle bollette, a quei "consumi" riguardo ai quali dissertano in maniera forbita gli analisti economici.
Il governo Berlusconi finalmente diminuirà le tasse e per avere la certezza che una simile roboante decisione avesse sui media lo spazio che meritava, ha creduto bene di portare avanti per oltre un mese una querelle infinita sull'argomento.
I valvassori del feudo della libertà si sono scagliati a più riprese con genuina belluinità contro il cavaliere, accusandolo gli uni di volere togliere ai poveri per dare ai ricchi, gli altri di volere togliere ai ricchi per dare ai poveri, tutti comunque imputandogli di voler togliere e dare; operazioni che in realtà il Silvio non potrebbe mai compiere a meno di aprire la cassa delle proprie aziende di famiglia.
I conti pubblici dello stato versano in condizioni pietose e se mai ci saranno sull'Irpef dei ritocchi al ribasso essi saranno giocoforza compensati dal rialzo di altre tasse ed imposte fra la miriade di quelle esistenti ed in stato di continua proliferazione.
Ma tutto ciò riveste poca importanza, l'essenziale è che i media abbiano confermato che le tasse scenderanno ed alla favolistica narrazione sia stato dato il massimo dello spazio possibile. Nella cacofonia sensoriale priva di punti di riferimento che compone i nostri giorni, spesse volte bastano i titoloni sui giornali per animare di fittizia vita una realtà che non è mai esistita nè mai esisterà.
Dopo le "taglie" dei cani ritenuti pericolosi in virtù del loro peso corporeo, inventate oltre un anno fa dal ministro Sirchia, lui si veramente molto pericoloso, ne nascono altre da appuntare sulla testa dei criminali che si macchino dell'omicidio di un rappresentante del popolo padano.
Una nuova interpretazione del codice penale che tenga conto in primo luogo della stirpe di appartenenza della vittima, al fine di graduare la gravità del delitto stesso.
-Vivi o morti- hanno urlato gli amici del bracalone Calderoli, forse un pò troppo ebbri divino ed ormai persi in un barbarismo senza ritorno. -Sono cose da Far west- hanno mormorato gli altri dimostrando incredibilmente di riuscire perfino a prenderli sul serio. Cosicché sicuramente morti ne sono usciti il senso della realtà e quello della decenza e non sapendo quale sia la loro stirpe di appartenenza sarà anche impossibile graduare la pena da commutare agli imbecilli che li hanno ammazzati perdendo l'ennesima occasione per stare zitti.
Domani comunque si risolverà tutto con lo sciopero generale, smetterà probabilmente anche di piovere, ma nel caso i goccioloni continuino a cadere, a bagnarsi saranno sempre solo i lavoratori che sfileranno nei cortei per cercare di cambiare qualcosa, legittimando inconsapevolmente con la loro presenza quelle stesse organizzazioni sindacali che si spendono affinché in Italia non cambi mai assolutamente nulla.
Anche le notti si sono fatte fredde, quando ci capita di passeggiare sotto la pioggia, con il bavero del giaccone rialzato e lo sguardo che si perde dentro alle pozzanghere, dove le immagini si rifrangono distorte a comporre un insieme vago ed indistinto ed avvertiamo che ci sta sfuggendo qualcosa d'importante, qualcosa che prescinde dal valore tendenziale dell'inflazione su base annua, qualcosa…
lunedì 29 novembre 2004
mercoledì 24 novembre 2004
Le Alleanze Nazionali
Marco Cedolin
Siamo tutti consci di quanto sia gravoso il mestiere di coloro che siedono nei banchi dell'opposizione, dopo essere stati fino a qualche anno fa accoccolati in quelli del governo e con la speranza neppure troppo segreta di tornare a breve a barbagliare degli antichi lustri.
Si può apprezzare appieno fra le fila dei barbassori che compongono il centrosinistra, un certo barcollio, una propensione smodata a barellare come vecchi barbogi, tremanti ed ubriachi, ogni qualvolta le circostanze li chiamino in causa per svolgere quel lavoro di opposizione che dovrebbe essere di loro competenza.
In effetti lo schierarsi, il prendere posizioni, il proporre alternative riguardo ai mille problemi seri e drammatici che compongono la realtà politica del nostro paese, presupporrebbe grande sfoggio di serietà e coerenza, attributi dei quali, per quanto ci si sforzi, non si riesce a trovare traccia
dentro alle file del centrosinistra.
Ecco allora che Rutelli e Fassino, con l'atteggiamento che da sempre è proprio dei veri leader, preferiscono non parlare dei soldati in Iraq, del mondo del lavoro, delle pensioni, dell'istruzione, delle ferrovie, delle compagnie aeree in estinzione, né di qualunque altra piaga fra quelle che stanno lacerando l'Italia dei nostri giorni.
Loro amano bettolare, darsi alle ciancerie, alle bagole, alla cavillazione e lo fanno riguardo ad un problema senza ombra di dubbio esiziale per il futuro del nostro paese.
