Marco Cedolin
Dopo settimane dense d’incertezza, dichiarazioni, smentite, ipotesi, ambizioni di comando, comandanti ambiziosi e governi recalcitranti, il “grande giorno” sembra davvero essere arrivato.La prima missione (di guerra? Di pace?) del governo Prodi sta spiegando le vele in direzione del Libano dove dovrebbe giungere nella giornata di venerdì.
Questa notizia, la sommaria composizione della forza militare italiana deputata, almeno inizialmente, a costituire il nostro contributo alla forza d’interposizione che stazionerà in Libano sotto la bandiera dell’ONU e le prime stime dei costi della missione stessa sono in realtà le uniche certezze.
Si tratta di 5 navi con circa 2500 uomini (compresi 1500 marinai che costituiscono gli equipaggi) prevalentemente fanti di Marina del reggimento San Marco, 120 lagunari dell’esercito e un numero imprecisato di piloti di elicotteri e caccia AV8B con i loro mezzi, il tutto al comando dell’Ammiraglio Giuseppe De Giorni.Un migliaio di uomini destinati dunque a prendere posizione in terra libanese nell’attesa che entro un paio di mesi possano essere integrati e sostituiti da altri commilitoni fino al raggiungimento delle 3000 unità previste.La prima ipotesi di costo stimato parla di circa 65 milioni di euro il mese, cioè quasi 800 milioni di euro l’anno, un esborso certo non indifferente per un paese come l’Italia, la cui condizione economica disastrata è fra le peggiori d’Europa, se pensiamo che costituisce quasi la metà della cifra (2 miliardi di euro) che Tremonti nella scorsa finanziaria tagliò a regioni, province e comuni, suscitando polemiche e malcontento. Concluso il breve elenco delle certezze non possiamo prescindere da quello di tutto ciò che certo non è, anzi in molti casi sembra profondamente restio a diventarlo.
La forza d’interposizione posta sotto la bandiera dell’ONU dovrebbe restare sotto comando francese fino a febbraio 2007 allorquando toccherà all’Italia assumerne le redini. Il numero dei militari partecipanti alla missione è sceso dai 15000 inizialmente previsti a circa 6900 dei quali 2000 francesi, 3000 italiani (quasi la metà dell’intero contingente) ed i restanti da dividersi fra altri paesi europei ed islamici ancora in fase di definizione.I caschi blu non avranno il compito di disarmare gli Hezbollah ma quello di monitorare la cessazione delle ostilità e coadiuvare i militari libanesi nell’impedire l’ingresso di armi nel paese.Potranno usare le armi in caso di minaccia o intento ostile (sarebbe stato parossistico immaginare dei soldati che si lascino sparare addosso senza reagire) e dovranno richiamarsi ai dettami della risoluzione 1701.
Anche se Prodi e buona parte degli uomini politici italiani si dicono soddisfatti dalla definizione delle regole d’ingaggio, appare evidente come le vaghe indicazioni contenute nella risoluzione 1701 lascino aperte una serie infinita d’interrogativi e perplessità. L’Italia pur non trovandosi inizialmente sul ponte di comando mette sul campo quasi la metà dell’intero contingente e per forza di cose si assume in assoluto la maggiore responsabilità in seno ad una missione ad alto rischio che oltretutto non coordina personalmente.
La forza d’interposizione costituita quasi all’80% da soldati italo – francesi sarà in grado d’imporre in maniera equanime il rispetto della tregua anche di fronte alle probabili violazioni messe in atto da Israele? E nel caso che queste avvengano quale dovrà essere l’atteggiamento dei caschi blu? L’ipotesi di una reazione violenta nei confronti d’Israele sembra aliena anche alla più fervida fantasia, ma nel caso si scelga la semplice “osservazione” lo stesso metro andrà applicato anche nei confronti di Hezbollah e la funzione dei caschi blu si ridurrà a quella di spettatori oltretutto paganti. A questo riguardo (fermo restando i 3000 soldati italiani il cui numero non è cambiato) sarebbe stata preferibile una forza di 15000 uomini il cui peso sarebbe risultato sicuramente maggiore. Per quale ragione gli altri Paesi, europei e non, si sono guardati bene dal profondersi in un contributo corposo ad una missione che viene spacciata come importante e da tutti condivisa? Paura? Opportunità? Egoismo? Lungimiranza?I soldati ONU dovranno impedire l’importazione di armi ma la Siria ha già affermato a più riprese di non gradire ingerenze alle sue frontiere e un compito del genere si presenta quanto mai ostico, soprattutto in virtù del fatto che nessuna limitazione al riguardo viene imposta ad Israele.In maniera analoga i caschi blu dovranno contribuire a creare nel sud del Libano una zona libera da personale armato (Hezbollah) ma non avranno alcun compito di questo genere in territorio israeliano a ridosso del confine.In sostanza la missione dovrebbe tendere a preservare la sicurezza d’Israele, senza fare altrettanto per la sicurezza della popolazione libanese, stazionando oltretutto in un territorio a larga maggioranza sciita.
I presupposti per delle frizioni con la popolazione locale e con Hezbollah ci sono dunque tutti anche senza tener conto dell’eventualità che qualche soldato (spaventato o su di giri) manifesti la propensione ad avere il “grilletto facile”.Al tempo stesso permane il timore (a pensar male troppo spesso ci si prende) che Israele possa “usare” la forza d’interposizione come oggetto di qualche attentato da attribuire ad Hezbollah, finalizzato a screditare le milizie sciite in occidente a proprio uso e consumo.L’ennesima missione (di pace? Di guerra?) si presenta indubbiamente come la più ostica e complicata fra quelle sul tappeto. In Libano non sarà possibile rinchiudersi dentro ad un fortino in un angolo dimenticato del paese come abbiamo fatto in Iraq, né tanto meno restare all’ombra dei soldati americani come in Afghanistan. In Libano il rischio per i nostri soldati sarà enormemente maggiore, lo dimostra in maniera inequivocabile la scarsità dei nostri compagni di viaggio.
