mercoledì 16 novembre 2005

Questa finanziaria è come un sacco vuoto

Marco Cedolin

La prima impressione che si prova nel leggere il testo integrale del disegno di legge finanziaria presentato durante questi giorni al parlamento è quella di trovarsi dinanzi ad una costruzione la quale tenta di presentarsi come un progetto architettonico omogeneo e coerente, ma in realtà finisce per rivelarsi solamente un mero artificio volto a nascondere lo stato di assoluta inanità del governo, impossibilitato a raschiare per l’ennesima volta il fondo di un barile la cui base è ormai stata erosa da tempo.

Pur guardandosi bene dal volere assumere toni da cassandra e dal cadere nella facile demagogia in virtù della quale tutto ciò che viene esperito dal governo Berlusconi è per forza di cose negativo e riprovevole, non si riesce comunque a comprendere, anche facendo ausilio a massicce dosi di fantasia, come lo stentoreo incedere dei 60 articoli dei quali il disegno si compone, potrebbe magicamente preludere alla più volte vagheggiata ripresa economica del nostro paese.
L’unico dato certo ed incontrovertibile è rappresentato dallo stanziamento degli 11,5 miliardi di euro necessari ( e probabilmente non sufficienti) a riportare il rapporto deficit/ pil all’interno dei margini concordati con l’Unione Europea.
Tutto il resto della manovra è permeato da una sensazione di vaghezza, con ampio ricorso a situazioni estemporanee, difficilmente in grado di ottenere risultati di sorta.
Sia nell’ottica del reperimento delle risorse, sia in quella della destinazione delle stesse, emerge dal testo, quasi a livello epidermico, l’assoluta mancanza d’idee e la scarsa volontà d’impostare qualsivoglia strategia in grado d’incidere significativamente sulla drammatica situazione nella quale versa il paese.
Ma entriamo nel merito dei tratti salienti del disegno, per quanto molti di essi siano ad oggi solo tratteggiati e probabili oggetto di successive modificazioni, integrazioni e specificazioni.

Senza dubbio uno dei punti più controversi della manovra è costituito dal taglio di quasi 7 punti percentuali, della spesa corrente degli enti locali. Si tratta di una enorme sottrazione di risorse nei confronti di comuni, province e regioni, di fronte alla quale molti amministratori stanno protestando con veemenza, mentre il governo si difende assicurando che codesti tagli non influiranno sulla qualità dei servizi offerti al cittadino.
In realtà pare evidente il fatto che finirà per ricadere sulle economie delle famiglie italiane, già asfittiche ed in gravissima crisi, se non tutto almeno buona parte del peso di questa sforbiciata.
La ricaduta si manifesterà nel tempo sia sotto forma di un incremento di disservizi pubblici, sia sotto forma di aumenti nelle aliquote delle tasse pagate dai cittadini, nei confronti di quegli enti locali che saranno alla spasmodica ricerca di denaro per i loro bilanci.

Molto interessante risulta anche notare come il governo abbia inteso bloccare in quasi tutti i settori della pubblica amministrazione le assunzioni a tempo indeterminato, facendo altresì ampio ricorso ai contratti a tempo determinato, che ovviamente offrono prospettive notevolmente più scarse sia dal punto di vista occupazionale che da quello della remuneratività.
Ho scritto quasi, poiché in realtà esiste un’eccezione, sia per quanto concerne la possibilità di nuovi contratti a tempo indeterminato (ne sono previsti almeno7000) sia per quanto concerne l’assoluta impermeabilità del settore ad ogni politica di riduzione della spesa e si tratta dell’ordine pubblico e della difesa.
Continuando ad agitare lo spauracchio della catastrofica minaccia terroristica, tanto caro al ministro Pisanu, s’intende in questa finanziaria imporre una politica di risparmio e sacrificio ad ogni comparto della pubblica amministrazione, incrementando invece gli investimenti in uomini e mezzi da destinare alle forze dell’ordine e all’esercito. In questo stesso ordine d’idee s’inserisce anche il sontuoso rifinanziamento delle molteplici operazioni di pace keeping o illegale occupazione del suolo straniero (fate voi) che i militari italiani gestiscono in varie parti del mondo (Iraq compreso).

Non convince neppure l’addizionale a carico delle grande reti di trasmissioni dell’energia, attraverso la quale il governo spera di ricavare quasi 1 miliardo di euro.
Non convince poiché appare chiara la sua inevitabile ricaduta su coloro che questa energia la consumano, cioè cittadini e le imprese che si troveranno inevitabilmente a farsi carico di questo esborso attraverso un rincaro delle bollette.

Altrettanto negativo per i bilanci famigliari risulta “l’aggiornamento” (traducendo dal politichese l’aumento) delle sanzioni civili amministrative e penali pecuniarie dal quale è previsto un ricavo di almeno 100 milioni di euro.

Fantasioso ed assolutamente nebuloso nel merito della maniera con la quale s’intende procedere alla sua attuazione, risulta il capitolo dedicato ai proventi derivanti dalla lotta all’evasione fiscale.
Leggendolo si finisce per apprezzare solamente piccole variazioni in burocratese all’uno o all’altro comma e si acquisisce la consapevolezza che molto probabilmente il tutto si tradurrà nell’ennesimo condono, utile a dare una boccata d’ossigeno alle finanze dello stato e ad arricchire la legittimità dei grandi evasori fiscali.

Dopo questa breve analisi di alcuni strumenti attraverso i quali il governo intende reperire i fondi e le perplessità sopra esposte, tentiamo ora di esperire dal testo del disegno di legge finanziaria le modalità attraverso le quali s’intende risollevare le sorti dell’economia, aumentare il potere d’acquisto delle famiglie e restituire competitività alle imprese, un punto fondamentale se realmente si vuole tentare di uscire dalla profonda crisi nella quale il nostro paese si è invorticato e che rischia di pregiudicare gravemente l’immediato futuro di tutti noi.

A questo proposito non si riesce registrare altro che il vuoto assoluto. Manca ogni sorta d’idea in grado d’incidere anche solo marginalmente sul problema, mancano le coperture finanziarie per mettere in atto un’eventuale idea seria che si fosse riscontrata, manca perfino la fantasia indispensabile per immaginare qualcosa di diverso.
Le proposte che si ventilano sono tentativi estremamente puerili aventi il solo scopo di ottenere qualche risultato nell’immaginario collettivo degli elettori, non certo di creare qualche sia pur minimo riscontro nella realtà delle cose.

Accantonato definitivamente (perlomeno fino a quando non sarà l’Europa ad imporcelo) il più volte ventilato taglio dell’Irap per le imprese, oggetto d’innumerevoli dibattiti televisivi e non, il governo ha deciso di operare una riduzione del cuneo contributivo attraverso un taglio dell’1% dei contributi sociali delle imprese, intendendo in questo modo migliorare la competitività delle stesse.
Lascio a voi che leggete il giudizio su quanto tale provvedimento possa incidere sui problemi di competitività che affliggono l’imprenditoria italiana, ma ritengo sia l’equivalente di fingersi in procinto di svuotare il mare adriatico con l’ausilio di un setaccio.

Ancora più ridicolo e permeato di falsa utopia appare l’approccio con la perdita di potere di acquisto delle famiglie ed il conseguente calo dei consumi.
Si ventila un assegno per ogni secondo figlio od ulteriore, nato a partire da gennaio 2005, prescindendo dal quantificare l’entità del medesimo.
La ricaduta di un simile provvedimento, oltre ad essere minimale ed ovviamente legata all’importo dell’eventuale bonus, finirebbe se attuata per favorire una sola parte della popolazione e non necessariamente quella più disagiata.
Aiuterebbe solo le coppie con due o più figli mentre non prenderebbe in considerazione l’enorme quantità di giovani e meno giovani senza lavoro o con un lavoro precario, i quali non riescono neppure ad avere un reddito minimo che consenta loro di uscire dalla famiglia d’origine al fine di crearsene una propria, nonché tutti i single che faticano oltremisura per mantenersi dignitosamente con uno stipendio eroso ogni giorno di più, per non parlare di tutte quelle famiglie che al secondo figlio hanno dovuto rinunciare (e certo non sarà questo assegno a permettere loro di cambiare idea) in quanto si trovano in estrema difficoltà nel mantenere il primo.

Si legge di una somma aggiuntiva di 535 euro a favore dei soggetti disagiati, intendendo per soggetti disagiati quella estremamente esigua fascia di persone che già percepisce un minimo sussidio.
Mi astengo da ogni osservazione sulla valenza oggettiva dei 535 euro, limitandomi ad osservare come anche questo punto sia ben lontano dall’influire sul problema del potere d’acquisto delle famiglie.

Si ventila un 5 per mille d’indennizzo per i risparmiatori oggetto dei grandi crack finanziari del paese. Nulla da eccepire sul valore simbolico di un simile gesto, che però resta nell’ambito della simbologia, nonché in quello della sperequazione sociale, in quanto per quale arcana ragione chi ha perso i propri risparmi in un grande fallimento stile Cirio avrà diritto a un qualche risarcimento da parte dello stato, mentre di contralto chi li ha persi in altri crack aventi avuto meno risonanza mediatica di questo diritto sarà privato?