Quale sarà il nome della nuova federazione riformista? Laddove in verità non si comprende cosa ancora vi sia da riformare, dal momento che il governo D'Alema e quello Berlusconi hanno praticamente riformato tutto.
Meglio usare due acronimi come "GAD" e "FED" oppure ricercare un termine che abbia più ampio respiro e riesca a suggellare le reali intenzioni di questa camarilla di uomini sull'orlo di una crisi di nervi alla ricerca della poltrona perduta?
Per riuscire nell'intento di accomunare in un solo nome, fra tutti quelli presenti nell'abbecedario, personalità così istrioniche e diverse fra loro quali il riccioluto Rutelli, il catriosso Fassino, il pingue e bonario, ma anche un po' beota Romano Prodi, nonché lo stuolo di feudatari minori che li contorna, ci voleva senza dubbio un termine nuovo ed in grado d'ingenerare entusiasmo nell'elettorato.
Scartati dunque gli "amanti del Brunello di Montalcino" "l'Unione delle casalinghe di sinistra" "Il partito degli automobilisti FIAT" "La confraternita dei consumatori Coop" ecco apparire all'orizzonte l'unico neologismo intriso di belluria, in grado di rappresentare coloro che si proporranno con fare belligero per governare l'Italia del futuro.
Alleanza! Non ci è ancora dato sapere (e certo consumeremo le nostre notti nel rovello di scoprire come andrà a finire) se si tratterà di "Alleanza democratica del centrosinistra" o più semplicemente "Alleanza Democratica" ma certo già a priori si può percepire la sensazione del nuovo che avanza, quell'emozione un po' rubata al Sabato del Villaggio di un futuro diverso, foriero di novità, impalpabile ma già così presente, che ci sta correndo incontro.
Anche il camerata pentito Fini Gianfranco, all'acme della propria apostasia, se ben ricordo era giunto a simili conclusioni, ma questo ha poca importanza, l'essenziale è sempre distinguersi, parlare di cose serie e manifestarsi nella propria unicità.
Siamo tutti consci di quanto sia gravoso il mestiere di coloro che siedono nei banchi dell'opposizione, dopo essere stati fino a qualche anno fa accoccolati in quelli del governo e con la speranza neppure troppo segreta di tornare a breve a barbagliare degli antichi lustri.
Si può apprezzare appieno fra le fila dei barbassori che compongono il centrosinistra, un certo barcollio, una propensione smodata a barellare come vecchi barbogi, tremanti ed ubriachi, ogni qualvolta le circostanze li chiamino in causa per svolgere quel lavoro di opposizione che dovrebbe essere di loro competenza.
In effetti lo schierarsi, il prendere posizioni, il proporre alternative riguardo ai mille problemi seri e drammatici che compongono la realtà politica del nostro paese, presupporrebbe grande sfoggio di serietà e coerenza, attributi dei quali, per quanto ci si sforzi, non si riesce a trovare traccia
dentro alle file del centrosinistra.
Ecco allora che Rutelli e Fassino, con l'atteggiamento che da sempre è proprio dei veri leader, preferiscono non parlare dei soldati in Iraq, del mondo del lavoro, delle pensioni, dell'istruzione, delle ferrovie, delle compagnie aeree in estinzione, né di qualunque altra piaga fra quelle che stanno lacerando l'Italia dei nostri giorni.
Loro amano bettolare, darsi alle ciancerie, alle bagole, alla cavillazione e lo fanno riguardo ad un problema senza ombra di dubbio esiziale per il futuro del nostro paese.
Quale sarà il nome della nuova federazione riformista? Laddove in verità non si comprende cosa ancora vi sia da riformare, dal momento che il governo D'Alema e quello Berlusconi hanno praticamente riformato tutto.
Meglio usare due acronimi come "GAD" e "FED" oppure ricercare un termine che abbia più ampio respiro e riesca a suggellare le reali intenzioni di questa camarilla di uomini sull'orlo di una crisi di nervi alla ricerca della poltrona perduta?
Per riuscire nell'intento di accomunare in un solo nome, fra tutti quelli presenti nell'abbecedario, personalità così istrioniche e diverse fra loro quali il riccioluto Rutelli, il catriosso Fassino, il pingue e bonario, ma anche un po' beota Romano Prodi, nonché lo stuolo di feudatari minori che li contorna, ci voleva senza dubbio un termine nuovo ed in grado d'ingenerare entusiasmo nell'elettorato.
Scartati dunque gli "amanti del Brunello di Montalcino" "l'Unione delle casalinghe di sinistra" "Il partito degli automobilisti FIAT" "La confraternita dei consumatori Coop" ecco apparire all'orizzonte l'unico neologismo intriso di belluria, in grado di rappresentare coloro che si proporranno con fare belligero per governare l'Italia del futuro.
