Marco Cedolin
E' bella questa festa della primavera, con il crepuscolo che gioca a sospingere indietro la sera, ed il primo albore del mattino che ti sorprende, mentre ancora stai assaporando il silenzioso abbraccio della notte.
E' bello questo risveglio dei sensi, il ridestarsi della natura che freme, ebbra d'entusiasmo e voglia di rinascita, l'aria che si fa tiepida, il profumo del tiglio, la vita che germoglia in ogni dove.
Quanta emozione ha ridestato in noi il magniloquio di Silvio Berlusconi, finalmente tornato alla favella, quando ormai tutti lo credevamo, perso irrimediabilmente dentro al suo mutismo.
Quanta salienza nelle sue esternazioni magicali, che hanno dato coscienza anche a noi, piccoli uomini, di essere parte di quell'umanità da lui miracolata in questi anni di ottimo governo illuminato. In questi anni nei quali il miracolo è pian piano germogliato, fino a sbocciare nel ritrovato benessere ed in questo clima festaiolo del quale tutti ci sentiamo partecipi.
Mirabolanti miracoli ed effetti speciali, nel tirare fuori dinanzi a tante faccette stupite, perfino la salma del povero Quattrocchi, fuoriuscita, come per incanto dal cappello del prestidigitatore.
Sarà lui? Non sarà lui? In fondo è passato tanto temp0, come si fa ad esserne sicuri.
I medici di stato sembrano propendere per il si, dopo lunghe ed attente analisi, che hanno portato alla luce un anello regalato dalla fidanzata, prova inequivocabile dell'identità, ottenuta grazie a tecniche di ricerca d'avanguardia che tutto il mondo c'invidia. La famiglia ha comunque richiesto l'intervento di un proprio perito, non perché manchi la fiducia nelle nostre istituzioni, ma semplicemente come contribuzione al miracolistico incremento dell'occupazione.
Il funerale si svolgerà in forma privata o si tratterà di un funerale di stato, di quelli con i tricolori, i cavalli che trottano al ritmo dell'inno di Mameli ed i carabinieri, vestiti tutti eleganti col pennacchio rosso e l'andatura ritmata che con la mente ci porta già alla sfilata del due giugno?
Il due giugno, quando sfileranno i soldati impettiti, con gli sguardi fieri, con quel passo marziale figlio di ore di allenamento nei cortili sonnolenti delle caserme.
Quando sfileranno i carri armati, sfrecceranno gli aerei da guerra, macchine di morte presentate come simulacri di civiltà.
Sfileranno fra due ali di folla plaudente, di italiani ormai americanizzati, con le loro bandierine tricolori, agitate in una sorta di tic motorio.
Ma la vera gioia dell'anima, per tutti quegli italiani che respirano un cielo a stelle e strisce, arriverà solo il quattro di giugno, quando G.W. Bush in persona, proprio lui, non sembra neanche vero, calcherà il suolo del suo alleato più fedele, dandoci la possibilità di ammirarlo in tutta la sua interezza, dopo tanta trepidante attesa.
Altri cavalli (o muli?), altri pennacchi, altre parate, altri miracoli, che germogliano, sotto al sole.
Entro un mese o poco più l'Iraq avrà un governo, suo, sì proprio suo, fatto d'iracheni veri. Non sarà un governo votato dal popolo, la gente lì è troppo impegnata a fare terrorismo, rapire, sparare, dove troverebbe mai il tempo per andare alle urne? Per adesso, ma solo per questa volta, il governo iracheno lo sceglierà G.W Bush in persona, proprio lui, che avrebbe un mare di cose più importanti da fare, ma attingendo alla propria bonomia si sacrificherà ancora una volta per gli altri.
Resteranno anche i soldati, quelli americani, inglesi, italiani, polacchi, giapponesi, e forse arriveranno anche quelli dell'ONU ed una contribuzione dei fascisti su Marte che, si sa, la loro presenza non guasta mai.
Tutti a proteggere il nuovo governo democratico ed il nuovo petrolio “del popolo”, quello che tutti gli iracheni, dimesse le armi e ormai dimentichi del terrorismo, potranno raffinare dentro le loro case, ognuno a modo suo, in completa libertà.
Non stanca mai la festa della primavera, con i suoi suoni dolci, le stellate notturne, la sua origine celtica, che si strugge in antiche melodie, senza tempo.
martedì 25 maggio 2004
domenica 9 maggio 2004
Rapporti confidenziali
Marco Cedolin
Il Movimento della Croce Rossa opera nel campo dell'aiuto umanitario sulla base di sette principi fondamentali comuni, adottati dalla XXa Conferenza Internazionale della Croce Rossa svoltasi a Vienna nel 1965, che costituiscono lo spirito e l'etica della Croce Rossa e della quale sono garanti e guida. Essi sintetizzano i fini del Movimento ed i mezzi con cui realizzarli e sono nell'ordine: "L'UMANITA' - L'IMPARZIALITA' - LA NEUTRALITA' - L'INDIPENDENZA - IL CARATTERE VOLONTARIO- L'UNITA'- L'UNIVERSALITA'".
Già da questa sintetica dichiarazione si evince dunque come la Croce Rossa si proponga per sua stessa affermazione come un movimento umanitario super partes, coeso nello sforzo di alleviare e prevenire in ogni circostanza le sofferenze degli uomini, nonché sempre per sua stessa affermazione si preoccupi di diffondere l'educazione alla salute e la conoscenza dei principi fondamentali del diritto internazionale umanitario.
“Dignità per tutti” era infatti il motto che la Croce Rossa affermava di volere realizzare nel primo decennio di questo millennio.
Ho fatto questa breve premessa poiché in tutta l'aberrante vicenda delle torture compiute dai soldati angloamericani nei confronti dei prigionieri iracheni (e non solo), in tutte le vergognose notizie che giorno dopo giorno si arricchiscono di nuova vergogna e nuovi particolari, credo esista un'incongruenza di fondo che continua a tormentarmi e più scaccio il pensiero, più questo mi si ripresenta vivido alla mente.
La Croce Rossa da oltre un anno sapeva tutto ma non si è mai minimamente preoccupata di denunciare pubblicamente cosa stava realmente accadendo nei lager d'Iraq!
La Croce Rossa internazionale ha affermato in questi giorni di aver consegnato più di un anno fa all'amministratore USA in Iraq Paul Bremer un rapporto sugli abusi dei militari statunitensi nei confronti dei prigionieri iracheni, questo naturalmente in forma confidenziale, poiché l'umanità, l'imparzialità, la neutralità e l'indipendenza hanno consigliato a questi signori di guardarsi bene dall'informare il mondo intero del piccolo particolare che in Iraq i soldati americani torturavano in maniera diffusa i propri prigionieri.
Solo dopo che la Tv americana CBS, mandando in onda le prime foto ha aperto all'opinione pubblica mondiale la porta della stanza degli orrori; la Croce Rossa ha incominciato a fare dichiarazioni, asserendo di aver inviato rapporti riguardanti gli accadimenti alle autorità di Washington a quelle Britanniche nonché a Paul Bremer
E'strano come i responsabili della Croce Rossa, dopo avere informato i vertici politici degli stati implicati nei casi di tortura, non abbiano ritenuto giusto denunciare le torture (nella logica di lenire e prevenire la sofferenza degli uomini) anche presso gli organi d'informazione e trattandosi di crimini contro l'umanità, presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Molto probabilmente se questo fosse avvenuto, molti di coloro che durante questo anno sono stati ammazzati, storpiati, violentati e seviziati avrebbero conosciuto una sorte diversa.
Francamente non mi riesce proprio di capire cosa sia o voglia essere un'organizzazione che agisce come ha fatto la Croce Rossa. La pratica omertosa mal si sposa con i principi umanitari, chi sia a conoscenza di un delitto e tuteli il colpevole attraverso il proprio silenzio diventa automaticamente suo complice e poco importa il fatto che abbia sussurrato nell'orecchio dell'assassino che stava compiendo una cattiva azione.
L'impressione più attendibile è quella che anche la Croce Rossa, come l'ONU faccia parte di quelle organizzazioni che a dispetto delle belle parole che compaiono nel loro statuto si sono invece appiattite su una logica di servilismo nei confronti del potere che le gestisce e con esse gestisce a proprio uso e consumo anche i contributi che i donatori in buona fede elargiscono in tutti i paesi del mondo.Solamente una vergogna di più su questa strada dell'imperialismo coloniale d'inizio millennio già lastricata di vergogne senza fine. Strano come in questo mondo globalizzato, all'insegna dello strapotere massmediatico si finisca sempre con lo scoprire che tutti sapevano tutto, tranne noi.
Il Movimento della Croce Rossa opera nel campo dell'aiuto umanitario sulla base di sette principi fondamentali comuni, adottati dalla XXa Conferenza Internazionale della Croce Rossa svoltasi a Vienna nel 1965, che costituiscono lo spirito e l'etica della Croce Rossa e della quale sono garanti e guida. Essi sintetizzano i fini del Movimento ed i mezzi con cui realizzarli e sono nell'ordine: "L'UMANITA' - L'IMPARZIALITA' - LA NEUTRALITA' - L'INDIPENDENZA - IL CARATTERE VOLONTARIO- L'UNITA'- L'UNIVERSALITA'".
Già da questa sintetica dichiarazione si evince dunque come la Croce Rossa si proponga per sua stessa affermazione come un movimento umanitario super partes, coeso nello sforzo di alleviare e prevenire in ogni circostanza le sofferenze degli uomini, nonché sempre per sua stessa affermazione si preoccupi di diffondere l'educazione alla salute e la conoscenza dei principi fondamentali del diritto internazionale umanitario.
“Dignità per tutti” era infatti il motto che la Croce Rossa affermava di volere realizzare nel primo decennio di questo millennio.
Ho fatto questa breve premessa poiché in tutta l'aberrante vicenda delle torture compiute dai soldati angloamericani nei confronti dei prigionieri iracheni (e non solo), in tutte le vergognose notizie che giorno dopo giorno si arricchiscono di nuova vergogna e nuovi particolari, credo esista un'incongruenza di fondo che continua a tormentarmi e più scaccio il pensiero, più questo mi si ripresenta vivido alla mente.
La Croce Rossa da oltre un anno sapeva tutto ma non si è mai minimamente preoccupata di denunciare pubblicamente cosa stava realmente accadendo nei lager d'Iraq!
La Croce Rossa internazionale ha affermato in questi giorni di aver consegnato più di un anno fa all'amministratore USA in Iraq Paul Bremer un rapporto sugli abusi dei militari statunitensi nei confronti dei prigionieri iracheni, questo naturalmente in forma confidenziale, poiché l'umanità, l'imparzialità, la neutralità e l'indipendenza hanno consigliato a questi signori di guardarsi bene dall'informare il mondo intero del piccolo particolare che in Iraq i soldati americani torturavano in maniera diffusa i propri prigionieri.
Solo dopo che la Tv americana CBS, mandando in onda le prime foto ha aperto all'opinione pubblica mondiale la porta della stanza degli orrori; la Croce Rossa ha incominciato a fare dichiarazioni, asserendo di aver inviato rapporti riguardanti gli accadimenti alle autorità di Washington a quelle Britanniche nonché a Paul Bremer
E'strano come i responsabili della Croce Rossa, dopo avere informato i vertici politici degli stati implicati nei casi di tortura, non abbiano ritenuto giusto denunciare le torture (nella logica di lenire e prevenire la sofferenza degli uomini) anche presso gli organi d'informazione e trattandosi di crimini contro l'umanità, presso l'Organizzazione delle Nazioni Unite.
Molto probabilmente se questo fosse avvenuto, molti di coloro che durante questo anno sono stati ammazzati, storpiati, violentati e seviziati avrebbero conosciuto una sorte diversa.
Francamente non mi riesce proprio di capire cosa sia o voglia essere un'organizzazione che agisce come ha fatto la Croce Rossa. La pratica omertosa mal si sposa con i principi umanitari, chi sia a conoscenza di un delitto e tuteli il colpevole attraverso il proprio silenzio diventa automaticamente suo complice e poco importa il fatto che abbia sussurrato nell'orecchio dell'assassino che stava compiendo una cattiva azione.
L'impressione più attendibile è quella che anche la Croce Rossa, come l'ONU faccia parte di quelle organizzazioni che a dispetto delle belle parole che compaiono nel loro statuto si sono invece appiattite su una logica di servilismo nei confronti del potere che le gestisce e con esse gestisce a proprio uso e consumo anche i contributi che i donatori in buona fede elargiscono in tutti i paesi del mondo.Solamente una vergogna di più su questa strada dell'imperialismo coloniale d'inizio millennio già lastricata di vergogne senza fine. Strano come in questo mondo globalizzato, all'insegna dello strapotere massmediatico si finisca sempre con lo scoprire che tutti sapevano tutto, tranne noi.
giovedì 29 aprile 2004
Oggi le comiche
Marco Cedolin
Nello sfogliare le pagine dei quotidiani in questi ultimi giorni di aprile si percepisce come l’impressione che tutti coloro che sono intorno mentre leggi, sull’autobus, al bar, in ufficio o seduto sulla panchina dei giardinetti, ti stiano osservando ridacchiando sotto i baffi, mentre se la godono un mondo a vedere l’effetto che fa ed attendono il momento giusto per sganasciarsi senza freni ed urlarti “Cretino! Ma ci avevi creduto veramente?”
In effetti i giornali di casa nostra, mentre il sole si fa sempre più caldo a ribadire che è primavera, somigliano sempre meno a serie testate d’informazione e sempre di più a quelle meravigliose copie de “Il Male” che (chi ha tanti anni sulle spalle come me certo lo ricorderà) furoreggiavano negli anni 70, quando scimmiottavano in maniera deliziosa le prime pagine dei quotidiani con notizie improponibili, dissacranti o sconvolgenti.
Le Brigate Verdi, non vi sfugga la sottile omonimia con quelle di casa nostra dipinte però di altro colore, si dilettano nel rapimento d’italiani glabri, in tuta mimetica e armati fino ai denti, in libera circolazione sul suolo d’Iraq, per poi ripresentarli in video con tanto di barba e vestiti in maniera più adeguata al clima e alle circostanze, mentre in tutta tranquillità consumano il desco.
Le Brigate Verdi di Maometto (prima avevo dimenticato l’allusione al Profeta) praticano dunque il rapimento a scopo d’estorsione ma l’oggetto del riscatto si dimostra in verità quanto mai originale. Non soldi, né fama, né armi, né prigionieri politici ma una manifestazione.
Sì, una manifestazione per la pace, una di quelle manifestazioni che in Italia si sono fatte decine di volte con grande partecipazione di noi italiani,che però ci portiamo sempre quella mortificante jella appiccicata sulla schiena. Quando ci ritroviamo tutti d’accordo su qualcosa (in questo caso la pace) il governo decide immediatamente per il contrario (la guerra) e si rimane con un vago senso di frustrazione nell’animo.
Se i rapitori di un qualche miliardario che si stava rosolando in Sardegna, comodamente stravaccato sul suo 20 metri sotto il sole primaverile, pretendessero come riscatto una manifestazione a Milano contro la riforma Moratti o un corteo a Napoli contro la legge Gasparri, sicuramente si penserebbe al gesto di qualche squilibrato e la cosa non verrebbe presa nella minima considerazione. Ma nel caso delle Brigate Verdi la questione si pone certo su un piano di ben diversa natura. Gli islamici sono strani, non ragionano come noi, è impossibile decifrare i loro percorsi mentali che ci sono sconosciuti.
Così il circo della carta stampata si rappresenta infarcito di dichiarazioni di uomini politici, opinionisti, famigliari, preti, vescovi, giornalisti, esperti, tutti profusi in serie considerazioni sul da farsi. “Manifestare a comando mai!” “non cederemo ad alcun ricatto” “usiamo la manifestazione del primo maggio che tanto la fa la sinistra che è contro la guerra” “Ma se riciclare una manifestazione preesistente non bastasse?”
“Italiani vi preghiamo scendete in piazza a manifestare contro l’occupazione in Iraq” lo gridano i famigliari degli ostaggi e i sindaci dei loro paesi.
“Italiani restate a casa e non cedete ad alcun ricatto” lo gridano i politici tutti, siano essi della maggioranza o dell’opposizione.
E sull’onda di questa farsa, parodiata in maniera tragicomica da commedianti buoni forse solo per la Corrida, ecco che l’italiano si ritrova col giornale fra le mani e gli sguardi di chi gli sta intorno sulla schiena con la netta sensazione di non capirci più nulla; cosa è giusto, cosa è sbagliato, cosa deve o non deve fare. Verrebbe quasi voglia di abbandonarsi all’ilarità e mormorare fra sé e sé guarda che pollo ci ero quasi cascato, se non fosse per il fatto che prima della commediola delle Brigate Verdi di Maometto, il massacro del popolo iracheno ed il movimento pacifista che reclamava la sua libertà erano delle cose serie, prima appunto.
Nello sfogliare le pagine dei quotidiani in questi ultimi giorni di aprile si percepisce come l’impressione che tutti coloro che sono intorno mentre leggi, sull’autobus, al bar, in ufficio o seduto sulla panchina dei giardinetti, ti stiano osservando ridacchiando sotto i baffi, mentre se la godono un mondo a vedere l’effetto che fa ed attendono il momento giusto per sganasciarsi senza freni ed urlarti “Cretino! Ma ci avevi creduto veramente?”
In effetti i giornali di casa nostra, mentre il sole si fa sempre più caldo a ribadire che è primavera, somigliano sempre meno a serie testate d’informazione e sempre di più a quelle meravigliose copie de “Il Male” che (chi ha tanti anni sulle spalle come me certo lo ricorderà) furoreggiavano negli anni 70, quando scimmiottavano in maniera deliziosa le prime pagine dei quotidiani con notizie improponibili, dissacranti o sconvolgenti.
Le Brigate Verdi, non vi sfugga la sottile omonimia con quelle di casa nostra dipinte però di altro colore, si dilettano nel rapimento d’italiani glabri, in tuta mimetica e armati fino ai denti, in libera circolazione sul suolo d’Iraq, per poi ripresentarli in video con tanto di barba e vestiti in maniera più adeguata al clima e alle circostanze, mentre in tutta tranquillità consumano il desco.
Le Brigate Verdi di Maometto (prima avevo dimenticato l’allusione al Profeta) praticano dunque il rapimento a scopo d’estorsione ma l’oggetto del riscatto si dimostra in verità quanto mai originale. Non soldi, né fama, né armi, né prigionieri politici ma una manifestazione.