Dell’ipotesi di aumento a 600 euro delle pensioni minime, come dell’eventualità di un finanziamento statale dei libri di testo abbiamo avuto notizia dalle interviste dei vari soggetti politici, nell’ambito del circo mediatico dell’informazione, all’interno del quale proposte ed idee a favore delle famiglie italiane nascono e muoiono in una dissolvenza, senza durare molte volte più di 24 ore.Molte ipotesi a questo riguardo ci accompagneranno probabilmente nei prossimi mesi fino alla fine dell’anno, ma l’unica vera sensazione che mi pervade è quella di trovarmi dinanzi ad un sacco vuoto, vuoto d’idee e di contenuti, all’interno del quale pur continuando a frugare non si riesce a trovare neppure la speranza.

lunedì 14 novembre 2005

Incubo TAV

Marco Cedolin

La storia che voglio raccontarvi parla di grandi capitali e di piccoli uomini, di treni che correranno vuoti a 300 km/h dentro a gallerie scavate nell’uranio, di società private costituite con il denaro pubblico, piramidi di Cheope fatte di smarino e grattacieli di fibre d’amianto, di cittadini che difendono i propri diritti additati come canaglie e di canaglie senza scrupoli … … che si fingevano persone attente all’ambiente e ai diritti dei propri cittadini, di sindaci bastonati dalla polizia in una Valle decisa a resistere all’ennesimo stupro del proprio territorio, di come un grande investimento non produrrà altro che impoverimento, di quando le parole degli esperti vengono trasformate in sussurri ed il biascicare incompetente dei politici assurge a realtà incontrovertibile.

La storia inizia il 7 agosto 1991 con la nascita di Tav spa, la società a capitale misto pubblico e privato deputata a costruire in Italia quasi 900 km di linee ferroviarie per i treni ad alta velocità.In realtà dopo il disastroso risultato economico del tunnel sotto la Manica non si riscontrava assolutamente traccia di privati disposti a rischiare il proprio capitale nella costruzione di grandi infrastrutture e quello di presentare Tav spa come una società a capitale misto era un mero artificio volto a far si che l’Italia potesse rispettare i parametri di Maastricht che imponevano il rapporto deficit-pil al 3%. Lo Stato garantì il finanziamento del 40% in conto capitale, mentre finanziò il restante 60% (quello di appannaggio dei privati) attraverso prestiti bancari, accollandosi gli interessi degli stessi fino al completamento dell’opera.
Il 10 marzo 1998 le Ferrovie di Stato che detenevano la maggioranza del capitale pubblico acquisirono il 100% di Tav spa e dal primo gennaio del 2003, ormai nell’ambito della “legge obiettivo” Tav spa è entrata nell’orbita di Infrastrutture spa, il cui azionista unico è la Cassa Depositi e Prestiti.

Tutto questo gioco di scatole cinesi, nato una quindicina di anni fa dalla fervida fantasia dell’allora ministro del Bilancio Cirino Pomicino e perfezionato poi dal governo Berlusconi sotto il nome di “project financing” ha come unico scopo quello di permettere allo Stato di contrarre enormi debiti, senza però doverli iscrivere nel proprio Bilancio, evitando così che essi incidano nei parametri del Patto Europeo di stabilità. I privati esistono veramente ma rivestono il ruolo di General Contractor grazie al perfezionamento di un’altra “intuizione” del buon Cirino Pomicino.Fiat IRI ed ENI (i General Contractor) sono concessionari con l’esclusione della gestione, hanno cioè tutti i poteri del committente pubblico nella gestione dei subappalti, nella direzione dei lavori, negli espropri, ma non hanno poi la gestione diretta dell’opera, (caso unico in Europa) per cui il loro solo interesse, essendo disancorati dalla successiva gestione, sarà quello di fare durare i lavori il più a lungo possibile al fine di fare levitare al massimo la spesa.
Inoltre il General Contractor a differenza del concessionario tradizionale di lavori o servizi pubblici potrà affidare i lavori a chi vuole anche con trattativa privata ed essendo un privato non sarà mai perseguibile per corruzione, in quanto eventuali tangenti potranno essere giustificate sotto forma di “provvigioni”.
Un’architettura senza dubbio ingegnosa attraverso la quale si trasferisce tutto il rischio d’impresa dal privato allo Stato che alla fine dei lavori sarà però costretto a restituire i prestiti delle banche, aprendo così una voragine senza fondo nella quale precipiterà giocoforza la nostra già fragile economia.

La conseguenza di tutto ciò è che il progetto dell’Alta Velocità, presentato nel 1991 con un costo previsto di 26.180 miliardi di lire, rischierà invece di costare, una volta terminato in un lontano futuro, circa 80 miliardi di euro e gli italiani ne pagheranno i debiti fino al 2040 ad un ritmo di 2 miliardi e 300 milioni di euro l’anno. Ci sarebbero molte altre cose da raccontare concernenti questi 14 anni nei quali il progetto Alta Velocità ha preso forma e mosso i suoi primi passi, anni nei quali la zona del Mugello è stata devastata dalle gallerie con conseguenze idrogeologiche irreversibili, anni nei quali personaggi legati a doppio filo alla politica e all’imprenditoria come Necci Lorenzo, Pacini Battaglia, Icalza Ercole e molti altri si sono spartiti tangenti miliardarie, sono stati indagati, hanno corrotto giudici, vinto e perso processi, il tutto continuando a mantenere sempre posizioni preminenti all’interno delle istituzioni.
Anni di grossi guadagni per chi come l’attuale ministro delle infrastrutture Pietro Lunardi, attraverso la Roksoil azienda di famiglia si è aggiudicato un numero infinito di opere e consulenze o chi come Romano Prodi fondò la Nomisma, società bolognese indagata nel 1992 nell’ambito di una consulenza miliardaria sull’Alta Velocità, le cui conclusioni a fronte di un’analisi quanto mai approfondita e retribuita si manifestavano nell’enunciato che “la velocità fa risparmiare tempo”. Anni nei quali 13.779 lavoratori impegnati nel progetto Tav hanno lavorato a ciclo continuo con turni che potevano impegnarli anche per 48 ore di seguito, in gallerie dove l’aria era inquinata, la luce poca ed i rischi molti, come molti sono stati fra loro gli operai deceduti in incidenti sul lavoro. Basti pensare che nei soli primi 6 mesi di lavori sulla tratta Torino - Novara si sono annoverati 350 infortuni dei quali 2 mortali.

Ma la storia che voglio raccontarvi è una storia ad Alta Velocità, dove non esiste tempo per soffermarsi a riflettere, valutare i giudizi degli esperti, confrontarsi con le istituzioni locali. Esiste solamente una montagna di denaro senza fine sulla quale gettarsi con voracità assassina ed una montagna di roccia da sventrare al più presto per garantire la sopravvivenza del bengodi.
Il progetto per la costruzione della Linea ferroviaria Alta Velocità – Alta Capacità Torino – Lione si è evidenziato fin da subito come il più scellerato ed economicamente dispendioso dell’intero programma Tav e la nostra storia vuole entrare nel merito delle motivazioni che hanno spinto decine di migliaia di persone ad osteggiarlo con veemenza fin dalla sua nascita. L’intenzione dei progettisti è quella di costruire un tracciato che partendo da Settimo Torinese (periferia nord est di Torino) attraversi buona parte della Valle di Susa per poi sbucare in Francia attraverso un tunnel di 52 km sotto il massiccio dell’Ambin.Tale tracciato accreditato come parte integrante di un fantomatico “Corridoio 5 Lisbona – Kiev” viene definito indispensabile ed irrinunciabile dalla maggior parte degli uomini politici di ogni razza e colore, nonché dalla Confindustria e da tutti i poteri forti che attendono di spartirsi le enormi somme di denaro garantite dall’opera per almeno i prossimi 15 anni.

Le ragioni addotte per suffragare la necessità assoluta del progetto si sono sempre limitate a demagogiche affermazioni secondo le quali la Torino – Lione sarebbe indispensabile al rilancio del Piemonte che senza di essa resterebbe isolato dall’Europa, oppure a proclami privi di fondamento secondo i quali l’opera risulta indispensabile per l’innovazione del sistema dei trasporti italiano e garantirà un enorme ritorno sia dal punto di vista economico che da quello occupazionale. E’ stata anche ventilata, in realtà senza troppa convinzione, la necessità di garantire attraverso l’opera la gestione del supposto futuro incremento dei flussi passeggeri e commerciali, nonché ipotizzato un futuro trasferimento alla rotaia del traffico su gomma tramite le navette in grado di trasportare i Tir, con conseguenze positive in termini d’inquinamento ambientale. Quando le commissioni tecniche, scientifiche e gli esperti hanno iniziato nel corso degli anni ad analizzare il progetto nelle sue varie sfaccettature è però emersa una realtà in profonda distonia con le roboanti dichiarazioni della folta schiera di politici, pennivendoli e mestieranti vari che si sono prodigati e si prodigano nel tentativo di dare alla Torino – Lione una patente di “opera necessaria” che non ha assolutamente ragione di esistere.
Quella di un Piemonte isolato dal resto d’Europa è un’affermazione talmente assurda da meritare di albergare solo nella fantasia di una mente malata. Lungo la sola la Valle di Susa passano infatti attualmente circa il 35% delle merci che valicano le Alpi, troppe veramente per una regione in stato d’isolamento.
La Valle di Susa è una valle alpina larga in media solamente 1,5 km con abbondanza d’insediamenti abitativi ed industriali. Attraverso di essa già oggi passano un’autostrada, due strade statali, una linea ferroviaria passeggeri e merci a doppio binario, un fiume, molteplici strade provinciali, acquedotti, condutture del gas, linee elettriche aeree ed interrate. Dovrebbe essere evidente per chiunque come una realtà naturale già così fortemente violentata non sia assolutamente in grado di sostenere il peso di nuove pesanti infrastrutture, se non al prezzo di conseguenze disastrose sia per il territorio che per la qualità di vita di coloro che lo abitano.