Alleanza! Non ci è ancora dato sapere (e certo consumeremo le nostre notti nel rovello di scoprire come andrà a finire) se si tratterà di "Alleanza democratica del centrosinistra" o più semplicemente "Alleanza Democratica" ma certo già a priori si può percepire la sensazione del nuovo che avanza, quell'emozione un po' rubata al Sabato del Villaggio di un futuro diverso, foriero di novità, impalpabile ma già così presente, che ci sta correndo incontro.
Anche il camerata pentito Fini Gianfranco, all'acme della propria apostasia, se ben ricordo era giunto a simili conclusioni, ma questo ha poca importanza, l'essenziale è sempre distinguersi, parlare di cose serie e manifestarsi nella propria unicità.
giovedì 11 novembre 2004
Quando le persone diventano percentuali
Marco Cedolin
Il Corriere della Sera ci rende edotti del fatto che il 31% degli italiani vorrebbe avere un cellulare umts, proponendo la notizia in primo piano nell'home page del proprio sito web.
Leggendo i risultati dell'indagine molto dettagliata, grazie all'innata propensione dei sondaggisti a categorizzare tutto e tutti, dalla quale è scaturito questo dato, si finisce quasi subito per soffermarsi a pensare quante e quali altre cose percentualmente vorrebbero gli italiani.
Molto probabilmente più del 50% di noi che discendiamo dagli etruschi e non arriviamo a fine mese saremmo ardentemente desiderosi di arrivarci.
Almeno il 70% dei lavoratori in giovane età vorrebbero percepire uno stipendio che permettesse loro di costruirsi una propria famiglia, anziché continuare a gravare a tempo indefinito sulle spalle dei genitori, con il conseguente senso di frustrazione che inevitabilmente ne consegue.
Sicuramente il 99% di coloro che hanno perso il lavoro e versa in stato carestoso, carezza il desiderio di riuscire a trovarne uno che non passi attraverso le forche caudine delle agenzie interinali e dello sfruttamento legalizzato dei lavoratori.
Il 63% (o forse era il 67%...non ricordo bene) di nostri concittadini aspirava a vivere in un mondo di pace ed era contrario alla guerra in Iraq. Il 51% lo è ancora oggi, nonostante giornali e TV abbiano continuato a dire che si trattava di un sacrificio necessario.
Già, necessario….. Quante assurdità oggettivamente riconosciute come tali, ci vengono imposte nella vita di tutti i giorni, in quanto necessarie, indispensabili, imprescindibili, figlie di una realtà incontrovertibile che cambia, ma per uno strano scherzo del destino la mutazione presenta sempre un carattere peggiorativo.
La precarietà del lavoro, che finisce per amaricare la vita di milioni di noi, è un sacrificio necessario, poiché non si può prescindere da traguardi magicali quali flessibilità e mobilità.
La perdita di potere d'acquisto delle famiglie, sempre più schiave di quella sorta di usura legalizzata chiamata credito al consumo è una conseguenza spiacevole ma necessaria del nuovo che avanza.
Perfino le telecamere che ci spiano all'angolo di ogni palazzo, la TV spazzatura strabordante d'imbonitori di ogni genere e razza, l'ecocidio sistematico del pianeta, l'intolleranza, il progredire della povertà, il penoso decadimento della cultura, gli omicidi mirati, la soppressione dei diritti dell'individuo, il ricorso alla tortura, le manganellate gratuite, le morti cercate…sono necessarie, inevitabili, apodittiche, assolutamente indispensabili.
Il 93% di coloro che non possono permettersi una casa, tutte le notti quando si addormenta in qualche ricovero di fortuna, sola con il proprio cauterio, sogna di possederne una, ma solo l'1% fra di essi vorrebbe un cellulare umts.
Il 96% di coloro che alle ore di pranzo e cena, anziché mangiare è costretta fare esercizio di anagogia, perdendosi nella contemplazione ascetica della propria tavola vuota, desidererebbe potere godersi un desco, ma solo lo 0,7% di questi signori vuole un cellulare umts.
Il 74% fra coloro che sono caduti nel calappio di aderire alla sovvenzione statale che li induceva all'acquisto del decoder digitale terrestre, hanno oggi capito di essere stati vittima di un disegno capzioso e difficilmente saranno disposti a ripetere l'esperienza poco edificante attraverso l'acquisto di un cellulare umts.
Il 90% delle persone che si ritrovano sopra al tetto di casa le antenne del sistema umts, continua a domandarsi senza alcuna speranza di ricevere delle risposte concrete, quanto queste antenne siano in realtà nocive per la propria salute.
Probabilmente il 20% di loro finirà per rassegnarsi ed acquistare un cellulare umts.
L'82% degli italiani tutti vorrebbe poter guardare al proprio futuro in una prospettiva che non parli solamente di regresso e continue perdite di diritti necessarie, ma stento a credere che il 31% di noi aspiri a vederlo chiareggiare sullo schermo di un cellulare umts.
