martedì 7 ottobre 2008

Ripensare questo modello di sviluppo

Marco Cedolin

La crisi finanziaria sta ormai occupando in pianta stabile da alcune settimane le prime pagine dei giornali, riuscendo perfino ad intaccare l'atmosfera patinata dei TG, con tutto il suo corollario costituito da banche che falliscono, stati che nazionalizzano gli istituti di credito, governi che stanziano, o auspicano lo stanziamento, di cifre da capogiro destinate a preservare il sistema bancario dal crack imminente, mercati azionari ormai fuori controllo che si muovono in maniera schizofrenica simili ai vagoncini delle montagne russe.

Una debacle dalle conseguenze inimmaginabili che imperversa come un tornado nel mondo virtuale della finanza, costituito in larga parte da ectoplasmi del tutto inafferrabili per i comuni mortali, in quanto composti da algoritmi e calcolazioni complesse dalle quali fuoriesce un vero e proprio lemmario incomprensibile ai più. La crisi finanziaria parla il linguaggio del Mibtel, del Dow Jones, del Nasdaq del Nikkei, dell’Euribor, dei Bond, , degli hedge funds, dei sinking funds, degli swaps, della riserva frazionaria, dei piani di consolidamento del baylout da 850 miliardi di dollari, di 450 miliardi di euro “bruciati” in Europa nel corso di un solo lunedì.

La crisi dei comuni mortali parla il linguaggio del Paese reale, lontanissimo dal gergo destinato a pochi iniziati che straborda dalle pagine dei giornali e dagli schermi della TV. Racconta il potere di acquisto di salari e pensioni ormai in caduta libera, le imprese che chiudono i battenti lasciando dietro di sé una lunga scia di disoccupati, le aziende, sia pubbliche che private, intenzionate a licenziare nei prossimi anni buona parte dei propri dipendenti, come si può evincere da quasi tutti i piani di programmazione industriale triennali o quadriennali. Racconta un Paese che produce sempre meno e consuma sempre meno, totalmente incapace di “crescere” pur continuando a poggiare la propria economia su un modello di sviluppo anacronistico fondato proprio sulla crescita.
I comuni mortali sono impegnati nel sempre più difficile esercizio alchemico consistente nel trovare 50 euro per riuscire ad andare a fare la spesa al discount (nonostante anche lì con 50 euro, ogni mese che passa si riesca a comprare sempre di meno) 100 euro per pagare la bolletta della luce che continua a salire, 200 euro per pagare il bollo dell’auto, qualche centinaio di euro per pagare la prima rata del riscaldamento, che va sommata a quella del mutuo o alla rata della macchina, ai libri per i figli o alla retta dell’asilo, alla benzina (sempre più cara nonostante il prezzo del petrolio da tempo stia scendendo) indispensabile per continuare a fare i pendolari, alla bolletta del telefono, al conto dell’idraulico, a quello del meccanico o al dentista, alla rata della spazzatura, alla bolletta del gas.
Non si tratta di calcolazioni complesse come quelle della finanza, le cifre sono “piccole”, così come sono semplici le logiche che le muovono, i nomi si pronunciano facilmente ed il loro significato appare chiaro a tutti. La complessità è data dal fatto che non esistono piani di salvataggio per i comuni mortali e una famiglia non può “bruciare” in un mese 2500 euro se ne guadagna 1500. Se manca loro il danaro per pagare la bolletta della luce i comuni mortali non vedono abbassarsi il proprio rating, né scendere il valore azionario della famiglia, rimangono semplicemente al buio, così come se non pagano le rate dell’auto arriva il carro attrezzi a portarla via, se non pagano la rata del mutuo la casa viene venduta all’asta, se non ci sono i soldi per fare la spesa l’unica alternativa (nel migliore dei casi) è costituita dalla mensa dei poveri.