La costruzione della Torino – Lione comporterà nella sola parte italiana l’estrazione dalle gallerie di 16 milioni di metri cubi di smarino (almeno 6 volte il volume della piramide di Cheope) per i quali occorreranno 2.500.000 passaggi di camion solo per stoccare nelle varie discariche i materiali di risulta. I recenti studi d’ingegneria dei trasporti affermano che quando tra una quindicina di anni l’opera sarà terminata solo l’1% dell’attuale traffico su gomma si trasferirà sulla ferrovia. La contropartita di questo deludente risultato sarà pagata in maniera salatissima dai cittadini della Valle e della cintura di Torino, in quanto si calcola che durante questi 15 anni almeno 500 camion circoleranno giorno e notte per il trasporto dei materiali di scavo dai tunnel ai luoghi di stoccaggio, con il conseguente aumento d’inquinanti, polveri e rumore. Oltre ai grossi rischi di natura idrogeologica focalizzati nella bassa valle, ad elevato rischio alluvionale, le cui conseguenze potrebbero ripercuotersi in maniera drammatica anche sulla città di Torino, gli studi hanno messo in evidenza due punti di estrema criticità del progetto Alta Velocità – Alta Capacità Torino – Lione.
Il primo riguarda la galleria di 23 km Musinè/Gravio che dovrebbe attraversare un terreno caratterizzato da rocce ricche di amianto. Secondo le analisi commissionate dalla Rete Ferroviaria Italiana ai geologi dell’Università di Siena il volume previsto di materiale estratto contenente amianto dovrebbe essere di almeno 1.150.000 metri cubi. Non risulta sia stato previsto alcun piano di sicurezza volto ad impedire la dispersione delle fibre d’amianto durante le fasi di lavorazione e di stoccaggio. La metà del materiale estratto contenente amianto (paragonabile per volume ad un grattacielo alto 400 metri) è previsto sia stoccata in un sito a cielo aperto nei pressi del comune di Almese, senza nessuna protezione e giocoforza esposto ai forti venti di fhon che spesso soffiano nella valle (mediamente per 40 giorni all’anno) in direzione Torino.
In un dossier curato dal dottor Edoardo Gays, oncologo dell’ospedale San Luigi di Orbassano viene sottolineato come l’amianto, riguardo al quale non esiste per l’uomo una soglia minima di tollerabilità, causa oltre ad altre affezioni il mesotelioma pleurico, un tumore maligno che si manifesta anche dopo 15, 20 anni dall’inalazione delle particelle, esso porta al decesso in media entro 9 mesi dal momento della diagnosi ed ha un tasso di mortalità nell’ordine del 100%. Sempre il dottor Gays nel suo studio esprime grossa preoccupazione per le conseguenze degli scavi e dello stoccaggio dei materiali contenenti amianto sulla salute dei cittadini ed afferma che alla luce di queste condizioni le morti per mesotelioma rischieranno di aumentare di oltre 100 volte su scala regionale.

Il secondo punto critico è costituito dal tunnel di 52 km che dovrà correre sotto il massiccio dell’Ambin, preceduto da una galleria di prospezione lunga oltre 7 km e del diametro di 6 metri.All’interno del massiccio dell’Ambin sono infatti presenti numerosi giacimenti di uranio, come documentato dal CNR fin dal 1965. Per maggior precisione il materiale presente è pechblenda, una forma particolarmente radioattiva. Una parte dello smarino estratto sarà perciò con tutta probabilità carica di radioattività ed estremamente pericolosa sia in fase di scavo che di stoccaggio.
L’uranio si disperde nell’aria e può essere inalato, inoltre contamina le falde acquifere e va ad inquinare i corsi d’acqua che possono essere utilizzati per l’irrigazione. L’uranio se inalato o ingerito provoca contaminazione interna e può essere causa di linfomi e leucemie.Occorre anche sottolineare che la distribuzione delle falde acquifere all’interno del massiccio dell’Ambin è estremamente complessa e le conseguenze degli scavi rischiano di compromettere gravemente il sistema idrografico dell’area, come già avvenuto nel corso degli scavi delle gallerie per la linea Alta Velocità Firenze – Bologna nella zona del Mugello.

Se alla luce delle analisi fin qui esposte il progetto della linea ferroviaria Alta Velocità – Alta Capacità Torino – Lione si dimostra in maniera incontrovertibile un’opera altamente pericolosa per la salute e l’incolumità dei cittadini, non solo della Valle di Susa ma anche della cintura torinese e del capoluogo stesso, anche gli studi inerenti all’utilità ed al ritorno economico del tracciato mostrano imbarazzanti incongruenze nel merito delle quali non si può evitare di entrare.
I traffici di lunga distanza sull’asse Lisbona – Kiev, che motiverebbero il concetto di “Corridoio 5” sono ad oggi irrilevanti. Il traffico passeggeri di lunga distanza si muove e si muoverà in aereo, poiché risulta ampiamente dimostrato come le ferrovie ad Alta Velocità non siano assolutamente competitive nelle distanze superiori ai 500 km. I traffici merci di lunga distanza sono estremamente esigui, la velocità non è un requisito fondamentale (basta osservare il successo delle ferrovie statunitensi con velocità commerciali nell’ordine dei 30 km/h.) anzi contribuisce ad aumentare i costi a dismisura, favorendo sull’asse in oggetto l’alternativa marittima.
L’attuale linea ferroviaria Torino – Modane è oggi utilizzata solamente al 38% della sua capacità. Le navette predisposte per il caricamento dei Tir sono state usate solo durante il breve periodo di chiusura del Frejus, altrimenti partono ogni giorno vuote. Gli unici due treni giornalieri del collegamento ferroviario diretto Torino – Lione sono stati soppressi per mancanza di passeggeri. Una scarsità di traffico davvero disarmante per una direttrice così importante da giustificare l’investimento di 21 miliardi di euro (la metà dei quali di competenza italiana) al fine di dotarla di una linea ad Alta Velocità.
Negli anni passati, quando ancora la pesante crisi economica europea non si era manifestata in tutta la sua interezza, il governo aveva affidato ad una società molto quotata, la Setec Economie il compito di valutare i benefici dell’opera. Tale società aveva analizzato i volumi tendenziali di traffico per gli anni a venire, stimando con un ottimismo che alla luce della contrazione odierna del mercato non può che far sorridere, un volume di traffico che avrebbe dovuto attestarsi nel 2015 intorno ai 174 treni/giorno. La linea esistente, una volta effettuati gli interventi di potenziamento previsti, molti dei quali già in corso dovrebbe consentire già nel 2008 una capacità di circa 220 treni/giorno, un valore ampiamente compatibile con qualsiasi ottimistica previsione.

Alla luce di questi dati si stenta veramente a comprendere, se non nell’ottica della spartizione mafiosa dei finanziamenti pubblici, per quale arcana ragione anziché perseguire lo sfruttamento della linea attuale ottimizzandone le potenzialità, s’intenda invece portare a termine un progetto totalmente inutile come quello della linea ferroviaria Alta Velocità – Alta Capacità Torino – Lione, finalizzata ad una capacità di trasporto superiore di oltre 5 volte agli attuali livelli di traffico, oltretutto alla luce del fatto che detti livelli anziché in crescita esponenziale come si prevedeva nel passato sono scesi del 9% solamente nell’ultimo anno. Appare inoltre lapalissiano come il costo esorbitante di un’opera di queste dimensioni, stimato in circa 11 miliardi di euro per la sola competenza italiana e passibile (come l’esperienza ci insegna) di ulteriori notevoli incrementi durante i 15 anni di lavori, non potrà assolutamente essere ammortizzato attraverso i ricavi derivanti da un traffico composto da elementi di sola fantasia.
Tale costo ricadrà per forza di cose sulle spalle di tutta la collettività con effetti a dir poco disastrosi.

La storia che ho voluto raccontarvi si è ormai trasformata in pura cronaca di attualità, una cronaca che vede riproporsi la biblica lotta di Davide contro Golia. Da un lato i cittadini della Valle di Susa e tutti gli abitanti dell’area torinese che hanno avuto la sensibilità e la capacità di riuscire a comprendere i termini del problema pur attraverso la disinformazione messa in atto dai grandi media asserviti alle ragioni della politica. Insieme a loro i sindaci dei comuni della Valle, alcuni studiosi, medici ed esperti che si manifestano quali spiriti liberi non aggiogati al carro dei potenti, nonché esigue frange della politica appartenenti ai Verdi ed a Rifondazione Comunista.
Dall’altro le arroganti falangi del potere, i ministri del governo insieme agli onorevoli dell’opposizione, fino ad arrivare al Presidente della Regione Piemonte Mercedes Bresso (donna che per l’occasione è giunta al punto di abiurare ogni parola esperita in tanti anni di militanza ambientalista) ed al sindaco di Torino Sergio Chiamparino.Tutti uniti, coesi, forti di quella protervia che deriva loro dalla consapevolezza di poter gestire l’opinione pubblica attraverso le televisioni, i giornali e gli esperti compiacenti, convinti di potere reprimere ogni forma di protesta con la furia belluina della polizia e la militarizzazione del territorio.