Il Corriere della Sera ci rende edotti del fatto che il 31% degli italiani vorrebbe avere un cellulare umts, proponendo la notizia in primo piano nell'home page del proprio sito web.
Leggendo i risultati dell'indagine molto dettagliata, grazie all'innata propensione dei sondaggisti a categorizzare tutto e tutti, dalla quale è scaturito questo dato, si finisce quasi subito per soffermarsi a pensare quante e quali altre cose percentualmente vorrebbero gli italiani.
Molto probabilmente più del 50% di noi che discendiamo dagli etruschi e non arriviamo a fine mese saremmo ardentemente desiderosi di arrivarci.
Almeno il 70% dei lavoratori in giovane età vorrebbero percepire uno stipendio che permettesse loro di costruirsi una propria famiglia, anziché continuare a gravare a tempo indefinito sulle spalle dei genitori, con il conseguente senso di frustrazione che inevitabilmente ne consegue.
Sicuramente il 99% di coloro che hanno perso il lavoro e versa in stato carestoso, carezza il desiderio di riuscire a trovarne uno che non passi attraverso le forche caudine delle agenzie interinali e dello sfruttamento legalizzato dei lavoratori.
Il 63% (o forse era il 67%...non ricordo bene) di nostri concittadini aspirava a vivere in un mondo di pace ed era contrario alla guerra in Iraq. Il 51% lo è ancora oggi, nonostante giornali e TV abbiano continuato a dire che si trattava di un sacrificio necessario.
Già, necessario….. Quante assurdità oggettivamente riconosciute come tali, ci vengono imposte nella vita di tutti i giorni, in quanto necessarie, indispensabili, imprescindibili, figlie di una realtà incontrovertibile che cambia, ma per uno strano scherzo del destino la mutazione presenta sempre un carattere peggiorativo.
La precarietà del lavoro, che finisce per amaricare la vita di milioni di noi, è un sacrificio necessario, poiché non si può prescindere da traguardi magicali quali flessibilità e mobilità.
La perdita di potere d'acquisto delle famiglie, sempre più schiave di quella sorta di usura legalizzata chiamata credito al consumo è una conseguenza spiacevole ma necessaria del nuovo che avanza.
Perfino le telecamere che ci spiano all'angolo di ogni palazzo, la TV spazzatura strabordante d'imbonitori di ogni genere e razza, l'ecocidio sistematico del pianeta, l'intolleranza, il progredire della povertà, il penoso decadimento della cultura, gli omicidi mirati, la soppressione dei diritti dell'individuo, il ricorso alla tortura, le manganellate gratuite, le morti cercate…sono necessarie, inevitabili, apodittiche, assolutamente indispensabili.
Il 93% di coloro che non possono permettersi una casa, tutte le notti quando si addormenta in qualche ricovero di fortuna, sola con il proprio cauterio, sogna di possederne una, ma solo l'1% fra di essi vorrebbe un cellulare umts.
Il 96% di coloro che alle ore di pranzo e cena, anziché mangiare è costretta fare esercizio di anagogia, perdendosi nella contemplazione ascetica della propria tavola vuota, desidererebbe potere godersi un desco, ma solo lo 0,7% di questi signori vuole un cellulare umts.
Il 74% fra coloro che sono caduti nel calappio di aderire alla sovvenzione statale che li induceva all'acquisto del decoder digitale terrestre, hanno oggi capito di essere stati vittima di un disegno capzioso e difficilmente saranno disposti a ripetere l'esperienza poco edificante attraverso l'acquisto di un cellulare umts.
Il 90% delle persone che si ritrovano sopra al tetto di casa le antenne del sistema umts, continua a domandarsi senza alcuna speranza di ricevere delle risposte concrete, quanto queste antenne siano in realtà nocive per la propria salute.
Probabilmente il 20% di loro finirà per rassegnarsi ed acquistare un cellulare umts.
L'82% degli italiani tutti vorrebbe poter guardare al proprio futuro in una prospettiva che non parli solamente di regresso e continue perdite di diritti necessarie, ma stento a credere che il 31% di noi aspiri a vederlo chiareggiare sullo schermo di un cellulare umts.
venerdì 5 novembre 2004
La democrazia applicata
Marco Cedolin
Mentre lentamente si alza il velo dell’omertà, appare una realtà sempre più raccapricciante: torture generalizzate compiute dagli eserciti angloamericani, in Afghanistan come in Iraq. Almeno 35 le inchieste ufficiali già avviate, almeno 25 i morti già accertati, ma la sensazione è che si tratti solo della punta di un iceberg.
Molte volte la supponenza, qualora non supportata dalla realtà oggettiva dei fatti rischia di diventare semplicemente insana follia in grado d’ingenerare vergogna e nulla più. Così Bush, Blair e tutti i loro fedeli alleati, compreso quel salapuzio di Silvio Berlusconi che si vanta di essere il più fedele di tutti, impegnati com’erano ad entrare nella storia non si sono accorti di esserci entrati si, ma dalla porta sbagliata.
