Marco Cedolin
“Non manderemo in Afghanistan un solo soldato in più” aveva ribadito il governo un paio di mesi or sono, quando si apprestava a rifinanziare la missione di guerra/pace in terra afgana, con l’ausilio del voto di tutti quei partiti il cui spirito pacifista è rimasto confinato nelle fantasie della campagna elettorale.
“Manderemo in Afghanistan nuovi mezzi, ma questa decisione non altera la natura della missione italiana” ha annunciato oggi il Ministro della Difesa Arturo Parisi, nel goffo tentativo di giustificare l’ennesima promessa disattesa, facente parte della lunga serie di menzogne a cui questo governo ci ha abituati fin dal momento del suo insediamento.
In realtà nel contingente di rinforzo che sta per lasciare l’Italia con il compito di andare a combattere pacificamente in Afghanistan, di soldati in più ce ne sono 145, oltre a 13 carabinieri, 5 elicotteri Mangusta, 8 mezzi corazzati Dardo e 10 blindati Lince, il tutto per il modico costo aggiuntivo di circa 26 milioni di euro.
Naturalmente questa nuova “iniezione” di uomini e mezzi servirà, secondo le parole di un sempre più disorientato Parisi, ad aumentare le capacità esplorative e di movimento del nostro contingente, rivelandosi utile nelle situazioni attive e passive. Il tutto nell’ambito delle vere finalità della missione italiana, riguardo alle quali lo stesso Parisi ha chiesto a più riprese ragguagli al suo stato maggiore, volta a fare del bene a questo disgraziato paese, i cui abitanti hanno la cattiva abitudine di trovarsi troppo spesso sulla linea del fuoco dei propri benefattori.
La decisione di assecondare la richiesta americana di un rafforzamento delle forze italiane in Afghanistan, dopo avere più volte negato questa eventualità, dimostra inequivocabilmente il taglio sempre più militarista che sta connotando la politica presente e futura del governo.
I segnali in questo senso sono molteplici e molto significativi, primo fra tutti il vistoso incremento delle spese militari contenuto nell’ultima manovra finanziaria, assai più cospicuo di quelli realizzati dal governo Berlusconi negli anni precedenti. Altrettanto preoccupante è la decisione di investire 2 miliardi di euro per lo sviluppo di un progetto che consentirà di assemblare a Cameri, in provincia di Novara, centinaia di cacciabombardieri F35 della statunitense Lockeed Martin, 100 dei quali verranno acquistati direttamente dal governo italiano che si troverà così ad investire somme enormi per apparecchi “di attacco” il cui eventuale uso contrasterebbe nettamente con i dettami della nostra costituzione.
Come ha detto qualche giorno fa il generale Fausto Bertinotti, passando in rassegna i suoi uomini impegnati nella missione di guerra/pace in Libano, i nostri soldati sono la vetrina di questa nuova Italia e nell’immaginare cosa possa nascondersi dietro una simile vetrina si percepisce più di un brivido correre lungo la schiena.
mercoledì 16 maggio 2007
domenica 13 maggio 2007
Da Venaus a Serre una storia che si ripete
Marco Cedolin
Mentre la febbre del Family Day sta catalizzando l’attenzione dell’opinione pubblica, che si divide fra fautori e detrattori del penoso siparietto in programma nelle piazze romane, il governo si muove nell’ombra al di fuori della legge, ma anche di quell’attenzione mediatica che preferisce occuparsi di “teatro” anziché della drammatica realtà del nostro paese.
A Serre, nel salernitano, in quella Campania che la camorra di governo ed il governo di camorra hanno ridotto ad un immenso immondezzaio straripante di veleni e sostanze tossiche, dove le patologie tumorali hanno un’incidenza così alta fra la popolazione da suscitare l’attenzione dei ricercatori scientifici internazionali ma non quella di chi sarebbe deputato ad amministrare il territorio, si sta consumando l’ennesimo atto di una lunga saga di prevaricazioni.
Proprio nei pressi di Serre, un paese di 4000 anime in provincia di Salerno, il Commissario straordinario Bertolaso aveva deciso di costruire una delle 4 discariche che dovrebbero liberare il napoletano dal marasma maleodorante di spazzatura conseguente ad una gestione delinquenziale dello smaltimento dei rifiuti, il cui ricco business è stato oggetto di spartizione fra i clan camorristici e la Fibe s.p.a. del Gruppo Impregilo, in un sodalizio ormai di vecchia data con gli uomini della politica.