Il primo scontro si è già svolto il 31 ottobre, quando il potere ha usato i manganelli della polizia per bastonare i tanti, tantissimi cittadini, nonché alcuni sindaci che si erano inerpicati sulla montagna sopra Monpantero nel tentativo d’impedire la conquista del primo lembo della loro terra, sul quale sarebbe stata installata la prima trivella a sancire di fatto l’inizio dell’opera.
Il lembo di terra è stato conquistato solo con l’ausilio dell’inganno, in maniera probabilmente illegale ed è ora presidiato dalla polizia. Le trivelle non hanno ancora potuto mettersi in moto ma la Presidente della regione Piemonte Mercedes Bresso ed il sindaco di Torino Sergio Chiamparino si sono già espressi con durezza, affermando che la ferrovia Alta Velocità – Alta Capacità Torino – Lione si farà in ogni caso, poiché si tratta di un progetto irrinunciabile e nessun tipo di protesta riuscirà ad impedirne la realizzazione. In risposta al rifiuto di ogni dialogo che non passi attraverso l’uso dei manganelli da parte delle istituzioni, il 16 novembre tutta la Valle di Susa si è fermata, unita in uno sciopero generale contro l’ennesima violenza perpetrata nei confronti del territorio e dei suoi abitanti.
Almeno 80.000 persone di tutte le età e di tutti i ceti sociali hanno ribadito pacificamente ma con estrema fermezza il proprio no alle trivellazioni e alla militarizzazione della loro terra.Martedì 6 dicembre con il favore delle tenebre, poliziotti e carabinieri in assetto da guerra hanno massacrato a bastonate le 40 persone inoffensive che occupavano il presidio di Venaus, per protesta contro l’apertura di un secondo cantiere.
Giovedì 8 dicembre, sotto alla luce del sole, la gente della Valsusa, come una marea umana si è riversata a Venaus, ha ripreso possesso della propria terra e ricostruito il presidio.La storia ovviamente non finisce qui e come tutte le storie potrà riservare infinite sorprese anche a coloro che si sentono onnipotenti quando tengono in mano il bastone del potere.
I contestatori NO TAV della Valle di Susa potrebbero un giorno di questi apparire al resto d’Italia nella loro veste reale, non uno sparuto gruppo di estremisti ecologisti, no global, luddisti, nemici del progresso, bensì semplicemente tanti cittadini coraggiosi disposti a mettersi in gioco e lottare per difendere i loro diritti, la propria salute e la propria terra. Quel giorno potrebbero diventare tantissimi e poi ancora di più, così tanti da uscire dall’invisibilità nella quale si è cercato per lungo tempo di nasconderli, troppi perché i poliziotti possano bastonarli tutti, ed allora forse inizierà una storia diversa che parlerà di treni costruiti per essere utili alla qualità di vita dell’uomo e non di uomini sacrificati nel nome dei treni e della velocità.

giovedì 3 novembre 2005

Le stelle di David

Marco Cedolin

Giuliano Ferrara, l'erudito direttore del Foglio, fra i maggiori apostoli in Italia della filosofia neocon tanto cara all'amministrazione Bush e ai firmatari del Project for New American Century, è riuscito in un'impresa tanto miracolistica quanto senza precedenti. L'impresa di riunire sotto ad una sola bandiera, quella israeliana del democratico ed illuminato governo Sharon, i leader di quasi tutti i maggiori partiti italiani di governo e di opposizione.
L'apostata Fini Gianfranco al fianco di Piero Fassino che comunista lo è forse stato solo ai tempi della tata, il democristiano Follini accanto all'ex democristiano Rutelli, il leghista Calderoli ed il verde Pecoraro Scanio a condividere il medesimo colore che è anche quello dell'immarcescibile La Malfa, e poi tanti altri, dal barbassore Massimo Cacciari al balioso Vittorio Feltri, dal telegenico Mentana al novello Cagliostro Clemente Mastella e poi Giovanardi, Veltroni, Boselli e ancora altri, tutti uniti come vecchi amici nel carnevalare con tanto di fiaccole e lumini dinanzi all'ambasciata dell'Iran.

“Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”, quanta saggezza sconosciuta ai politici nostrani, alligna nelle parole dell'antico pensiero latino,
Si percepisce come l'impressione di essere tornati indietro nel tempo fino a circa tre anni fa. Allora, quando ai più capitò di errare non vi erano fiaccole e la bandiera nel nome della quale ci si ergeva a paladini dell'ordine mondiale non era quella israeliana, bensì il più classico stendardo a stelle e strisce, identici però a quelli di oggi erano i concetti, i proclami, le requisitorie.
Esisteva un satana, nella persona di Saddam Hussein ed una nazione stipata all'inverosimile di armi di distruzione di massa e pronta ad assalire ferocemente gli stati democratici; l'Iraq.
L'epilogo di quei proclami purtroppo è noto a tutti, l'Iraq è stato annientato militarmente e culturalmente e vive da quasi tre anni nella babele di una guerra civile permanente, resa ancora più cruenta dal permanere dell'occupazione armata. Una nazione tecnologicamente e socialmente progredita è stata costretta ad un regresso di almeno due secoli, sprofondando nella povertà e nella barbarie.
Tutto ciò fu compiuto, come tutti sappiamo, nel nome della sicurezza mondiale per preservare la democrazia da armi di distruzione di massa che non esistevano né erano mai esistite e dalla ferale pericolosità di un paese che in realtà non è mai stato pericoloso per nessuno, né avrebbe potuto esserlo.

Oggi i soliti noti stanno apprestandosi a perseverare e lo fanno senza mostrare in verità molta fantasia.
Esiste nuovamente un satana contro il quale tuonare, nella persona di Mahmoud Ahmadinejad, presidente democraticamente eletto della Repubblica Islamica iraniana, che ha pubblicamente contestato l'esistenza dello stato d'Israele ed esiste nuovamente una nazione, l'Iran, che si appresta ad assalire Israele e le democrazie occidentali con l'ausilio di fantomatici letali ordigni nucleari in fase di costruzione.
In realtà le parole di Ahmadinejad, senza dubbio infelici, non dovrebbero stupire più di tanto Ariel Sharon ed il governo israeliano che fino a ieri non con le parole bensì con i fatti hanno cancellato dalla cartina geografica lo stato palestinese, con la tacita collaborazione di tutti i fiaccolanti che si dedicheranno alle luminarie di questa sera.
Ahmadinejad occorre ricordarlo è presidente di un paese che nei 25 anni trascorsi dalla cacciata dello Scià si è sempre dimostrato uno stato pacifico che non ha mai creato alcun problema di ordine internazionale. Ha combattuto un'unica guerra (non di aggressione) contro l'Iraq al tempo armato e finanziato dagli Stati Uniti e dall'occidente.
L'Iran è un paese che mai e poi mai potrebbe creare problemi di aggressione militare ad Israele che è uno degli stati meglio armati, anche dal punto di vista nucleare, al mondo.

Nonostante ciò gli Stati Uniti lo hanno sempre sottoposto ad un severo isolamento economico e commerciale, arrivando perfino a minacciare misure analoghe nei confronti di qualunque paese commerciasse con esso (legge Helms Burton del 1996).
Nonostante ciò il congresso statunitense ha stanziato negli anni milioni di dollari per finanziare attraverso la CIA i gruppi terroristici “Muhjiaeddin e Khalq” nell'intento di destabilizzare l'unità del paese e riportare al governo i monarchici raccolti intorno a Reza Palhavi, figlio di quello Scià che si è macchiato di ogni genere di crimine contro l'umanità.
Nonostante ciò Stati Uniti ed Unione Europea oltre ovviamente ad Israele hanno fatto e stanno facendo pressioni fortissime sull'Agenzia Internazionale per l'Energia Atomica (facente capo all'ONU) affinché dichiari fuorilegge il programma nucleare iraniano finalizzato esclusivamente a scopi di produzione energetica, come le numerose ispezioni hanno negli anni confermato.La mia unica speranza è che fra qualche mese buona parte di coloro che si apprestano a manifestare con tanto di fiaccole stasera, non siano costretti a ritrovarsi (con la poca coerenza che da sempre li contraddistingue) a sfilare per le strade dopo avere rispolverato in soffitta l'ormai dimenticata bandiera della pace, quella con le tinte dell'arcobaleno ricordate?

mercoledì 26 ottobre 2005

Fra demonio e santità

Marco Cedolin

Quante schegge di realtà si abbarbicano come edera ingiallita sul tendone di quel circo equestre che siamo soliti definire informazione.
Quanti mostri, miti, demoni e santi, nascono dalla fantasia di pennivendoli imbolsiti e tele urlatori che creano opinione, nascono per poi scolorare come foglie secche che frusciano nel vento tiepido di una giornata di autunno.
La storia recente di Sergio Cofferati, il cinese, come amavano chiamarlo con simpatia i suoi tanti estimatori, è un fulgido esempio di quanto effimeri siano i messaggi attraverso i quali i media forgiano le nostre opinioni ed il nostro pensiero.
Il quotidiano Liberazione ha dedicato a Cofferati la propria prima pagina, accusandolo di avere ordinato alla polizia di bastonare un centinaio di studenti i quali, capeggiati dal deputato dei Verdi Paolo Cento e da un dirigente locale di Rifondazione Comunista, cercavano di entrare con la forza nel municipio di Bologna al grido di "Cofferati fascista."

Sergio Cofferati, proprio lui, il paladino dell'articolo 18, l'unico uomo che nell'ultimo decennio sia riuscito ad infiammare gli animi dei lavoratori, a riempire di folla piazze e palazzetti dello sport, a dare ancora a molti italiani l'illusione di potere lottare per i propri diritti, viene additato dai giovani di sinistra come fascista e dalla stampa come mandante delle cariche dei celerini, quasi si trattasse di un novello Scelba.

Dove alligna giunti a questo punto la realtà e quali mezzi abbiamo per interpretarla e farla propria?
Chi è in realtà Sergio Cofferati? Il cinese che si profondeva nelle crociate per i diritti dei lavoratori e solo un paio di anni fa si poteva definire senza tema di smentita l'uomo più popolare ed amato della sinistra, tanto da farne un papabile leader della coalizione, oppure un imborghesito reazionario, amico dei manganelli e nemico degli studenti universitari al punto da fare calare violentemente il randello sulle loro schiene?

Probabilmente né l'uno né l'altro, forse semplicemente un uomo in gamba, ricco di carisma ma povero di coerenza e pertanto incline a lasciarsi manovrare.
Una figura che la sinistra ha usato sfruttandone la crescente popolarità, quando ad inizio legislatura ancora fingeva di combattere il governo Berlusconi sui temi del lavoro e dell'occupazione e forse carezzava l'idea di proporre un uomo nuovo a guidare la coalizione per le prossime elezioni.
Una figura poi divenuta scomoda ed ingombrante allorquando il centrosinistra ha deciso di riesumare la salma di Romano Prodi, ormai da tempo mummificata a Strasburgo.
Quale soluzione migliore a quel punto che parcheggiare il cinese in quel di Bologna, attendendo che la diminuita esposizione mediatica ne intaccasse la popolarità.
Presiedere la gestione di una città, con tutte le sue problematiche e contraddizioni è certo più difficile e meno remunerativo in termini di popolarità che non guidare un sindacato che si fingeva impegnato in una battaglia epocale come quella sull'articolo 18.
Ho scritto fingeva poiché in realtà il sindacato capeggiato da Cofferati in quegli anni finse soltanto di porsi a baluardo dei diritti dei lavoratori, preservando il famoso articolo 18 dall'attacco peraltro velleitario ed improbabile del governo Berlusconi.
Mentre quegli stessi diritti venivano annientati in profondità attraverso la riforma Biagi, nei confronti della quale il sindacato si guardò bene dal manifestare la benché minima opposizione.