Quando si sono proclamati artefici della missione divina d’esportare in giro per il mondo la democrazia e la civiltà, non hanno badato al fatto che per esportare qualcosa occorre la prerogativa che quel qualcosa lo si possegga e possibilmente anche in abbondanza. Saddam Hussein era il tiranno, il despota, la raffigurazione terrena di Belzebù in quanto torturava il suo popolo nelle carceri di Abu Ghraib. Bush e Blair si dicono affranti e sgomenti poiché i loro soldati, alfieri della cultura e della civiltà d’occidente hanno torturato e ucciso lo stesso popolo iracheno nelle carceri di Abu Ghraib, naturalmente a loro insaputa.
Per ottenere la patente di democrazia e civiltà è quindi sufficiente fingersi all’oscuro degli atti di barbarie che vengono compiuti dagli eserciti. Ma in base a quale cervellotica congettura qualcuno potrebbe mai affermare in buona fede che Saddam e Milosevic sono criminali di guerra in quanto comandavano l’operato dei propri soldati, mentre Bush e Blair non lo sono in quanto i soldati delle grandi democrazie torturano, stuprano ed uccidono in perfetta anarchia senza che i loro “premier” ne siano a conoscenza?
Purtroppo la realtà è di una semplicità disarmante e a poco servono i funambolici tentativi di trasfigurarla che l’informazione di regime sta mettendo in atto in questi giorni. La realtà nasce dentro alle immagini brutali, vergognose, ingiustificabili che tutto il mondo ha avuto modo di guardare, quelle immagini che dimostrano in maniera inequivocabile quale livello di degrado si nasconda dietro la linda facciata di quella che molti osano chiamare “la più grande democrazia del mondo.”
I segnali della feccia marcescente della quale è impregnato l’esercito americano in verità si potevano già apprezzare senza troppo sforzo fin dall’inizio dell’invasione dell’ Iraq, se è vero che abbondavano le fotografie di carri armati Usa con tanto di teschi montati in bella vista e scritte ingiuriose del tipo “entreremo a Parigi come a Berlino”. Ma la cosa più grave è che non si tratta affatto di una novità, tutta la storia mondiale recente è costellata di guerre e atrocità compiute dagli Stati Uniti che in ogni conflitto hanno sempre usato gli stessi metodi: sterminio, tortura, stupri e violenze senza fine.
In Vietnam fra il 1964 ed il 1973 l’esercito Statunitense sterminò secondo le stime più caute almeno 700.000 soldati vietnamiti e 500.000 civili. Istituì e gestì una rete di polizia repressiva che usava la tortura come pratica corrente; le “gabbie per le tigri” di Con Son si sono rivelate un lager se possibile più terrificante di quelli nazisti, dove le amputazioni di parti del corpo, lo strappo delle unghie, le scariche elettriche, le bruciature di sigarette, l’uso di topi ed insetti si rivelarono pratiche di tortura comuni per le oltre 10.000 persone che ebbero la sventura di questa allucinante esperienza.
In Iran la “Savak”, la famigerata polizia politica dello Scià, fondata nel 1956 con il sostegno tecnico e finanziario degli USA e del Mossad israeliano, torturò senza pietà oltre 300.000 persone durante i 20 anni della sua esistenza e si distinse per atti di sadismo senza paragoni.
E si potrebbe proseguire a lungo con l’elenco delle nobili gesta militari americane, passando per l’Indonesia e Timor Est, fino a giungere alla ex Yugoslavia, all’Afghanistan e all’Iraq dei nostri giorni. Già, le torture degli americani, quelle torture verso afghani e iracheni apparse in questi giorni sui giornali, quelle torture che tanto c’indignano e ci stupiscono, riguardo alle quali Bush e Blair si dicono meravigliati e sgomenti, pur essendo da oltre 50 anni una normale pratica che gli statunitensi applicano nei confronti dei loro nemici, siano essi soldati, civili, uomini o donne.
Ma ormai abbiamo imparato che dietro alle torture della democrazia ci sono sempre tante giustificazioni ma non vi è mai un colpevole, si tratta semplicemente di una questione di civiltà.
Mentre lentamente si alza il velo dell’omertà, appare una realtà sempre più raccapricciante: torture generalizzate compiute dagli eserciti angloamericani, in Afghanistan come in Iraq. Almeno 35 le inchieste ufficiali già avviate, almeno 25 i morti già accertati, ma la sensazione è che si tratti solo della punta di un iceberg.
Molte volte la supponenza, qualora non supportata dalla realtà oggettiva dei fatti rischia di diventare semplicemente insana follia in grado d’ingenerare vergogna e nulla più. Così Bush, Blair e tutti i loro fedeli alleati, compreso quel salapuzio di Silvio Berlusconi che si vanta di essere il più fedele di tutti, impegnati com’erano ad entrare nella storia non si sono accorti di esserci entrati si, ma dalla porta sbagliata.