Il fatto che quasi tutti si siano defilati o abbiano assunto posizioni di basso profilo avrebbe dovuto far riflettere tanto il governo quanto l’opposizione.L’orgoglio e la ricerca della fama purtroppo sono spesso sirene che giocano brutti scherzi (il nostro passato è infarcito di esempi in merito) e anche Romano Prodi non ha saputo trattenersi dal gridare Armiamoci e Partite, sono partiti, forse è giunta l’ora d’iniziare davvero a preoccuparsi.
lunedì 28 agosto 2006
sabato 26 agosto 2006
Quando i caprioli danneggiano l'ambiente
Marco Cedolin
Da sempre mi vengono i brividi quando mi accingo a leggere “il mondo secondo Mercedes Bresso” pessimo libro infarcito di visionaria lucidità che ogni mese si arricchisce di qualche nuovo capitolo.
La visione della realtà che il Governatore Bresso e la maggioranza che la sostiene in seno alla Regione Piemonte tentano di portare avanti è tanto bizzarra quanto agghiacciante poiché in grado di stravolgere tutto e tutti a loro esclusivo uso e consumo.
In questa sorta di realtà parallela il Piemonte giace isolato dal resto del continente europeo, pur transitando attraverso la sola Valle di Susa ben un terzo di tutto il traffico merci che valica l’arco alpino.
Il TAV è talmente indispensabile da trasmutare a questione di vita o di morte, poiché ritenuto l’unico mezzo idoneo a trasportare quelle merci che mai sono esistite nella nostra realtà mentre invece abbondano e s’incrementano in maniera esponenziale in quella del Governatore.
La colpa dell’inquinamento è tutta di coloro che irrispettosi dell’ambiente e talvolta pure colpevoli di essere poveri, si ostinano a possedere un’auto di vecchia generazione con la quale osano transitare su quelle strade per usare le quali pagano annualmente un salatissimo bollo di circolazione.
Gli inceneritori, come quello che sorgerà al Gerbido, s’integrano perfettamente con l’ambiente, anzi finiscono per costituire un valore aggiunto poiché carichi di messaggi architettonici, così come architettonicamente gradevoli saranno i nuovi depositi che la Sogin costruirà per le scorie radioattive di Saluggia.
Nella realtà di Mercedes Bresso perfino le acciaierie Beltrame di San Didero, un mostro in grado d’inquinare quanto 20 megainceneritori immerso nel bel mezzo di una valle alpina, sono in sintonia con l’ambiente circostante e la vocazione agricolo/turistica che ad una valle alpina dovrebbe per forza appartenere.
Autostrade, tunnel, ferrovie (possibilmente ad alta velocità) ponti, centrali idroelettriche, viadotti, mega centri commerciali ed ogni altro manufatto di derivazione cementizia sono dunque in “Mercedes nel paese delle meraviglie” gli unici strumenti in grado di permettere una sana integrazione dell’uomo con la natura e l’ambiente, un’integrazione rispettosa degli animali, delle piante, dell’uomo e soprattutto del cemento che serve a “legarli” insieme in un quadretto cosmico intriso di felicità.
Ma i caprioli no!
I caprioli nel mondo di Mercedes Bresso proprio non ci devono stare, o meglio non ci possono stare tante sono le loro colpe imperdonabili ed inqualificabili.
I caprioli danneggiano l’ambiente peggio di quanto non lo faccia un cementificio o un’acciaieria, mangiano ed in quanto mangiatori devastano (novelle locuste) i raccolti rovinando la fiorente agricoltura piemontese e come se non bastasse ogni giorno si gettano contro le auto in corsa sulle strade di montagna, occupando un ambiente che non è il loro, osando ribellarsi come novelli attentatori suicidi, all’occupazione che il cemento e l’asfalto devono fare della montagna, affinché l’integrazione con la città non risulti solamente utopia.
I caprioli non hanno scusanti, sono tanti, troppi perché l’ambiente possa sostenerli, probabilmente le loro emissioni di diossine e pcb sforano di molto le norme europee e anche il loro respiro affannoso (perché corrono, corrono troppo) contribuisce ad impedirci di rispettare gli accordi di Kyoto.
E allora avanti con la mattanza, ne verranno uccisi circa 5000, nonostante il dissenso del Ministro per l’Ambiente Pecoraio Scanio, nonostante le proteste degli animalisti e degli ambientalisti, nonostante la logica più elementare avrebbe imposto almeno un ripensamento.
Fuori i caprioli dal mondo di Mercedes Bresso, per far spazio a nuovi tunnel, ponti, viadotti, strade, autostrade, ferrovie, centrali elettriche, inceneritori.
Una volta eliminati i caprioli poco rispettosi dell’ambiente, veri usurpatori di aria e spazio, sorge spontaneo domandarsi a chi toccherà la prossima volta.Le rondini? I cani? i gatti? Le lepri? Le marmotte? Gli scoiattoli? Oppure qualche specie umana come i valsusini incazzati e sfaccendati impenitenti?
Da sempre mi vengono i brividi quando mi accingo a leggere “il mondo secondo Mercedes Bresso” pessimo libro infarcito di visionaria lucidità che ogni mese si arricchisce di qualche nuovo capitolo.