La malattia che affligge il Paese reale è molto più grave di quella che sta colpendo il mondo virtuale della finanza, anche se tutta l’attenzione mediatica è focalizzata sui mercati finanziari e si sta vendendo l’illusione che risolta la crisi delle banche tutto tornerà a “girare” come e meglio di prima.
Non ci troviamo semplicemente di fronte al fallimento di una politica finanziaria troppo spregiudicata, di un turbocapitalismo che ha dimenticato di darsi delle regole, di una società neoliberista che ha giocato d’azzardo con la globalizzazione.
Ci troviamo di fronte al completo fallimento di un modello di sviluppo basato sulla crescita infinita che si è ormai scontrato con l’evidente incapacità di crescere ancora, dettata dal fatto che è impossibile crescere indefinitamente all’interno di un mondo dove tutto è finito e nulla può nutrire la presunzione di continuare a crescere senza sosta.
Occorre prendere coscienza del fatto che nulla girerà più come prima, a prescindere da come procederà l’operazione di salvataggio delle banche, ed è giunto il momento di ripensare in profondità un modello di sviluppo ormai senza futuro, per tentare di costruire una società della decrescita che sappia sostituirsi a quella della recessione selvaggia (con tutto il contorno di caos e violenza che immancabilmente porterà con sé) nelle cui spire stiamo precipitando senza paracadute. http://ilcorrosivo.blogspot.com/2008/05/decrescita-o-impoverimento.html

15 commenti:

Luca Viscje Brasil ha detto...

Ciao Marco,
la tua sintesi è cinica e severa, quasi barbara!!
Molta gente che vive nel mondo cotonato di bugie e irrealtà ti prenderebbe per matto o per esageratamente catastrofico.
Io, purtroppo, con sbigottimento, sono d'accordo con te, perchè quello che sta per succedere al mondo è un tonfo inevitabile. Stiamo raggiungendo (è già raggiunto) il limite massimo di sopportazione di questo modello econimico-consumistico che freneticamente si è evuluto nel tempo (ultimi 2 secoli?). Non c'è via di fuga. Alcuni soffriranno di meno, alcuni di più. Qualcuno non soffrirà per niente, tanti ci lasceranno anche le penne.
L'interrogativo è: come e in che modo ne usciremo? Se ne usciremo...

Un saluto e i soliti complimenti per la tua bravura.

Luca

Anonimo ha detto...

Caro Marco
Ti dico solo che ho paura, per come stanno andando le cose. Io ho quasi 5o anni, un buon lavoro, non ho debiti... anzi, potrei anche fregarmene ma non ci riesco! Mi immedesimo nella povera gente in difficoltà. Poi vedo le persone che ci governano, e non parlo solo del ns paese, ma dei grandi 8 stronzi (vedi G8), che si credono la creme de la creme, che ogni tanto si riuniscono, fanno finta di prendere decisioni importanti per il nostro futuro. In realtà incontri inconcludenti, dove ognuno di loro la pensa in modo diverso, ma fanno finta di concludere qualcosa! Incontri sempre più costosi quanto inutili. A breve sicuramente prenderanno decisioni a scapito dei paesi più poveri, a cui fare ricadere il disastro che hanno combinato le banche dei loro stessi paesi, in combutta con i grandi manager della finanza.
Spero di vedere presto i loro cadaveri passare.
Ciao
Pigreca

Anonimo ha detto...

Ciao Marco,
leggerti mi fa paura...
per questo lo faccio solo quando mi sento un pò più forte..
Certo nel micro cosmo di Monica questo nn accade.
Un sapiente lavoro di equilibrio naturale..uno scambio di prodotti della terra (cio' che ho io nn hai tu e ce lo scambiamo)pannelli solari.. pozzo..
asino x spostarsi.. (certo il tempo nn manca)
Abiti e calzature in regalo.. smessi, ma sempre in buone condizioni (la dignità nn manca)
informazione con un giorno di ritardo (ma tanto che fretta c'è?) tre o quattro quotidiani che il bar del paese tiene per Monica..
Un piccolo reddito sulla vendita delle erbe officinali..basta x quella scheda da 30 euro al mese..
e per la farina e.. ahimè le sigarette.
Certo nn sono i problemi economici che deve affrontare una famiglia media...
L'idea di una fuga è sempre più concreta..
meglio nn leggere..e tenere la testa sotto la sabbia.
Crilu

marco cedolin ha detto...