Sì, una manifestazione per la pace, una di quelle manifestazioni che in Italia si sono fatte decine di volte con grande partecipazione di noi italiani,che però ci portiamo sempre quella mortificante jella appiccicata sulla schiena. Quando ci ritroviamo tutti d’accordo su qualcosa (in questo caso la pace) il governo decide immediatamente per il contrario (la guerra) e si rimane con un vago senso di frustrazione nell’animo.
Se i rapitori di un qualche miliardario che si stava rosolando in Sardegna, comodamente stravaccato sul suo 20 metri sotto il sole primaverile, pretendessero come riscatto una manifestazione a Milano contro la riforma Moratti o un corteo a Napoli contro la legge Gasparri, sicuramente si penserebbe al gesto di qualche squilibrato e la cosa non verrebbe presa nella minima considerazione. Ma nel caso delle Brigate Verdi la questione si pone certo su un piano di ben diversa natura. Gli islamici sono strani, non ragionano come noi, è impossibile decifrare i loro percorsi mentali che ci sono sconosciuti.
Così il circo della carta stampata si rappresenta infarcito di dichiarazioni di uomini politici, opinionisti, famigliari, preti, vescovi, giornalisti, esperti, tutti profusi in serie considerazioni sul da farsi. “Manifestare a comando mai!” “non cederemo ad alcun ricatto” “usiamo la manifestazione del primo maggio che tanto la fa la sinistra che è contro la guerra” “Ma se riciclare una manifestazione preesistente non bastasse?”
“Italiani vi preghiamo scendete in piazza a manifestare contro l’occupazione in Iraq” lo gridano i famigliari degli ostaggi e i sindaci dei loro paesi.
“Italiani restate a casa e non cedete ad alcun ricatto” lo gridano i politici tutti, siano essi della maggioranza o dell’opposizione.
E sull’onda di questa farsa, parodiata in maniera tragicomica da commedianti buoni forse solo per la Corrida, ecco che l’italiano si ritrova col giornale fra le mani e gli sguardi di chi gli sta intorno sulla schiena con la netta sensazione di non capirci più nulla; cosa è giusto, cosa è sbagliato, cosa deve o non deve fare. Verrebbe quasi voglia di abbandonarsi all’ilarità e mormorare fra sé e sé guarda che pollo ci ero quasi cascato, se non fosse per il fatto che prima della commediola delle Brigate Verdi di Maometto, il massacro del popolo iracheno ed il movimento pacifista che reclamava la sua libertà erano delle cose serie, prima appunto.
venerdì 16 aprile 2004
Unreality show
Marco Cedolin
Qual è la linea di demarcazione che separa la realtà dalla finzione, e quanto c’è di reale nelle rappresentazioni degli accadimenti che giungono fino a noi sceneggiati, interpretati, plausibili. Già, plausibili: la realtà, in natura, quando esiste, libera di fluire senza la forzatura di un copione, senza dover sottostare alle leggi dell’audience, senza la costrizione di dover creare in chi la osserva del pathos, non sempre è plausibile, né perfetta, né tantomeno spettacolare.
Ma la nostra realtà si. Nella nostra realtà nulla sembra lasciato al caso e all’imponderabile, tutto ciò che accade (o viene fatto accadere, o sembra essere accaduto) è figlio illegittimo di un' abile sceneggiatura. Ogni cosa accade nella maniera più spettacolare, nei tempi giusti, nei modi più appropriati, senza sbavature, senza contrattempi, come in un film.
La vicenda delle quattro guardie private rapite e tenute in ostaggio in Iraq e l’uccisione di una di esse è ad esempio una di quelle che lasciano perplessi per i tanti aspetti che la fanno somigliare più ad un B-movie americano piuttosto che a un fatto di cronaca appartenente alla realtà.
Tutti i pezzi del mosaico sembrano disposti ad arte nel rappresentare una realtà plausibile, drammatica, straziante e coinvolgente; ma resta come sottofondo una nota stonata, la sensazione di trovarsi di fronte ad un reality show.
Le Falangi Verdi di Maometto, il fantomatico gruppo dei sequestratori non lo avevamo in verità mai sentito prima, non ha una storia né un’identità, ma il nome così altisonante e “islamico” sembra perfetto per porsi al centro della scena. In egual misura la richiesta dei rapitori per la liberazione degli ostaggi è di quelle improponibili, seppure di grosso effetto.
Pretendere il ritiro del contingente militare italiano (e non la liberazione di qualche prigioniero politico come è realmente varie volte accaduto in passato) equivale alla pretesa ridicola di 200 milioni di dollari e un elicottero per non distruggere il mondo, leitmotiv di tanti telefilm sui generis. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la risposta del governo italiano che, anziché proporre toni morbidi nell’intento di prendere tempo e consentire eventuali trattative segrete, come sempre avviene in questi casi, ha preferito esternare un’intransigenza tronfia e caricaturale, non senza preoccuparsi della sorte degli ostaggi.
La sensazione di trovarsi dinanzi ad una pellicola ha poi raggiunto il massimo durante la serata di mercoledì, quando la rappresentazione è sembrata dipanarsi secondo un meccanismo ben oliato studiato fin nei minimi dettagli. La serata nel teatrino di Porta a Porta, ormai assurto a succedaneo del parlamento, del Quirinale e di ogni altra istituzione dello stato italiano.
Una serata insolitamente in diretta, quasi la drammaticità del divenire fosse stata prevista. Ospite fra gli ospiti il ministro degli esteri Frattini, uomo che avrebbe dovuto trovarsi ben lontano dagli schermi TV, impegnato a compiere il proprio lavoro, che consisteva nel seguire la vicenda dalla sede deputata ad impegni di questo tipo.
Gradita la presenza in sala di alcuni parenti dei malcapitati ostaggi, tranne per una strana ironia del destino i parenti di Quattrocchi.
La notizia dell’uccisione vissuta in diretta, veicolata presso l’emittente araba Al Jazeera da una di quelle videocassette che oramai sembrano l’unico anello di congiunzione fra l’immaginario collettivo e la realtà dei fatti, una realtà comunque sempre filmica in quanto impressa sopra ad un nastro VHS. Il pathos che aleggia fra gli ospiti dello studio nell’attesa di una conferma o smentita dell’uccisione, con il ministro Frattini nell’inusuale veste di spettatore fra gli spettatori, lui che la logica avrebbe voluto in prima linea nell’appurare i fatti.
Poi lo sgomento, i pianti, la disperazione dei parenti degli altri ostaggi, tutto in diretta TV, tutto parte di un reality show nel quale anche le pause, le notizie, le attese, le lacrime sembravano frutto di un’attenta regia; ogni cosa al momento giusto, ogni cosa al punto giusto, senza sbavature.
Avete presente quando si esce da una sala cinematografica e si percepisce come una piccola sensazione di esaltazione? Se abbiamo visto un film di azione viene quasi voglia di menare le mani, un film ispirato ai buoni sentimenti ci rende per qualche momento più inclini alla bontà, uno d’amore ci spinge a donarci all’anima gemella e così via. Ecco,dopo l’overdose emozionale del Porta a Porta di mercoledì sera sentiamo chiaramente di poter discernere la verità con una chiarezza mai sperimentata prima.
In Iraq non esiste un popolo in rivolta ma solo terroristi sanguinari. Il terrorismo va combattuto ed è giusto che i nostri soldati (che lo combattono) restino là tutto il tempo necessario. Fabrizio Quattrocchi è stato ammazzato dagli arabi ed è morto come un eroe invocando il nome della Patria.
E gli arabi che stanno tentando d’invaderci dovranno passare sul cadavere di noi tutti prima di riuscire a farlo.Ma qualcuno di voi ricorda in che anno la colonia d’Iraq è stata annessa alla madrepatria?
Qual è la linea di demarcazione che separa la realtà dalla finzione, e quanto c’è di reale nelle rappresentazioni degli accadimenti che giungono fino a noi sceneggiati, interpretati, plausibili. Già, plausibili: la realtà, in natura, quando esiste, libera di fluire senza la forzatura di un copione, senza dover sottostare alle leggi dell’audience, senza la costrizione di dover creare in chi la osserva del pathos, non sempre è plausibile, né perfetta, né tantomeno spettacolare.
Ma la nostra realtà si. Nella nostra realtà nulla sembra lasciato al caso e all’imponderabile, tutto ciò che accade (o viene fatto accadere, o sembra essere accaduto) è figlio illegittimo di un' abile sceneggiatura. Ogni cosa accade nella maniera più spettacolare, nei tempi giusti, nei modi più appropriati, senza sbavature, senza contrattempi, come in un film.
La vicenda delle quattro guardie private rapite e tenute in ostaggio in Iraq e l’uccisione di una di esse è ad esempio una di quelle che lasciano perplessi per i tanti aspetti che la fanno somigliare più ad un B-movie americano piuttosto che a un fatto di cronaca appartenente alla realtà.
Tutti i pezzi del mosaico sembrano disposti ad arte nel rappresentare una realtà plausibile, drammatica, straziante e coinvolgente; ma resta come sottofondo una nota stonata, la sensazione di trovarsi di fronte ad un reality show.
Le Falangi Verdi di Maometto, il fantomatico gruppo dei sequestratori non lo avevamo in verità mai sentito prima, non ha una storia né un’identità, ma il nome così altisonante e “islamico” sembra perfetto per porsi al centro della scena. In egual misura la richiesta dei rapitori per la liberazione degli ostaggi è di quelle improponibili, seppure di grosso effetto.
Pretendere il ritiro del contingente militare italiano (e non la liberazione di qualche prigioniero politico come è realmente varie volte accaduto in passato) equivale alla pretesa ridicola di 200 milioni di dollari e un elicottero per non distruggere il mondo, leitmotiv di tanti telefilm sui generis. Sulla stessa lunghezza d’onda anche la risposta del governo italiano che, anziché proporre toni morbidi nell’intento di prendere tempo e consentire eventuali trattative segrete, come sempre avviene in questi casi, ha preferito esternare un’intransigenza tronfia e caricaturale, non senza preoccuparsi della sorte degli ostaggi.
La sensazione di trovarsi dinanzi ad una pellicola ha poi raggiunto il massimo durante la serata di mercoledì, quando la rappresentazione è sembrata dipanarsi secondo un meccanismo ben oliato studiato fin nei minimi dettagli. La serata nel teatrino di Porta a Porta, ormai assurto a succedaneo del parlamento, del Quirinale e di ogni altra istituzione dello stato italiano.
Una serata insolitamente in diretta, quasi la drammaticità del divenire fosse stata prevista. Ospite fra gli ospiti il ministro degli esteri Frattini, uomo che avrebbe dovuto trovarsi ben lontano dagli schermi TV, impegnato a compiere il proprio lavoro, che consisteva nel seguire la vicenda dalla sede deputata ad impegni di questo tipo.
Gradita la presenza in sala di alcuni parenti dei malcapitati ostaggi, tranne per una strana ironia del destino i parenti di Quattrocchi.
La notizia dell’uccisione vissuta in diretta, veicolata presso l’emittente araba Al Jazeera da una di quelle videocassette che oramai sembrano l’unico anello di congiunzione fra l’immaginario collettivo e la realtà dei fatti, una realtà comunque sempre filmica in quanto impressa sopra ad un nastro VHS. Il pathos che aleggia fra gli ospiti dello studio nell’attesa di una conferma o smentita dell’uccisione, con il ministro Frattini nell’inusuale veste di spettatore fra gli spettatori, lui che la logica avrebbe voluto in prima linea nell’appurare i fatti.
Poi lo sgomento, i pianti, la disperazione dei parenti degli altri ostaggi, tutto in diretta TV, tutto parte di un reality show nel quale anche le pause, le notizie, le attese, le lacrime sembravano frutto di un’attenta regia; ogni cosa al momento giusto, ogni cosa al punto giusto, senza sbavature.
Avete presente quando si esce da una sala cinematografica e si percepisce come una piccola sensazione di esaltazione? Se abbiamo visto un film di azione viene quasi voglia di menare le mani, un film ispirato ai buoni sentimenti ci rende per qualche momento più inclini alla bontà, uno d’amore ci spinge a donarci all’anima gemella e così via. Ecco,dopo l’overdose emozionale del Porta a Porta di mercoledì sera sentiamo chiaramente di poter discernere la verità con una chiarezza mai sperimentata prima.
In Iraq non esiste un popolo in rivolta ma solo terroristi sanguinari. Il terrorismo va combattuto ed è giusto che i nostri soldati (che lo combattono) restino là tutto il tempo necessario. Fabrizio Quattrocchi è stato ammazzato dagli arabi ed è morto come un eroe invocando il nome della Patria.
E gli arabi che stanno tentando d’invaderci dovranno passare sul cadavere di noi tutti prima di riuscire a farlo.Ma qualcuno di voi ricorda in che anno la colonia d’Iraq è stata annessa alla madrepatria?
martedì 13 aprile 2004
Agnelli sacrificali
Marco Cedolin
Mentre in Iraq continua lo sterminio senza fine, l'ecatombe di un popolo che mai avrebbe voluto vedere da vicino la vera faccia della "democrazia"; mentre l'egoarca a stelle e strisce, forte della propria edacità si effonde con sempre maggiore violenza in un genocidio per il quale mai ci potrà essere perdono, da noi in Italia, il ministro Frattini asserisce con sciolta noncuranza come "non si tratti assolutamente di guerra e sia azione irresponsabile ritirare i nostri soldati".
Impossibile non restare basiti dinanzi a parole così imbevute di mistificatorio pressappochismo.
Non sappiamo che idea abbiano della guerra quel salapuzio di Silvio Berlusconi ed i suoi dipendenti, ma se c'è qualcosa che appare lapalissiano a qualunque persona osservi i fatti in buona fede è come la guerra in Iraq non sia mai finita e si manifesti in queste settimane più sanguinosa che mai.
L'ostinazione indisponente con la quale il governo e purtroppo anche una parte di quella che dovrebbe essere l'opposizione, continuano a spacciare i mercenari tricolore sotto le mentite spoglie di una missione umanitaria è al contempo disarmante ed offensiva, quasi quanto il riso sardonico della patetica Star di Porta a Porta.
I mercenari italiani, raccomandati e superpagati (ma nessuna cifra potrà mai valere la vita di un ragazzo di vent'anni), non si trovano in Iraq per costruire asili e dare pacche sulle spalle ai poveri orfanelli, come la consorteria che da noi gestisce il potere continua a ripetere mentendo spudoratamente anche di fronte all'evidenza dei fatti. I soldati italiani fanno parte di una coalizione che opera sotto comando americano, occupa in armi il territorio di uno stato sovrano, uccide, strazia, bombarda, annienta e quegli orfani continua a crearli giorno dopo giorno, quando non sono i bambini stessi le vittime dei massacri.
I soldati italiani che martedì mattina hanno assassinato 15 persone in quel di Nassiriya non sono una forza di pace né stanno intrattenendo un corso di "pace keeping" con finalità umanitarie.
Sono ragazzi addestrati e pagati per combattere (anche se quei morti credo resteranno per molto tempo a turbare i loro sonni) in difesa della propria patria, proiettati invece, contro i dettami della nostra costituzione in un'assurda e sanguinaria guerra di conquista.
In Iraq non è in corso un'operazione antiterrorismo ma una carneficina senza fine e senza senso.
Gli iracheni, abbiano essi imbracciato o meno un fucile, sono uomini, né più né meno di come lo siamo noi occidentali.
Uomini ai quali è stata bruciata la casa, annientata la famiglia, tolto il lavoro, calpestata ogni dignità.
Uomini che noi ci permettiamo di giudicare imbarbariti e incivili qualora manifestano il proprio odio nei nostri confronti.
Uomini ai quali abbiamo ritenuto giusto imporre la nostra "democrazia" fatta di bombe all'uranio, di missili, di elicotteri Apache, di carri armati, di morte e disprezzo.
Uomini che abbiamo calpestato in virtù della nostra sfrenata egolatria che ci porta a considerarli solo carne da macello, quasi solo alla razza eletta fosse dato il privilegio di avere un'anima.
Uomini ai quali, forti della nostra supponenza, pretendiamo d'imporre la nostra cultura e la nostra religione mediante l'uso delle armi.
Uomini che abbiamo ricacciato indietro nei secoli fino al medioevo, regalando loro per gli anni a venire un territorio radioattivo come i dintorni di Cernobyl.
Tutti coloro che asseriscono non ci ritireremo mai e che ancora si ostinano, dando sfoggio della propria demente ecolalia, a sostenere la necessità del nostro contingente mercenario, quale contributo ad una pace che esiste solo nell'immaginario collettivo di chi si rifiuta di guardare in faccia la realtà, non fanno altro che aggiungere vergogna alla vergogna.
Seguiti a ruota nell'ignominia da chi si schiera a favore di un futuribile ritiro a giugno delle truppe, di fantomatici mandati dell'ONU e di ogni altro escamotage che giustifichi la nostra presenza in armi sul suolo iracheno.
Anziché preoccuparci di presidiare 13421 obiettivi sensibili fingendoci vittime del terrorismo islamico che a tutt'oggi in Italia non è stato responsabile neppure di un ferimento lieve, occorre ritirare subito e non a giugno uomini ed armi dal suolo iracheno. Occorre ritirali subito non per codardia o per manifesta paura di ritorsioni terroristiche, bensì perché stanno combattendo una sporca guerra di conquista che non ci appartiene, né mai ci apparterrà.
Mentre in Iraq continua lo sterminio senza fine, l'ecatombe di un popolo che mai avrebbe voluto vedere da vicino la vera faccia della "democrazia"; mentre l'egoarca a stelle e strisce, forte della propria edacità si effonde con sempre maggiore violenza in un genocidio per il quale mai ci potrà essere perdono, da noi in Italia, il ministro Frattini asserisce con sciolta noncuranza come "non si tratti assolutamente di guerra e sia azione irresponsabile ritirare i nostri soldati".
Impossibile non restare basiti dinanzi a parole così imbevute di mistificatorio pressappochismo.
Non sappiamo che idea abbiano della guerra quel salapuzio di Silvio Berlusconi ed i suoi dipendenti, ma se c'è qualcosa che appare lapalissiano a qualunque persona osservi i fatti in buona fede è come la guerra in Iraq non sia mai finita e si manifesti in queste settimane più sanguinosa che mai.