La visione della realtà che il Governatore Bresso e la maggioranza che la sostiene in seno alla Regione Piemonte tentano di portare avanti è tanto bizzarra quanto agghiacciante poiché in grado di stravolgere tutto e tutti a loro esclusivo uso e consumo.
In questa sorta di realtà parallela il Piemonte giace isolato dal resto del continente europeo, pur transitando attraverso la sola Valle di Susa ben un terzo di tutto il traffico merci che valica l’arco alpino.
Il TAV è talmente indispensabile da trasmutare a questione di vita o di morte, poiché ritenuto l’unico mezzo idoneo a trasportare quelle merci che mai sono esistite nella nostra realtà mentre invece abbondano e s’incrementano in maniera esponenziale in quella del Governatore.
La colpa dell’inquinamento è tutta di coloro che irrispettosi dell’ambiente e talvolta pure colpevoli di essere poveri, si ostinano a possedere un’auto di vecchia generazione con la quale osano transitare su quelle strade per usare le quali pagano annualmente un salatissimo bollo di circolazione.
Gli inceneritori, come quello che sorgerà al Gerbido, s’integrano perfettamente con l’ambiente, anzi finiscono per costituire un valore aggiunto poiché carichi di messaggi architettonici, così come architettonicamente gradevoli saranno i nuovi depositi che la Sogin costruirà per le scorie radioattive di Saluggia.
Nella realtà di Mercedes Bresso perfino le acciaierie Beltrame di San Didero, un mostro in grado d’inquinare quanto 20 megainceneritori immerso nel bel mezzo di una valle alpina, sono in sintonia con l’ambiente circostante e la vocazione agricolo/turistica che ad una valle alpina dovrebbe per forza appartenere.
Autostrade, tunnel, ferrovie (possibilmente ad alta velocità) ponti, centrali idroelettriche, viadotti, mega centri commerciali ed ogni altro manufatto di derivazione cementizia sono dunque in “Mercedes nel paese delle meraviglie” gli unici strumenti in grado di permettere una sana integrazione dell’uomo con la natura e l’ambiente, un’integrazione rispettosa degli animali, delle piante, dell’uomo e soprattutto del cemento che serve a “legarli” insieme in un quadretto cosmico intriso di felicità.
Ma i caprioli no!
I caprioli nel mondo di Mercedes Bresso proprio non ci devono stare, o meglio non ci possono stare tante sono le loro colpe imperdonabili ed inqualificabili.
I caprioli danneggiano l’ambiente peggio di quanto non lo faccia un cementificio o un’acciaieria, mangiano ed in quanto mangiatori devastano (novelle locuste) i raccolti rovinando la fiorente agricoltura piemontese e come se non bastasse ogni giorno si gettano contro le auto in corsa sulle strade di montagna, occupando un ambiente che non è il loro, osando ribellarsi come novelli attentatori suicidi, all’occupazione che il cemento e l’asfalto devono fare della montagna, affinché l’integrazione con la città non risulti solamente utopia.
I caprioli non hanno scusanti, sono tanti, troppi perché l’ambiente possa sostenerli, probabilmente le loro emissioni di diossine e pcb sforano di molto le norme europee e anche il loro respiro affannoso (perché corrono, corrono troppo) contribuisce ad impedirci di rispettare gli accordi di Kyoto.
E allora avanti con la mattanza, ne verranno uccisi circa 5000, nonostante il dissenso del Ministro per l’Ambiente Pecoraio Scanio, nonostante le proteste degli animalisti e degli ambientalisti, nonostante la logica più elementare avrebbe imposto almeno un ripensamento.
Fuori i caprioli dal mondo di Mercedes Bresso, per far spazio a nuovi tunnel, ponti, viadotti, strade, autostrade, ferrovie, centrali elettriche, inceneritori.
Una volta eliminati i caprioli poco rispettosi dell’ambiente, veri usurpatori di aria e spazio, sorge spontaneo domandarsi a chi toccherà la prossima volta.Le rondini? I cani? i gatti? Le lepri? Le marmotte? Gli scoiattoli? Oppure qualche specie umana come i valsusini incazzati e sfaccendati impenitenti?
mercoledì 23 agosto 2006
Tutti ci vogliono caput mundi
Marco Cedolin
Quando tutti ti vogliono a capo di un progetto può significare che sei il più bravo oppure che il rischio di fallimento connesso al progetto stesso appaia talmente alto da far si che nessuno abbia intenzione di accollarselo.La forza d’interposizione che sotto la bandiera dell’ONU dovrebbe contribuire a consolidare la tregua fra Israele ed Hezbollah come previsto dalla risoluzione 1701 è ormai in fase di gestazione da una decina di giorni durante i quali è stato detto e scritto tutto ed il contrario di tutto senza che sia stato fatto alcun passo in avanti. I passi indietro al contrario sono stati molti se è vero che la Francia deputata inizialmente al comando della missione stessa non solo si è defilata dal ruolo di leader ma ha anche ridotto il potenziale del proprio contributo da alcune migliaia a circa 200 uomini. La Germania si è detta disponibile solamente al pattugliamento delle coste, Stati Uniti ed Inghilterra si sono chiamati fuori fin dall’inizio da una partecipazione attiva al contingente ed i resto dei paesi europei attende perplesso che vengano definiti nel dettaglio il ruolo ed i compiti dei caschi blu. Le regole d’ingaggio ed i compiti specifici della forza d’interposizione costituiscono infatti la cruna dell’ago attraverso la quale inevitabilmente dovranno passare tutte le aspirazioni connesse a questo progetto. Ancora una volta l’ONU sta dando prova della propria inanità, pietrificata in quell’immobilismo figlio della sua sudditanza agli Stati Uniti e ad Israele.La risoluzione 1701 (che il Presidente Bush ha dichiarato sarà seguita a breve da una nuova risoluzione) ha avuto il merito indiscutibile di costituirsi quale presupposto per la tregua ma al contempo si è rivelata un vero e proprio boomerang che impedisce di tradurre in realtà qualunque ipotesi di missione militare non belligerante.