Nei propositi di Bertolaso la discarica di Valle della Masseria avrebbe dovuto sorgere all’interno di un’oasi di protezione faunistica (area SIC) con svariati vincoli ambientali che si affaccia sul fiume Sele, in tutto e per tutto non compatibile con un’opera di questo genere.
Già nel mese di marzo le forze dell’ordine tentarono di sgomberare con la forza il presidio spontaneo dei cittadini che, insieme al loro sindaco Palmiro Cornetta, si opponevano pacificamente ma con fermezza all’ennesimo scempio ambientale in un territorio già pesantemente martoriato. I manganelli calarono come già accaduto in Val di Susa sulla popolazione inerme ma Bertolaso fu costretto a desistere dal suo proposito. Il Comune di Serre fece ricorso al Tribunale di Salerno e alla fine di aprile il giudice Antonio Valitutti ordinò al Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania, di astenersi dalla costruzione dell’opera, ritenendo il sito non idoneo ad un impiego di questo tipo in virtù del suo valore ambientale. E nell’ordinanza affidò al comando provinciale dei Carabinieri di Salerno il compito di garantire la sicurezza ed il rispetto dell’ordinanza stessa.
Venerdì 11 maggio il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legge concernente l’emergenza rifiuti in Campania che di fatto ripropone la discarica di Serre senza curarsi della decisione del Tribunale di Salerno, rendendo pienamente l’idea del grado di sfrontatezza con il quale la politica ormai abitualmente si rapporta tanto con la legalità quanto con i diritti dei cittadini.
Da ieri pomeriggio Serre è una città fantasma, con gli esercizi commerciali chiusi e la popolazione accorsa a presidiare quel sito la cui integrità dovrebbe essere per legge garantita dai carabinieri. Da ieri pomeriggio il governo ha inviato oltre un migliaio di uomini delle forze dell’ordine in tenuta antisommossa che hanno già tentato un paio di volte senza successo di forzare il cordone dei presidianti per consentire l’accesso delle ruspe.
Cambiano i governi ma non cambia l’arroganza della politica e ancora una volta, come nel dicembre 2005 a Venaus, i cittadini si ritrovano accanto ai propri sindaci per difendere l’ambiente in cui vivono ed il loro diritto ad entrare nel merito delle decisioni che li riguardano. Ancora una volta, come in Valle di Susa, la polizia, i manganelli e gli elicotteri vengono contrapposti alla popolazione pacifica che insieme alle autorità locali sta cercando di far valere i propri diritti, in questo caso oltretutto sanciti da una sentenza del Tribunale. Polizia contro cittadini e sindaci, Governo contro Magistratura, Stato contro Stato in una situazione parossistica che rischia di farsi sempre più incandescente, mentre il circo dell’informazione è impegnato a tenere il conto delle presenze a quel grande evento folkloristico che sarà il Family Day.
Mentre la febbre del Family Day sta catalizzando l’attenzione dell’opinione pubblica, che si divide fra fautori e detrattori del penoso siparietto in programma nelle piazze romane, il governo si muove nell’ombra al di fuori della legge, ma anche di quell’attenzione mediatica che preferisce occuparsi di “teatro” anziché della drammatica realtà del nostro paese.
A Serre, nel salernitano, in quella Campania che la camorra di governo ed il governo di camorra hanno ridotto ad un immenso immondezzaio straripante di veleni e sostanze tossiche, dove le patologie tumorali hanno un’incidenza così alta fra la popolazione da suscitare l’attenzione dei ricercatori scientifici internazionali ma non quella di chi sarebbe deputato ad amministrare il territorio, si sta consumando l’ennesimo atto di una lunga saga di prevaricazioni.
Proprio nei pressi di Serre, un paese di 4000 anime in provincia di Salerno, il Commissario straordinario Bertolaso aveva deciso di costruire una delle 4 discariche che dovrebbero liberare il napoletano dal marasma maleodorante di spazzatura conseguente ad una gestione delinquenziale dello smaltimento dei rifiuti, il cui ricco business è stato oggetto di spartizione fra i clan camorristici e la Fibe s.p.a. del Gruppo Impregilo, in un sodalizio ormai di vecchia data con gli uomini della politica.
Nei propositi di Bertolaso la discarica di Valle della Masseria avrebbe dovuto sorgere all’interno di un’oasi di protezione faunistica (area SIC) con svariati vincoli ambientali che si affaccia sul fiume Sele, in tutto e per tutto non compatibile con un’opera di questo genere.