L'ostinazione indisponente con la quale il governo e purtroppo anche una parte di quella che dovrebbe essere l'opposizione, continuano a spacciare i mercenari tricolore sotto le mentite spoglie di una missione umanitaria è al contempo disarmante ed offensiva, quasi quanto il riso sardonico della patetica Star di Porta a Porta.
I mercenari italiani, raccomandati e superpagati (ma nessuna cifra potrà mai valere la vita di un ragazzo di vent'anni), non si trovano in Iraq per costruire asili e dare pacche sulle spalle ai poveri orfanelli, come la consorteria che da noi gestisce il potere continua a ripetere mentendo spudoratamente anche di fronte all'evidenza dei fatti. I soldati italiani fanno parte di una coalizione che opera sotto comando americano, occupa in armi il territorio di uno stato sovrano, uccide, strazia, bombarda, annienta e quegli orfani continua a crearli giorno dopo giorno, quando non sono i bambini stessi le vittime dei massacri.
I soldati italiani che martedì mattina hanno assassinato 15 persone in quel di Nassiriya non sono una forza di pace né stanno intrattenendo un corso di "pace keeping" con finalità umanitarie.
Sono ragazzi addestrati e pagati per combattere (anche se quei morti credo resteranno per molto tempo a turbare i loro sonni) in difesa della propria patria, proiettati invece, contro i dettami della nostra costituzione in un'assurda e sanguinaria guerra di conquista.
In Iraq non è in corso un'operazione antiterrorismo ma una carneficina senza fine e senza senso.
Gli iracheni, abbiano essi imbracciato o meno un fucile, sono uomini, né più né meno di come lo siamo noi occidentali.
Uomini ai quali è stata bruciata la casa, annientata la famiglia, tolto il lavoro, calpestata ogni dignità.
Uomini che noi ci permettiamo di giudicare imbarbariti e incivili qualora manifestano il proprio odio nei nostri confronti.
Uomini ai quali abbiamo ritenuto giusto imporre la nostra "democrazia" fatta di bombe all'uranio, di missili, di elicotteri Apache, di carri armati, di morte e disprezzo.
Uomini che abbiamo calpestato in virtù della nostra sfrenata egolatria che ci porta a considerarli solo carne da macello, quasi solo alla razza eletta fosse dato il privilegio di avere un'anima.
Uomini ai quali, forti della nostra supponenza, pretendiamo d'imporre la nostra cultura e la nostra religione mediante l'uso delle armi.
Uomini che abbiamo ricacciato indietro nei secoli fino al medioevo, regalando loro per gli anni a venire un territorio radioattivo come i dintorni di Cernobyl.
Tutti coloro che asseriscono non ci ritireremo mai e che ancora si ostinano, dando sfoggio della propria demente ecolalia, a sostenere la necessità del nostro contingente mercenario, quale contributo ad una pace che esiste solo nell'immaginario collettivo di chi si rifiuta di guardare in faccia la realtà, non fanno altro che aggiungere vergogna alla vergogna.
Seguiti a ruota nell'ignominia da chi si schiera a favore di un futuribile ritiro a giugno delle truppe, di fantomatici mandati dell'ONU e di ogni altro escamotage che giustifichi la nostra presenza in armi sul suolo iracheno.
Anziché preoccuparci di presidiare 13421 obiettivi sensibili fingendoci vittime del terrorismo islamico che a tutt'oggi in Italia non è stato responsabile neppure di un ferimento lieve, occorre ritirare subito e non a giugno uomini ed armi dal suolo iracheno. Occorre ritirali subito non per codardia o per manifesta paura di ritorsioni terroristiche, bensì perché stanno combattendo una sporca guerra di conquista che non ci appartiene, né mai ci apparterrà.
lunedì 5 aprile 2004
Caccia alle streghe
Marco Cedolin
Chiunque nelle ultime settimane abbia prestato attenzione ai messaggi provenienti dai media dell'informazione, si sarà certamente accorto di una particolarità a dir poco curiosa che caratterizza il nostro paese.
L'Italia si distingue inequivocabilmente per il grandissimo numero di persone dedite all'arte del terrorismo e al fiancheggiamento dello stesso.
Si potrebbe quasi azzardare l'ipotesi che almeno un residente su cento sia legato in qualche misura alle pratiche terroristiche, tanti e tali sono stati in così pochi giorni i ritrovamenti di ordigni, gli arresti, le trame oscure sventate e quelle ancora più oscure che per il momento vengono solo monitorate.
Il quadro della nostra realtà, quello partorito dal tubo catodico e dalle pagine stampate per intenderci, non quello che emerge dalla vita reale di tutti i giorni, sembra essere costellato da una miriade senza fine di gruppi, gruppetti e gruppuscoli di facinorosi che hanno scelto la pratica terrorista quale scopo della propria esistenza.
Cerchiamo allora di capire insieme se veramente stiamo convivendo, senza essercene mai accorti prima, con un nugolo di bande armate o sedicenti tali oppure se l'informazione di regime è affetta da una sorta di macropsia in virtù della quale vede un dinosauro laddove alligna solo una piccola formica.
In primo luogo rifacciamoci al passato per comprendere quali nella storia recente siano stati i gruppi terroristici di stampo politico che realmente hanno calcato la scena del nostro paese.
Ci renderemo conto che le Brigate Rosse, quelle vere degli anni 70, insieme a Prima Linea e ad alcuni altri piccoli gruppi che gravitavano nella medesima area, restano l'unico esempio che abbia una qualche attendibilità.
Tutta l'eversione nera risalente alla medesima epoca non può annoverarsi all’interno di un progetto volto a sovvertire l’ordine dello Stato, bensì alla scelta di ricorrere alla lotta armata, operata da gruppi quantitativamente esigui e generalmente privi di un vero e proprio progetto rivoluzionario. Gruppi il cui nome è spesso stato usato dai servizi segreti ed altre eminenze grigie deviate per coprire la vera natura della strategia della tensione e le stragi di Stato. Sicuramente nulla che possa essere assimilabile ad un progetto politico d'insurrezione armata.
Né in Italia (e neppure in altri paesi del mondo per la verità) hanno mai agito gruppi terroristici capitanati da qualche miliardario pazzo (stile Spectra) o manipoli di paramilitari eclettici che intendono ricattare il mondo sulla falsariga dei protagonisti di tantissimi movie americani.
Affinché nasca un gruppo terrorista con fini politici, nella vita reale e non nella pellicola occorrono alla base almeno due presupposti senza i quali è impossibile che questo avvenga.
Innanzitutto un progetto credibile attraverso il quale sia ipotizzabile un sovvertimento del regime per mezzo della lotta armata.
In secondo luogo un humus fertile nella società fatto d'insofferenza al potere costituito, disaggregazione sociale, disperazione e rabbia, indispensabile sia per il reclutamento sia perché il gruppo possa sperare di trovare un minimo di condivisione da parte dell'opinione pubblica.
Senza un progetto credibile che possa essere condiviso da una fetta della pubblica opinione non può esistere terrorismo politico in quanto verrebbero a mancare sia gli insorti, sia i proseliti sia il fine stesso dell'insurrezione.
Anche solo pensare che in Italia oggi ci siano questi presupposti mi sembra una chiara manifestazione di follia o cattiva fede con qualche finalità mistificatoria.
Il nostro paese è lontano anni luce dalla realtà degli anni 70 nella quale nacquero le Brigate Rosse ed ogni parallelismo con il tessuto sociale di quell'epoca mi sembra sinceramente improponibile.
Oggi chiunque asserisse di voler portare avanti un progetto d'insurrezione armata volto a sovvertire l'ordine costituito, anziché fare proseliti sarebbe immediatamente tradotto all'ospedale psichiatrico più vicino, per il semplice fatto che qualunque progetto del genere si rivela chiaramente inattuabile nella realtà contemporanea.
Lo dimostra chiaramente il fatto che a livello mondiale nell'ultimo ventennio non vi è traccia di rivoluzioni ingenerate dalla volontà popolare.
Da dove provengono allora i pacchi bomba che immancabilmente non esplodono mai e ci vengono quasi quotidianamente proposti in TV con belle riprese che ne evidenziano perfino gli inneschi e le batterie alcaline?
Quali rivoluzioni stanno progettando o compiendo le decine di arrestati ed indagati per reati terroristici?
Che senso hanno le bombe come quella di Genova nei pressi della stazione di polizia che esplodono senza fare vittime e vengono spacciate come parte di un progetto eversivo talmente fantomatico da rasentare l'assurdo?
Gli immigrati clandestini sbarcano nel nostro paese alla ricerca di una vita migliore. Alcune volte la trovano, altre no. Spesso costituiscono un retroterra ideale per i reclutamenti della microcriminalità.
Ma davvero dietro a ogni mussulmano si nasconde l'ectoplasma di un militante di Al Quaeda come l'informazione intende farci credere?
Davvero il nostro paese è impregnato di cellule del terrorismo islamico pronte a colpire? A colpire cosa e perché?
L'intifada palestinese e la resistenza irachena nascono figlie di due situazioni diverse ma assimilabili nella realtà di persone che non hanno nulla se non la propria disperazione. Uomini senza più una patria, un lavoro, una casa una famiglia, una dignità. Uomini per i quali spesso perfino la propria vita è svuotata di ogni valore intrinseco.
E' in questa realtà che si immolano con una bomba addosso nel tentativo di spegnere le vite di quelli che considerano i propri persecutori.
Non intendo qui giudicare se e quanto questo possa essere giusto o sbagliato, dal momento che ritengo lo possa fare solamente chi vive realmente una babilonia di morte quale sono oggi la Palestina e l'Iraq.
Mi preme invece sottolineare come i mussulmani che risiedono in Italia, clandestini e non si trovino in un contesto di tutt'altro genere. Per quale ragione dovrebbero essere pronti a dilaniarsi pur avendo tutto sommato una vita normale?
Si può rubare ed uccidere per soldi ma ci si immola in attentato suicida solo per disperazione e ai mussulmani che vivono accanto a noi non appartiene la disperazione, non certo quella disperazione che ti può far diventare kamikaze.
L'impressione globale è quella che sia interesse della confraternita che gestisce il potere presentare l'ologramma di un'Italia che non esiste, attraverso una sorta di caccia alle streghe di medioevale memoria.
Un'Italia nella quale diventi più facile eliminare le persone scomode, un'Italia nella quale ogni genere di repressione sia giustificata e giustificabile, un'Italia dove ogni mussulmano non sia da considerare un uomo ma semplicemente il tuo nemico.
Un paese che ha bisogno di ordine, di leggi più severe, di controllo, del pugno di ferro.
A pensarci bene è lo stesso concetto utilizzato dal racket per raccogliere il pizzo. Sfascio qualche negozio, innesco la paura e poi passo a riscuotere i soldi della protezione.Una vecchia pratica mafiosa purtroppo quanto mai attuale.
Chiunque nelle ultime settimane abbia prestato attenzione ai messaggi provenienti dai media dell'informazione, si sarà certamente accorto di una particolarità a dir poco curiosa che caratterizza il nostro paese.
L'Italia si distingue inequivocabilmente per il grandissimo numero di persone dedite all'arte del terrorismo e al fiancheggiamento dello stesso.
Si potrebbe quasi azzardare l'ipotesi che almeno un residente su cento sia legato in qualche misura alle pratiche terroristiche, tanti e tali sono stati in così pochi giorni i ritrovamenti di ordigni, gli arresti, le trame oscure sventate e quelle ancora più oscure che per il momento vengono solo monitorate.
Il quadro della nostra realtà, quello partorito dal tubo catodico e dalle pagine stampate per intenderci, non quello che emerge dalla vita reale di tutti i giorni, sembra essere costellato da una miriade senza fine di gruppi, gruppetti e gruppuscoli di facinorosi che hanno scelto la pratica terrorista quale scopo della propria esistenza.
Cerchiamo allora di capire insieme se veramente stiamo convivendo, senza essercene mai accorti prima, con un nugolo di bande armate o sedicenti tali oppure se l'informazione di regime è affetta da una sorta di macropsia in virtù della quale vede un dinosauro laddove alligna solo una piccola formica.
In primo luogo rifacciamoci al passato per comprendere quali nella storia recente siano stati i gruppi terroristici di stampo politico che realmente hanno calcato la scena del nostro paese.
Ci renderemo conto che le Brigate Rosse, quelle vere degli anni 70, insieme a Prima Linea e ad alcuni altri piccoli gruppi che gravitavano nella medesima area, restano l'unico esempio che abbia una qualche attendibilità.
Tutta l'eversione nera risalente alla medesima epoca non può annoverarsi all’interno di un progetto volto a sovvertire l’ordine dello Stato, bensì alla scelta di ricorrere alla lotta armata, operata da gruppi quantitativamente esigui e generalmente privi di un vero e proprio progetto rivoluzionario. Gruppi il cui nome è spesso stato usato dai servizi segreti ed altre eminenze grigie deviate per coprire la vera natura della strategia della tensione e le stragi di Stato. Sicuramente nulla che possa essere assimilabile ad un progetto politico d'insurrezione armata.
Né in Italia (e neppure in altri paesi del mondo per la verità) hanno mai agito gruppi terroristici capitanati da qualche miliardario pazzo (stile Spectra) o manipoli di paramilitari eclettici che intendono ricattare il mondo sulla falsariga dei protagonisti di tantissimi movie americani.
Affinché nasca un gruppo terrorista con fini politici, nella vita reale e non nella pellicola occorrono alla base almeno due presupposti senza i quali è impossibile che questo avvenga.
Innanzitutto un progetto credibile attraverso il quale sia ipotizzabile un sovvertimento del regime per mezzo della lotta armata.
In secondo luogo un humus fertile nella società fatto d'insofferenza al potere costituito, disaggregazione sociale, disperazione e rabbia, indispensabile sia per il reclutamento sia perché il gruppo possa sperare di trovare un minimo di condivisione da parte dell'opinione pubblica.
Senza un progetto credibile che possa essere condiviso da una fetta della pubblica opinione non può esistere terrorismo politico in quanto verrebbero a mancare sia gli insorti, sia i proseliti sia il fine stesso dell'insurrezione.
Anche solo pensare che in Italia oggi ci siano questi presupposti mi sembra una chiara manifestazione di follia o cattiva fede con qualche finalità mistificatoria.
Il nostro paese è lontano anni luce dalla realtà degli anni 70 nella quale nacquero le Brigate Rosse ed ogni parallelismo con il tessuto sociale di quell'epoca mi sembra sinceramente improponibile.
Oggi chiunque asserisse di voler portare avanti un progetto d'insurrezione armata volto a sovvertire l'ordine costituito, anziché fare proseliti sarebbe immediatamente tradotto all'ospedale psichiatrico più vicino, per il semplice fatto che qualunque progetto del genere si rivela chiaramente inattuabile nella realtà contemporanea.
Lo dimostra chiaramente il fatto che a livello mondiale nell'ultimo ventennio non vi è traccia di rivoluzioni ingenerate dalla volontà popolare.
Da dove provengono allora i pacchi bomba che immancabilmente non esplodono mai e ci vengono quasi quotidianamente proposti in TV con belle riprese che ne evidenziano perfino gli inneschi e le batterie alcaline?
Quali rivoluzioni stanno progettando o compiendo le decine di arrestati ed indagati per reati terroristici?
Che senso hanno le bombe come quella di Genova nei pressi della stazione di polizia che esplodono senza fare vittime e vengono spacciate come parte di un progetto eversivo talmente fantomatico da rasentare l'assurdo?
Gli immigrati clandestini sbarcano nel nostro paese alla ricerca di una vita migliore. Alcune volte la trovano, altre no. Spesso costituiscono un retroterra ideale per i reclutamenti della microcriminalità.
Ma davvero dietro a ogni mussulmano si nasconde l'ectoplasma di un militante di Al Quaeda come l'informazione intende farci credere?
Davvero il nostro paese è impregnato di cellule del terrorismo islamico pronte a colpire? A colpire cosa e perché?
L'intifada palestinese e la resistenza irachena nascono figlie di due situazioni diverse ma assimilabili nella realtà di persone che non hanno nulla se non la propria disperazione. Uomini senza più una patria, un lavoro, una casa una famiglia, una dignità. Uomini per i quali spesso perfino la propria vita è svuotata di ogni valore intrinseco.
E' in questa realtà che si immolano con una bomba addosso nel tentativo di spegnere le vite di quelli che considerano i propri persecutori.
Non intendo qui giudicare se e quanto questo possa essere giusto o sbagliato, dal momento che ritengo lo possa fare solamente chi vive realmente una babilonia di morte quale sono oggi la Palestina e l'Iraq.
Mi preme invece sottolineare come i mussulmani che risiedono in Italia, clandestini e non si trovino in un contesto di tutt'altro genere. Per quale ragione dovrebbero essere pronti a dilaniarsi pur avendo tutto sommato una vita normale?
Si può rubare ed uccidere per soldi ma ci si immola in attentato suicida solo per disperazione e ai mussulmani che vivono accanto a noi non appartiene la disperazione, non certo quella disperazione che ti può far diventare kamikaze.
L'impressione globale è quella che sia interesse della confraternita che gestisce il potere presentare l'ologramma di un'Italia che non esiste, attraverso una sorta di caccia alle streghe di medioevale memoria.
Un'Italia nella quale diventi più facile eliminare le persone scomode, un'Italia nella quale ogni genere di repressione sia giustificata e giustificabile, un'Italia dove ogni mussulmano non sia da considerare un uomo ma semplicemente il tuo nemico.
Un paese che ha bisogno di ordine, di leggi più severe, di controllo, del pugno di ferro.
A pensarci bene è lo stesso concetto utilizzato dal racket per raccogliere il pizzo. Sfascio qualche negozio, innesco la paura e poi passo a riscuotere i soldi della protezione.Una vecchia pratica mafiosa purtroppo quanto mai attuale.
domenica 14 marzo 2004
Chiamata alle armi
Marco Cedolin
Continuo a rigirare nervosamente fra le mani i bordi stropicciati della cartolina precetto; è arrivata giovedì, verso mezzogiorno, quando il sole era alto sopra l'orizzonte.
Ha l'odore acre delle vite spente con violenza senza un perché, come mozziconi di sigaretta, ed è scritta con il sangue di troppe vittime innocenti perché la si possa leggere senza che brucino gli occhi.