Il disarmo delle milizie Hezbollah ed il presidio dei confini affinché le milizie stesse non possano “importare” armi sono due punti fermi che se da un lato garantiscono il favore d’Israele dall’altro privano il contingente ONU di tutti i presupposti necessari ad intraprendere una missione pacifica.Anche se il disarmo di Hezbollah dovrebbe spettare secondo la risoluzione all’esercito libanese e non ai caschi blu, tutti gli esperti militari non hanno mancato di mettere in luce la situazione di estremo pericolo nella quale verrà a trovarsi il contingente in mancanza di regole precise e di compiti ben definiti.Precisare le regole e definire i compiti in funzione della risoluzione 1701 significa però inevitabilmente dare alla forza d’interposizione il carattere di una missione belligerante pronta a combattere e sparare per far rispettare quelle stesse regole che stanno alla base della risoluzione. Si chiude così il circolo vizioso in quanto una missione belligerante si troverebbe comunque in situazione di estremo pericolo con il rischio di pagare un alto tributo in termini di vite umane.
Nessun governo europeo, tanto meno quello italiano può permettersi uno stillicidio di bare che giorno dopo giorno tornano a casa trasportate da un aereo militare. Così come nessun governo europeo credo sia disposto, solo per compiacere Israele e l’amministrazione Bush, ad infilare a cuor leggero i propri soldati dentro un cul de sac dal quale sarebbe poi difficilissimo uscire.Di contralto affinché la missione possa assumere carattere pacifico ed i rischi essere contenuti in una dimensione ragionevole occorrerebbe che l’ONU prescindesse dal disarmo di Hezbollah e dal presidio dei confini, deputando alla forza d’interposizione solo un compito di “cuscinetto” funzionale alla preservazione del cessate il fuoco nell’attesa che la “politica” si faccia carico di risolvere le altre questioni.Difficilmente Israele e gli Stati Uniti saranno disposti ad accettare una missione contenuta in questi termini ed ecco palesarsi i presupposti per la stasi di queste settimane, una stasi che rischierà di protrarsi a lungo, mascherata dalla babele di dichiarazioni e smentite, condite da una ridda di riunioni ed incontri ad alto livello durante i quali non si decide nulla perché nulla vi è da decidere se non si sceglie di cambiare le basi stesse del contendere.Nella babilonia di questi giorni tutti chiedono che l’Italia prenda il comando della missione in Libano, una richiesta che non ha mancato d’inorgoglire Romano Prodi che si è detto felice, se l’ONU lo domanderà, di prendere in mano le redini.
Resta da capire le redini di cosa perché quelle dell’Armata Brancaleone è meglio lasciarle all’interpretazione dell’indimenticato Vittorio Gassman.
Quando tutti ti vogliono a capo di un progetto può significare che sei il più bravo oppure che il rischio di fallimento connesso al progetto stesso appaia talmente alto da far si che nessuno abbia intenzione di accollarselo.La forza d’interposizione che sotto la bandiera dell’ONU dovrebbe contribuire a consolidare la tregua fra Israele ed Hezbollah come previsto dalla risoluzione 1701 è ormai in fase di gestazione da una decina di giorni durante i quali è stato detto e scritto tutto ed il contrario di tutto senza che sia stato fatto alcun passo in avanti. I passi indietro al contrario sono stati molti se è vero che la Francia deputata inizialmente al comando della missione stessa non solo si è defilata dal ruolo di leader ma ha anche ridotto il potenziale del proprio contributo da alcune migliaia a circa 200 uomini. La Germania si è detta disponibile solamente al pattugliamento delle coste, Stati Uniti ed Inghilterra si sono chiamati fuori fin dall’inizio da una partecipazione attiva al contingente ed i resto dei paesi europei attende perplesso che vengano definiti nel dettaglio il ruolo ed i compiti dei caschi blu. Le regole d’ingaggio ed i compiti specifici della forza d’interposizione costituiscono infatti la cruna dell’ago attraverso la quale inevitabilmente dovranno passare tutte le aspirazioni connesse a questo progetto. Ancora una volta l’ONU sta dando prova della propria inanità, pietrificata in quell’immobilismo figlio della sua sudditanza agli Stati Uniti e ad Israele.La risoluzione 1701 (che il Presidente Bush ha dichiarato sarà seguita a breve da una nuova risoluzione) ha avuto il merito indiscutibile di costituirsi quale presupposto per la tregua ma al contempo si è rivelata un vero e proprio boomerang che impedisce di tradurre in realtà qualunque ipotesi di missione militare non belligerante.