Se è vero che Cofferati in realtà fece ben poco per preservare i diritti di coloro che lo osannavano quando era leader della CGIL, altrettanto vero è che non mi pare stia operando a Bologna nella veste di squadrista e di picchiatore. Ma forse l'essere diventato demonio senza colpa è solo la conseguenza di essere stato santo senza merito, godiamoci questa salomonica riflessione, nell'attesa che i media forgino un nuovo mito, ho la netta sensazione che l'amatissima e Celentanissima RockPolitik ne abbia già messi in cantiere almeno un paio.

domenica 23 ottobre 2005

Incidenti di percorso

Marco Cedolin

Doveva trattarsi di una serata di gala per i candidati dell'Unione di centrosinistra alle elezioni primarie di domenica, ospiti in prima serata del programma Alice nel paese delle meraviglie, condotto su Rai due dall'inappuntabile e pacata Anna La Rosa.
Si trattava di un'occasione per confrontarsi, esponendo ciascuno la propria bozza di programma politico, in un'ottica costruttiva come si conviene fra alleati uniti e coesi.

Qualcosa invece non ha funzionato, anzi ad essere precisi a funzionare sono state davvero pochissime cose ed il telespettatore si è trovato ad osservare un penoso siparietto, condito da tensione, insulti e palpabili imbarazzi, quasi si trovasse su blob.
Romano Prodi e Fausto Bertinotti, i due candidati più accreditati al successo nelle votazioni di domenica, avevano in verità preventivamente defezionato il programma, lasciando il proscenio ai cinque candidati minori, in ordine sparso Pecoraro Scanio presidente dei Verdi, Antonio Di Pietro leader dell'Italia dei valori, Ivan Scalfarotto candidato indipendente, Clemente Mastella leader dell'Udeur e Simona Panzino rappresentante del movimento dei "senza volto".

Il fattaccio è accaduto durante un collegamento con il vice ministro Adolfo Urso che parlava da Montecitorio. La Panzino che gli aveva appena rubato la parola e stava interloquendo sul problema degli sfratti agli anziani si è improvvisamente alzata in piedi come tarantolata indicando in direzione del pubblico dove era in atto una sorta di collutazione fra un collaboratore della stessa Panzino ed alcuni uomini del personale di studio.
Nell'evidenza che il caos era prossimo a degenerare il contatto video veniva tempestivamente sospeso ed i telespettatori si ritrovavano dinanzi prima ad una tanto imprevista quanto non richiesta pausa pubblicitaria, poi ad alcuni minuti di filmati di repertorio.

Stemperata almeno apparentemente la tensione il collegamento riprendeva ma nello studio mancava la presenza di Clemente Mastella il quale aveva abbandonato la trasmissione, subordinando la propria permanenza alla richiesta che fosse cacciata dalla trasmissione la candidata Panzino.
La conduttrice Anna La Rosa, visibilmente tesa ed imbarazzata si profondeva in scuse sia nei confronti dei telespettatori che degli ospiti, ma il clima di tensione continuava a restare l'unico vero protagonista fino alla fine della trasmissione.

Le bozze di programma illustrate dai candidati si manifestavano per molti versi antitetiche l'una rispetto all'altra ed anche riguardo alla priorità da dare ai vari problemi del paese si denotava un'evidente distonia di vedute, quasi ci si trovasse di fronte non a membri di una stessa coalizione, bensì a diverse fazioni politicamente contrapposte fra loro.L'unico argomento riguardo al quale si riscontrava perfetta consonanza era l'appello, proferito da tutti i candidati in maniera quasi ossessiva, ad andare a votare numerosi, un appello dal quale traspariva chiaramente più la paura di una defezione di massa dei cittadini dalle urne, piuttosto che la convinzione nelle proprie parole.

sabato 22 ottobre 2005

Poco rock niente politik

Marco Cedolin

L’evento televisivo era stato preparato da tempo, curando con precisione certosina tutti i particolari che ne consentissero un facile successo sia in termini di ascolto (di share, come amano definirlo i tele acculturati doc) sia in termini di risonanza mediatica.
La scelta di Adriano Celentano, l’unico uomo in grado di scalare i dati Auditel con il solo ausilio dei propri silenzi, come conduttore del programma non avrebbe potuto essere più azzeccata.
Così come intrigante risultava il nome della trasmissione, quel “RockPolitik” che nell’immaginario collettivo prometteva di fondere i ritmi forsennati della musica con l’andamento lento tipico del mondo politico.
Ad aumentare l’aspettativa, già creata con notevole dispendio di energia dall’ampio spazio dedicato al futuro evento da giornali e TV, si aggiungeva l’annuncio del ritorno sul piccolo schermo di quel Michele Santoro che veste ormai da tempo l’abito dell’epurato numero uno della televisione pubblica.

Lo spettacolo condotto dal molleggiato è invece riuscito a disattendere qualsiasi tipo di aspettativa una persona si fosse creata nella propria mente.
Celentano ha portato avanti per un paio d’ore una sorta di commistione fra i tipici varietà musicali del sabato sera ed una fantomatica riconquista della libertà d’informazione, il tutto condito da una ridda esagerata di luoghi comuni, facile demagogia e retorica, non dimenticando di strizzare l’occhio alla chiesa cattolica.
L’ascoltatore, che veniva invitato da una scritta in sovrimpressione all’inizio del programma ad ascoltare lo stesso a tutto volume, si è reso conto ben presto suo malgrado che l’unica vera protagonista del palcoscenico rischiava di essere la noia.
La trasmissione si è trascinata sonnolenta fra canzonette, monologhi stucchevoli, statistiche riguardanti la libertà d’espressione ormai note da tempo spacciate come rivelazioni ed i consueti silenzi carichi di filosofica riflessione.
Celentano ha speso alcune parole criticando la presenza degli ecomostri che deturpano la bellezza del paesaggio italiano, ma non ha fatto menzione del disastro economico che deturpa in maniera ben peggiore la vita di tanti italiani.
Ha attaccato gli immobiliaristi che la trasmissione Report aveva già denunciato, oltretutto fornendo in merito ampie documentazioni, quasi una settimana fa.
All’acme del proprio sdegno nei confronti del sistema ci ha reso partecipi dell’incredibile rivelazione secondo la quale “tutti hanno paura delle parole ed oggi si possono dire solo cose che non danno fastidio a nessuno.”
L’entrata in scena di Michele Santoro, evento epico che in ossequio alla fantasia del molleggiato sarebbe valso a riportare l’Italia al primo posto nella classifica della libertà d’espressione (quasi Santoro anziché deputato al parlamento europeo fosse rimasto fino ad oggi rinchiuso in qualche carcere di massima sicurezza) non ha aggiunto assolutamente pepe né ritmo alla trasmissione.
L’indimenticato protagonista di Sciuscià si è prodotto anch’egli in un breve soliloquio ma non è riuscito ad esperire altro che poche parole intrise di buoni sentimenti e nulla più.
“Viva la fratellanza, viva l’eguaglianza, viva la cultura, viva la libertà.”
Impossibile ovviamente non condividere queste parole, ma forse il telespettatore aveva l’ambizione che qualcuno provasse a spiegargli per quale arcana ragione tali nobili parole continuano a restare un mero esercizio sillabico anziché tradursi in realtà.

Il sistema, dopo avere dato prova attraverso il controllo sistematico dei media, di riuscire a plasmare il mondo reale a proprio uso e consumo, sta diventando sempre più bravo anche nell’artificio di creare falsa contro informazione pilotata che dimostri la presenza di quella libertà di pensiero che si è invece ormai persa da tempo.L’ordalia d’indignazione ed esternazioni critiche che tutto il centro destra non ha mancato fin da subito d’indirizzare nei confronti di Celentano e della trasmissione sono solo irrinunciabili elementi di coreografia che alimentano l’illusione di libertà.

martedì 18 gennaio 2005

Roma ladrona o ladroni a Roma?

Marco Cedolin

Ormai ciascuno di noi è perfettamente conscio di come le idee, i programmi, la volontà di spendersi in qualcosa di costruttivo, siano concetti completamente sconosciuti nell'intimità dei carrozzoni di quel circo equestre che è la politica italiana.

Lo si può intuire senza alcuna fatica già solo osservando lo sgomitare scomposto dei mestieranti che calcano palcoscenici etichettati ora di destra, ora di sinistra, solo per tentare di gettare un pò di fumo negli occhi di quegli elettori che il ministro Sirchia, con falso paternalismo, proprio dal fumo tenta di preservare.
Lo si evince con chiarezza dal rapporto simbiotico che gli uomini politici hanno instaurato con la propria poltrona-carapace, dalla quale si guardano bene dall' allontanarsi, fosse anche per un secondo.
Lo si percepisce nell'assoluta inanità di pensiero che traspare dalle infinite diatribe, urlate con falsa enfasi e toni fintamente scomposti, discussioni basate sul nulla, che si trascinano dalle aule del parlamento, fino agli schermi TV, con lo scopo precipuo di approdare a quel nulla che per il mestierante della politica significa mantenimento della propria condizione di uomo ricco e privilegiato.
Nello scorrere l'elenco dei nuovi assunti presso il Parlamento Europeo, con la qualifica di assistenti accreditati degli onorevoli Matteo Salvini e Francesco Speroni, ci si imbatte non senza sorpresa nei nomi di Franco Bossi e Riccardo Bossi, rispettivamente fratello e figlio primogenito del leader del Carroccio.