Quando si sono proclamati artefici della missione divina d’esportare in giro per il mondo la democrazia e la civiltà, non hanno badato al fatto che per esportare qualcosa occorre la prerogativa che quel qualcosa lo si possegga e possibilmente anche in abbondanza. Saddam Hussein era il tiranno, il despota, la raffigurazione terrena di Belzebù in quanto torturava il suo popolo nelle carceri di Abu Ghraib. Bush e Blair si dicono affranti e sgomenti poiché i loro soldati, alfieri della cultura e della civiltà d’occidente hanno torturato e ucciso lo stesso popolo iracheno nelle carceri di Abu Ghraib, naturalmente a loro insaputa.
Per ottenere la patente di democrazia e civiltà è quindi sufficiente fingersi all’oscuro degli atti di barbarie che vengono compiuti dagli eserciti. Ma in base a quale cervellotica congettura qualcuno potrebbe mai affermare in buona fede che Saddam e Milosevic sono criminali di guerra in quanto comandavano l’operato dei propri soldati, mentre Bush e Blair non lo sono in quanto i soldati delle grandi democrazie torturano, stuprano ed uccidono in perfetta anarchia senza che i loro “premier” ne siano a conoscenza?
Purtroppo la realtà è di una semplicità disarmante e a poco servono i funambolici tentativi di trasfigurarla che l’informazione di regime sta mettendo in atto in questi giorni. La realtà nasce dentro alle immagini brutali, vergognose, ingiustificabili che tutto il mondo ha avuto modo di guardare, quelle immagini che dimostrano in maniera inequivocabile quale livello di degrado si nasconda dietro la linda facciata di quella che molti osano chiamare “la più grande democrazia del mondo.”
I segnali della feccia marcescente della quale è impregnato l’esercito americano in verità si potevano già apprezzare senza troppo sforzo fin dall’inizio dell’invasione dell’ Iraq, se è vero che abbondavano le fotografie di carri armati Usa con tanto di teschi montati in bella vista e scritte ingiuriose del tipo “entreremo a Parigi come a Berlino”. Ma la cosa più grave è che non si tratta affatto di una novità, tutta la storia mondiale recente è costellata di guerre e atrocità compiute dagli Stati Uniti che in ogni conflitto hanno sempre usato gli stessi metodi: sterminio, tortura, stupri e violenze senza fine.
In Vietnam fra il 1964 ed il 1973 l’esercito Statunitense sterminò secondo le stime più caute almeno 700.000 soldati vietnamiti e 500.000 civili. Istituì e gestì una rete di polizia repressiva che usava la tortura come pratica corrente; le “gabbie per le tigri” di Con Son si sono rivelate un lager se possibile più terrificante di quelli nazisti, dove le amputazioni di parti del corpo, lo strappo delle unghie, le scariche elettriche, le bruciature di sigarette, l’uso di topi ed insetti si rivelarono pratiche di tortura comuni per le oltre 10.000 persone che ebbero la sventura di questa allucinante esperienza.
In Iran la “Savak”, la famigerata polizia politica dello Scià, fondata nel 1956 con il sostegno tecnico e finanziario degli USA e del Mossad israeliano, torturò senza pietà oltre 300.000 persone durante i 20 anni della sua esistenza e si distinse per atti di sadismo senza paragoni.
E si potrebbe proseguire a lungo con l’elenco delle nobili gesta militari americane, passando per l’Indonesia e Timor Est, fino a giungere alla ex Yugoslavia, all’Afghanistan e all’Iraq dei nostri giorni. Già, le torture degli americani, quelle torture verso afghani e iracheni apparse in questi giorni sui giornali, quelle torture che tanto c’indignano e ci stupiscono, riguardo alle quali Bush e Blair si dicono meravigliati e sgomenti, pur essendo da oltre 50 anni una normale pratica che gli statunitensi applicano nei confronti dei loro nemici, siano essi soldati, civili, uomini o donne.
Ma ormai abbiamo imparato che dietro alle torture della democrazia ci sono sempre tante giustificazioni ma non vi è mai un colpevole, si tratta semplicemente di una questione di civiltà.
martedì 2 novembre 2004
Allarme Bolkenstein
Marco Cedolin
Continua la propria corsa all'interno del Parlamento europeo la proposta di direttiva Bolkenstain (che prende il nome dal commissario europeo per la concorrenza ed il mercato interno) forse il più fulgido esempio della direzione nella quale l'Unione Europea intende muoversi nel prossimo futuro, attraverso una strada lastricata dalla sistematica soppressione dello stato sociale, dei diritti dei lavoratori e della libertà individuale.
Contrariamente al nobile proposito di ridurre gli intralci burocratici che soffocano la competitività europea, di creare crescita e nuovi posti di lavoro, la direttiva in oggetto si manifesta fin da subito come un flagello in grado di smantellare definitivamente lo stato sociale, i diritti dei lavoratori e gli equilibri salariali.