Il disarmo delle milizie Hezbollah ed il presidio dei confini affinché le milizie stesse non possano “importare” armi sono due punti fermi che se da un lato garantiscono il favore d’Israele dall’altro privano il contingente ONU di tutti i presupposti necessari ad intraprendere una missione pacifica.Anche se il disarmo di Hezbollah dovrebbe spettare secondo la risoluzione all’esercito libanese e non ai caschi blu, tutti gli esperti militari non hanno mancato di mettere in luce la situazione di estremo pericolo nella quale verrà a trovarsi il contingente in mancanza di regole precise e di compiti ben definiti.Precisare le regole e definire i compiti in funzione della risoluzione 1701 significa però inevitabilmente dare alla forza d’interposizione il carattere di una missione belligerante pronta a combattere e sparare per far rispettare quelle stesse regole che stanno alla base della risoluzione. Si chiude così il circolo vizioso in quanto una missione belligerante si troverebbe comunque in situazione di estremo pericolo con il rischio di pagare un alto tributo in termini di vite umane.
Nessun governo europeo, tanto meno quello italiano può permettersi uno stillicidio di bare che giorno dopo giorno tornano a casa trasportate da un aereo militare. Così come nessun governo europeo credo sia disposto, solo per compiacere Israele e l’amministrazione Bush, ad infilare a cuor leggero i propri soldati dentro un cul de sac dal quale sarebbe poi difficilissimo uscire.Di contralto affinché la missione possa assumere carattere pacifico ed i rischi essere contenuti in una dimensione ragionevole occorrerebbe che l’ONU prescindesse dal disarmo di Hezbollah e dal presidio dei confini, deputando alla forza d’interposizione solo un compito di “cuscinetto” funzionale alla preservazione del cessate il fuoco nell’attesa che la “politica” si faccia carico di risolvere le altre questioni.Difficilmente Israele e gli Stati Uniti saranno disposti ad accettare una missione contenuta in questi termini ed ecco palesarsi i presupposti per la stasi di queste settimane, una stasi che rischierà di protrarsi a lungo, mascherata dalla babele di dichiarazioni e smentite, condite da una ridda di riunioni ed incontri ad alto livello durante i quali non si decide nulla perché nulla vi è da decidere se non si sceglie di cambiare le basi stesse del contendere.Nella babilonia di questi giorni tutti chiedono che l’Italia prenda il comando della missione in Libano, una richiesta che non ha mancato d’inorgoglire Romano Prodi che si è detto felice, se l’ONU lo domanderà, di prendere in mano le redini.
Resta da capire le redini di cosa perché quelle dell’Armata Brancaleone è meglio lasciarle all’interpretazione dell’indimenticato Vittorio Gassman.
martedì 8 agosto 2006
Non serve un grande medico ma una tessera di partito
Marco Cedolin
Lo chiamano “spoil system” e tradotto nella lingua che ci dovrebbe essere propria significa pressappoco rivoluzionare politicamente tutti i vertici delle varie istituzioni esistenti nel paese ad ogni cambio di colore della maggioranza di governo.
In una dimensione politica come quella del nostro paese, ormai da un paio di decenni in balia dell’alternanza, la pratica d’insediare sulle varie “poltrone che contano” l’amico o l’amico del partito, scalzando il predecessore senza curarsi dei risultati del suo operato, si qualifica come esercizio scarsamente virtuoso e spesso nocivo nell’ottica di una buona gestione della “cosa pubblica”.
In questa sorta di resa dei conti quinquennale sarebbe auspicabile che i “tagliatori di teste” facessero ricorso almeno ad un minimo di logica e sensibilità quando si apprestano a falcidiare settori altamente delicati quali la salute pubblica e la ricerca. Settori laddove i programmi portati avanti nelle singole strutture sono spesso a medio termine e travalicano abbondantemente il battito di ciglia di una legislatura.
Logica e sensibilità non sono certo venute in soccorso del neo Ministro della Salute Livia Turco che procedendo nell’applicazione dello “spoil system” ha pensato bene di sostituire alla Direzione scientifica dell’Istituto dei tumori Regina Elena di Roma, il professor Francesco Cognetti (reo di essere stato a suo tempo nominato da Berlusconi) oncologo di fama internazionale, con l’epidemiologa dottoressa Paola Muti.
Senza sindacare sulla valenza professionale di entrambi i soggetti in questione, (su quella del ministro sarebbe invece logico azzardare più di qualche ragionevole dubbio) fermo restando la convinzione che trattandosi di lotta ai tumori la figura di un oncologo fosse quanto mai appropriata, ciò che colpisce maggiormente è l’assoluto disinteresse dell’autorità politica nei confronti dei risultati che il professor Cognetti ha ottenuto durante questi anni.
In un paese come l’Italia dove per acquistare la proprietà di una farmacia occorre per forza essere medici ma può bastare una laurea in filosofia per diventare ministri della salute tutto sembra piegarsi alla logica dei partiti che distribuiscono il potere talvolta in spregio alle più elementari regole del buon senso.
Il filosofo Livia Turco non ha tenuto conto del notevole prestigio di cui il professor Cognetti gode anche a livello internazionale e neppure del fatto che in 5 anni sia riuscito ad incrementare concretamente dell’800% le ricerche scientifiche sul cancro. Non ha tenuto conto del fatto che nello stesso periodo grazie all’attività “promozionale” del professor Cognetti l’entità dei finanziamenti sia pubblici che privati verso l’Istituto sia più che raddoppiata, nonostante i tagli ai fondi per la ricerca presenti nelle ultime finanziarie.
Così come non ha tenuto conto del fatto che il professor Cognetti ha recentemente elaborato un interessante progetto nel campo dell’oncologia molecolare che, se portato avanti, nei prossimi anni potrebbe produrre ottimi risultati.