Già nel mese di marzo le forze dell’ordine tentarono di sgomberare con la forza il presidio spontaneo dei cittadini che, insieme al loro sindaco Palmiro Cornetta, si opponevano pacificamente ma con fermezza all’ennesimo scempio ambientale in un territorio già pesantemente martoriato. I manganelli calarono come già accaduto in Val di Susa sulla popolazione inerme ma Bertolaso fu costretto a desistere dal suo proposito. Il Comune di Serre fece ricorso al Tribunale di Salerno e alla fine di aprile il giudice Antonio Valitutti ordinò al Commissario di Governo per l’emergenza rifiuti in Campania, di astenersi dalla costruzione dell’opera, ritenendo il sito non idoneo ad un impiego di questo tipo in virtù del suo valore ambientale. E nell’ordinanza affidò al comando provinciale dei Carabinieri di Salerno il compito di garantire la sicurezza ed il rispetto dell’ordinanza stessa.
Venerdì 11 maggio il Consiglio dei Ministri ha approvato il decreto legge concernente l’emergenza rifiuti in Campania che di fatto ripropone la discarica di Serre senza curarsi della decisione del Tribunale di Salerno, rendendo pienamente l’idea del grado di sfrontatezza con il quale la politica ormai abitualmente si rapporta tanto con la legalità quanto con i diritti dei cittadini.
Da ieri pomeriggio Serre è una città fantasma, con gli esercizi commerciali chiusi e la popolazione accorsa a presidiare quel sito la cui integrità dovrebbe essere per legge garantita dai carabinieri. Da ieri pomeriggio il governo ha inviato oltre un migliaio di uomini delle forze dell’ordine in tenuta antisommossa che hanno già tentato un paio di volte senza successo di forzare il cordone dei presidianti per consentire l’accesso delle ruspe.
Cambiano i governi ma non cambia l’arroganza della politica e ancora una volta, come nel dicembre 2005 a Venaus, i cittadini si ritrovano accanto ai propri sindaci per difendere l’ambiente in cui vivono ed il loro diritto ad entrare nel merito delle decisioni che li riguardano. Ancora una volta, come in Valle di Susa, la polizia, i manganelli e gli elicotteri vengono contrapposti alla popolazione pacifica che insieme alle autorità locali sta cercando di far valere i propri diritti, in questo caso oltretutto sanciti da una sentenza del Tribunale. Polizia contro cittadini e sindaci, Governo contro Magistratura, Stato contro Stato in una situazione parossistica che rischia di farsi sempre più incandescente, mentre il circo dell’informazione è impegnato a tenere il conto delle presenze a quel grande evento folkloristico che sarà il Family Day.
sabato 5 maggio 2007
Le Ferrovie sono su scherzi a parte
Marco Cedolin
Si fatica davvero molto nel prendere sul serio i contenuti del nuovo piano industriale 2007-2011 delle Ferrovie, che ieri al termine di una riunione a Palazzo Chigi, presieduta dal premier Romano Prodi ha ricevuto il benestare del governo, al termine di un’analisi durata tre mesi.
Proviamo allora ad immaginare si tratti di uno scherzo quando leggiamo che l’amministratore delegato Moretti prevede che le Ferrovie italiane riusciranno a generare utili già tra il 2009 ed il 2010. Utili da conseguire nel giro di un paio d’anni tramite un’azienda che oggi si trova sull’orlo del collasso, al punto da dovere sopprimere giornalmente fra i 200 ed i 300 treni poiché manca il personale che dovrebbe guidarli oppure mancano fisicamente le carrozze o le motrici.
Proviamo ad immaginare che si continui a scherzare di fronte all’affermazione secondo cui sarà “rivolta grande attenzione ai pendolari delle grandi città, con un aumento del 70-80% e in alcuni casi anche del 100% dei servizi per il trasporto locale”. Tutto ciò attraverso l’acquisto nei prossimi 4 anni di ben 1000 treni da destinare ai pendolari, con un investimento di 6,4 miliardi di euro. Molto probabilmente scherzava anche il governo quando ha esaminato per tre mesi il piano senza rendersi conto che non si stava facendo riferimento alle ferrovie svizzere, bensì a quelle italiane.
Quelle ferrovie italiane il cui materiale rotabile è talmente vecchio e in cattivo stato da risultare più adatto ad un museo ferroviario che non all’attività su rotaia di un paese che ama definirsi tecnologicamente avanzato. Le locomotive diesel usate per il trasporto regionale hanno un’età media di 23,8 anni, quelle elettriche di 21,3 anni, le motrici diesel cargo di 31,4 anni, i vagoni delle vecchie “littorine” ancora numerosissimi arrivano a un’età media di 44 anni. La maggior parte dei 50.000 carri merci esistenti sulla rete ferroviaria italiana ha un’età media di 30/40 anni.