Il potere ha sempre bisogno di un nemico per giustificare le proprie azioni, un nemico tangibile e da tutti riconosciuto, un nemico da combattere per il bene comune, un nemico che incuta terrore e spinga le masse a dimenticare le proprie idee per accalcarsi unite sotto ad una sola bandiera, che sarà quella del potere.
L'11 marzo di Madrid non è molto differente dall'11 settembre di New York, né lo sarà dall'11 maggio di Roma o dall'11 luglio di Tokio.
La logica, l'unica logica che si cela dietro a massacri di tali proporzioni, è quella di costruire un nemico, che abbia un volto agghiacciante, spietato, che entri nelle nostre case, nelle nostre coscienze, nelle nostre paure, che ci privi dei nostri valori, dei nostri punti fermi, delle nostre certezze, che risvegli in noi gli istinti peggiori e ci renda deboli, spaventati, influenzabili, pronti ad essere indirizzati laddove c'è necessità che noi si vada.
La scelta del “terrorismo” come grande satana del nostro secolo non è casuale, né poco ponderata ma risulta invece la via più semplice (se non l'unica) a disposizione dell'imperialismo per veicolare il proprio progetto di egemonia globale.
Non esistono in questo momento nel mondo nazioni così potenti da essere proposte con serietà quali antagoniste credibili dal punto di vista militare, inoltre uno stato sovrano ha una disposizione geografica ben delimitata e se mai scelto come nemico giustifica reazioni solo in quella specifica area del globo.
Il terrorismo è il nemico perfetto. Non essendo legato ad un luogo specifico alligna dappertutto e in nessun posto, sarà perciò possibile combatterlo ovunque senza che nessuno possa avere qualcosa da eccepire.
Non avendo eserciti fisicamente schierati si potrà attribuirgli la forza e pericolosità che si desidera in proporzione all'entità dell'azione (mascherata da reazione) che s'intende intraprendere.
Il terrorismo non ha amici, nazioni che parteggino per lui, persone che possano schierarsi al suo fianco. E' semplicemente l'incarnazione del male, per cui ogni qualvolta un massacro o un'invasione avverrà nel nome della lotta al terrorismo nessuno potrà argomentare condanne che abbiano una patente di credibilità.
Il terrorismo può colpire ovunque e questo risulta essere uno dei punti focali che ne fanno il nemico perfetto.
Se si trattasse di una nazione il pericolo verrebbe percepito come fortissimo dalle popolazioni confinanti ma scemerebbe man mano che aumenta la distanza dallo stato in questione.
La risultante sarebbe un appoggio convinto dei paesi vicini ed uno molto più scettico se non addirittura inesistente da chi percepirebbe lontana la minaccia.
Essendo l'incubo terrorista in grado di colpire dovunque ed in qualunque momento nessuno potrà essere padrone dell'illusione di sentirsi al sicuro, scettico o non allineato.
Se a quanto detto finora aggiungiamo il fatto che il terrorismo a differenza di un esercito reale può subire sconfitte ma mai definitive, sarà sempre possibile insomma dire che una parte dell'organizzazione è sopravvissuta e ha ingenerato nuove cellule e nuovi terroristi, in nuovi luoghi e nuovi tempi; ecco che anche l'ultimo tassello del mosaico si sistema al suo posto.
Il fenomeno terrorista è l'unico nemico veramente adatto a veicolare il progetto di guerra permanente tanto caro all'amministrazione Bush, ai firmatari del Progetto per un nuovo secolo americano, al boia Sharon e a tutti i loro fratelli che appoggiano il disegno imperialista nel mondo.
In questi giorni di dolore tutti, politici, economisti, scrittori, esperti, militari, operai, casalinghe, industriali, uomini e donne, stanno continuando a domandarsi chi sia stato e perché.
Alcuni lo fanno in buona fede, altri no. Sarà stata L'ETA? Saranno stati gli uomini di Bin Ladin? Sarà una vendetta degli arabi o piuttosto un tentativo di destabilizzare la situazione interna della Spagna?
Il perché di tanto orrore lo si può facilmente evincere dal senso dei titoloni che sono apparsi a caratteri cubitali sui nostri quotidiani, sulle nostre TV, nei salottini chic dell'informazione mediatica di regime.
“Attacco all'Europa” - “Il ground zero spagnolo” “Anche noi europei abbiamo il nostro 11 settembre” sono solo pochi ma esaustivi esempi.
Il perché di un simile massacro lo si percepisce nella carta ruvida della cartolina precetto che sto ancora tenendo fra le mani, triste metafora del violento schiaffo in faccia che a Madrid il potere ha voluto dare al pacifismo di un'Europa (quella dei popoli beninteso) che non ha mai perso occasione per osteggiare il progetto della guerra permanente.
Il perché trasuda dallo stanziamento di un miliardo di euro appena avallato dall'UE con lo scopo d'investire in armi, uomini e mezzi atti a preservarci dall'incubo terrorista, nonché a rimpinguare le casse dell'industria degli armamenti e di tutti i parassiti che vivono alle spalle della macchina bellica e repressiva.
E' un perché ancora appena tratteggiato ma avremo modo di poterlo apprezzare in maniera ben più profonda nel corso dei mesi a venire, parla di riarmo europeo, di guerra, di stati di polizia, di soppressione dei diritti, di libertà violate, discriminazione, amici e nemici, di morte.
Continuo a rigirare nervosamente fra le mani i bordi stropicciati della cartolina precetto; è arrivata giovedì, verso mezzogiorno, quando il sole era alto sopra l'orizzonte.
Ha l'odore acre delle vite spente con violenza senza un perché, come mozziconi di sigaretta, ed è scritta con il sangue di troppe vittime innocenti perché la si possa leggere senza che brucino gli occhi.
Il potere ha sempre bisogno di un nemico per giustificare le proprie azioni, un nemico tangibile e da tutti riconosciuto, un nemico da combattere per il bene comune, un nemico che incuta terrore e spinga le masse a dimenticare le proprie idee per accalcarsi unite sotto ad una sola bandiera, che sarà quella del potere.
L'11 marzo di Madrid non è molto differente dall'11 settembre di New York, né lo sarà dall'11 maggio di Roma o dall'11 luglio di Tokio.
La logica, l'unica logica che si cela dietro a massacri di tali proporzioni, è quella di costruire un nemico, che abbia un volto agghiacciante, spietato, che entri nelle nostre case, nelle nostre coscienze, nelle nostre paure, che ci privi dei nostri valori, dei nostri punti fermi, delle nostre certezze, che risvegli in noi gli istinti peggiori e ci renda deboli, spaventati, influenzabili, pronti ad essere indirizzati laddove c'è necessità che noi si vada.
La scelta del “terrorismo” come grande satana del nostro secolo non è casuale, né poco ponderata ma risulta invece la via più semplice (se non l'unica) a disposizione dell'imperialismo per veicolare il proprio progetto di egemonia globale.
Non esistono in questo momento nel mondo nazioni così potenti da essere proposte con serietà quali antagoniste credibili dal punto di vista militare, inoltre uno stato sovrano ha una disposizione geografica ben delimitata e se mai scelto come nemico giustifica reazioni solo in quella specifica area del globo.
Il terrorismo è il nemico perfetto. Non essendo legato ad un luogo specifico alligna dappertutto e in nessun posto, sarà perciò possibile combatterlo ovunque senza che nessuno possa avere qualcosa da eccepire.
Non avendo eserciti fisicamente schierati si potrà attribuirgli la forza e pericolosità che si desidera in proporzione all'entità dell'azione (mascherata da reazione) che s'intende intraprendere.
Il terrorismo non ha amici, nazioni che parteggino per lui, persone che possano schierarsi al suo fianco. E' semplicemente l'incarnazione del male, per cui ogni qualvolta un massacro o un'invasione avverrà nel nome della lotta al terrorismo nessuno potrà argomentare condanne che abbiano una patente di credibilità.
Il terrorismo può colpire ovunque e questo risulta essere uno dei punti focali che ne fanno il nemico perfetto.
Se si trattasse di una nazione il pericolo verrebbe percepito come fortissimo dalle popolazioni confinanti ma scemerebbe man mano che aumenta la distanza dallo stato in questione.
La risultante sarebbe un appoggio convinto dei paesi vicini ed uno molto più scettico se non addirittura inesistente da chi percepirebbe lontana la minaccia.
Essendo l'incubo terrorista in grado di colpire dovunque ed in qualunque momento nessuno potrà essere padrone dell'illusione di sentirsi al sicuro, scettico o non allineato.
Se a quanto detto finora aggiungiamo il fatto che il terrorismo a differenza di un esercito reale può subire sconfitte ma mai definitive, sarà sempre possibile insomma dire che una parte dell'organizzazione è sopravvissuta e ha ingenerato nuove cellule e nuovi terroristi, in nuovi luoghi e nuovi tempi; ecco che anche l'ultimo tassello del mosaico si sistema al suo posto.
Il fenomeno terrorista è l'unico nemico veramente adatto a veicolare il progetto di guerra permanente tanto caro all'amministrazione Bush, ai firmatari del Progetto per un nuovo secolo americano, al boia Sharon e a tutti i loro fratelli che appoggiano il disegno imperialista nel mondo.
In questi giorni di dolore tutti, politici, economisti, scrittori, esperti, militari, operai, casalinghe, industriali, uomini e donne, stanno continuando a domandarsi chi sia stato e perché.
Alcuni lo fanno in buona fede, altri no. Sarà stata L'ETA? Saranno stati gli uomini di Bin Ladin? Sarà una vendetta degli arabi o piuttosto un tentativo di destabilizzare la situazione interna della Spagna?
Il perché di tanto orrore lo si può facilmente evincere dal senso dei titoloni che sono apparsi a caratteri cubitali sui nostri quotidiani, sulle nostre TV, nei salottini chic dell'informazione mediatica di regime.
“Attacco all'Europa” - “Il ground zero spagnolo” “Anche noi europei abbiamo il nostro 11 settembre” sono solo pochi ma esaustivi esempi.
Il perché di un simile massacro lo si percepisce nella carta ruvida della cartolina precetto che sto ancora tenendo fra le mani, triste metafora del violento schiaffo in faccia che a Madrid il potere ha voluto dare al pacifismo di un'Europa (quella dei popoli beninteso) che non ha mai perso occasione per osteggiare il progetto della guerra permanente.
Il perché trasuda dallo stanziamento di un miliardo di euro appena avallato dall'UE con lo scopo d'investire in armi, uomini e mezzi atti a preservarci dall'incubo terrorista, nonché a rimpinguare le casse dell'industria degli armamenti e di tutti i parassiti che vivono alle spalle della macchina bellica e repressiva.
E' un perché ancora appena tratteggiato ma avremo modo di poterlo apprezzare in maniera ben più profonda nel corso dei mesi a venire, parla di riarmo europeo, di guerra, di stati di polizia, di soppressione dei diritti, di libertà violate, discriminazione, amici e nemici, di morte.
martedì 2 marzo 2004
Va bene, va bene, va bene così
Marco Cedolin
Quanta quiete spalmata sopra gli ultimi giorni di questo inverno che sta finendo, fra inattese tempeste di neve e ondate di freddo siberiano.
Almeno lui, l'inverno denota una qualche propensione all'anarchia, un sottile gusto nel lasciarsi andare a quella fantasia che troppo spesso latita nella nostra società contemporanea, infarcita di regole, di obblighi e divieti, tanto che da quando esci di casa al mattino, fino a sera ti ritrovi a camminare sopra a dei binari precostruiti, essendo già stato scritto anticipatamente tutto ciò che potrai e non potrai fare.
La neve si, proprio il turbinare dei bianchi fiocchi dentro ai cieli ormai improntati alla primavera, credo sia stato l'unico accadimento che nelle ultime settimane ci ha portato ad alzare gli occhi pervasi di fanciullesca curiosità verso notiziari e quotidiani, altrimenti infarciti solo di retorica e noiosa mediocrità.
Seguendo l'onda lunga del crac Parmalat, tutti ma proprio tutti i mestieranti della politica si sono profusi nella strenua difesa dei risparmiatori, nel professarsi paladini degli stessi, nel condannare con sdegno ciò che era accaduto, quasi la politica fosse estranea ai grandi malaffari economici, quasi si trattasse di uomini che vivono in un limbo al di fuori dalla realtà, pronti ad uscire dall'alcova solo per sentenziare, condannare, promettere.
Quanta malinconia nella diatriba del Bossi, caricaturale archetipo dell'uomo del nord ed il vaticano, criticato quest'ultimo più per la familiarità con il dialetto romanesco piuttosto che non per seri e fondati motivi, e pensare che solo facendo un minimo sforzo, di questi se ne potrebbero facilmente trovare a iosa.
Quanta pena genuina nell'ascoltare l'accorata indignazione dei Rutelli, dei Fassino, dei Follini e del camerata pentito Fini Gianfranco, tutti lì, insieme a difendere l'8 per mille e l'amore del nostro mondo politico per la sacra romana chiesa. Quale contrasto fra il candido silenzio delle colline immerse nella neve e il tramestio delle voci concitate di quegli uomini del centrosinistra che hanno inteso spiegarci come fosse giusto marciare per la pace si ma…. ma in fin dei conti l'invio del contingente italiano in Iraq non era poi una scelta così scellerata, dal momento che si trattava di preservare la pace. Già la pace e gli interessi dell'imprenditoria italiana in loco, perché quando si tratta d'interessi commerciali anche le idee devono essere messe in secondo piano, che con quelle non si mangia cosa credete?
Quale stupore nel volgere lo sguardo posato sulle fronde degli alberi decorate dai ricami bianchi ed accorgerci che la riforma Moratti in verità non è quel mostro che noi pensavamo.
Anzi nelle parole degli eleganti portavoce del cavaliere ciò che pensavamo la riforma fosse era in verità l'esatto contrario di ciò che in realtà la riforma si propone di ottenere. Libertà, uguaglianza, fraternità e massima valorizzazione dell'individuo.
Probabilmente in preda ad un attacco di agrammatismo abbiamo letto male o male interpretato o più semplicemente si trattava di una delle solite congiure della sinistra eh già la sinistra.
Molte volte ci si lascia trasportare dal fanciulletto che è in noi e si rimane così, appiccicati col naso al gelido vetro della finestra, ad inseguire lo sfarfallio dei fiocchi che volteggiano leggeri, senza avere più cognizione del tempo e delle cose che ci stanno intorno.
L'Italia, ci spiegano coloro che più di noi sono avvezzi a leggere le cifre e su quelle cifre costruiscono parabole e da quelle cifre desumono tendenze e prospettive ostentando sicurezza ed ottimismo.
L'Italia ci dicono è un paese in salute, che ha reagito bene alla difficile congiuntura economica, che con qualche sforzo, qualche sacrificio ulteriore riuscirà perfino ad agganciarsi al treno della ripresa americana.
Com'è difficile distogliere lo sguardo dall'abbacinante biancore del giardino, dalla siepe che vediamo ogni mattina ma oggi sembra assurta a nuova vita con questo candido vestito gettato sulle spalle.
Eppure veniamo richiamati alla realtà da coloro che ci fanno notare come la disoccupazione sia scesa, il pil salito, i redditi anche, le tasse pure (ma in questo caso si tratta di un dato ininfluente che verrà corretto), l'azienda Italia sta insomma concretando notevoli segnali di ripresa ed è davvero un delitto la miopia di noi che non ce ne siamo accorti.
Allora torniamo a perderci nelle orme del gatto che la neve sta ricoprendo giù in cortile, dimentichi della carta di credito ormai spremuta fino all'ultima stilla, inconsapevoli del posto di lavoro che abbiamo perso qualche giorno fa. Non esistono rate del mutuo da pagare, né bollette, né aziende che chiudono, né stipendi che non bastano ad arrivare a fine mese.
Esiste solo la neve, così bianca, così candida, così magnetica ne suo trasformare ogni cosa, da farci pensare che sarebbe bello se i nostri occhi si perdessero dentro di lei, senza pensieri, senza il pensiero di pensare, senza realtà.
Quanta quiete spalmata sopra gli ultimi giorni di questo inverno che sta finendo, fra inattese tempeste di neve e ondate di freddo siberiano.
Almeno lui, l'inverno denota una qualche propensione all'anarchia, un sottile gusto nel lasciarsi andare a quella fantasia che troppo spesso latita nella nostra società contemporanea, infarcita di regole, di obblighi e divieti, tanto che da quando esci di casa al mattino, fino a sera ti ritrovi a camminare sopra a dei binari precostruiti, essendo già stato scritto anticipatamente tutto ciò che potrai e non potrai fare.
La neve si, proprio il turbinare dei bianchi fiocchi dentro ai cieli ormai improntati alla primavera, credo sia stato l'unico accadimento che nelle ultime settimane ci ha portato ad alzare gli occhi pervasi di fanciullesca curiosità verso notiziari e quotidiani, altrimenti infarciti solo di retorica e noiosa mediocrità.
Seguendo l'onda lunga del crac Parmalat, tutti ma proprio tutti i mestieranti della politica si sono profusi nella strenua difesa dei risparmiatori, nel professarsi paladini degli stessi, nel condannare con sdegno ciò che era accaduto, quasi la politica fosse estranea ai grandi malaffari economici, quasi si trattasse di uomini che vivono in un limbo al di fuori dalla realtà, pronti ad uscire dall'alcova solo per sentenziare, condannare, promettere.
Quanta malinconia nella diatriba del Bossi, caricaturale archetipo dell'uomo del nord ed il vaticano, criticato quest'ultimo più per la familiarità con il dialetto romanesco piuttosto che non per seri e fondati motivi, e pensare che solo facendo un minimo sforzo, di questi se ne potrebbero facilmente trovare a iosa.
Quanta pena genuina nell'ascoltare l'accorata indignazione dei Rutelli, dei Fassino, dei Follini e del camerata pentito Fini Gianfranco, tutti lì, insieme a difendere l'8 per mille e l'amore del nostro mondo politico per la sacra romana chiesa. Quale contrasto fra il candido silenzio delle colline immerse nella neve e il tramestio delle voci concitate di quegli uomini del centrosinistra che hanno inteso spiegarci come fosse giusto marciare per la pace si ma…. ma in fin dei conti l'invio del contingente italiano in Iraq non era poi una scelta così scellerata, dal momento che si trattava di preservare la pace. Già la pace e gli interessi dell'imprenditoria italiana in loco, perché quando si tratta d'interessi commerciali anche le idee devono essere messe in secondo piano, che con quelle non si mangia cosa credete?