La decisione ha sollevato molte polemiche non solo da parte degli esponenti del mondo scientifico, ma anche di molti uomini politici sia di opposizione che di maggioranza, fra i quali Rizzo dei Comunisti italiani, Di Pietro dell’Italia dei valori e Ronchi di Alleanza Nazionale. E’ drammatico constatare come in un mondo politico che si finge sensibile alla meritocrazia e al conseguimento dei risultati i pochi personaggi che si sono distinti per la propria competenza e professionalità finiscano immolati sull’altare delle tessere di partito, con il risultato spesso disastroso di vanificare l’ottimo lavoro che stavano portando avanti.
Lo chiamano “spoil system” e tradotto nella lingua che ci dovrebbe essere propria significa pressappoco rivoluzionare politicamente tutti i vertici delle varie istituzioni esistenti nel paese ad ogni cambio di colore della maggioranza di governo.
In una dimensione politica come quella del nostro paese, ormai da un paio di decenni in balia dell’alternanza, la pratica d’insediare sulle varie “poltrone che contano” l’amico o l’amico del partito, scalzando il predecessore senza curarsi dei risultati del suo operato, si qualifica come esercizio scarsamente virtuoso e spesso nocivo nell’ottica di una buona gestione della “cosa pubblica”.
In questa sorta di resa dei conti quinquennale sarebbe auspicabile che i “tagliatori di teste” facessero ricorso almeno ad un minimo di logica e sensibilità quando si apprestano a falcidiare settori altamente delicati quali la salute pubblica e la ricerca. Settori laddove i programmi portati avanti nelle singole strutture sono spesso a medio termine e travalicano abbondantemente il battito di ciglia di una legislatura.
Logica e sensibilità non sono certo venute in soccorso del neo Ministro della Salute Livia Turco che procedendo nell’applicazione dello “spoil system” ha pensato bene di sostituire alla Direzione scientifica dell’Istituto dei tumori Regina Elena di Roma, il professor Francesco Cognetti (reo di essere stato a suo tempo nominato da Berlusconi) oncologo di fama internazionale, con l’epidemiologa dottoressa Paola Muti.
Senza sindacare sulla valenza professionale di entrambi i soggetti in questione, (su quella del ministro sarebbe invece logico azzardare più di qualche ragionevole dubbio) fermo restando la convinzione che trattandosi di lotta ai tumori la figura di un oncologo fosse quanto mai appropriata, ciò che colpisce maggiormente è l’assoluto disinteresse dell’autorità politica nei confronti dei risultati che il professor Cognetti ha ottenuto durante questi anni.
In un paese come l’Italia dove per acquistare la proprietà di una farmacia occorre per forza essere medici ma può bastare una laurea in filosofia per diventare ministri della salute tutto sembra piegarsi alla logica dei partiti che distribuiscono il potere talvolta in spregio alle più elementari regole del buon senso.
Il filosofo Livia Turco non ha tenuto conto del notevole prestigio di cui il professor Cognetti gode anche a livello internazionale e neppure del fatto che in 5 anni sia riuscito ad incrementare concretamente dell’800% le ricerche scientifiche sul cancro. Non ha tenuto conto del fatto che nello stesso periodo grazie all’attività “promozionale” del professor Cognetti l’entità dei finanziamenti sia pubblici che privati verso l’Istituto sia più che raddoppiata, nonostante i tagli ai fondi per la ricerca presenti nelle ultime finanziarie.
Così come non ha tenuto conto del fatto che il professor Cognetti ha recentemente elaborato un interessante progetto nel campo dell’oncologia molecolare che, se portato avanti, nei prossimi anni potrebbe produrre ottimi risultati.
La decisione ha sollevato molte polemiche non solo da parte degli esponenti del mondo scientifico, ma anche di molti uomini politici sia di opposizione che di maggioranza, fra i quali Rizzo dei Comunisti italiani, Di Pietro dell’Italia dei valori e Ronchi di Alleanza Nazionale. E’ drammatico constatare come in un mondo politico che si finge sensibile alla meritocrazia e al conseguimento dei risultati i pochi personaggi che si sono distinti per la propria competenza e professionalità finiscano immolati sull’altare delle tessere di partito, con il risultato spesso disastroso di vanificare l’ottimo lavoro che stavano portando avanti.
La guerra buona che piace all'Occidente
Marco Cedolin
Spesso camminando per le vie della mia città in questi giorni di piena estate, durante i quali l’esercito israeliano sta massacrando la popolazione del Libano, mi capita di volgere lo sguardo all’insù alla ricerca di quelle bandiere che dovrebbero essere appese ai nostri balconi ma gli occhi si perdono nel vuoto delle ringhiere intercalato a qualche sdrucito tricolore reduce dal baccanale delle notti mondiali.
Il Primo Ministro israeliano Olmert, piglio da sceriffo e faccia da consumato agente del Mossad ha iniziato a bombardare il Libano con il proprio arsenale ipertecnologico, corredato oltretutto da una discreta dose di armi chimiche non convenzionali vietate dagli accordi internazionali, come ritorsione al rapimento di 02 (due) soldati israeliani da parte delle milizie Hezbollah che sembra abbiano rinvenuto la coppia di militari a passeggio sul proprio territorio.
Tutto è kafkiano in questa guerra motivata con ragioni ammissibili solo nel delirio di uno psicopatico ma accettate dalla Comunità Europea e dal nostro Presidente Romano Prodi che si sono limitati a mettere in luce una certa sproporzione nella risposta israeliana.E’ kafkiana la partigianeria con la quale il Ministro degli Esteri D’Alema è corso in Israele per distribuire a piene mani solidarietà ed appoggio, nonché l’impegno dei nostri soldati in una guerra mercenaria volta a disarmare le milizie Hezbollah e portare a termine la pulizia etnica nella regione. E’kafkiano l’atteggiamento di politici e giornalisti che per settimane hanno continuato a parlare di situazione critica evitando accuratamente di pronunciare la parola guerra mentre sul Libano venivano scaricate tonnellate di bombe e missili che radevano al suolo interi villaggi, ponti, infrastrutture, quartieri della Capitale, perpetuando un massacro ed una catastrofe dalle proporzioni inenarabbili.
