Marco Cedolin
La novità è di quelle che in realtà non contengono nulla di nuovo, dopo una settimana di morte apparente il governo Prodi è pronto a ricominciare dallo stesso punto in cui aveva inciampato, un po’ per distrazione e molto per effetto di una ben precisa scelta strategica.
La crisi di governo che in Italia ha suscitato tanto clamore e una cacofonia di sentimenti contrastanti nell’ambito delle varie “tifoserie politiche” ha assunto fin da subito le sembianze di una commedia ben orchestrata dove ogni attore ha interpretato con sapienza il copione mandato a memoria.
L’indignazione del centrosinistra nei confronti della cosidetta sinistra radicale che non volendo “adeguarsi” alla linea del governo avrebbe rischiato di riportare Berlusconi sull’ambito scranno, il linciaggio morale e in parte anche fisico al quale sono stati sottoposti i senatori dissenzienti Turigliatto e Rossi (probabilmente unici attori inconsapevoli dell’intera commedia) da parte dei loro stessi compagni di partito, la pervicacia con la quale il centrodestra ha continuato ad attaccare il governo in quanto ostaggio di una fantomatica sinistra radicale, lo spettro delle elezioni immediate rese impraticabili da una pessima legge elettorale che tutti criticano ma al contempo si guardano bene dal modificare, sono stati solo alcuni dei penosi siparietti che hanno condito la rappresentazione.
Romano Prodi scivolato o tuffatosi sulla buccia di banana della politica estera, aveva già in mano i 12 comandamenti necessari per garantire la sua resurrezione. Un dodecalogo in grado di rendere l’Italia molto simile ad una repubblica presidenziale e la coalizione di centrosinistra così omogenea nella sua linea di pensiero unico da garantire la totale assenza di qualunque voce fuori dal coro.
I 12 “punti fermi” non negoziabili, stringati ed estremamente chiari che sono stati sottoscritti servilmente da tutti i partiti della coalizione hanno di fatto sostituito il logorroico programma elettorale tanto complesso quanto evanescente nel suo prestarsi ad un’infinita serie d’interpretazioni.
Tutti i punti più controversi in questo momento sul tappeto, il TAV, la nuova base americana di Vicenza, il finanziamento della missione di pace/guerra in Afghanistan, la costruzione dei rigassificatori, sono così diventati obiettivi non negoziabili della politica di un governo che ha scelto una posizione di assoluta autoreferenzialità, imponendo ad alcuni partiti della sua coalizione atteggiamenti autolesionisti quali la rottura dei legami consolidati negli anni con i movimenti che si battono per la pace e contro le nocività. La questione dei Pacs già precedentemente ridimensionati in Dico è al contrario sparita dall’agenda delle priorità politiche.
Proprio l’acquisizione di un nuovo programma, peraltro mai votato dagli italiani, credo rappresenti l’elemento sul quale occorre riflettere con tutta l’attenzione che sarebbe invece inutile dedicare alle febbrili attività di calciomercato senatoriale, con al “centro” il transfuga Follini, che hanno ammorbato le pagine dei giornali in questi giorni.
Adesso che il redivivo Lazzaro si è alzato ed ha iniziato a camminare, sorge spontaneo domandarsi dove abbia intenzione di condurci e quanto durerà il viaggio.
La sensazione è quella che il governo Prodi, sia pur blindato dai comandamenti e rinvigorito dalla compattezza ritrovata con l’uso della forza, resti comunque un governo debole, vittima di una linea politica che non gli appartiene e sempre più distante dai suoi elettori. Un governo che nella migliore delle ipotesi potrà nutrire l’ambizione di traghettare il paese per qualche mese verso l’incognita di nuove elezioni.Abbracciare la politica di Berlusconi per evitare che Berlusconi ritorni, sembra una scelta assai lontana dal rivelarsi felice, così come la presunzione di avere imbavagliato con un dodecalogo le voci di tutti coloro che da anni urlano inascoltati la propria protesta contro il TAV, il Mose, il Dal Molin, i rigassificatori e tutte le nocività che devastano l’ambiente e l’economia del nostro paese.
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