Quale stupore nel volgere lo sguardo posato sulle fronde degli alberi decorate dai ricami bianchi ed accorgerci che la riforma Moratti in verità non è quel mostro che noi pensavamo.
Anzi nelle parole degli eleganti portavoce del cavaliere ciò che pensavamo la riforma fosse era in verità l'esatto contrario di ciò che in realtà la riforma si propone di ottenere. Libertà, uguaglianza, fraternità e massima valorizzazione dell'individuo.
Probabilmente in preda ad un attacco di agrammatismo abbiamo letto male o male interpretato o più semplicemente si trattava di una delle solite congiure della sinistra eh già la sinistra.
Molte volte ci si lascia trasportare dal fanciulletto che è in noi e si rimane così, appiccicati col naso al gelido vetro della finestra, ad inseguire lo sfarfallio dei fiocchi che volteggiano leggeri, senza avere più cognizione del tempo e delle cose che ci stanno intorno.
L'Italia, ci spiegano coloro che più di noi sono avvezzi a leggere le cifre e su quelle cifre costruiscono parabole e da quelle cifre desumono tendenze e prospettive ostentando sicurezza ed ottimismo.
L'Italia ci dicono è un paese in salute, che ha reagito bene alla difficile congiuntura economica, che con qualche sforzo, qualche sacrificio ulteriore riuscirà perfino ad agganciarsi al treno della ripresa americana.
Com'è difficile distogliere lo sguardo dall'abbacinante biancore del giardino, dalla siepe che vediamo ogni mattina ma oggi sembra assurta a nuova vita con questo candido vestito gettato sulle spalle.
Eppure veniamo richiamati alla realtà da coloro che ci fanno notare come la disoccupazione sia scesa, il pil salito, i redditi anche, le tasse pure (ma in questo caso si tratta di un dato ininfluente che verrà corretto), l'azienda Italia sta insomma concretando notevoli segnali di ripresa ed è davvero un delitto la miopia di noi che non ce ne siamo accorti.
Allora torniamo a perderci nelle orme del gatto che la neve sta ricoprendo giù in cortile, dimentichi della carta di credito ormai spremuta fino all'ultima stilla, inconsapevoli del posto di lavoro che abbiamo perso qualche giorno fa. Non esistono rate del mutuo da pagare, né bollette, né aziende che chiudono, né stipendi che non bastano ad arrivare a fine mese.
Esiste solo la neve, così bianca, così candida, così magnetica ne suo trasformare ogni cosa, da farci pensare che sarebbe bello se i nostri occhi si perdessero dentro di lei, senza pensieri, senza il pensiero di pensare, senza realtà.
giovedì 19 febbraio 2004
Il giorno dello struzzo
Marco Cedolin
Non si sono ancora spenti gli ultimi echi della bella kermesse strappalacrime di "Uniti nell'Ulivo" che già il neonato cartello di centrosinistra torna a far parlare di sé e per la seconda volta in una settimana non ci si può esimere dal restare basiti dinanzi alla pessima maniera di fare opposizione che sembra appartenere a questo variegato gruppo di politicanti.
Se già imitare pedissequamente il modello americanberlusconiano delle convention plastificate, con immancabile sottofondo dell'inno di Mameli non si era certo rivelata una scelta felice, ciò che è accaduto ieri sembra essere, nel merito e nei modi un passo falso le cui conseguenze rischiano di stroncare sul nascere le velleitarie speranze di potere dei mestieranti consociati nel nome di Romano Prodi.
Il facile disimpegno alla Ponzio Pilato esternato al senato di fronte ad un argomento di scottante rilevanza quale il prolungamento dell'occupazione del suolo iracheno da parte dei nostri soldati è un segnale politico che travalica la semplice impressione di trovarci di fronte ad un gruppo di uomini senza il coraggio delle proprie idee, Uniti solamente nell'essere pavidi ed asserviti al volere dei grandi gruppi di potere. Si tratta di un vero e proprio schiaffo in faccia a tutti milioni di persone, di sinistra e non, che si sono fino ad oggi battuti per la pace, Uniti loro si, sotto un'unica bandiera ed un'unica idea e che per quell'idea si sono spesi, hanno urlato, sussurrato, marciato a più riprese.
Si tratta della palese dimostrazione di come la Casa delle libertà potrà continuare a governare (come peraltro ha fatto fino ad oggi) nell'assoluta mancanza di un'opposizione degna di tale nome, proseguendo nella sistematica demolizione dei principi costituzionali, potendo sempre contare nei momenti topici sulla complicità di coloro che per logica sarebbero chiamati a difenderli.
Il confidare sul fatto che gli italiani siano disposti a dare il proprio voto ad una formazione politica incapace di schierarsi e di costituire un'alternativa che non sia l'imitazione della politica del governo, mi sembra un'illusione in verità permeata di molto ottimismo.
Attraverso i silenzi assensi, le alzate di spalle, i disimpegni, non si costruisce nulla se non un vuoto teatrino dell'effimero fine a se stesso.
Di fronte ad azioni gravissime quali la riforma Biagi, quella delle pensioni, il contributo all'occupazione di uno stato sovrano, lo smantellamento della scuola e della sanità, il progressivo depauperamento del reddito degli italiani, occorrevano ed occorrono reazioni forti, decise, consapevoli.
Per fare opposizione però non basta essere Uniti, magari per affondare tutti insieme la testa nella sabbia come gli struzzi, occorre avere delle idee, il coraggio per portarle avanti e la costanza di perseguirle, tutte qualità che gli amici di Romano Prodi hanno già ampiamente dimostrato di non possedere, né ora né mai.
Non si sono ancora spenti gli ultimi echi della bella kermesse strappalacrime di "Uniti nell'Ulivo" che già il neonato cartello di centrosinistra torna a far parlare di sé e per la seconda volta in una settimana non ci si può esimere dal restare basiti dinanzi alla pessima maniera di fare opposizione che sembra appartenere a questo variegato gruppo di politicanti.
Se già imitare pedissequamente il modello americanberlusconiano delle convention plastificate, con immancabile sottofondo dell'inno di Mameli non si era certo rivelata una scelta felice, ciò che è accaduto ieri sembra essere, nel merito e nei modi un passo falso le cui conseguenze rischiano di stroncare sul nascere le velleitarie speranze di potere dei mestieranti consociati nel nome di Romano Prodi.
Il facile disimpegno alla Ponzio Pilato esternato al senato di fronte ad un argomento di scottante rilevanza quale il prolungamento dell'occupazione del suolo iracheno da parte dei nostri soldati è un segnale politico che travalica la semplice impressione di trovarci di fronte ad un gruppo di uomini senza il coraggio delle proprie idee, Uniti solamente nell'essere pavidi ed asserviti al volere dei grandi gruppi di potere. Si tratta di un vero e proprio schiaffo in faccia a tutti milioni di persone, di sinistra e non, che si sono fino ad oggi battuti per la pace, Uniti loro si, sotto un'unica bandiera ed un'unica idea e che per quell'idea si sono spesi, hanno urlato, sussurrato, marciato a più riprese.
Si tratta della palese dimostrazione di come la Casa delle libertà potrà continuare a governare (come peraltro ha fatto fino ad oggi) nell'assoluta mancanza di un'opposizione degna di tale nome, proseguendo nella sistematica demolizione dei principi costituzionali, potendo sempre contare nei momenti topici sulla complicità di coloro che per logica sarebbero chiamati a difenderli.
Il confidare sul fatto che gli italiani siano disposti a dare il proprio voto ad una formazione politica incapace di schierarsi e di costituire un'alternativa che non sia l'imitazione della politica del governo, mi sembra un'illusione in verità permeata di molto ottimismo.
Attraverso i silenzi assensi, le alzate di spalle, i disimpegni, non si costruisce nulla se non un vuoto teatrino dell'effimero fine a se stesso.
Di fronte ad azioni gravissime quali la riforma Biagi, quella delle pensioni, il contributo all'occupazione di uno stato sovrano, lo smantellamento della scuola e della sanità, il progressivo depauperamento del reddito degli italiani, occorrevano ed occorrono reazioni forti, decise, consapevoli.
Per fare opposizione però non basta essere Uniti, magari per affondare tutti insieme la testa nella sabbia come gli struzzi, occorre avere delle idee, il coraggio per portarle avanti e la costanza di perseguirle, tutte qualità che gli amici di Romano Prodi hanno già ampiamente dimostrato di non possedere, né ora né mai.
sabato 14 febbraio 2004
Uniti nell'Ulivo e su tutto il resto?
Marco Cedolin
L'Italia è un paese nel quale l'arte di scimmiottare il prossimo sta assurgendo al ruolo di una gestualità quasi sacrale, perpetrata con serietà ed indifferenza, quasi l'imitazione degli altrui modelli non costituisse una scelta bensì una necessità imprescindibile.
E' ancora vivo dentro i nostri occhi il ricordo della fulgida ed emozionante convention di Forza Italia al palazzo dei congressi dell'Eur, quella dei confetti tricolori e dell'inno di Mameli cantato a squarciagola per intenderci, che già una nuova festa, un nuovo baccanale autocelebrativo prende vita e si materializza, per ironia della sorte di nuovo a Roma e di nuovo all'Eur.
Cambiano gli attori insomma ma resta immutato il palcoscenico, la forma della rappresentazione, la scelta della coreografia, ovviamente tutti strumenti importati direttamente da quel modello di democrazia moderna e cosmopolita che sono gli Stati Uniti.
"Uniti nell'Ulivo" è il nuovo slogan, ricco di appeal e fascinosamente trend, coniato dai leader del centrosinistra dopo una diatriba infinita, per rappresentare la lista unitaria voluta da Romano Prodi.
Quale maniera migliore di tenere a battesimo un evento epocale di siffatta rilevanza, che organizzare una convention, di quelle che, si sa fanno tanto America, così pregne di suggestioni da arrivare a toccare davvero il cuore della gente.
Nell'atmosfera rarefatta e intellettualmente chic, fra i maxischermi troneggianti, veri caleidoscopi di colori, fra i 25 ragazzi dagli sguardi gai, chiamati a sventolare prepotentemente i vessilli dei paesi dell'UE, con sullo sfondo il Big Ben con le lancette bloccate sulla mezzanotte a simboleggiare questo evento epocale, sedevano, con la compostezza che solo i grandi uomini politici dimostrano di possedere, tutti i leader di quel centrosinistra che oggi più che mai ambisce a proporsi come unica reale alternativa allo strapotere di Silvio Berlusconi.
Lo sfuggente Piero Fassino, uomo veloce d'intelletto e dalle larghe vedute, l'enigmatico Francesco Rutelli, attento al culto dell'immagine e sublime oratore, il carismatico Massimo D'Alema, passato attraverso mille e più battaglie (giudiziarie e non) tutte combattute nel nome della sinistra, il raffinato stratega Enrico Borselli, figlio di un socialismo vaporizzatosi nelle persecuzioni giudiziarie.
Tutti presenti in questo giorno di festa dell'anima, in questo giorno di rinnovata speranza nel futuro, tutti a testimoniare che uniti si può vincere, ma uniti da cosa?
Non certo dalle idee che latitano e quando sembra di poterle intravedere somigliano troppo a quelle del clan di Berlusconi, non certo dai programmi, che in verità di questi non ve ne è ombra alcuna, non certo dal proprio passato politico, talmente variegato da abbracciare quasi tutto il vecchio arco costituzionale. Probabilmente uniti davvero solo nell'ulivo, inteso come forza con aspirazioni di governo, di potere, di redistribuzione delle poltrone che contano.
C'è ancora tempo per commuoversi alzando gli occhi verso il maxischermo, dinanzi all'immagine toccante del brindisi fra Ciampi e Romano Prodi, due naufraghi del pensiero democristiano, di quel pensiero oggi così vicino alla sinistra.
C'è ancora tempo per gioire della presenza di due giornalisti controcorrente come Gad Lerner e Michele Santoro, uomini che in ogni momento sono stati e staranno dalla parte del popolo, sempre che al primo non si vada a parlare male di Sharon e del secondo ci si scordi la lunga connivenza con quel personaggio non proprio adamantino che è Maurizio Costanzo.
C'è ancora tempo per lo show del redivivo Sergio Cofferati, l'eroico paladino dell'articolo 18, l'uomo che con il proprio disimpegno balneare ha deciso quello stesso articolo dovesse rimanere privilegio di pochi, perché si sa, il referendum per l'estensione dello stesso a tutti i lavoratori sarebbe stato un affronto troppo grande all'imprenditoria nostrana.
Si potrebbe ancora spendere qualche parola riguardo a quell'alfiere del pensiero di sinistra che è l'ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, accolto dall'ovazione della platea nel suo profondersi in una commovente orazione in difesa della magistratura.
Ma quanta tristezza dentro a queste convention, vuoti teatrini dell'effimero, manifestazioni che neppure nel nome appartengono alla nostra cultura.
Quanta tristezza in questa politica infarcita di maxischermi, di bandierine, di vessilli, di slogan ma depauperata da qualunque cosa che somigli a un'idea o a un programma.Quanta tristezza nell'osservare questo governo e questa opposizione così squallidi e al tempo stesso così simili nel loro squallore, al punto da dividersi a turno le convention e i palazzetti dell'Eur.
L'Italia è un paese nel quale l'arte di scimmiottare il prossimo sta assurgendo al ruolo di una gestualità quasi sacrale, perpetrata con serietà ed indifferenza, quasi l'imitazione degli altrui modelli non costituisse una scelta bensì una necessità imprescindibile.
E' ancora vivo dentro i nostri occhi il ricordo della fulgida ed emozionante convention di Forza Italia al palazzo dei congressi dell'Eur, quella dei confetti tricolori e dell'inno di Mameli cantato a squarciagola per intenderci, che già una nuova festa, un nuovo baccanale autocelebrativo prende vita e si materializza, per ironia della sorte di nuovo a Roma e di nuovo all'Eur.
Cambiano gli attori insomma ma resta immutato il palcoscenico, la forma della rappresentazione, la scelta della coreografia, ovviamente tutti strumenti importati direttamente da quel modello di democrazia moderna e cosmopolita che sono gli Stati Uniti.
"Uniti nell'Ulivo" è il nuovo slogan, ricco di appeal e fascinosamente trend, coniato dai leader del centrosinistra dopo una diatriba infinita, per rappresentare la lista unitaria voluta da Romano Prodi.
Quale maniera migliore di tenere a battesimo un evento epocale di siffatta rilevanza, che organizzare una convention, di quelle che, si sa fanno tanto America, così pregne di suggestioni da arrivare a toccare davvero il cuore della gente.
Nell'atmosfera rarefatta e intellettualmente chic, fra i maxischermi troneggianti, veri caleidoscopi di colori, fra i 25 ragazzi dagli sguardi gai, chiamati a sventolare prepotentemente i vessilli dei paesi dell'UE, con sullo sfondo il Big Ben con le lancette bloccate sulla mezzanotte a simboleggiare questo evento epocale, sedevano, con la compostezza che solo i grandi uomini politici dimostrano di possedere, tutti i leader di quel centrosinistra che oggi più che mai ambisce a proporsi come unica reale alternativa allo strapotere di Silvio Berlusconi.
Lo sfuggente Piero Fassino, uomo veloce d'intelletto e dalle larghe vedute, l'enigmatico Francesco Rutelli, attento al culto dell'immagine e sublime oratore, il carismatico Massimo D'Alema, passato attraverso mille e più battaglie (giudiziarie e non) tutte combattute nel nome della sinistra, il raffinato stratega Enrico Borselli, figlio di un socialismo vaporizzatosi nelle persecuzioni giudiziarie.
Tutti presenti in questo giorno di festa dell'anima, in questo giorno di rinnovata speranza nel futuro, tutti a testimoniare che uniti si può vincere, ma uniti da cosa?
Non certo dalle idee che latitano e quando sembra di poterle intravedere somigliano troppo a quelle del clan di Berlusconi, non certo dai programmi, che in verità di questi non ve ne è ombra alcuna, non certo dal proprio passato politico, talmente variegato da abbracciare quasi tutto il vecchio arco costituzionale. Probabilmente uniti davvero solo nell'ulivo, inteso come forza con aspirazioni di governo, di potere, di redistribuzione delle poltrone che contano.
C'è ancora tempo per commuoversi alzando gli occhi verso il maxischermo, dinanzi all'immagine toccante del brindisi fra Ciampi e Romano Prodi, due naufraghi del pensiero democristiano, di quel pensiero oggi così vicino alla sinistra.
C'è ancora tempo per gioire della presenza di due giornalisti controcorrente come Gad Lerner e Michele Santoro, uomini che in ogni momento sono stati e staranno dalla parte del popolo, sempre che al primo non si vada a parlare male di Sharon e del secondo ci si scordi la lunga connivenza con quel personaggio non proprio adamantino che è Maurizio Costanzo.
C'è ancora tempo per lo show del redivivo Sergio Cofferati, l'eroico paladino dell'articolo 18, l'uomo che con il proprio disimpegno balneare ha deciso quello stesso articolo dovesse rimanere privilegio di pochi, perché si sa, il referendum per l'estensione dello stesso a tutti i lavoratori sarebbe stato un affronto troppo grande all'imprenditoria nostrana.
Si potrebbe ancora spendere qualche parola riguardo a quell'alfiere del pensiero di sinistra che è l'ex Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro, accolto dall'ovazione della platea nel suo profondersi in una commovente orazione in difesa della magistratura.
Ma quanta tristezza dentro a queste convention, vuoti teatrini dell'effimero, manifestazioni che neppure nel nome appartengono alla nostra cultura.
Quanta tristezza in questa politica infarcita di maxischermi, di bandierine, di vessilli, di slogan ma depauperata da qualunque cosa che somigli a un'idea o a un programma.Quanta tristezza nell'osservare questo governo e questa opposizione così squallidi e al tempo stesso così simili nel loro squallore, al punto da dividersi a turno le convention e i palazzetti dell'Eur.
giovedì 29 gennaio 2004
No quattrini no party
Marco Cedolin
Che atmosfera meravigliosa stamattina a Roma al palazzo dei congressi dell’Eur, in un tripudio di tricolori che garriscono al vento dei ventilatori. Silvio Berlusconi, dall’alto della sua statura fisica e morale ha preso la parola o sarebbe più corretto dire il verbo, dinanzi ad una folla di 6000 suoi dipendenti festanti e pervasi da quella gioia dell’animo che quando pura trascende qualsiasi realtà.