Naturalmente vi starete domandando perchè io mai abbia parlato di sorpresa, dal momento che il nepotismo e la regola del do ut des sono in Italia le colonne basilari sopra le quali è costruito il mondo del lavoro e non esiste alcuna ragione logica per la quale i politici (anche coloro che hanno costruito la propria fortuna attraverso la maschera di uomini onesti ed integerrimi) dovrebbero rappresentare un'eccezione.

La sorpresa però c'è, ve lo garantisco, ed alligna in due particolari che si fatica oltremisura a considerare di secondaria importanza.
In primo luogo lo stipendio che percepiranno questi due membri della famiglia del Senatur, pari a 12.750 euro al mese (oltre 24 milioni delle vecchie lire) ai quali si sommeranno vari ed eventuali bonus, una retribuzione che certo pare poco allineata non solo a quelle degli operai di Melfi o degli autoferrotranvieri, ma anche a quelle di gran parte degli italiani, siano essi lavoratori dipendenti o autonomi.
Una retribuzione talmente elevata da lasciare presupporre i soggetti in questione siano in possesso di capacità decisamente superiori alla media, onde meritare guadagni così principeschi.

E qui arriviamo al secondo particolare, in quanto Franco Bossi, il primo assistente "accreditato" si è fino ad oggi prodigato nel mandare avanti un negozio di autoricambi a Fagnano Olona e per quanto fervidi di fantasia si possa essere resta davvero difficile riuscire a comprendere attraverso quale arcana alchimia tale esperienza nel campo dei ricambi, dei gadget per auto e magari delle autoradio, possa accreditare lo stesso ad occuparsi delle problematiche politiche del sistema europeo.

Di Riccardo Bossi, aitante ragazzo di 23 anni si conosce solo il fatto che è studente fuori corso all'università ed ama le auto di grossa cilindrata, un po’ poco, credo, per accreditarlo presso il Parlamento Europeo, con la retribuzione di cui parlavamo sopra, che se certo gli sarà molto utile nell'acquisto delle auto veloci, di contralto finisce per svilire gli sforzi di tutte quei giovani che studiano e lavorano duro tutto il giorno, senza che riesca loro di monetizzare adeguatamente le proprie capacità.

In conclusione la morale, se ci può essere una morale andando a spulciare fra le bassezze del genere umano, resta sempre la medesima.
E' molto comodo ma anche estremamente misero, ergersi a personaggio e conquistare il favore della gente urlando “Roma Ladrona!!” quando ci si ritrova fuori dal sistema, per poi sguazzare compiaciuti in quello stesso sistema non appena si ha la possibilità di farne parte e godere dei privilegi che ne conseguono.
Qui finisce la sorpresa, ci siamo ormai accorti da tempo che la coerenza non fa più parte dei nostri giorni. Ex terroristi che scrivono best sellers con l'aiuto delle case editrici di un regime che volevano abbattere, spiriti liberi che non appena entrati nel "giro che conta" trasmutano in spiriti ricchi e relegano la libertà nel chip di una carta di credito....come cambiare maschere a seconda dell'occasione, perchè al di sotto delle maschere esiste sempre solo e solamente il nulla.

lunedì 29 novembre 2004

Le strenne di Natale

Marco Cedolin

Piove, le giornate si sono fatte corte ed uggiose, l'aria è più fresca, il cielo cenericcio sembra sbiadire contro i muri ingrigiti di città, dentro l'umore bigiognolo delle persone che incrociamo per la strada, che poi è anche il nostro e non potrebbe essere altrimenti.
L'Istat stamani ci ha resi edotti del fatto che a novembre l'inflazione sarebbe rimasta stabile, confermando il dato tendenziale del 2% su base annua, il più basso, viene sottolineato dal 1999.
E' difficile però gioire di questo dato, empirico, poco commestibile ed oltretutto difficile da masticare.

Anche il nostro potere d'acquisto risulta il più basso e continua a rimanere tale anche se si risale la corrente a ritroso per parecchi decenni prima del 1999.
Così come risulteranno sempre più ridimensionate le strenne di Natale, le nostre poche sicurezze economiche, la capacità di far fronte al mutuo della casa, alle bollette, a quei "consumi" riguardo ai quali dissertano in maniera forbita gli analisti economici.
Il governo Berlusconi finalmente diminuirà le tasse e per avere la certezza che una simile roboante decisione avesse sui media lo spazio che meritava, ha creduto bene di portare avanti per oltre un mese una querelle infinita sull'argomento.

I valvassori del feudo della libertà si sono scagliati a più riprese con genuina belluinità contro il cavaliere, accusandolo gli uni di volere togliere ai poveri per dare ai ricchi, gli altri di volere togliere ai ricchi per dare ai poveri, tutti comunque imputandogli di voler togliere e dare; operazioni che in realtà il Silvio non potrebbe mai compiere a meno di aprire la cassa delle proprie aziende di famiglia.
I conti pubblici dello stato versano in condizioni pietose e se mai ci saranno sull'Irpef dei ritocchi al ribasso essi saranno giocoforza compensati dal rialzo di altre tasse ed imposte fra la miriade di quelle esistenti ed in stato di continua proliferazione.
Ma tutto ciò riveste poca importanza, l'essenziale è che i media abbiano confermato che le tasse scenderanno ed alla favolistica narrazione sia stato dato il massimo dello spazio possibile. Nella cacofonia sensoriale priva di punti di riferimento che compone i nostri giorni, spesse volte bastano i titoloni sui giornali per animare di fittizia vita una realtà che non è mai esistita nè mai esisterà.

Dopo le "taglie" dei cani ritenuti pericolosi in virtù del loro peso corporeo, inventate oltre un anno fa dal ministro Sirchia, lui si veramente molto pericoloso, ne nascono altre da appuntare sulla testa dei criminali che si macchino dell'omicidio di un rappresentante del popolo padano.
Una nuova interpretazione del codice penale che tenga conto in primo luogo della stirpe di appartenenza della vittima, al fine di graduare la gravità del delitto stesso.
-Vivi o morti- hanno urlato gli amici del bracalone Calderoli, forse un pò troppo ebbri divino ed ormai persi in un barbarismo senza ritorno. -Sono cose da Far west- hanno mormorato gli altri dimostrando incredibilmente di riuscire perfino a prenderli sul serio. Cosicché sicuramente morti ne sono usciti il senso della realtà e quello della decenza e non sapendo quale sia la loro stirpe di appartenenza sarà anche impossibile graduare la pena da commutare agli imbecilli che li hanno ammazzati perdendo l'ennesima occasione per stare zitti.

Domani comunque si risolverà tutto con lo sciopero generale, smetterà probabilmente anche di piovere, ma nel caso i goccioloni continuino a cadere, a bagnarsi saranno sempre solo i lavoratori che sfileranno nei cortei per cercare di cambiare qualcosa, legittimando inconsapevolmente con la loro presenza quelle stesse organizzazioni sindacali che si spendono affinché in Italia non cambi mai assolutamente nulla.
Anche le notti si sono fatte fredde, quando ci capita di passeggiare sotto la pioggia, con il bavero del giaccone rialzato e lo sguardo che si perde dentro alle pozzanghere, dove le immagini si rifrangono distorte a comporre un insieme vago ed indistinto ed avvertiamo che ci sta sfuggendo qualcosa d'importante, qualcosa che prescinde dal valore tendenziale dell'inflazione su base annua, qualcosa…

mercoledì 24 novembre 2004

Le Alleanze Nazionali

Marco Cedolin

Siamo tutti consci di quanto sia gravoso il mestiere di coloro che siedono nei banchi dell'opposizione, dopo essere stati fino a qualche anno fa accoccolati in quelli del governo e con la speranza neppure troppo segreta di tornare a breve a barbagliare degli antichi lustri.
Si può apprezzare appieno fra le fila dei barbassori che compongono il centrosinistra, un certo barcollio, una propensione smodata a barellare come vecchi barbogi, tremanti ed ubriachi, ogni qualvolta le circostanze li chiamino in causa per svolgere quel lavoro di opposizione che dovrebbe essere di loro competenza.
In effetti lo schierarsi, il prendere posizioni, il proporre alternative riguardo ai mille problemi seri e drammatici che compongono la realtà politica del nostro paese, presupporrebbe grande sfoggio di serietà e coerenza, attributi dei quali, per quanto ci si sforzi, non si riesce a trovare traccia
dentro alle file del centrosinistra.
Ecco allora che Rutelli e Fassino, con l'atteggiamento che da sempre è proprio dei veri leader, preferiscono non parlare dei soldati in Iraq, del mondo del lavoro, delle pensioni, dell'istruzione, delle ferrovie, delle compagnie aeree in estinzione, né di qualunque altra piaga fra quelle che stanno lacerando l'Italia dei nostri giorni.

Loro amano bettolare, darsi alle ciancerie, alle bagole, alla cavillazione e lo fanno riguardo ad un problema senza ombra di dubbio esiziale per il futuro del nostro paese.
Quale sarà il nome della nuova federazione riformista? Laddove in verità non si comprende cosa ancora vi sia da riformare, dal momento che il governo D'Alema e quello Berlusconi hanno praticamente riformato tutto.

Meglio usare due acronimi come "GAD" e "FED" oppure ricercare un termine che abbia più ampio respiro e riesca a suggellare le reali intenzioni di questa camarilla di uomini sull'orlo di una crisi di nervi alla ricerca della poltrona perduta?

Per riuscire nell'intento di accomunare in un solo nome, fra tutti quelli presenti nell'abbecedario, personalità così istrioniche e diverse fra loro quali il riccioluto Rutelli, il catriosso Fassino, il pingue e bonario, ma anche un po' beota Romano Prodi, nonché lo stuolo di feudatari minori che li contorna, ci voleva senza dubbio un termine nuovo ed in grado d'ingenerare entusiasmo nell'elettorato.

