Marco Cedolin
Si fatica davvero molto nel prendere sul serio i contenuti del nuovo piano industriale 2007-2011 delle Ferrovie, che ieri al termine di una riunione a Palazzo Chigi, presieduta dal premier Romano Prodi ha ricevuto il benestare del governo, al termine di un’analisi durata tre mesi.
Proviamo allora ad immaginare si tratti di uno scherzo quando leggiamo che l’amministratore delegato Moretti prevede che le Ferrovie italiane riusciranno a generare utili già tra il 2009 ed il 2010. Utili da conseguire nel giro di un paio d’anni tramite un’azienda che oggi si trova sull’orlo del collasso, al punto da dovere sopprimere giornalmente fra i 200 ed i 300 treni poiché manca il personale che dovrebbe guidarli oppure mancano fisicamente le carrozze o le motrici.
Proviamo ad immaginare che si continui a scherzare di fronte all’affermazione secondo cui sarà “rivolta grande attenzione ai pendolari delle grandi città, con un aumento del 70-80% e in alcuni casi anche del 100% dei servizi per il trasporto locale”. Tutto ciò attraverso l’acquisto nei prossimi 4 anni di ben 1000 treni da destinare ai pendolari, con un investimento di 6,4 miliardi di euro. Molto probabilmente scherzava anche il governo quando ha esaminato per tre mesi il piano senza rendersi conto che non si stava facendo riferimento alle ferrovie svizzere, bensì a quelle italiane.
Quelle ferrovie italiane il cui materiale rotabile è talmente vecchio e in cattivo stato da risultare più adatto ad un museo ferroviario che non all’attività su rotaia di un paese che ama definirsi tecnologicamente avanzato. Le locomotive diesel usate per il trasporto regionale hanno un’età media di 23,8 anni, quelle elettriche di 21,3 anni, le motrici diesel cargo di 31,4 anni, i vagoni delle vecchie “littorine” ancora numerosissimi arrivano a un’età media di 44 anni. La maggior parte dei 50.000 carri merci esistenti sulla rete ferroviaria italiana ha un’età media di 30/40 anni.
Se anche si acquistassero sul serio 1000 treni come prospettato, questi basterebbero a malapena per garantire la sostituzione dei residuati museali che oggi accompagnano le infelici giornate dei pendolari, insieme alle immarcescibili zecche a cui proprio non c’è verso di riuscire a fare pagare il biglietto.
Il biglietto lo si farà invece pagare sempre più salato ai viaggiatori, attraverso una nuova serie di aumenti che partiranno il prossimo autunno e poi si riproporranno a scadenze regolari, a dimostrazione che quella nell’aumento è l’unico tipo di puntualità che fino ad oggi siamo riusciti ad importare dalla Svizzera. Poco male, afferma Moretti perseverando nella celia, perché comunque i prezzi dei biglietti ferroviari in Italia sono inferiori alla media degli altri paesi europei. Già, gli altri paesi europei, quelli che hanno un sistema ferroviario che a differenza del nostro garantisce un servizio ben al di sopra di quella soglia della decenza a noi sconosciuta, verrebbe da aggiungere quasi contagiati dall’approccio ridanciano con cui ci è stata posta fin qui la questione.
Purtroppo la voglia di scherzare scompare senza lasciare traccia non appena si realizza il tipo di programma che il nuovo piano delle Ferrovie intende mettere in atto nei confronti dei suoi dipendenti. I ferrovieri da licenziare che il protocollo del bon ton politicamente corretto preferisce etichettare come esuberi o “uscite pianificate” saranno 4.500 nel 2007 e poi 3.000 nel 2008 e 2.500 nel 2009, per un totale di 10.000 unità (in realtà persone che devono mangiare almeno un paio di volte al giorno, possibilmente con un tetto sopra la testa che li preservi dalle intemperie) nei prossimi tre anni. Le Ferrovie assicurano però che nel 2007 verranno assunte 1000 persone, la metà delle quali a tempo determinato (quel precariato che il governo si ripromette da sempre di combattere, pur non trovandone il tempo essendo in altre cose più importanti indaffarato) e affermano che il turn over, cioè i licenziamenti, sono legati soprattutto all'introduzione di nuove tecnologie e al progressivo abbandono del doppio macchinista alla guida. Sarebbe interessante approfondire la natura di codeste mirabolanti tecnologie, nella speranza che non si tratti dell’arcinoto apparecchio VACMA, un congegno inutile e dannoso che ben lungi dall’esprimere un qualche contenuto tecnologico consiste semplicemente in un pedale che il macchinista deve pigiare ripetutamente come un robot ogni 55 secondi per tutta la durata del viaggio, con il solo scopo di permettere alle Ferrovie di “aggirare” l’obbligo di un secondo macchinista in cabina di guida.
Così come sarebbe oltremodo interessante comprendere in base a quale cortocircuito logico l’ad Moretti pretenda di raddoppiare i treni per i pendolari dimezzando al contempo il numero dei ferrovieri e macchinisti necessari per portarli a destinazione.
Sicuramente se tutte le aziende impostassero piani industriali sulla falsariga di quello proposto dalle Ferrovie ed approvato dal governo, il problema dei pendolari troverebbe immediata soluzione con la scomparsa immediata degli stessi, ma tutto ciò sarebbe in contraddizione con l’obiettivo di costruire utili entro il 2011, sembra uno scherzo, ma se pensiamo che il governo ha ponderato ben tre mesi su questa materia arriviamo a comprendere che sarebbe anche di pessimo gusto.
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