Che bello vedere quest’uomo, questa sorta di highlander per il quale il tempo che tormenta noi mortali sembra invece correre all’incontrario, emozionarsi nel cantare quella canzonetta di dubbio gusto che di nome fa inno di Mameli. Che belli i maxischermi, manifestazione dell’avanguardistica tecnologia che ci appartiene, sparsi un pochino ovunque, senza lesinare, perché il risparmio si sa è caratteristica delle menti piccole e dei pessimisti. Che belli i confetti tricolori nei sacchetti azzurri, il video sui 10 anni gloriosi di Forza Italia, le lacrime struggenti del condottiero emozionato per la gratitudine spontanea dei suoi sottoposti.
Che bello l’angolino della cultura a documentare la rivoluzione epocale costituita da questo partito che ha avuto il merito di portare a termine ciò che la democrazia cristiana ha tentato di fare per quasi 50 non riuscendovi mai completamente.
Che belli “discorsi per la democrazia” e “L’Italia che ho in mente”, i due libri che portano la firma autografa del presidente del consiglio, i due libri che dimostrano come anche “l’inclita” tanto caro a Riotta possa assurgere al ruolo di scrittore di fama mondiale, qualora si dimostri imprenditore ricco di verve, umorismo e padronanza della lingua di Dante senza paragoni. Che belle le copie in vendita della costituzione italiana, articoli per l’imprenditoria del collezionismo, in quanto si sussurra qui nel salone che appena smantellata completamente saranno destinate a valere una fortuna.
Si racconta che la sala fosse già gremita da ore, tutti conoscono l’idiosincrasia del cavaliere per i dipendenti ritardatari, ai quali oltre al disappunto del proprio padrone è destinato un altro megaschermo posto fuori dal palazzo, perché in fin dei conti il premier è un uomo buono e nonostante la riprovazione mai li priverebbe della gioia di una festa così spontanea e coinvolgente. Ma l’essere imprenditore, di se stesso, degli altri, dei figli della moglie, dei parenti, degli animali di casa è una caratteristica che il forzitaliota mantiene suggellata dentro il proprio dna ed ecco così fiorire banchetti con in vendita bandiere azzurre e portacellulari con la dicitura “festa azzurra”, un po’ come rivivere Paolo Rossi ed i mondiali dell’82, con la differenza che qui si è vinta solo un’overdose di miseria e la partecipazione ad uno stato di polizia, ma poco importa. Com’è bello cantare in coro, quasi si fosse allo stadio o in piazza Venezia tanti anni fa.
E il lungo discorso? L’infinita filippica da consumato oratore? L’incredibile sequela di successi rivoluzionari che hanno cambiato la storia? Le parole di Gianni Baget Bozzo usate dal premier per scagliare una volta di più pietre cariche di vergogna contro la magistratura, nascondendo poi subito la mano?
Mi sembra superfluo parlarne, i dipendenti, quelli che per inderogabili impegni di lavoro sono stati costretti a rimanere a casa, hanno già provveduto a mandare in onda lunghi spezzoni quanto mai esaustivi del soliloquio farneticante attraverso i telegiornali Rai e Mediaset e poi, come si suol dire verba volant, è solo la miseria nella quale ci dibattiamo a rimanerci sempre odiosamente attaccata alla pelle.
Che atmosfera meravigliosa stamattina a Roma al palazzo dei congressi dell’Eur, in un tripudio di tricolori che garriscono al vento dei ventilatori. Silvio Berlusconi, dall’alto della sua statura fisica e morale ha preso la parola o sarebbe più corretto dire il verbo, dinanzi ad una folla di 6000 suoi dipendenti festanti e pervasi da quella gioia dell’animo che quando pura trascende qualsiasi realtà.
Che bello vedere quest’uomo, questa sorta di highlander per il quale il tempo che tormenta noi mortali sembra invece correre all’incontrario, emozionarsi nel cantare quella canzonetta di dubbio gusto che di nome fa inno di Mameli. Che belli i maxischermi, manifestazione dell’avanguardistica tecnologia che ci appartiene, sparsi un pochino ovunque, senza lesinare, perché il risparmio si sa è caratteristica delle menti piccole e dei pessimisti. Che belli i confetti tricolori nei sacchetti azzurri, il video sui 10 anni gloriosi di Forza Italia, le lacrime struggenti del condottiero emozionato per la gratitudine spontanea dei suoi sottoposti.
Che bello l’angolino della cultura a documentare la rivoluzione epocale costituita da questo partito che ha avuto il merito di portare a termine ciò che la democrazia cristiana ha tentato di fare per quasi 50 non riuscendovi mai completamente.
Che belli “discorsi per la democrazia” e “L’Italia che ho in mente”, i due libri che portano la firma autografa del presidente del consiglio, i due libri che dimostrano come anche “l’inclita” tanto caro a Riotta possa assurgere al ruolo di scrittore di fama mondiale, qualora si dimostri imprenditore ricco di verve, umorismo e padronanza della lingua di Dante senza paragoni. Che belle le copie in vendita della costituzione italiana, articoli per l’imprenditoria del collezionismo, in quanto si sussurra qui nel salone che appena smantellata completamente saranno destinate a valere una fortuna.
Si racconta che la sala fosse già gremita da ore, tutti conoscono l’idiosincrasia del cavaliere per i dipendenti ritardatari, ai quali oltre al disappunto del proprio padrone è destinato un altro megaschermo posto fuori dal palazzo, perché in fin dei conti il premier è un uomo buono e nonostante la riprovazione mai li priverebbe della gioia di una festa così spontanea e coinvolgente. Ma l’essere imprenditore, di se stesso, degli altri, dei figli della moglie, dei parenti, degli animali di casa è una caratteristica che il forzitaliota mantiene suggellata dentro il proprio dna ed ecco così fiorire banchetti con in vendita bandiere azzurre e portacellulari con la dicitura “festa azzurra”, un po’ come rivivere Paolo Rossi ed i mondiali dell’82, con la differenza che qui si è vinta solo un’overdose di miseria e la partecipazione ad uno stato di polizia, ma poco importa. Com’è bello cantare in coro, quasi si fosse allo stadio o in piazza Venezia tanti anni fa.
E il lungo discorso? L’infinita filippica da consumato oratore? L’incredibile sequela di successi rivoluzionari che hanno cambiato la storia? Le parole di Gianni Baget Bozzo usate dal premier per scagliare una volta di più pietre cariche di vergogna contro la magistratura, nascondendo poi subito la mano?
Mi sembra superfluo parlarne, i dipendenti, quelli che per inderogabili impegni di lavoro sono stati costretti a rimanere a casa, hanno già provveduto a mandare in onda lunghi spezzoni quanto mai esaustivi del soliloquio farneticante attraverso i telegiornali Rai e Mediaset e poi, come si suol dire verba volant, è solo la miseria nella quale ci dibattiamo a rimanerci sempre odiosamente attaccata alla pelle.
sabato 17 gennaio 2004
Disastro Moratti
Marco Cedolin
Raramente nella storia del nostro paese ci si è trovati di fronte a un tale condensato d'incapacità manifesta, servilismo nei confronti del mondo industriale e dell'interesse privato, approssimazione e pressappochismo, quale quello proposto dai vaneggianti dettami della riforma Moratti.
Una riforma che se posta in atto otterrà il devastante risultato di sfasciare definitivamente il mondo dell'istruzione pubblica, essendo essa stata concepita senza tenere in minima considerazione lo scopo precipuo che la scuola ha rivestito fin dai tempi antichi in ogni società e cioè l'insegnamento, la cultura e la formazione caratteriale delle nuove generazioni.
La trasformazione delle scuole pubbliche in “aziende” e dei presidi in “manager” ci ha già posti in questi ultimi anni di fronte al paradosso d'istituti pubblici costretti a fare pubblicità come fossero fabbrichette in una sorta di lotta vergognosa per contendersi l'iscrizione degli allievi.
La situazione degli insegnanti precari già fino ad oggi parossistica viene acuita nella propria drammaticità da un sistema cervellotico di punteggi che nel nome di una falsa meritocrazia impone la dottrina della competizione selvaggia passando attraverso la giungla dei corsi d'aggiornamento e i sacrifici inenarrabili di chi aspirando all'insegnamento si ritrova sballottato a destra e a manca senza una prospettiva.
Ma è tutto lo spirito che permea la riforma a lasciare allibiti per il sovvertimento del valore basilare di eguaglianza nel diritto all'istruzione, valore dal quale nessun paese civile può permettersi di prescindere senza snaturare le proprie caratteristiche di civiltà.
Il taglio degli organici e la soppressione del “tempo pieno” che già in questi giorni hanno prodotto proteste e fermento sono un chiaro esempio della miopia con la quale è stato approcciato l'argomento.
In una società forzatamente ipercinetica come la nostra, nella quale i genitori sono costretti a lavorare come forsennati per cercare di mantenere in piedi economicamente la famiglia (dall'introduzione dell'euro in poi in verità con poche speranze di riuscirci) si prospetta l'abominio di eliminare il tempo pieno, con le devastanti conseguenze che facilmente si possono immaginare.
Già dalla scuola elementare vengono legalizzate le disuguaglianze di trattamento fra bambini poveri e ricchi, più intelligenti o meno, tutto ciò naturalmente ad insindacabile giudizio del “tutor”, una sorta di mutazione genetica del vecchio maestro, con il compito d'indirizzare il futuro della risorsa umana in erba a seconda delle proprie possibilità economiche e cognitive.
Non ultima inoltre fra le aberrazioni di nuova introduzione la possibilità di destinare all'insegnamento elementi privati qualora l'organico non si riveli sufficiente, aprendo così la porta ad una commistione fra pubblico e privato che mai avrebbe avuto ragione di essere.
Passando poi alle scuole superiori il disastro si evidenzia in tutta la sua imponenza ed emerge la sudditanza verso la grande imprenditoria e il patetico tentativo di scimmiottare il sistema d'istruzione americano, uno dei peggiori al mondo per qualità, ne è la riprova il bassissimo livello culturale dello statunitense medio.
Il concetto secondo il quale se ad un giovane dai una buona cultura di base e un'istruzione appropriata egli saprà poi districarsi agevolmente nel mondo del lavoro avendo a disposizione ottimi strumenti per farlo, viene completamente capovolto.
Si sceglie di perseguire non l'accrescimento culturale dell'individuo, bensì le competenze tecniche della risorsa umana, con la risultante di un giovane ignorante ma già adatto da subito ad operare in un campo lavorativo specifico.
Questa strada ovviamente garantirà alla grande imprenditoria una forza lavoro competente senza necessità di lungo tirocinio ma si rivelerà notevolmente lesiva per il futuro dei giovani che si ritroveranno privati di contenuti indispensabili e come contropartita la capacità di svolgere un lavoro specifico al di fuori del quale non avranno strumenti per trovare alternative.
In conclusione nulla avviene per caso nei programmi di questo governo asservito al capitale, il cui scopo palese è quello di creare un mondo del lavoro con manodopera a basso costo e lavoratori che si lascino vessare in silenzio, schiavi della loro stessa precarietà.La riforma Moratti si muove di concerto con la riforma Biagi, su una linea comune che prevede la formazione dell'imprenditoria del domani in un sistema scolastico elitario a pagamento e la manodopera da crescere invece in una scuola in via di smantellamento sempre più simile ad una sorta di officina per poveri.
Raramente nella storia del nostro paese ci si è trovati di fronte a un tale condensato d'incapacità manifesta, servilismo nei confronti del mondo industriale e dell'interesse privato, approssimazione e pressappochismo, quale quello proposto dai vaneggianti dettami della riforma Moratti.
Una riforma che se posta in atto otterrà il devastante risultato di sfasciare definitivamente il mondo dell'istruzione pubblica, essendo essa stata concepita senza tenere in minima considerazione lo scopo precipuo che la scuola ha rivestito fin dai tempi antichi in ogni società e cioè l'insegnamento, la cultura e la formazione caratteriale delle nuove generazioni.
La trasformazione delle scuole pubbliche in “aziende” e dei presidi in “manager” ci ha già posti in questi ultimi anni di fronte al paradosso d'istituti pubblici costretti a fare pubblicità come fossero fabbrichette in una sorta di lotta vergognosa per contendersi l'iscrizione degli allievi.
La situazione degli insegnanti precari già fino ad oggi parossistica viene acuita nella propria drammaticità da un sistema cervellotico di punteggi che nel nome di una falsa meritocrazia impone la dottrina della competizione selvaggia passando attraverso la giungla dei corsi d'aggiornamento e i sacrifici inenarrabili di chi aspirando all'insegnamento si ritrova sballottato a destra e a manca senza una prospettiva.
Ma è tutto lo spirito che permea la riforma a lasciare allibiti per il sovvertimento del valore basilare di eguaglianza nel diritto all'istruzione, valore dal quale nessun paese civile può permettersi di prescindere senza snaturare le proprie caratteristiche di civiltà.
Il taglio degli organici e la soppressione del “tempo pieno” che già in questi giorni hanno prodotto proteste e fermento sono un chiaro esempio della miopia con la quale è stato approcciato l'argomento.
In una società forzatamente ipercinetica come la nostra, nella quale i genitori sono costretti a lavorare come forsennati per cercare di mantenere in piedi economicamente la famiglia (dall'introduzione dell'euro in poi in verità con poche speranze di riuscirci) si prospetta l'abominio di eliminare il tempo pieno, con le devastanti conseguenze che facilmente si possono immaginare.
Già dalla scuola elementare vengono legalizzate le disuguaglianze di trattamento fra bambini poveri e ricchi, più intelligenti o meno, tutto ciò naturalmente ad insindacabile giudizio del “tutor”, una sorta di mutazione genetica del vecchio maestro, con il compito d'indirizzare il futuro della risorsa umana in erba a seconda delle proprie possibilità economiche e cognitive.
Non ultima inoltre fra le aberrazioni di nuova introduzione la possibilità di destinare all'insegnamento elementi privati qualora l'organico non si riveli sufficiente, aprendo così la porta ad una commistione fra pubblico e privato che mai avrebbe avuto ragione di essere.
Passando poi alle scuole superiori il disastro si evidenzia in tutta la sua imponenza ed emerge la sudditanza verso la grande imprenditoria e il patetico tentativo di scimmiottare il sistema d'istruzione americano, uno dei peggiori al mondo per qualità, ne è la riprova il bassissimo livello culturale dello statunitense medio.
Il concetto secondo il quale se ad un giovane dai una buona cultura di base e un'istruzione appropriata egli saprà poi districarsi agevolmente nel mondo del lavoro avendo a disposizione ottimi strumenti per farlo, viene completamente capovolto.
Si sceglie di perseguire non l'accrescimento culturale dell'individuo, bensì le competenze tecniche della risorsa umana, con la risultante di un giovane ignorante ma già adatto da subito ad operare in un campo lavorativo specifico.
Questa strada ovviamente garantirà alla grande imprenditoria una forza lavoro competente senza necessità di lungo tirocinio ma si rivelerà notevolmente lesiva per il futuro dei giovani che si ritroveranno privati di contenuti indispensabili e come contropartita la capacità di svolgere un lavoro specifico al di fuori del quale non avranno strumenti per trovare alternative.
In conclusione nulla avviene per caso nei programmi di questo governo asservito al capitale, il cui scopo palese è quello di creare un mondo del lavoro con manodopera a basso costo e lavoratori che si lascino vessare in silenzio, schiavi della loro stessa precarietà.La riforma Moratti si muove di concerto con la riforma Biagi, su una linea comune che prevede la formazione dell'imprenditoria del domani in un sistema scolastico elitario a pagamento e la manodopera da crescere invece in una scuola in via di smantellamento sempre più simile ad una sorta di officina per poveri.
giovedì 8 gennaio 2004
Arruolati anche tu!
Marco Cedolin
Lo spirito indomito dell'ideologia rivoluzionaria hai ormai travalicato ogni genere di divisione, particolarismo o appartenenza politica.
Il terrore del nuovo millennio non ha più sigle o bandiere, le brigate rosse, prima linea, i nap o i nar sono solo anacronistici retaggi del passato, legati a quegli anni di piombo nei quali lottare contro il sistema significava gambizzare un dirigente d'industria, ammazzare un ministro per educarne 100 o far fuori la pattuglia di carabinieri che ti fermava al posto di blocco.
L'eversione oggi sta tornando di moda ma per rimanere al passo coi tempi ha dovuto cucirsi addosso una nuova pelle che la rendesse più “trend” e in grado di esercitare sulle giovani generazioni un ritrovato “appeal”, come scriverebbero nel loro vernacolo italoamericano i deficienti che impiastricciano i quotidiani di casa nostra fingendosi giornalisti eruditi.
La democrazia Cristiana, il grande nemico di un tempo non esiste più, o meglio nella diaspora fra asinelli, alleanze, cori da stadio e fiori di campo, oggi si chiama Forza Italia, Margherita, Alleanza Nazionale (l'ala sionista) Democratici di sinistra e Lega Nord, oltre ovviamente a quei pochi sprovveduti che rifiutandosi di cambiare nome hanno finito per sostituire percentualmente il partito repubblicano ai tempi degli anni di piombo.
Arruolare un terrorista oggi è cosa assai più semplice e meno onerosa rispetto al passato. Innanzitutto i disoccupati, quelli veri non affiliati ai clan della camorra, (a dispetto delle statistiche che da un po' di anni vengono per errore fatte su marte) sono molti di più rispetto a una trentina di anni fa e le possibilità che trovino un lavoro risultano praticamente ridotte a zero.
In secondo luogo, come faceva oggi rilevare nell'audizione alla camera quel dotto osservatore dell'animo umano che è il ministro Pisanu, sembra si stia creando una sorta di “Pedemontana eversiva” (sono le sue parole per cui non chiedetemi il significato ma improvvisate voi) che si muove, probabilmente per un non meglio precisato effetto Maometto, nell'intento di legare fra loro le diverse anime del terrorismo rupestre, a dispetto delle differenze ideologiche e dei diversi retaggi socio culturali preesistenti.
Tutto ciò elimina la noiosa perdita di tempo che consisteva nel dover dividere l'aspirante terrorista di sinistra da quello di destra, l'anarchico dall'autonomo e così via. Oggi basta tu sia italiano, antimperialista, con una buona conoscenza dei computer palmari ed il gioco è fatto.
Ma la ragione che più di ogni altra rende oggi facile fare proseliti consta nella sicurezza di poter offrire un lavoro semplice e sicuro.