Innescandosi sulla situazione attuale già profondamente compromessa dalle privatizzazioni indiscriminate, dalla pesante recessione economica, dalla disoccupazione in continua ascesa, la Direttiva Bolkstein si propone di stabilire un quadro giuridico applicabile, salvo rare eccezioni, a tutte le attività economiche di servizi, perseguendo un approccio orizzontale e rifiutando a priori ogni sforzo di armonizzazione con le singole legislazioni dei vari paesi.
Per rendere l'idea di quanto vasto sia il settore di applicazione della proposta, basti pensare che i servizi in essa contemplati rappresentano oltre il 50% dell'intera attività economica dell'UE.
I reali obiettivi che la Direttiva Bolkstein intende perseguire appaiono chiari non appena si prova a trasporre nella realtà il testo della stessa, spogliandolo della maschera di falsi buoni propositi, della quale si è inteso infarcirlo in maniera quasi ossessiva.
Scopriremo così come fra le pieghe di favole quali la "riduzione degli oneri amministrativi" "l'incentivazione all'espansione transfrontaliera delle imprese" "la riduzione dei prezzi attraverso lo stimolo alla concorrenza" "la sequela infinita di vantaggi per il consumatore" ed altre amenità sui generis, si celi invece una realtà destinata a parlare un linguaggio per molti versi antitetico.
Gli ostacoli che la proposta intende seriamente smantellare, riguardano la tutela del consumatore, la trasparenza nelle procedure, le garanzie sociali ed ambientali, la qualità dei servizi, la possibilità di prendere decisioni da parte delle autorità locali, nonchè i pochi paletti che ancora si frappongono ad una privatizzazione selvaggia dei settori pubblici dell'istruzione e della sanità, il tutto perseguendo l'isolamento ed il disarmo incondizionato delle organizzazioni sindacali.
Il punto attraverso il quale si può apprezzare in maniera più evidente il reale spirito che anima la direttiva è costituito dall'art. 16 che introduce il "Principio del paese di origine".
In base a codesto principio, sovvertendo la legislazione finora in vigore, un qualsivoglia fornitore di servizi è tenuto a rispettare solo e solamente la legislazione del paese nel quale ha sede la propria impresa, potendosi così permettere d'ignorare le leggi dei vari paesi nei quali fornisce il servizio.
Appare immediatamente in tutta la sua evidenza, come una norma di questo genere, che si va ad innescare su una molteplicità di stati sovrani ben lontani dal rappresentare un'omogeneità legislativa a livello sociale, fiscale ed ambientale, si proponga come trampolino di lancio per una serie di conseguenze che anche un ottimista non esiterebbe a definire catastrofiche.
In primo luogo le imprese risulteranno fortemente incentivate al trasferimento delle proprie sedi sul suolo di quei paesi la cui legislatura meno tutela i lavoratori ed il sociale.
In secondo luogo si creerà una sperequazione sociale fra lavoratori operanti nello stesso stato, con conseguente progressivo appiattimento verso il basso dei diritti e delle retribuzioni di coloro che lavorano nei paesi che fino ad oggi sono stati più attenti alla tutela del lavoro e dei diritti.
Più in generale s'introduce una cacofonia legislativa che da un lato deregolamenta completamente il mondo dei servizi e dall'altro esautora le organizzazioni sindacali e gli enti locali da ogni possibilità d'intervento.
La direttiva Bolkenstain non va letta come un errore di percorso, come un qualcosa di avulso al contesto nel quale l'UE si sta muovendo da ormai molti anni con risolutezza.
L'Europa del futuro, quella che man mano si sta tratteggiando, sia pur permeata dai falsi buoni propositi, sarà in realtà permeata dal progressivo regresso delle conquiste sociali che i suoi cittadini avevano conquistato nella seconda metà del novecento.
Si profila un domani da vivere (o sopravvivere) in un mondo del lavoro precarizzato oltremisura, dove lo stato di diritto e quello sociale diverranno ben presto retaggi del passato.
Un'Europa sempre più privatizzata, succube della competizione sfrenata, probabilmente più omogenea perché appiattita su un livello di qualità della vita decisamente più basso rispetto a quello di oggi.
Un Europa dove perderà sempre più importanza il valore dell'individuo, immolato sull'altare della competitività, del mercato e della concorrenza. Un'Europa sempre più schiava del capitale, delle Corporation, delle banche, delle grandi multinazionali. Ancora una volta il passato che ritorna viene spacciato per "nuovo" nell'intento di ottenere la supina accettazione da parte dell'opinione pubblica.
Continua la propria corsa all'interno del Parlamento europeo la proposta di direttiva Bolkenstain (che prende il nome dal commissario europeo per la concorrenza ed il mercato interno) forse il più fulgido esempio della direzione nella quale l'Unione Europea intende muoversi nel prossimo futuro, attraverso una strada lastricata dalla sistematica soppressione dello stato sociale, dei diritti dei lavoratori e della libertà individuale.
