Marco Cedolin
La società del controllo che si specchia nelle telecamere affastellate ad ogni angolo delle città, che si ciba d’impronte digitali, grandi orecchie, satelliti spia e banche del Dna, che sta costruendo incubi quotidiani popolati da droni “intelligenti” e microchip da installare sottocute, sembra non porre limiti alla propria fantasia visionaria e l’intelligence britannica continua a fare scuola in questo senso.
Scotland Yard ha infatti lanciato un’iniziativa promossa da Gary Pugh, direttore delle scienze forensi e portavoce per la genetica della polizia, che ha come obiettivo la raccolta del Dna dei bimbi delle scuole elementari del Paese. La raccolta non riguarderebbe però tutti i bimbi dai 5 anni in su, bensì solamente i pargoletti che dimostrano comportamenti antisociali o comunque considerati “a rischio”. Il progetto, stando a quanto scritto sul quotidiano Guardian che ha dato la notizia, prenderebbe spunto dalla necessità d’identificare tempestivamente potenziali criminali al fine di garantire adeguatamente la sicurezza nazionale. Gli esperti criminologi hanno infatti realizzato uno studio dal quale emergerebbe che l’inclinazione a determinati comportamenti pericolosi per la società sia identificabile già nei bimbi di 5 anni di età. Da qui emergerebbe l’idea di schedare il Dna dei piccoli monelli britannici, avendo così modo di poterli monitorare nel corso della loro vita e identificare fin da subito i potenziali “delinquenti in erba” che in futuro potrebbero compiere realmente dei reati.
La proposta sicuramente non incontrerà l’immediato favore dell’opinione pubblica e ben difficilmente verrà messa in atto integralmente in tempi brevi, dinanzi alla scontata opposizione di genitori ed insegnanti, però risulta oltremodo indicativa della strada che il sistema del controllo intende intraprendere per ottenere lo scopo reale che si prefigge e cioè la totale acquiescenza dei cittadini costretti all’interno di un modello unico comportamentale, costruito a maglie sempre più strette, al fine di determinare i loro gesti, i loro gusti, le loro aspirazioni, le loro reazioni che dovranno per forza di cose risultare funzionali al sistema. Un sistema che decide a priori quello che è “giusto” e quello che è “sbagliato”, provvedendo in prima persona ad identificare, isolare e neutralizzare qualunque “anomalia genetica” possa discostare l’individuo dall’atteggiamento di acritica sottomissione al modello sociale dominante. In questo senso, soprattutto negli USA, sono già in stato di sperimentazione sui topi sistemi di microchip sottocutanei in grado di condizionare la volontà del soggetto, rendendolo docile come un agnellino e disposto ad accettare qualsiasi angheria.
Notizie come quella data dal Guardian e ripresa dal Corriere Della Sera che al riguardo ha indetto perfino un sondaggio per sapere se i suoi lettori sarebbero favorevoli all’adozione di un simile provvedimento anche in Italia, rappresentano soprattutto uno strumento volto a testare il grado attuale di sensibilità da parte dei cittadini nei confronti del “controllo”. La società del controllo vive e prospera cibandosi di paura, quella paura che distribuisce quotidianamente a piene mani. Paura del terrorismo, paura delle rapine, paura delle aggressioni, paura degli altri, paura di essere esclusi, paura di morire e paura di vivere. Solo attraverso la “paura” può costringere il cittadino a chiedere più controllo, offrendoglielo per il suo bene e stimolandolo a chiederne ancora di più che naturalmente gli sarà generosamente offerto, in un circolo vizioso al termine del quale anche schedare i bimbi di 5 anni e magari “correggerli” con un microchip sembrerà un atteggiamento plausibile, eticamente corretto e necessario.
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