Niente più omicidi di politici illustri, al massimo qualche sindacalista o economista sconosciuto che per ignote ragioni risulti scomodo al palazzo, niente più capitalisti da gambizzare, generali americani da rapire, banche da svaligiare per autofinanziarsi, niente più sangue, kalashnikov, covi angusti dentro ai seminterrati, conflitti a fuoco con la polizia.
Quando sarai terrorista potrai continuare a fare la tua vita di sempre, gustarti un dvd di stallone sul tuo nuovo home tehatre mentre sorseggi un martini, portare a fare shopping la mogliettina e i tuoi figlioletti, fare una settimana di vacanza (perché si sa due stancano) in qualche isola calda calda e comprarti la macchina nuova di quelle da 0 a 100 in 5” la qual cosa fa tanto snob ora che la patente è a punti.
Il lavoro lo puoi fare tranquillamente seduto alla scrivania dello studio, qualche pacco bomba….beh bomba non esageriamo che magari poi mi fraintendi e combini qualche casino. Quando dico bomba non intendo ingegneristiche opere tipo unabomber, ma qualcosa di semplice semplice e soprattutto inoffensivo, qualcosa insomma che ogni cristiano normodotato è in grado di fare, un pochetto di polvere pirica, un innesco ed il gioco è fatto, in fin dei conti l'importante è che non si faccia male nessuno.
Toccherà poi scrivere anche qualche rivendicazione e anche in questo caso senza scomodarti dalla scrivania dello studio, per il testo non occorre tu ti sia fatto una cultura leggendo il foglio di Giuliano Ferrara, ti basterà copiare quei volantini degli anni 70 che ti abbiamo dato insieme al computer palmare, sono perfetti e non necessita che tu aggiunga neppure una virgola.
Lo so, lo so a questo punto ti senti oltremodo tentato nel mettere la tua firma in calce a questo contratto ma ancora non si è parlato del trattamento economico ed è il denaro che in fondo in fondo fa girare tutto a questo mondo.
Sarò sincero, non posso prometterti una cifra esatta e garantita, i governi cambiano ed ogni anno occorre attendere il varo della nuova finanziaria, però tutto sommato tieni conto che si tratta di un impiego statale sicuro e ben remunerato, con tutta la gente che per 106 euro al mese di aumento salariale la digos è costretta ad affrontarla veramente e rischia pure di farsi male, al posto tuo non avrei poi molte esitazioni.
Desiderando arruolarmi firmo in calce questa domanda ...........................
Lo spirito indomito dell'ideologia rivoluzionaria hai ormai travalicato ogni genere di divisione, particolarismo o appartenenza politica.
Il terrore del nuovo millennio non ha più sigle o bandiere, le brigate rosse, prima linea, i nap o i nar sono solo anacronistici retaggi del passato, legati a quegli anni di piombo nei quali lottare contro il sistema significava gambizzare un dirigente d'industria, ammazzare un ministro per educarne 100 o far fuori la pattuglia di carabinieri che ti fermava al posto di blocco.
L'eversione oggi sta tornando di moda ma per rimanere al passo coi tempi ha dovuto cucirsi addosso una nuova pelle che la rendesse più “trend” e in grado di esercitare sulle giovani generazioni un ritrovato “appeal”, come scriverebbero nel loro vernacolo italoamericano i deficienti che impiastricciano i quotidiani di casa nostra fingendosi giornalisti eruditi.
La democrazia Cristiana, il grande nemico di un tempo non esiste più, o meglio nella diaspora fra asinelli, alleanze, cori da stadio e fiori di campo, oggi si chiama Forza Italia, Margherita, Alleanza Nazionale (l'ala sionista) Democratici di sinistra e Lega Nord, oltre ovviamente a quei pochi sprovveduti che rifiutandosi di cambiare nome hanno finito per sostituire percentualmente il partito repubblicano ai tempi degli anni di piombo.
Arruolare un terrorista oggi è cosa assai più semplice e meno onerosa rispetto al passato. Innanzitutto i disoccupati, quelli veri non affiliati ai clan della camorra, (a dispetto delle statistiche che da un po' di anni vengono per errore fatte su marte) sono molti di più rispetto a una trentina di anni fa e le possibilità che trovino un lavoro risultano praticamente ridotte a zero.
In secondo luogo, come faceva oggi rilevare nell'audizione alla camera quel dotto osservatore dell'animo umano che è il ministro Pisanu, sembra si stia creando una sorta di “Pedemontana eversiva” (sono le sue parole per cui non chiedetemi il significato ma improvvisate voi) che si muove, probabilmente per un non meglio precisato effetto Maometto, nell'intento di legare fra loro le diverse anime del terrorismo rupestre, a dispetto delle differenze ideologiche e dei diversi retaggi socio culturali preesistenti.
Tutto ciò elimina la noiosa perdita di tempo che consisteva nel dover dividere l'aspirante terrorista di sinistra da quello di destra, l'anarchico dall'autonomo e così via. Oggi basta tu sia italiano, antimperialista, con una buona conoscenza dei computer palmari ed il gioco è fatto.
Ma la ragione che più di ogni altra rende oggi facile fare proseliti consta nella sicurezza di poter offrire un lavoro semplice e sicuro.
Niente più omicidi di politici illustri, al massimo qualche sindacalista o economista sconosciuto che per ignote ragioni risulti scomodo al palazzo, niente più capitalisti da gambizzare, generali americani da rapire, banche da svaligiare per autofinanziarsi, niente più sangue, kalashnikov, covi angusti dentro ai seminterrati, conflitti a fuoco con la polizia.
Quando sarai terrorista potrai continuare a fare la tua vita di sempre, gustarti un dvd di stallone sul tuo nuovo home tehatre mentre sorseggi un martini, portare a fare shopping la mogliettina e i tuoi figlioletti, fare una settimana di vacanza (perché si sa due stancano) in qualche isola calda calda e comprarti la macchina nuova di quelle da 0 a 100 in 5” la qual cosa fa tanto snob ora che la patente è a punti.
Il lavoro lo puoi fare tranquillamente seduto alla scrivania dello studio, qualche pacco bomba….beh bomba non esageriamo che magari poi mi fraintendi e combini qualche casino. Quando dico bomba non intendo ingegneristiche opere tipo unabomber, ma qualcosa di semplice semplice e soprattutto inoffensivo, qualcosa insomma che ogni cristiano normodotato è in grado di fare, un pochetto di polvere pirica, un innesco ed il gioco è fatto, in fin dei conti l'importante è che non si faccia male nessuno.
Toccherà poi scrivere anche qualche rivendicazione e anche in questo caso senza scomodarti dalla scrivania dello studio, per il testo non occorre tu ti sia fatto una cultura leggendo il foglio di Giuliano Ferrara, ti basterà copiare quei volantini degli anni 70 che ti abbiamo dato insieme al computer palmare, sono perfetti e non necessita che tu aggiunga neppure una virgola.
Lo so, lo so a questo punto ti senti oltremodo tentato nel mettere la tua firma in calce a questo contratto ma ancora non si è parlato del trattamento economico ed è il denaro che in fondo in fondo fa girare tutto a questo mondo.
Sarò sincero, non posso prometterti una cifra esatta e garantita, i governi cambiano ed ogni anno occorre attendere il varo della nuova finanziaria, però tutto sommato tieni conto che si tratta di un impiego statale sicuro e ben remunerato, con tutta la gente che per 106 euro al mese di aumento salariale la digos è costretta ad affrontarla veramente e rischia pure di farsi male, al posto tuo non avrei poi molte esitazioni.
Desiderando arruolarmi firmo in calce questa domanda ...........................
mercoledì 31 dicembre 2003
L'anno che verrà
Marco Cedolin
Basta volgere un attimo lo sguardo alle nostre spalle per rendersi conto del fatto che gli ultimi dodici mesi sono stati un marasma senza soluzione di continuità di tensioni, accadimenti luttuosi, soppressione dei diritti e prevaricazione sui più deboli.
L'invasione dell'Iraq da parte degli americani e dei loro alleati potrebbe essere il simbolo di questo 2003 che ci ha lasciato in bocca il sapore acre della tragedia. Un simbolo certo, non solo per il carico di morte e disperazione inflitto ad un popolo già duramente provato da 12 anni di embargo criminale, ma anche per la palese dimostrazione del fatto che non esiste più alcun genere di diritto internazionale, non esiste più l'ONU (ammesso che sia mai esistita), non esiste più alcuna regola che non sia quella della sopraffazione armata, delle bombe, degli ultimatum, di una nazione che in preda al delirio di onnipotenza si considera divina dispensatrice di vita e di morte.
Da almeno mezzo secolo non si sentiva dissertare con tanta assiduità e veemenza di carri armati, bombe intelligenti, fortezze volanti, armi e soldati. Da almeno mezzo secolo i governi dei paesi occidentali non mettevano in cima alla lista delle proprie priorità l'incremento delle spese militari, il rinnovamento e l'ampliamento dei propri armamenti, la costruzione di eserciti dalle migliorate capacità devastanti.
L'ultima volta che l'Europa corse ad armarsi fu nel decennio precedente la seconda guerra mondiale, ma la lezione della storia sembra sia stata utile solo a riempire qualche libro di testo e nulla più.
E' stato l'anno del terrorismo, della minaccia globale, di quell'ologramma costruito ad arte sulla testa di noi tutti per giustificare quello che altrimenti sarebbe ingiustificabile. Per giustificare due stati sovrani invasi e devastati in meno di tre anni, per giustificare Guantanamo, la detenzione dei sospetti senza un adeguato processo, le intercettazioni telefoniche, la violazione di ogni genere di privacy, l'incremento smisurato delle forze di polizia e della loro ingerenza nella nostra vita di tutti i giorni.
Il terrorista è il nemico ideale, poiché non esistendo si può fingere di combatterlo ad oltranza, senza pietà, senza abbassare mai la guardia e nel frattempo creare tanti regimi di polizia, come piccole scatole cinesi che fanno capo ad un'unica grande scatola colorata a stelle e strisce.
Abbiamo visto per un mese telegiornali e quotidiani monopolizzati dalla SARS, comparsa in Cina misteriosamente, ad evocare l'atavico incubo della pestilenza, e poi sparita altrettanto misteriosamente lasciandoci stampate negli occhi quelle pagine del PNAC (progetto per un nuovo secolo americano) nel quale si fa esplicito riferimento all'uso imminente di armi biologiche innovative in grado di colpire selettivamente soltanto determinati genotipi della razza umana.
Abbiamo dovuto indignarci tante, troppe volte per un governo che sta costruendo proditoriamente un'Italia che nessuno vorrebbe per i propri figli.
Ci siamo trasformati nel paese con la maggiore flessibilità d'Europa, un regalo all'elite degli industriali che tutte le famiglie pagheranno sotto forma di un futuro carico d'incertezze e di precarietà.
Abbiamo accolto tributandogli ogni onore il boia Sharon, uno dei veri criminali di guerra dei nostri giorni, ed avallato la politica di un uomo che ha scavalcato la pena di morte attraverso la pratica degli “omicidi mirati” e sta costruendo nientemeno che un muro per confinare i novelli pellerossa palestinesi dentro ad una riserva fatta di misere vite da spendere in un sacrificio estremo fatto di tritolo.
C'è stato spazio per tutto, per un presidente del consiglio che si è fatto dichiarare “intoccabile” nell'intento di sfuggire ad un processo nel quale era implicato fino al collo, per un ministro che ha messo alla berlina i cani, le porzioni abbondanti dentro i ristoranti e i distributori automatici di sigarette da frequentare solo con il favore delle tenebre. Per la criminalizzazione delle discoteche, degli automobilisti, perfino dello spinello che nel disegno di legge del camerata pentito Fini Gianfranco diventa motivo per essere sbattuti in galera senza esitazione.
Abbiamo visto la televisione sostituirsi a quell'organo ormai desueto chiamato parlamento e trasmissioni come porta a porta nelle quali il braccio politico delle multinazionali si perde in sterili discussioni fingendo di dividersi in centrodestra e centrosinistra, dimentico del fatto che il capitale non ha mai perseguito altro che il profitto.
Non è cosa facile correre con il pensiero oltre il brindisi che fra poche ore sancirà la fine di questo anno disgraziato. I deficienti dell'uniero e l'omino dallo sguardo imbecille che fa girare l'economia con la patetica borsa della spesa sono parodie caricaturali ben lontane dalla realtà.
Sicuramente quelli che ci attendono saranno dodici mesi carichi d'inquietudine, figli di un'economia malata, di una società sempre più schizofrenica, della progressiva estinzione di quel bene prezioso chiamato libertà, della guerra globale che ci attende dietro l'angolo.
Non per questo possiamo permetterci di smettere di lottare e sperare, non per questo possiamo permetterci di lasciarci vivere ed abituarci al mesto colore della vergogna.Continueremo a far sentire la nostra voce più forte che mai perché è meno semplice di quanto si pensi lobotomizzarci.
Basta volgere un attimo lo sguardo alle nostre spalle per rendersi conto del fatto che gli ultimi dodici mesi sono stati un marasma senza soluzione di continuità di tensioni, accadimenti luttuosi, soppressione dei diritti e prevaricazione sui più deboli.
L'invasione dell'Iraq da parte degli americani e dei loro alleati potrebbe essere il simbolo di questo 2003 che ci ha lasciato in bocca il sapore acre della tragedia. Un simbolo certo, non solo per il carico di morte e disperazione inflitto ad un popolo già duramente provato da 12 anni di embargo criminale, ma anche per la palese dimostrazione del fatto che non esiste più alcun genere di diritto internazionale, non esiste più l'ONU (ammesso che sia mai esistita), non esiste più alcuna regola che non sia quella della sopraffazione armata, delle bombe, degli ultimatum, di una nazione che in preda al delirio di onnipotenza si considera divina dispensatrice di vita e di morte.
Da almeno mezzo secolo non si sentiva dissertare con tanta assiduità e veemenza di carri armati, bombe intelligenti, fortezze volanti, armi e soldati. Da almeno mezzo secolo i governi dei paesi occidentali non mettevano in cima alla lista delle proprie priorità l'incremento delle spese militari, il rinnovamento e l'ampliamento dei propri armamenti, la costruzione di eserciti dalle migliorate capacità devastanti.
L'ultima volta che l'Europa corse ad armarsi fu nel decennio precedente la seconda guerra mondiale, ma la lezione della storia sembra sia stata utile solo a riempire qualche libro di testo e nulla più.
E' stato l'anno del terrorismo, della minaccia globale, di quell'ologramma costruito ad arte sulla testa di noi tutti per giustificare quello che altrimenti sarebbe ingiustificabile. Per giustificare due stati sovrani invasi e devastati in meno di tre anni, per giustificare Guantanamo, la detenzione dei sospetti senza un adeguato processo, le intercettazioni telefoniche, la violazione di ogni genere di privacy, l'incremento smisurato delle forze di polizia e della loro ingerenza nella nostra vita di tutti i giorni.
Il terrorista è il nemico ideale, poiché non esistendo si può fingere di combatterlo ad oltranza, senza pietà, senza abbassare mai la guardia e nel frattempo creare tanti regimi di polizia, come piccole scatole cinesi che fanno capo ad un'unica grande scatola colorata a stelle e strisce.
Abbiamo visto per un mese telegiornali e quotidiani monopolizzati dalla SARS, comparsa in Cina misteriosamente, ad evocare l'atavico incubo della pestilenza, e poi sparita altrettanto misteriosamente lasciandoci stampate negli occhi quelle pagine del PNAC (progetto per un nuovo secolo americano) nel quale si fa esplicito riferimento all'uso imminente di armi biologiche innovative in grado di colpire selettivamente soltanto determinati genotipi della razza umana.
Abbiamo dovuto indignarci tante, troppe volte per un governo che sta costruendo proditoriamente un'Italia che nessuno vorrebbe per i propri figli.
Ci siamo trasformati nel paese con la maggiore flessibilità d'Europa, un regalo all'elite degli industriali che tutte le famiglie pagheranno sotto forma di un futuro carico d'incertezze e di precarietà.
Abbiamo accolto tributandogli ogni onore il boia Sharon, uno dei veri criminali di guerra dei nostri giorni, ed avallato la politica di un uomo che ha scavalcato la pena di morte attraverso la pratica degli “omicidi mirati” e sta costruendo nientemeno che un muro per confinare i novelli pellerossa palestinesi dentro ad una riserva fatta di misere vite da spendere in un sacrificio estremo fatto di tritolo.
C'è stato spazio per tutto, per un presidente del consiglio che si è fatto dichiarare “intoccabile” nell'intento di sfuggire ad un processo nel quale era implicato fino al collo, per un ministro che ha messo alla berlina i cani, le porzioni abbondanti dentro i ristoranti e i distributori automatici di sigarette da frequentare solo con il favore delle tenebre. Per la criminalizzazione delle discoteche, degli automobilisti, perfino dello spinello che nel disegno di legge del camerata pentito Fini Gianfranco diventa motivo per essere sbattuti in galera senza esitazione.
Abbiamo visto la televisione sostituirsi a quell'organo ormai desueto chiamato parlamento e trasmissioni come porta a porta nelle quali il braccio politico delle multinazionali si perde in sterili discussioni fingendo di dividersi in centrodestra e centrosinistra, dimentico del fatto che il capitale non ha mai perseguito altro che il profitto.
Non è cosa facile correre con il pensiero oltre il brindisi che fra poche ore sancirà la fine di questo anno disgraziato. I deficienti dell'uniero e l'omino dallo sguardo imbecille che fa girare l'economia con la patetica borsa della spesa sono parodie caricaturali ben lontane dalla realtà.
Sicuramente quelli che ci attendono saranno dodici mesi carichi d'inquietudine, figli di un'economia malata, di una società sempre più schizofrenica, della progressiva estinzione di quel bene prezioso chiamato libertà, della guerra globale che ci attende dietro l'angolo.
Non per questo possiamo permetterci di smettere di lottare e sperare, non per questo possiamo permetterci di lasciarci vivere ed abituarci al mesto colore della vergogna.Continueremo a far sentire la nostra voce più forte che mai perché è meno semplice di quanto si pensi lobotomizzarci.
lunedì 22 dicembre 2003
Schiavi selvaggi
Marco Cedolin
Le renne della slitta di Babbo Natale hanno deciso di ascoltare i rimbrotti provenienti dai loro stomaci, hanno puntato i piedi e si sono fermate proprio nella settimana sacra del regalo consumista.