Contrariamente al nobile proposito di ridurre gli intralci burocratici che soffocano la competitività europea, di creare crescita e nuovi posti di lavoro, la direttiva in oggetto si manifesta fin da subito come un flagello in grado di smantellare definitivamente lo stato sociale, i diritti dei lavoratori e gli equilibri salariali.
Innescandosi sulla situazione attuale già profondamente compromessa dalle privatizzazioni indiscriminate, dalla pesante recessione economica, dalla disoccupazione in continua ascesa, la Direttiva Bolkstein si propone di stabilire un quadro giuridico applicabile, salvo rare eccezioni, a tutte le attività economiche di servizi, perseguendo un approccio orizzontale e rifiutando a priori ogni sforzo di armonizzazione con le singole legislazioni dei vari paesi.
Per rendere l'idea di quanto vasto sia il settore di applicazione della proposta, basti pensare che i servizi in essa contemplati rappresentano oltre il 50% dell'intera attività economica dell'UE.
I reali obiettivi che la Direttiva Bolkstein intende perseguire appaiono chiari non appena si prova a trasporre nella realtà il testo della stessa, spogliandolo della maschera di falsi buoni propositi, della quale si è inteso infarcirlo in maniera quasi ossessiva.
Scopriremo così come fra le pieghe di favole quali la "riduzione degli oneri amministrativi" "l'incentivazione all'espansione transfrontaliera delle imprese" "la riduzione dei prezzi attraverso lo stimolo alla concorrenza" "la sequela infinita di vantaggi per il consumatore" ed altre amenità sui generis, si celi invece una realtà destinata a parlare un linguaggio per molti versi antitetico.
Gli ostacoli che la proposta intende seriamente smantellare, riguardano la tutela del consumatore, la trasparenza nelle procedure, le garanzie sociali ed ambientali, la qualità dei servizi, la possibilità di prendere decisioni da parte delle autorità locali, nonchè i pochi paletti che ancora si frappongono ad una privatizzazione selvaggia dei settori pubblici dell'istruzione e della sanità, il tutto perseguendo l'isolamento ed il disarmo incondizionato delle organizzazioni sindacali.
Il punto attraverso il quale si può apprezzare in maniera più evidente il reale spirito che anima la direttiva è costituito dall'art. 16 che introduce il "Principio del paese di origine".
In base a codesto principio, sovvertendo la legislazione finora in vigore, un qualsivoglia fornitore di servizi è tenuto a rispettare solo e solamente la legislazione del paese nel quale ha sede la propria impresa, potendosi così permettere d'ignorare le leggi dei vari paesi nei quali fornisce il servizio.
Appare immediatamente in tutta la sua evidenza, come una norma di questo genere, che si va ad innescare su una molteplicità di stati sovrani ben lontani dal rappresentare un'omogeneità legislativa a livello sociale, fiscale ed ambientale, si proponga come trampolino di lancio per una serie di conseguenze che anche un ottimista non esiterebbe a definire catastrofiche.
In primo luogo le imprese risulteranno fortemente incentivate al trasferimento delle proprie sedi sul suolo di quei paesi la cui legislatura meno tutela i lavoratori ed il sociale.
In secondo luogo si creerà una sperequazione sociale fra lavoratori operanti nello stesso stato, con conseguente progressivo appiattimento verso il basso dei diritti e delle retribuzioni di coloro che lavorano nei paesi che fino ad oggi sono stati più attenti alla tutela del lavoro e dei diritti.
Più in generale s'introduce una cacofonia legislativa che da un lato deregolamenta completamente il mondo dei servizi e dall'altro esautora le organizzazioni sindacali e gli enti locali da ogni possibilità d'intervento.
La direttiva Bolkenstain non va letta come un errore di percorso, come un qualcosa di avulso al contesto nel quale l'UE si sta muovendo da ormai molti anni con risolutezza.
L'Europa del futuro, quella che man mano si sta tratteggiando, sia pur permeata dai falsi buoni propositi, sarà in realtà permeata dal progressivo regresso delle conquiste sociali che i suoi cittadini avevano conquistato nella seconda metà del novecento.
Si profila un domani da vivere (o sopravvivere) in un mondo del lavoro precarizzato oltremisura, dove lo stato di diritto e quello sociale diverranno ben presto retaggi del passato.
Un'Europa sempre più privatizzata, succube della competizione sfrenata, probabilmente più omogenea perché appiattita su un livello di qualità della vita decisamente più basso rispetto a quello di oggi.
Un Europa dove perderà sempre più importanza il valore dell'individuo, immolato sull'altare della competitività, del mercato e della concorrenza. Un'Europa sempre più schiava del capitale, delle Corporation, delle banche, delle grandi multinazionali. Ancora una volta il passato che ritorna viene spacciato per "nuovo" nell'intento di ottenere la supina accettazione da parte dell'opinione pubblica.
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