Solo ad oggi, mentre il genocidio continua, a causa della crisi almeno 1000 civili libanesi, fra i quali moltissimi bambini, hanno trovato la morte fra le mura delle proprie case e circa un milione di persone (un quarto della popolazione totale del Libano) hanno dovuto abbandonare il tetto per trasmigrare alla condizione di profughi.La crisi che ora anche politici e giornalisti hanno iniziato a chiamare guerra ha riportato indietro di 50 anni un paese come il Libano che dopo un passato martoriato stava iniziando a conoscere un presente migliore fatto di pace e discreta prosperità. Il futuro sarà tale da far rimpiangere perfino il passato e parlerà il linguaggio che Israele sembra avere in serbo per tutto il Medioriente, un linguaggio fatto di vite spese dentro a campi profughi, di povertà assoluta, di macerie, di morte, di odio che cresce laddove si è ormai persa anche la speranza.
E’ kafkiano il tenore dei telegiornali e del circo mediatico occidentale all’interno del quale ci si ostina a proporre l’annientamento e l’invasione di uno stato sovrano come un conflitto fra due superpotenze. Il continuo paragone dal punto di vista militare fra gli attacchi dell’esercito israeliano e la risposta Hezbollah è puro esercizio di fantasia senza alcun riscontro nella realtà.Israele possiede uno fra gli eserciti più potenti, meglio addestrati e meglio armati del mondo, mentre gli Hezbollah rispondono a bombe e missili dalla potenza e precisione devastanti con razzi katyusha pericolosi soprattutto per gli uccelli.
Nonostante ciò i vari TG si ostinano a proporre l’inviato da Beirut che parla da una città in gran parte rasa al suolo in alternanza con quello da Haifa che illustra l’incendio di una drogheria o la distruzione di un paio di macchine parcheggiate.Fermo restando il convincimento che tutte le vittime civili meritino grande ed eguale rispetto, è enorme la sproporzione fra le strade ed i quartieri lindi e puliti di Haifa, dove le ambulanze arrivano entro 8 minuti dalla chiamata ed i feriti vengono trasportati in strutture ospedaliere allo stato dell’arte e il cumulo di macerie delle città libanesi. Macerie sotto le quali i poveretti vengono lasciati “marcire” per mezze giornate intere, poiché non esistono più strumenti per scavare e le ambulanze non arriveranno mai in quanto le strade sono ormai distrutte.
E’ proprio all’interno di questa sproporzione che nasce il convincimento di trovarci di fronte ad un’informazione partigiana e malata, poiché non si può chiamare incontro di boxe il pestaggio selvaggio di un bimbo di 3 anni da parte di un uomo nerboruto che brandisce una mazza da baseball.
E’ kafkiano l’atteggiamento dell’ONU, un organismo ormai privo di ogni credibilità, divenuto arma impropria nelle mani dell’imperialismo americano e dei suoi figli o padri che dir si voglia. Un organismo impaludato nel proprio immobilismo che riesce ad esperire solo piani di pace inaccettabili con lo scopo neppure troppo nascosto di concedere ad Israele il tempo necessario affinché l’opera di genocidio possa essere portata a completamento nella sua interezza.
E’ kafkiana l’intenzione d’inviare in Libano un corposo contingente militare internazionale (sotto la bandiera dell’ONU o quella della NATO) con il compito di portare a termine la pulizia etnica messa in atto da Israele, rendendo duratura l’occupazione del Libano e l’allontanamento dalle proprie case di un quarto della sua popolazione. Un contingente che gli stessi israeliani pretendono sia costituito da soldati pronti a combattere, ma combattere per chi e per cosa?
Ma in tutto questo teatrino dell’assurdo dove un morto israeliano conta quanto 15 cadaveri libanesi, in questa sorta di borsino della tragedia vissuto con ipocrita impotenza ciò che più mi amareggia è non ritrovare quelle bandiere. Dove sono le centinaia di migliaia di persone che in Italia sfilavano per le strade protestando contro l’imminente invasione dell’Iraq?
Dove sono i pacifisti con le loro bandiere, le loro convinzioni, il loro no alla guerra?Dove sono i balconi addobbati di bandiere arcobaleno a ricordare che non siamo ciechi ma abbiamo un’anima, una dignità e una coerenza?
Le ringhiere purtroppo restano vuote, come le piazze, come le coscienze smacchiate indelebilmente attraverso la voglia di vacanze, la coppa del mondo, l’ultimo concerto di Madonna e la serietà al governo.
Spesso camminando per le vie della mia città in questi giorni di piena estate, durante i quali l’esercito israeliano sta massacrando la popolazione del Libano, mi capita di volgere lo sguardo all’insù alla ricerca di quelle bandiere che dovrebbero essere appese ai nostri balconi ma gli occhi si perdono nel vuoto delle ringhiere intercalato a qualche sdrucito tricolore reduce dal baccanale delle notti mondiali.
Il Primo Ministro israeliano Olmert, piglio da sceriffo e faccia da consumato agente del Mossad ha iniziato a bombardare il Libano con il proprio arsenale ipertecnologico, corredato oltretutto da una discreta dose di armi chimiche non convenzionali vietate dagli accordi internazionali, come ritorsione al rapimento di 02 (due) soldati israeliani da parte delle milizie Hezbollah che sembra abbiano rinvenuto la coppia di militari a passeggio sul proprio territorio.