Quale ignominia, quale catastrofe, quale lettura distorta e atipica dell'atmosfera di fraterno amore prenatalizia. Già atipica, come in Italia sta diventando la condizione dei lavoratori tutti, ma proprio tutti, credetemi.
106 euro di aumento per il recupero dell'inflazione (parziale perché calcolati sull'inflazione ufficiale che si sa bene non ha rispondenza nella realtà) sulle buste paga degli autisti dei mezzi pubblici sono bastati a mandare in crisi il sistema Italia costretto a prendere atto con sguardo attonito e sgomento del fatto che se agli schiavi dimentichi di mettere le catene ai polsi può ancora capitare che si siedano e incrocino le braccia.
Nella vicenda il governo, i sindacati e le aziende del trasporto pubblico stanno collezionando figuracce a raffica e si ritrovano ormai sull'orlo dell'isteria ad auspicare atteggiamenti degni di ogni regime totalitario che si rispetti quali precettazioni, denunce all'autorità giudiziaria, invio delle “squadre” di polizia nei depositi dei mezzi pubblici. Il tutto nel nome del diritto dei cittadini alla libera circolazione.
Fatta la debita premessa che il cittadino costretto a circolare a piedi non viene per questo in alcun modo privato del suo diritto a deambulare, mi viene spontaneo domandarmi, non trattandosi di ectoplasmi senza volto ma di persone con una loro vita che respirano e mangiano e lavorano, cosa s'intende quando genericamente si afferma di tutelare i diritti dei cittadini che poi in realtà siamo noi tutti autoferrotranvieri compresi?
In realtà questo concetto di “Stato Famiglia” che nel suo patetico monologo pre elettorale di ieri l'imbonitore di Arcore non ha mancato di menzionare, altro non è se non una metafora quanto mai fuori luogo di un regime sempre più arrogante ed autoritario che cerca di far sopravvivere un condensato di capitalismo liberista, poggiando unicamente sulle spalle dei lavoratori ridotti progressivamente ad uno stato di semischiavitù.
I “nuovi schiavi” al soldo delle agenzie interinali, anche grazie alla sistematica soppressione di un rapporto di lavoro corretto favorita dalla riforma Biagi, stanno man mano scalzando in molti settori il lavoro dipendente tradizionale che entro pochi anni diventerà un miraggio inarrivabile.
La forbice fra costo della vita e reddito dei cittadini si sta spaventosamente allargando e già oggi induce un grande numero di persone alla consapevolezza di non potersi più permettere neppure di scioperare o protestare, senza mettere a repentaglio la sussistenza loro e delle proprie famiglie.
La protesta di chi, come gli autoferrotranviari non chiede altro se non quello che gli spetta di diritto viene definita selvaggia, selvaggia perché nell'Italia del 2003 il penoso circo consumista del Natale viene prima del diritto dei cittadini ad avere un contratto di lavoro che venga rispettato.
Poliziotti con lo scudiscio anziché biada per far ripartire la slitta dell'effimero, questa risulta essere la ricetta invocata dal Ministro Maroni e avallata da un mondo sindacale la cui connivenza con il capitale è ormai sotto gli occhi di tutti, una ricetta in verità molto pericolosa in quanto mette a nudo il vero volto di chi sta gestendo una democrazia moribonda che di democratico mantiene solamente il nome e poco più.
Le renne della slitta di Babbo Natale hanno deciso di ascoltare i rimbrotti provenienti dai loro stomaci, hanno puntato i piedi e si sono fermate proprio nella settimana sacra del regalo consumista.
Quale ignominia, quale catastrofe, quale lettura distorta e atipica dell'atmosfera di fraterno amore prenatalizia. Già atipica, come in Italia sta diventando la condizione dei lavoratori tutti, ma proprio tutti, credetemi.
106 euro di aumento per il recupero dell'inflazione (parziale perché calcolati sull'inflazione ufficiale che si sa bene non ha rispondenza nella realtà) sulle buste paga degli autisti dei mezzi pubblici sono bastati a mandare in crisi il sistema Italia costretto a prendere atto con sguardo attonito e sgomento del fatto che se agli schiavi dimentichi di mettere le catene ai polsi può ancora capitare che si siedano e incrocino le braccia.
Nella vicenda il governo, i sindacati e le aziende del trasporto pubblico stanno collezionando figuracce a raffica e si ritrovano ormai sull'orlo dell'isteria ad auspicare atteggiamenti degni di ogni regime totalitario che si rispetti quali precettazioni, denunce all'autorità giudiziaria, invio delle “squadre” di polizia nei depositi dei mezzi pubblici. Il tutto nel nome del diritto dei cittadini alla libera circolazione.
Fatta la debita premessa che il cittadino costretto a circolare a piedi non viene per questo in alcun modo privato del suo diritto a deambulare, mi viene spontaneo domandarmi, non trattandosi di ectoplasmi senza volto ma di persone con una loro vita che respirano e mangiano e lavorano, cosa s'intende quando genericamente si afferma di tutelare i diritti dei cittadini che poi in realtà siamo noi tutti autoferrotranvieri compresi?
In realtà questo concetto di “Stato Famiglia” che nel suo patetico monologo pre elettorale di ieri l'imbonitore di Arcore non ha mancato di menzionare, altro non è se non una metafora quanto mai fuori luogo di un regime sempre più arrogante ed autoritario che cerca di far sopravvivere un condensato di capitalismo liberista, poggiando unicamente sulle spalle dei lavoratori ridotti progressivamente ad uno stato di semischiavitù.
I “nuovi schiavi” al soldo delle agenzie interinali, anche grazie alla sistematica soppressione di un rapporto di lavoro corretto favorita dalla riforma Biagi, stanno man mano scalzando in molti settori il lavoro dipendente tradizionale che entro pochi anni diventerà un miraggio inarrivabile.
La forbice fra costo della vita e reddito dei cittadini si sta spaventosamente allargando e già oggi induce un grande numero di persone alla consapevolezza di non potersi più permettere neppure di scioperare o protestare, senza mettere a repentaglio la sussistenza loro e delle proprie famiglie.
La protesta di chi, come gli autoferrotranviari non chiede altro se non quello che gli spetta di diritto viene definita selvaggia, selvaggia perché nell'Italia del 2003 il penoso circo consumista del Natale viene prima del diritto dei cittadini ad avere un contratto di lavoro che venga rispettato.
Poliziotti con lo scudiscio anziché biada per far ripartire la slitta dell'effimero, questa risulta essere la ricetta invocata dal Ministro Maroni e avallata da un mondo sindacale la cui connivenza con il capitale è ormai sotto gli occhi di tutti, una ricetta in verità molto pericolosa in quanto mette a nudo il vero volto di chi sta gestendo una democrazia moribonda che di democratico mantiene solamente il nome e poco più.
giovedì 18 dicembre 2003
Sotto l'albero
Marco Cedolin
Quello datato 2003 sarà un Natale felice, uno di quelli insomma che nascono sotto i migliori auspici e da qui alla notte di Betlemme le prospettive non potranno che migliorare.
I Re Magi hanno portato in dono nientemeno che Saddam Hussein, l'incarnazione terrena del satana e già si sta preparando legna per arderlo sul rogo della "giustizia".
Poco importa che quell'anziano dalla lunga barba mostrato in Tv e sui giornali somigli più a un eremita dedito all'ascetica contemplazione piuttosto che a un carnefice in grado di spodestare Attila dal trono della storia.
Poco importa che gli americani ammettano di sottoporre l'impotente belzebù alla "tortura soft" di visionare in continuazione i filmati amatoriali concernenti tutte le atrocità da lui commesse (qualcosa come costringere Antonio Ricci a rivedere dalla prima all'ultima tutte le puntate di quel pessimo polpettone consumistico qualunquista chiamato striscia la notizia).
L'evento basta perchè l'Onnipotente G.W.Bush possa asserire - avevo ragione io- e -dopo la guerra e la cattura di lucifero ora il mondo è un posto più sicuro". Molto ci sarebbe da dissertare sulla sicurezza del pianeta, fintanto che l'amministrazione statunitense sarà gestita dai firmatari del "progetto per un nuovo secolo americano" ma siamo qui per parlare del Natale e non divaghiamo.
Sono felici i DS, i girotondini, l'elite illuminata della sinistra chic (la parte non illuminata è alle prese con quella quadratura del cerchio che di nome fa rinnovo dei contratti dei lavoratori).
Il Presidente Ciampi, stanco di celebrare ricorrenze delle quali non importa niente a nessuno ha dimostrato che in fondo in fondo il libero arbitrio alligna in ogni creatura e si è rifiutato dii firmare la legge Gasparri, notando in essa qualche piccola incongruenza con la costituzione che ci appartiene.
Festa grande, balli, canti, trepidazione, poco importa il fatto che a giorni il governo varerà un decreto per far si che gli interessi del Cavaliere non vengano lesi in alcun modo dalle bizzarrie di questo attempato signore in età.
Si sta approvando con grande frenesia su questa fulgida strada per Betlemme, lastricata dai ciotoli della speranza che brillano al baluginio della cometa Tremonti anche la nuova finanziaria e qui in verità i doni avvoltolati nella carta argentata sono davvero molti.
Il più grande va a tutti coloro che hanno vissuto al di fuori della legge e si sono a vario titolo arricchiti indebitamente, si chiama condono e altro non fa che mettere nero su bianco la solidarietà del governo per i propri simili.
Ma regali ce ne sono per tutti e i pochi esempi che mi vengono alla mente sono già di per se stessi quanto mai esaustivi.
Chi viaggerà in aereo potrà usufruire del prelievo coatto di un euro per finanziare l'omino in divisa che lo perquisisce e gli guarda dentro la valigia.
Chi beve birra (ho detto birra non vodka) avrà in dono il privilegio di pagarla un poco più cara.
I fumatori preserveranno la propria salute fumando meno, essendo ormai arrivate le sigarette a costare quasi quanto uno spinello.
Chi comprerà o venderà una casa avrà in regalo una tassa più alta.
Il "sociale" pur non essendo una persona fisica sarà felice di donare oltre il 50% dei denari a lui destinati (derivanti dall'8 per mille di competenza dello stato) nientemeno che alla sicurezza, della quale si sa c'è tanto bisogno.
Una vera pioggia di presenti poi per i figli armati del regime, poliziotti, carabinieri, militari, e vigili del fuoco che in verità proprio armati non sono se non di buona volontà.
Viene inoltre istituito un fondo di riserva di 1200 milioni di euro (si ho scritto proprio 1200 ed è di riserva) per eventuali esigenze connesse con la proroga delle missioni intrernaziionali di pace, la cui importanza capitale è ovviamente fuori discussione.
Un pacco dono anche per la santa sede, 29 milioni di euro per l'acqua in ottemperanza agli accordi in sede di Patti Lateranensi...quando si dice una civiltà del presente con profonde radici nel passato.
Ma 500.000 euro vengono anche omaggiati al ricordo e alla ricerca relativi alla Shoan...no, i tranvieri di Milano non c'entrano ma cosa avete capito?
E poi il mega pacco dono sfavillante con ologramma di fiocco rosso su carta dorata dedicato a tutte, ma proprio tutte le famiglie degli italiani che con la bocca spalancata agognano ad acquistare i miracoli della tecnologia.
200 euro per l'acquisto di un nuovo pc, 75 per passare ad internet veloce e... udite udite addirittura 150 euro per coloro che acquisteranno un decoder per passare alla TV digitale terrestre, poco importa il fatto che la schiera di questi miracolati il decoder in questione potranno usarlo come soprammobile o alla bisogna come eccentrico portavivande, poichè il digitale terrestre è una tecnologia che nella realtà esiste solo nelle fantasie oniriche del ministro Gasparri e non sarà disponibile per gli italiani almeno fino al 2010 e fra 7 anni quei decoder a prescindere dall'uso improprio al quale saranno stati destinati nel frattempo risulteranno comunque un poco datati.
Un gentile omaggio ai piromani d'interesse che avranno più facilità nel ricostruire sulle aree incendiate.
Un regalone pesante pesante di 50 milioni di euro all'Opus Dei per la costruzione di un campus biomedico.
Una piccola elemosina che trasuda vergogna per le vittime del terrorissmo il cui vitalizio passa a 500 euro al mese....quando si dice stato e riconoscenza, due rette parallele che non s'incontrano mai.
Un ultimo pensiero per il popolo degli sciatori che finalmente avrà il proprio codice della strada, i propri caschi, le proprie multe, ma dovrà ancora attendere le patenti a punti, ma abbiate fede, le vie del lucro, del divieto e dell'obbligo sono infinite e prima o poi ci si penserà.
Quello datato 2003 sarà un Natale felice, uno di quelli insomma che nascono sotto i migliori auspici e da qui alla notte di Betlemme le prospettive non potranno che migliorare.
I Re Magi hanno portato in dono nientemeno che Saddam Hussein, l'incarnazione terrena del satana e già si sta preparando legna per arderlo sul rogo della "giustizia".
Poco importa che quell'anziano dalla lunga barba mostrato in Tv e sui giornali somigli più a un eremita dedito all'ascetica contemplazione piuttosto che a un carnefice in grado di spodestare Attila dal trono della storia.
Poco importa che gli americani ammettano di sottoporre l'impotente belzebù alla "tortura soft" di visionare in continuazione i filmati amatoriali concernenti tutte le atrocità da lui commesse (qualcosa come costringere Antonio Ricci a rivedere dalla prima all'ultima tutte le puntate di quel pessimo polpettone consumistico qualunquista chiamato striscia la notizia).
L'evento basta perchè l'Onnipotente G.W.Bush possa asserire - avevo ragione io- e -dopo la guerra e la cattura di lucifero ora il mondo è un posto più sicuro". Molto ci sarebbe da dissertare sulla sicurezza del pianeta, fintanto che l'amministrazione statunitense sarà gestita dai firmatari del "progetto per un nuovo secolo americano" ma siamo qui per parlare del Natale e non divaghiamo.
Sono felici i DS, i girotondini, l'elite illuminata della sinistra chic (la parte non illuminata è alle prese con quella quadratura del cerchio che di nome fa rinnovo dei contratti dei lavoratori).
Il Presidente Ciampi, stanco di celebrare ricorrenze delle quali non importa niente a nessuno ha dimostrato che in fondo in fondo il libero arbitrio alligna in ogni creatura e si è rifiutato dii firmare la legge Gasparri, notando in essa qualche piccola incongruenza con la costituzione che ci appartiene.
Festa grande, balli, canti, trepidazione, poco importa il fatto che a giorni il governo varerà un decreto per far si che gli interessi del Cavaliere non vengano lesi in alcun modo dalle bizzarrie di questo attempato signore in età.
Si sta approvando con grande frenesia su questa fulgida strada per Betlemme, lastricata dai ciotoli della speranza che brillano al baluginio della cometa Tremonti anche la nuova finanziaria e qui in verità i doni avvoltolati nella carta argentata sono davvero molti.
Il più grande va a tutti coloro che hanno vissuto al di fuori della legge e si sono a vario titolo arricchiti indebitamente, si chiama condono e altro non fa che mettere nero su bianco la solidarietà del governo per i propri simili.
Ma regali ce ne sono per tutti e i pochi esempi che mi vengono alla mente sono già di per se stessi quanto mai esaustivi.
Chi viaggerà in aereo potrà usufruire del prelievo coatto di un euro per finanziare l'omino in divisa che lo perquisisce e gli guarda dentro la valigia.
Chi beve birra (ho detto birra non vodka) avrà in dono il privilegio di pagarla un poco più cara.
I fumatori preserveranno la propria salute fumando meno, essendo ormai arrivate le sigarette a costare quasi quanto uno spinello.
Chi comprerà o venderà una casa avrà in regalo una tassa più alta.
Il "sociale" pur non essendo una persona fisica sarà felice di donare oltre il 50% dei denari a lui destinati (derivanti dall'8 per mille di competenza dello stato) nientemeno che alla sicurezza, della quale si sa c'è tanto bisogno.
Una vera pioggia di presenti poi per i figli armati del regime, poliziotti, carabinieri, militari, e vigili del fuoco che in verità proprio armati non sono se non di buona volontà.
Viene inoltre istituito un fondo di riserva di 1200 milioni di euro (si ho scritto proprio 1200 ed è di riserva) per eventuali esigenze connesse con la proroga delle missioni intrernaziionali di pace, la cui importanza capitale è ovviamente fuori discussione.
Un pacco dono anche per la santa sede, 29 milioni di euro per l'acqua in ottemperanza agli accordi in sede di Patti Lateranensi...quando si dice una civiltà del presente con profonde radici nel passato.
Ma 500.000 euro vengono anche omaggiati al ricordo e alla ricerca relativi alla Shoan...no, i tranvieri di Milano non c'entrano ma cosa avete capito?
E poi il mega pacco dono sfavillante con ologramma di fiocco rosso su carta dorata dedicato a tutte, ma proprio tutte le famiglie degli italiani che con la bocca spalancata agognano ad acquistare i miracoli della tecnologia.
200 euro per l'acquisto di un nuovo pc, 75 per passare ad internet veloce e... udite udite addirittura 150 euro per coloro che acquisteranno un decoder per passare alla TV digitale terrestre, poco importa il fatto che la schiera di questi miracolati il decoder in questione potranno usarlo come soprammobile o alla bisogna come eccentrico portavivande, poichè il digitale terrestre è una tecnologia che nella realtà esiste solo nelle fantasie oniriche del ministro Gasparri e non sarà disponibile per gli italiani almeno fino al 2010 e fra 7 anni quei decoder a prescindere dall'uso improprio al quale saranno stati destinati nel frattempo risulteranno comunque un poco datati.
Un gentile omaggio ai piromani d'interesse che avranno più facilità nel ricostruire sulle aree incendiate.
Un regalone pesante pesante di 50 milioni di euro all'Opus Dei per la costruzione di un campus biomedico.
Una piccola elemosina che trasuda vergogna per le vittime del terrorissmo il cui vitalizio passa a 500 euro al mese....quando si dice stato e riconoscenza, due rette parallele che non s'incontrano mai.
Un ultimo pensiero per il popolo degli sciatori che finalmente avrà il proprio codice della strada, i propri caschi, le proprie multe, ma dovrà ancora attendere le patenti a punti, ma abbiate fede, le vie del lucro, del divieto e dell'obbligo sono infinite e prima o poi ci si penserà.
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