Scartati dunque gli "amanti del Brunello di Montalcino" "l'Unione delle casalinghe di sinistra" "Il partito degli automobilisti FIAT" "La confraternita dei consumatori Coop" ecco apparire all'orizzonte l'unico neologismo intriso di belluria, in grado di rappresentare coloro che si proporranno con fare belligero per governare l'Italia del futuro.

Alleanza! Non ci è ancora dato sapere (e certo consumeremo le nostre notti nel rovello di scoprire come andrà a finire) se si tratterà di "Alleanza democratica del centrosinistra" o più semplicemente "Alleanza Democratica" ma certo già a priori si può percepire la sensazione del nuovo che avanza, quell'emozione un po' rubata al Sabato del Villaggio di un futuro diverso, foriero di novità, impalpabile ma già così presente, che ci sta correndo incontro.
Anche il camerata pentito Fini Gianfranco, all'acme della propria apostasia, se ben ricordo era giunto a simili conclusioni, ma questo ha poca importanza, l'essenziale è sempre distinguersi, parlare di cose serie e manifestarsi nella propria unicità.

giovedì 11 novembre 2004

Quando le persone diventano percentuali

Marco Cedolin

Il Corriere della Sera ci rende edotti del fatto che il 31% degli italiani vorrebbe avere un cellulare umts, proponendo la notizia in primo piano nell'home page del proprio sito web.
Leggendo i risultati dell'indagine molto dettagliata, grazie all'innata propensione dei sondaggisti a categorizzare tutto e tutti, dalla quale è scaturito questo dato, si finisce quasi subito per soffermarsi a pensare quante e quali altre cose percentualmente vorrebbero gli italiani.

Molto probabilmente più del 50% di noi che discendiamo dagli etruschi e non arriviamo a fine mese saremmo ardentemente desiderosi di arrivarci.
Almeno il 70% dei lavoratori in giovane età vorrebbero percepire uno stipendio che permettesse loro di costruirsi una propria famiglia, anziché continuare a gravare a tempo indefinito sulle spalle dei genitori, con il conseguente senso di frustrazione che inevitabilmente ne consegue.
Sicuramente il 99% di coloro che hanno perso il lavoro e versa in stato carestoso, carezza il desiderio di riuscire a trovarne uno che non passi attraverso le forche caudine delle agenzie interinali e dello sfruttamento legalizzato dei lavoratori.

Il 63% (o forse era il 67%...non ricordo bene) di nostri concittadini aspirava a vivere in un mondo di pace ed era contrario alla guerra in Iraq. Il 51% lo è ancora oggi, nonostante giornali e TV abbiano continuato a dire che si trattava di un sacrificio necessario.
Già, necessario….. Quante assurdità oggettivamente riconosciute come tali, ci vengono imposte nella vita di tutti i giorni, in quanto necessarie, indispensabili, imprescindibili, figlie di una realtà incontrovertibile che cambia, ma per uno strano scherzo del destino la mutazione presenta sempre un carattere peggiorativo.

La precarietà del lavoro, che finisce per amaricare la vita di milioni di noi, è un sacrificio necessario, poiché non si può prescindere da traguardi magicali quali flessibilità e mobilità.

La perdita di potere d'acquisto delle famiglie, sempre più schiave di quella sorta di usura legalizzata chiamata credito al consumo è una conseguenza spiacevole ma necessaria del nuovo che avanza.

Perfino le telecamere che ci spiano all'angolo di ogni palazzo, la TV spazzatura strabordante d'imbonitori di ogni genere e razza, l'ecocidio sistematico del pianeta, l'intolleranza, il progredire della povertà, il penoso decadimento della cultura, gli omicidi mirati, la soppressione dei diritti dell'individuo, il ricorso alla tortura, le manganellate gratuite, le morti cercate…sono necessarie, inevitabili, apodittiche, assolutamente indispensabili.

Il 93% di coloro che non possono permettersi una casa, tutte le notti quando si addormenta in qualche ricovero di fortuna, sola con il proprio cauterio, sogna di possederne una, ma solo l'1% fra di essi vorrebbe un cellulare umts.

Il 96% di coloro che alle ore di pranzo e cena, anziché mangiare è costretta fare esercizio di anagogia, perdendosi nella contemplazione ascetica della propria tavola vuota, desidererebbe potere godersi un desco, ma solo lo 0,7% di questi signori vuole un cellulare umts.

Il 74% fra coloro che sono caduti nel calappio di aderire alla sovvenzione statale che li induceva all'acquisto del decoder digitale terrestre, hanno oggi capito di essere stati vittima di un disegno capzioso e difficilmente saranno disposti a ripetere l'esperienza poco edificante attraverso l'acquisto di un cellulare umts.

Il 90% delle persone che si ritrovano sopra al tetto di casa le antenne del sistema umts, continua a domandarsi senza alcuna speranza di ricevere delle risposte concrete, quanto queste antenne siano in realtà nocive per la propria salute.
Probabilmente il 20% di loro finirà per rassegnarsi ed acquistare un cellulare umts.

L'82% degli italiani tutti vorrebbe poter guardare al proprio futuro in una prospettiva che non parli solamente di regresso e continue perdite di diritti necessarie, ma stento a credere che il 31% di noi aspiri a vederlo chiareggiare sullo schermo di un cellulare umts.

venerdì 5 novembre 2004

La democrazia applicata

Marco Cedolin

Mentre lentamente si alza il velo dell’omertà, appare una realtà sempre più raccapricciante: torture generalizzate compiute dagli eserciti angloamericani, in Afghanistan come in Iraq. Almeno 35 le inchieste ufficiali già avviate, almeno 25 i morti già accertati, ma la sensazione è che si tratti solo della punta di un iceberg.

Molte volte la supponenza, qualora non supportata dalla realtà oggettiva dei fatti rischia di diventare semplicemente insana follia in grado d’ingenerare vergogna e nulla più. Così Bush, Blair e tutti i loro fedeli alleati, compreso quel salapuzio di Silvio Berlusconi che si vanta di essere il più fedele di tutti, impegnati com’erano ad entrare nella storia non si sono accorti di esserci entrati si, ma dalla porta sbagliata.
Quando si sono proclamati artefici della missione divina d’esportare in giro per il mondo la democrazia e la civiltà, non hanno badato al fatto che per esportare qualcosa occorre la prerogativa che quel qualcosa lo si possegga e possibilmente anche in abbondanza. Saddam Hussein era il tiranno, il despota, la raffigurazione terrena di Belzebù in quanto torturava il suo popolo nelle carceri di Abu Ghraib. Bush e Blair si dicono affranti e sgomenti poiché i loro soldati, alfieri della cultura e della civiltà d’occidente hanno torturato e ucciso lo stesso popolo iracheno nelle carceri di Abu Ghraib, naturalmente a loro insaputa.

Per ottenere la patente di democrazia e civiltà è quindi sufficiente fingersi all’oscuro degli atti di barbarie che vengono compiuti dagli eserciti. Ma in base a quale cervellotica congettura qualcuno potrebbe mai affermare in buona fede che Saddam e Milosevic sono criminali di guerra in quanto comandavano l’operato dei propri soldati, mentre Bush e Blair non lo sono in quanto i soldati delle grandi democrazie torturano, stuprano ed uccidono in perfetta anarchia senza che i loro “premier” ne siano a conoscenza?
Purtroppo la realtà è di una semplicità disarmante e a poco servono i funambolici tentativi di trasfigurarla che l’informazione di regime sta mettendo in atto in questi giorni. La realtà nasce dentro alle immagini brutali, vergognose, ingiustificabili che tutto il mondo ha avuto modo di guardare, quelle immagini che dimostrano in maniera inequivocabile quale livello di degrado si nasconda dietro la linda facciata di quella che molti osano chiamare “la più grande democrazia del mondo.”

I segnali della feccia marcescente della quale è impregnato l’esercito americano in verità si potevano già apprezzare senza troppo sforzo fin dall’inizio dell’invasione dell’ Iraq, se è vero che abbondavano le fotografie di carri armati Usa con tanto di teschi montati in bella vista e scritte ingiuriose del tipo “entreremo a Parigi come a Berlino”. Ma la cosa più grave è che non si tratta affatto di una novità, tutta la storia mondiale recente è costellata di guerre e atrocità compiute dagli Stati Uniti che in ogni conflitto hanno sempre usato gli stessi metodi: sterminio, tortura, stupri e violenze senza fine.
In Vietnam fra il 1964 ed il 1973 l’esercito Statunitense sterminò secondo le stime più caute almeno 700.000 soldati vietnamiti e 500.000 civili. Istituì e gestì una rete di polizia repressiva che usava la tortura come pratica corrente; le “gabbie per le tigri” di Con Son si sono rivelate un lager se possibile più terrificante di quelli nazisti, dove le amputazioni di parti del corpo, lo strappo delle unghie, le scariche elettriche, le bruciature di sigarette, l’uso di topi ed insetti si rivelarono pratiche di tortura comuni per le oltre 10.000 persone che ebbero la sventura di questa allucinante esperienza.
In Iran la “Savak”, la famigerata polizia politica dello Scià, fondata nel 1956 con il sostegno tecnico e finanziario degli USA e del Mossad israeliano, torturò senza pietà oltre 300.000 persone durante i 20 anni della sua esistenza e si distinse per atti di sadismo senza paragoni.