Ciao Luca Viscje,
in effetti spesso vengo preso per matto, allarmista, pessimista, esagerato e la lista potrebbe essere lunga.
Quando 5 anni fa iniziai a scrivere che eravamo ormai entrati in una spirale perversa costituita da un Occidente che creava sempre meno reddito (reale)mentre contemporaneamente domandava ai cittadini sempre più consumi per sostenere la crescita economica su cui si fondava in molti erano scettici sulle mie conclusioni.
Oggi questo cortocircuito logico credo inizi ad appalesarsi sempre più chiaramente.

Forse ne usciremo, forse no. Sicuramente se ne usciremo lo faremo profondamente trasformati rispetto a come siamo oggi.

Cara Pigreca,
qualunque persona di buon senso credo debba avera paura, comunque si voglia leggere la situazione si tratta di una situazione che non può che spaventare.

marco cedolin ha detto...

Cara Crilù,
leggermi ti ha sempre fatto paura...ma so bene che sei molto più forte di quanto tu stessa immagini di essere.

Il microcosmo di Monica ha già superato tutti questi problemi, rappresenta un universo di decrescita come accade all'interno di tante esperienze personali assimilabili alla sua. La decrescita non è un modello rigido, ha molte sfumature e non presuppone il rifiuto obbligato della tecnologia o la rinuncia a tutte le comodità. Ciò non toglie che tutti saremo costretti a ridurre la nostra dipendenza dall'economico iniziando ad autoprodurre una parte dei beni e servizi che ci sono necessari, modificando i nostri ritmi di vita, tornando a cercare la gioia in quello che c'è intorno a noi anzichè all'interno dello schermo di una TV.

So bene che terrai la testa sotto la sabbia ancora un pò, ma non tarderai molto a tirarla fuori e quando lo farai sono certo che scoprirai come in fondo sarai molto più libera e felice di quanto non lo fossi stata prima :-)

Un abbraccio
Marco

Luca C. ha detto...

E in tutto questo scenario desolante, caro Marco, chi ci governa (si fa per dire) che cosa fa? Il Ponte sullo Stretto, le centrali nucleari, gli inceneritori, l'alta velocità ferroviaria, nuovi aeroporti... qualcuno penserà che sono monotono, ma quello che voglio sottolineare ora è che queste grosse infrastrutture, al di là dell'impatto ecologico e dell'impatto sull'occupazione (comunque scarso, io credo) richiedono enormi stanziamenti di denaro pubblico.
Ce lo possiamo permettere?
E il decreto Gelmini, che taglierà un numero cospicuo di addetti della scuola, al di là di ogni valutazione di merito, si ritiene davvero che sia senza costi sociali anche molto pesanti, se non altro per quegli insegnanti precari che, poveretti, contavano una buona volta di sistemarsi?
E il cosiddetto federalismo, si crede davvero che possa essere realizzato senza metterci altri soldi?
Perché invece di pensare e suggerire rimedi per la crisi in atto, come molti lodevolmente fanno, non si comincia a pensare quello che in Italia non deve essere fatto?
Anche se, per fare questo sarebbe necessario un comitato di salute pubblica, che si sostituisca al governo Berlusconi-Tremonti...
Luca

Anonimo ha detto...

Ciao Marco,
Ottimo richiamo alla realtà.
Se passi da me, puoi trovare una prima sintesi del grande :-) dibattito.
Un abbraccio,
Carlo

SCHIAVI O LIBERI ha detto...

Caro Marco, sono perfettamente d'accordo con te. Loro pensano di salvare il sistema salvando le banche, ma se non salveranno le famiglie e i consumi la struttura crollerà comunque.Qui...è arrivato il momento di svegliarsi e impossessarci della nostra vita. Non per il salvataggio del sistema, ma perchè meritiamo di più che essere semplici mezzi per accrescere il pil.
Un caro saluto

marco cedolin ha detto...