Tutto è kafkiano in questa guerra motivata con ragioni ammissibili solo nel delirio di uno psicopatico ma accettate dalla Comunità Europea e dal nostro Presidente Romano Prodi che si sono limitati a mettere in luce una certa sproporzione nella risposta israeliana.E’ kafkiana la partigianeria con la quale il Ministro degli Esteri D’Alema è corso in Israele per distribuire a piene mani solidarietà ed appoggio, nonché l’impegno dei nostri soldati in una guerra mercenaria volta a disarmare le milizie Hezbollah e portare a termine la pulizia etnica nella regione. E’kafkiano l’atteggiamento di politici e giornalisti che per settimane hanno continuato a parlare di situazione critica evitando accuratamente di pronunciare la parola guerra mentre sul Libano venivano scaricate tonnellate di bombe e missili che radevano al suolo interi villaggi, ponti, infrastrutture, quartieri della Capitale, perpetuando un massacro ed una catastrofe dalle proporzioni inenarabbili.
Solo ad oggi, mentre il genocidio continua, a causa della crisi almeno 1000 civili libanesi, fra i quali moltissimi bambini, hanno trovato la morte fra le mura delle proprie case e circa un milione di persone (un quarto della popolazione totale del Libano) hanno dovuto abbandonare il tetto per trasmigrare alla condizione di profughi.La crisi che ora anche politici e giornalisti hanno iniziato a chiamare guerra ha riportato indietro di 50 anni un paese come il Libano che dopo un passato martoriato stava iniziando a conoscere un presente migliore fatto di pace e discreta prosperità. Il futuro sarà tale da far rimpiangere perfino il passato e parlerà il linguaggio che Israele sembra avere in serbo per tutto il Medioriente, un linguaggio fatto di vite spese dentro a campi profughi, di povertà assoluta, di macerie, di morte, di odio che cresce laddove si è ormai persa anche la speranza.
E’ kafkiano il tenore dei telegiornali e del circo mediatico occidentale all’interno del quale ci si ostina a proporre l’annientamento e l’invasione di uno stato sovrano come un conflitto fra due superpotenze. Il continuo paragone dal punto di vista militare fra gli attacchi dell’esercito israeliano e la risposta Hezbollah è puro esercizio di fantasia senza alcun riscontro nella realtà.Israele possiede uno fra gli eserciti più potenti, meglio addestrati e meglio armati del mondo, mentre gli Hezbollah rispondono a bombe e missili dalla potenza e precisione devastanti con razzi katyusha pericolosi soprattutto per gli uccelli.
Nonostante ciò i vari TG si ostinano a proporre l’inviato da Beirut che parla da una città in gran parte rasa al suolo in alternanza con quello da Haifa che illustra l’incendio di una drogheria o la distruzione di un paio di macchine parcheggiate.Fermo restando il convincimento che tutte le vittime civili meritino grande ed eguale rispetto, è enorme la sproporzione fra le strade ed i quartieri lindi e puliti di Haifa, dove le ambulanze arrivano entro 8 minuti dalla chiamata ed i feriti vengono trasportati in strutture ospedaliere allo stato dell’arte e il cumulo di macerie delle città libanesi. Macerie sotto le quali i poveretti vengono lasciati “marcire” per mezze giornate intere, poiché non esistono più strumenti per scavare e le ambulanze non arriveranno mai in quanto le strade sono ormai distrutte.
E’ proprio all’interno di questa sproporzione che nasce il convincimento di trovarci di fronte ad un’informazione partigiana e malata, poiché non si può chiamare incontro di boxe il pestaggio selvaggio di un bimbo di 3 anni da parte di un uomo nerboruto che brandisce una mazza da baseball.
E’ kafkiano l’atteggiamento dell’ONU, un organismo ormai privo di ogni credibilità, divenuto arma impropria nelle mani dell’imperialismo americano e dei suoi figli o padri che dir si voglia. Un organismo impaludato nel proprio immobilismo che riesce ad esperire solo piani di pace inaccettabili con lo scopo neppure troppo nascosto di concedere ad Israele il tempo necessario affinché l’opera di genocidio possa essere portata a completamento nella sua interezza.
E’ kafkiana l’intenzione d’inviare in Libano un corposo contingente militare internazionale (sotto la bandiera dell’ONU o quella della NATO) con il compito di portare a termine la pulizia etnica messa in atto da Israele, rendendo duratura l’occupazione del Libano e l’allontanamento dalle proprie case di un quarto della sua popolazione. Un contingente che gli stessi israeliani pretendono sia costituito da soldati pronti a combattere, ma combattere per chi e per cosa?
Ma in tutto questo teatrino dell’assurdo dove un morto israeliano conta quanto 15 cadaveri libanesi, in questa sorta di borsino della tragedia vissuto con ipocrita impotenza ciò che più mi amareggia è non ritrovare quelle bandiere. Dove sono le centinaia di migliaia di persone che in Italia sfilavano per le strade protestando contro l’imminente invasione dell’Iraq?
Dove sono i pacifisti con le loro bandiere, le loro convinzioni, il loro no alla guerra?Dove sono i balconi addobbati di bandiere arcobaleno a ricordare che non siamo ciechi ma abbiamo un’anima, una dignità e una coerenza?
Le ringhiere purtroppo restano vuote, come le piazze, come le coscienze smacchiate indelebilmente attraverso la voglia di vacanze, la coppa del mondo, l’ultimo concerto di Madonna e la serietà al governo.
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