Se anche si acquistassero sul serio 1000 treni come prospettato, questi basterebbero a malapena per garantire la sostituzione dei residuati museali che oggi accompagnano le infelici giornate dei pendolari, insieme alle immarcescibili zecche a cui proprio non c’è verso di riuscire a fare pagare il biglietto.
Il biglietto lo si farà invece pagare sempre più salato ai viaggiatori, attraverso una nuova serie di aumenti che partiranno il prossimo autunno e poi si riproporranno a scadenze regolari, a dimostrazione che quella nell’aumento è l’unico tipo di puntualità che fino ad oggi siamo riusciti ad importare dalla Svizzera. Poco male, afferma Moretti perseverando nella celia, perché comunque i prezzi dei biglietti ferroviari in Italia sono inferiori alla media degli altri paesi europei. Già, gli altri paesi europei, quelli che hanno un sistema ferroviario che a differenza del nostro garantisce un servizio ben al di sopra di quella soglia della decenza a noi sconosciuta, verrebbe da aggiungere quasi contagiati dall’approccio ridanciano con cui ci è stata posta fin qui la questione.
Purtroppo la voglia di scherzare scompare senza lasciare traccia non appena si realizza il tipo di programma che il nuovo piano delle Ferrovie intende mettere in atto nei confronti dei suoi dipendenti. I ferrovieri da licenziare che il protocollo del bon ton politicamente corretto preferisce etichettare come esuberi o “uscite pianificate” saranno 4.500 nel 2007 e poi 3.000 nel 2008 e 2.500 nel 2009, per un totale di 10.000 unità (in realtà persone che devono mangiare almeno un paio di volte al giorno, possibilmente con un tetto sopra la testa che li preservi dalle intemperie) nei prossimi tre anni. Le Ferrovie assicurano però che nel 2007 verranno assunte 1000 persone, la metà delle quali a tempo determinato (quel precariato che il governo si ripromette da sempre di combattere, pur non trovandone il tempo essendo in altre cose più importanti indaffarato) e affermano che il turn over, cioè i licenziamenti, sono legati soprattutto all'introduzione di nuove tecnologie e al progressivo abbandono del doppio macchinista alla guida. Sarebbe interessante approfondire la natura di codeste mirabolanti tecnologie, nella speranza che non si tratti dell’arcinoto apparecchio VACMA, un congegno inutile e dannoso che ben lungi dall’esprimere un qualche contenuto tecnologico consiste semplicemente in un pedale che il macchinista deve pigiare ripetutamente come un robot ogni 55 secondi per tutta la durata del viaggio, con il solo scopo di permettere alle Ferrovie di “aggirare” l’obbligo di un secondo macchinista in cabina di guida.
Così come sarebbe oltremodo interessante comprendere in base a quale cortocircuito logico l’ad Moretti pretenda di raddoppiare i treni per i pendolari dimezzando al contempo il numero dei ferrovieri e macchinisti necessari per portarli a destinazione.
Sicuramente se tutte le aziende impostassero piani industriali sulla falsariga di quello proposto dalle Ferrovie ed approvato dal governo, il problema dei pendolari troverebbe immediata soluzione con la scomparsa immediata degli stessi, ma tutto ciò sarebbe in contraddizione con l’obiettivo di costruire utili entro il 2011, sembra uno scherzo, ma se pensiamo che il governo ha ponderato ben tre mesi su questa materia arriviamo a comprendere che sarebbe anche di pessimo gusto.
Si fatica davvero molto nel prendere sul serio i contenuti del nuovo piano industriale 2007-2011 delle Ferrovie, che ieri al termine di una riunione a Palazzo Chigi, presieduta dal premier Romano Prodi ha ricevuto il benestare del governo, al termine di un’analisi durata tre mesi.
Proviamo allora ad immaginare si tratti di uno scherzo quando leggiamo che l’amministratore delegato Moretti prevede che le Ferrovie italiane riusciranno a generare utili già tra il 2009 ed il 2010. Utili da conseguire nel giro di un paio d’anni tramite un’azienda che oggi si trova sull’orlo del collasso, al punto da dovere sopprimere giornalmente fra i 200 ed i 300 treni poiché manca il personale che dovrebbe guidarli oppure mancano fisicamente le carrozze o le motrici.