Caro Luca,
sai bene che per quanto mi riguarda non ti troverei mai monotono dal momento che le grandi opere sono un mio pallino, fino al punto di averci scritto un libro.
Il cemento resta oggi in Occidente l'unico campo nel quale vengono praticati investimenti stratosferici e questo per tutta una serie di ragioni: il denaro investito è totalmente pubblico (perciò derivante dai contribuenti) mentre i profitti sono appannaggio d'imprenditori privati, i rischi ricadono totalmente sullo Stato perciò i privati non rischiano nulla, le grandi opere cementizie non richiedono in fondo una tecnologia molto avanzata, i capitali (e perciò i profitti) movimentati dai mostri di cemento sono enormi e le grandi opere garantiscono profitti per decine di anni senza che la cosa sia minimamente vincolata alla loro qualità, alla loro utilità e al loro reale utilizzo. Un bengodi di questo genere non viene garantito da nessun altro settore.
Le ricadute delle grandi infrastrutture cementizie in termini di occupazione sono scarsissime e riguardano in larga parte manodopera di scarso livello. Il settore delle grandi costruzioni è notoriamente a parità di capitale investito quello che crea quantitativamente meno occupazione, così come affermato da tutti gli economisti che mantengono una minima libertà di pensiero, far i quali Marco Ponti che lo ha ripetuto più volte, nonostante sia un liberista che non può certo essere tacciato di simpatie ecologiste.
Sicuramente non ce le possiamo permettere, ma questo sembra non importare a nessuno, così invece di pensare (come tu hai giustamente suggerito) a quello che in Italia non deve essere fatto, continuiamo a fare quello che non serve ed oltretutto danneggia la salute e l'ambiente.

Ciao
Marco

marco cedolin ha detto...

Ciao Carlo,
sono passato a leggere, mi sembra che la tua idea abbia suscitato una grande partecipazione e le varie posizioni lascino spazio a molti punti d'incontro.
Non resta che aspettare ancora qualche ritardatario e poi iniziare a lavorarci sopra.

Un abbraccio
Marco

marco cedolin ha detto...

Caro Marco,
acquisire consapevolezza e metterci in gioco in prima persona credo siano gli unici mezzi che abbiamo per affrancarci dal ruolo di tubi digerenti della macchina del consumo.
Sicuramente meritiamo di più!

Un caro saluto
Marco

Anonimo ha detto...

Condivido ogni singola lettera che hai usato in questo post.

Si Marco, a volte fai paura, ma è una paura-necessaria, perchè bisogna svegliarsi.

Se Mediaset, Rai, Corriere della Sera, Repubblica etc avessero un minimo di palle e/o di deontologia professionale, ti chiederebbero il permesso e prenderebbero il tuo scritto di oggi, e lo pubblicherebbero in prima pagina o all'inizio dei TG.
E invece continuano a vendere un castello di carte, nonostante stia crollando: gli sviluppisti non hanno l'elasticità mentale neppure per fare autocritica.

In questi giorni mi fa abbastanza ridere ascoltare Radio24, tutti questi "liberisti a intermittenza": adoratori di un sistema che anche uno studente di 1°liceo capisce che non si può reggere così come è stato impostato.
Prima li definivo i "liberisti all'italiana", adesso è sempre più chiaro cosa è il liberismo a livello mondiale: socializzare le perdite e intascare i profitti.
In Italia è soltanto più rapace e sfacciato: vedi Tav e inceneritori.

Un pianeta con risorse finite non si può permettere degli irresponsabili che cercano di impadronirsi delle briciole, quando la torta è finita da un pezzo. Ma proprio, non ci arrivano, non sono capaci di cambiare. Neanche adesso.

Andiamo incontro a problemi sociali gravissimi, a causa della rapacità di una classe dirigente miope e incapace.
Ma forse, è la volta buona che persone come "noi", che parlano di beni comuni, di rispetto per la vita e l'ambiente, di decrescita (da anni..) saranno ascoltate, e tutti quanti ci rimboccheremo le maniche per uscire da questo delirio sviluppista senza delegare a questo o quel politico.
C'è solo l'imbarazzo della scelta per cominciare a livello personale, e poi a livello collettivo. Anche solo facendosi lo yogurt in casa per cominciare, ma bisogna cominciare.
Tutti dobbiamo essere il cambiamento che vogliamo, nelle scelte di ogni giorno.
La responsabilità condivisa che ne deriva poi, diviene un contagio che non si può più arrestare.
Guarda i Comuni Virtuosi, dove il disastro sviluppista farà sicuramente meno danni che altrove.

Io oggi sono preoccupato, ma non ho paura.
Quello che mi fa paura, è che il mondo possa restare così.

Un abbraccio, Roberto
www.buonsenso.info

Testardo ha detto...

Caro Marco,

pienamente d'accordo con te sul fatto che il modello di sviluppo fondato sulla crescita infinita stia fallendo giorno dopo giorno; ma ho un pensiero che mi gira per la testa e che non va nella direzione che proponi tu al termine del post.

Ci troviamo nel bel mezzo di una crisi finanziaria, economica, ecologica ed energetica [tralasciando momentaneamente quella politica su scala mondiale]. C'è, a mio parere, una crisi di accumulo di capitale alla base di tutto questo, e la storia mi ha insegnato che una crisi simile può essere superata dal capitalismo attraverso la guerra e la depressione.

Dopo una guerra e/o un periodo di depressione molto capitale viene bruciato e distrutto, e può ricominciare il processo di accumulo su basi nuove. Ho il sospetto che ciò che sta avvenendo negli USA [e a breve anche in Europa] sia proprio questo. Il sistema sta collassando su se stesso e chi ha i mezzi per farlo si sta adoperando per 'rubare' il più possibile mentre i poveri cristi che hanno stipulato un mutuo si ritrovano in mutande. Come esempio è sufficiente tenere d'occhio l'andamento del prezzo del petrolio [assolutamente insensato rispetto a quello che le leggi macroeconomiche e monetarie prevedono].

Detto questo, pensi che abbia un senso il mio discorso e che quindi ci sia il rischio che tutto ricominci daccapo una volta placata la crisi, oppure - come mi auguro - siamo ad una svolta storica e irreversibile?

marco cedolin ha detto...

Caro Roberto,
ti ringrazio per le belle parole ma se il Corriere, Mediaset o la Rai pubblicassero i miei articoli temo significherebbe che avremmo cambiato dimensione spaziotemporale o più semplicemente sarei io ad avere iniziato a scrivere "brodaglie" a comando per i loro direttori :-)
Pensa che nel 2005, ancora all'inizio dell'autunno caldo, scrissi un lungo articolo sul TAV
http://marcocedolin.blogspot.com/2007/11/incubo-tav.html
e lo mandai a tutti i grandi giornali, dal Manifesto e Liberazione fino al Giornale e Libero. Per quanto possa sembrare strano l'unico giornale che lo pubblicò, dopo un serrato confronto a muso duro con l'allora direttore Paragone, fu la Padania, mentre da tutte le altre testate non ricevetti neppure una risposta di cortesia.

Ho apprezzato molto il tuo commento e mi sento di sottoscrivere alla lettera la tua utlima frase.
"Quello che mi fa paura, è che il mondo possa restare così".

Un abbraccio
Marco

marco cedolin ha detto...

Caro Alessandro,
saremmo degli ipocriti se ci nascondessimo il fatto che il rischio di una "guerra" è assolutamente concreto, a prescindere dal fatto che possa trattarsi di una guerra mondiale o di tante "guerre civili" combattute nel caos delle città. Sono convinto che nel malaugurato caso le banche chiudessero i battenti ed i bancomat diventassero simili a tessere telefoniche scadute, prima di 48 ore subentrerebbe il caos ed una battaglia senza quartiere.

Se il terminale della crisi (non solo finanziaria) globale dovesse essere la guerra, molto probabilmente dopo il massacro tutto ricomincerebbe come prima.
Se il terminale della crisi dovesse essere la costruzione di un diverso modello di società, significherebbe che una volta tanto dai nostri sbagli saremmo stati in grado di imparare qualcosa che ci consente finalmente d'incamminarci su una strada diversa.

Un abbraccio
Marco