Proviamo ad immaginare che si continui a scherzare di fronte all’affermazione secondo cui sarà “rivolta grande attenzione ai pendolari delle grandi città, con un aumento del 70-80% e in alcuni casi anche del 100% dei servizi per il trasporto locale”. Tutto ciò attraverso l’acquisto nei prossimi 4 anni di ben 1000 treni da destinare ai pendolari, con un investimento di 6,4 miliardi di euro. Molto probabilmente scherzava anche il governo quando ha esaminato per tre mesi il piano senza rendersi conto che non si stava facendo riferimento alle ferrovie svizzere, bensì a quelle italiane.
Quelle ferrovie italiane il cui materiale rotabile è talmente vecchio e in cattivo stato da risultare più adatto ad un museo ferroviario che non all’attività su rotaia di un paese che ama definirsi tecnologicamente avanzato. Le locomotive diesel usate per il trasporto regionale hanno un’età media di 23,8 anni, quelle elettriche di 21,3 anni, le motrici diesel cargo di 31,4 anni, i vagoni delle vecchie “littorine” ancora numerosissimi arrivano a un’età media di 44 anni. La maggior parte dei 50.000 carri merci esistenti sulla rete ferroviaria italiana ha un’età media di 30/40 anni.
Se anche si acquistassero sul serio 1000 treni come prospettato, questi basterebbero a malapena per garantire la sostituzione dei residuati museali che oggi accompagnano le infelici giornate dei pendolari, insieme alle immarcescibili zecche a cui proprio non c’è verso di riuscire a fare pagare il biglietto.
Il biglietto lo si farà invece pagare sempre più salato ai viaggiatori, attraverso una nuova serie di aumenti che partiranno il prossimo autunno e poi si riproporranno a scadenze regolari, a dimostrazione che quella nell’aumento è l’unico tipo di puntualità che fino ad oggi siamo riusciti ad importare dalla Svizzera. Poco male, afferma Moretti perseverando nella celia, perché comunque i prezzi dei biglietti ferroviari in Italia sono inferiori alla media degli altri paesi europei. Già, gli altri paesi europei, quelli che hanno un sistema ferroviario che a differenza del nostro garantisce un servizio ben al di sopra di quella soglia della decenza a noi sconosciuta, verrebbe da aggiungere quasi contagiati dall’approccio ridanciano con cui ci è stata posta fin qui la questione.
Purtroppo la voglia di scherzare scompare senza lasciare traccia non appena si realizza il tipo di programma che il nuovo piano delle Ferrovie intende mettere in atto nei confronti dei suoi dipendenti. I ferrovieri da licenziare che il protocollo del bon ton politicamente corretto preferisce etichettare come esuberi o “uscite pianificate” saranno 4.500 nel 2007 e poi 3.000 nel 2008 e 2.500 nel 2009, per un totale di 10.000 unità (in realtà persone che devono mangiare almeno un paio di volte al giorno, possibilmente con un tetto sopra la testa che li preservi dalle intemperie) nei prossimi tre anni. Le Ferrovie assicurano però che nel 2007 verranno assunte 1000 persone, la metà delle quali a tempo determinato (quel precariato che il governo si ripromette da sempre di combattere, pur non trovandone il tempo essendo in altre cose più importanti indaffarato) e affermano che il turn over, cioè i licenziamenti, sono legati soprattutto all'introduzione di nuove tecnologie e al progressivo abbandono del doppio macchinista alla guida. Sarebbe interessante approfondire la natura di codeste mirabolanti tecnologie, nella speranza che non si tratti dell’arcinoto apparecchio VACMA, un congegno inutile e dannoso che ben lungi dall’esprimere un qualche contenuto tecnologico consiste semplicemente in un pedale che il macchinista deve pigiare ripetutamente come un robot ogni 55 secondi per tutta la durata del viaggio, con il solo scopo di permettere alle Ferrovie di “aggirare” l’obbligo di un secondo macchinista in cabina di guida.
Così come sarebbe oltremodo interessante comprendere in base a quale cortocircuito logico l’ad Moretti pretenda di raddoppiare i treni per i pendolari dimezzando al contempo il numero dei ferrovieri e macchinisti necessari per portarli a destinazione.
Sicuramente se tutte le aziende impostassero piani industriali sulla falsariga di quello proposto dalle Ferrovie ed approvato dal governo, il problema dei pendolari troverebbe immediata soluzione con la scomparsa immediata degli stessi, ma tutto ciò sarebbe in contraddizione con l’obiettivo di costruire utili entro il 2011, sembra uno scherzo, ma se pensiamo che il governo ha ponderato ben tre mesi su questa materia arriviamo a comprendere che sarebbe anche di pessimo gusto.
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