E si potrebbe proseguire a lungo con l’elenco delle nobili gesta militari americane, passando per l’Indonesia e Timor Est, fino a giungere alla ex Yugoslavia, all’Afghanistan e all’Iraq dei nostri giorni. Già, le torture degli americani, quelle torture verso afghani e iracheni apparse in questi giorni sui giornali, quelle torture che tanto c’indignano e ci stupiscono, riguardo alle quali Bush e Blair si dicono meravigliati e sgomenti, pur essendo da oltre 50 anni una normale pratica che gli statunitensi applicano nei confronti dei loro nemici, siano essi soldati, civili, uomini o donne.
Ma ormai abbiamo imparato che dietro alle torture della democrazia ci sono sempre tante giustificazioni ma non vi è mai un colpevole, si tratta semplicemente di una questione di civiltà.

martedì 2 novembre 2004

Allarme Bolkenstein

Marco Cedolin

Continua la propria corsa all'interno del Parlamento europeo la proposta di direttiva Bolkenstain (che prende il nome dal commissario europeo per la concorrenza ed il mercato interno) forse il più fulgido esempio della direzione nella quale l'Unione Europea intende muoversi nel prossimo futuro, attraverso una strada lastricata dalla sistematica soppressione dello stato sociale, dei diritti dei lavoratori e della libertà individuale.

Contrariamente al nobile proposito di ridurre gli intralci burocratici che soffocano la competitività europea, di creare crescita e nuovi posti di lavoro, la direttiva in oggetto si manifesta fin da subito come un flagello in grado di smantellare definitivamente lo stato sociale, i diritti dei lavoratori e gli equilibri salariali.

Innescandosi sulla situazione attuale già profondamente compromessa dalle privatizzazioni indiscriminate, dalla pesante recessione economica, dalla disoccupazione in continua ascesa, la Direttiva Bolkstein si propone di stabilire un quadro giuridico applicabile, salvo rare eccezioni, a tutte le attività economiche di servizi, perseguendo un approccio orizzontale e rifiutando a priori ogni sforzo di armonizzazione con le singole legislazioni dei vari paesi.
Per rendere l'idea di quanto vasto sia il settore di applicazione della proposta, basti pensare che i servizi in essa contemplati rappresentano oltre il 50% dell'intera attività economica dell'UE.

I reali obiettivi che la Direttiva Bolkstein intende perseguire appaiono chiari non appena si prova a trasporre nella realtà il testo della stessa, spogliandolo della maschera di falsi buoni propositi, della quale si è inteso infarcirlo in maniera quasi ossessiva.
Scopriremo così come fra le pieghe di favole quali la "riduzione degli oneri amministrativi" "l'incentivazione all'espansione transfrontaliera delle imprese" "la riduzione dei prezzi attraverso lo stimolo alla concorrenza" "la sequela infinita di vantaggi per il consumatore" ed altre amenità sui generis, si celi invece una realtà destinata a parlare un linguaggio per molti versi antitetico.

Gli ostacoli che la proposta intende seriamente smantellare, riguardano la tutela del consumatore, la trasparenza nelle procedure, le garanzie sociali ed ambientali, la qualità dei servizi, la possibilità di prendere decisioni da parte delle autorità locali, nonchè i pochi paletti che ancora si frappongono ad una privatizzazione selvaggia dei settori pubblici dell'istruzione e della sanità, il tutto perseguendo l'isolamento ed il disarmo incondizionato delle organizzazioni sindacali.

Il punto attraverso il quale si può apprezzare in maniera più evidente il reale spirito che anima la direttiva è costituito dall'art. 16 che introduce il "Principio del paese di origine".
In base a codesto principio, sovvertendo la legislazione finora in vigore, un qualsivoglia fornitore di servizi è tenuto a rispettare solo e solamente la legislazione del paese nel quale ha sede la propria impresa, potendosi così permettere d'ignorare le leggi dei vari paesi nei quali fornisce il servizio.
Appare immediatamente in tutta la sua evidenza, come una norma di questo genere, che si va ad innescare su una molteplicità di stati sovrani ben lontani dal rappresentare un'omogeneità legislativa a livello sociale, fiscale ed ambientale, si proponga come trampolino di lancio per una serie di conseguenze che anche un ottimista non esiterebbe a definire catastrofiche.
In primo luogo le imprese risulteranno fortemente incentivate al trasferimento delle proprie sedi sul suolo di quei paesi la cui legislatura meno tutela i lavoratori ed il sociale.
In secondo luogo si creerà una sperequazione sociale fra lavoratori operanti nello stesso stato, con conseguente progressivo appiattimento verso il basso dei diritti e delle retribuzioni di coloro che lavorano nei paesi che fino ad oggi sono stati più attenti alla tutela del lavoro e dei diritti.
Più in generale s'introduce una cacofonia legislativa che da un lato deregolamenta completamente il mondo dei servizi e dall'altro esautora le organizzazioni sindacali e gli enti locali da ogni possibilità d'intervento.

La direttiva Bolkenstain non va letta come un errore di percorso, come un qualcosa di avulso al contesto nel quale l'UE si sta muovendo da ormai molti anni con risolutezza.
L'Europa del futuro, quella che man mano si sta tratteggiando, sia pur permeata dai falsi buoni propositi, sarà in realtà permeata dal progressivo regresso delle conquiste sociali che i suoi cittadini avevano conquistato nella seconda metà del novecento.
Si profila un domani da vivere (o sopravvivere) in un mondo del lavoro precarizzato oltremisura, dove lo stato di diritto e quello sociale diverranno ben presto retaggi del passato.
Un'Europa sempre più privatizzata, succube della competizione sfrenata, probabilmente più omogenea perché appiattita su un livello di qualità della vita decisamente più basso rispetto a quello di oggi.
Un Europa dove perderà sempre più importanza il valore dell'individuo, immolato sull'altare della competitività, del mercato e della concorrenza. Un'Europa sempre più schiava del capitale, delle Corporation, delle banche, delle grandi multinazionali. Ancora una volta il passato che ritorna viene spacciato per "nuovo" nell'intento di ottenere la supina accettazione da parte dell'opinione pubblica.

sabato 2 ottobre 2004

Quel male inguaribile chiamato povertà

Marco Cedolin

Lo sciopero della sanità indetto per lunedì 9 febbraio in tutela del “diritto alla salute” dei cittadini e contro le riforme del governo in materia sanitaria offre lo spunto per una riflessione sull’argomento, osservandolo dall’angolazione del malato, termine per forza di cose omnicomprensivo in quanto prima o poi tutti, ma proprio tutti, ci siamo trovati o ci troveremo in questa condizione.
Imputare al governo Berlusconi tutte le colpe di un sistema sanitario prossimo al collasso, minato da un marasma senza fine di storture e disservizi sarebbe un’operazione semplice ma non renderebbe certo giustizia alla verità. Al cavaliere si può addurre solo la colpa (e non si tratta di cosa da poco) di aver peggiorato una situazione preesistente già molto problematica, rendendo il “curarsi” un’operazione ormai insostenibile per una larga fetta della popolazione.
La riproposizione dei ticket, le liste di attesa che si protraggono in molti casi al limite della vergogna, il drastico taglio dei finanziamenti al servizio sanitario nazionale, mistificato sotto forma di una fantomatica “riorganizzazione”, il patetico tentativo di scimmiottare il discutibile modello americano, senza peraltro che esistano i presupposti per poterlo fare, sono solo alcuni dei punti che contribuiscono a rendere la situazione di chi si ammala ancora più dolorosa e problematica di quanto già essa non lo sia.

L’enorme autonomia di gestione in materia sanitaria che avranno le Regioni alla luce di quella “riforma”, che passa sotto il nome di federalismo o devoluzione pur essendo in realtà solamente un asservimento agli interessi di pochi, contribuirà inoltre a costruire in Italia 21 pessimi servizi sanitari, ognuno dei quali con le proprie regole, all’insegna della sperequazione sociale fra i cittadini.
Chi si ammala insomma sarà costretto sempre più a ricorrere a quell’ignobile confraternita di ricattatori senza scrupolo che costituiscono il sistema sanitario a pagamento, sempre ammesso ovviamente che ne abbia la disponibilità. Visite da 200 euro per garantirsi immediatamente il letto per un intervento altrimenti inarrivabile in una tempistica logica, esami e accertamenti da fare a pagamento il giorno dopo, poiché fra sei mesi potrebbero non servire più. L’alternativa per le classi non abbienti rimane una sola, curarsi male e tardi, senza che venga data loro la possibilità di combattere la malattia nei tempi e nei modi dovuti.

Scioperano dunque i medici, una categoria fra le più variegate e ricca di contraddizioni, una categoria il cui contratto è scaduto da due anni (ma in Italia i contratti scaduti rappresentano ormai la normalità), una categoria che comprende tanti ottimi dottori che percepiscono uno stipendio fra i più bassi d’Europa e altrettanti dottori “di nome” che, se privatamente non operassero totalmente in nero, fatturerebbero come una piccola industria.
Ho sentito da più parti i media dell’informazione esternare preoccupazioni per i disagi nei quali i malati sono incorsi lunedì ma raramente si parla dei disagi che i malati devono affrontare durante tutto l’arco dell’anno.
Persone già minate nel corpo e nello spirito, sulle quali si specula vigliaccamente in un vergognoso mercimonio della salute umana. Ben venga questa giornata di sciopero se, come spero riuscirà a destare l’attenzione dell’opinione pubblica, inebetita nel proprio microcosmo telediversivo.

Ammalarsi e ritrovarsi poveri (magari proprio a causa della malattia) è una disgrazia che può capitare a tutti, negare al malato senza portafoglio il diritto alle cure appropriate nei modi e nei tempi che la malattia stessa impone è solo l’ennesima manifestazione del cinismo col quale l’arrogante società contemporanea tratta le classi più deboli e disagiate. Un cinismo dinanzi al quale ciascuno di noi dovrebbe sentire il dovere d’indignarsi ogni giorno della settimana, di tutte le settimane del mese, di tutti i mesi dell’anno, perché la vergogna non si può relegare ad una data sul calendario.

martedì 21 settembre 2004

Sole, Baleno e i suicidi di Stato

Marco Cedolin

Ci sono accadimenti che non è possibile dimenticare, troppo scabrosi, inquietanti, troppo madidi di vergogna, perché li si lasci obliare senza che restino vivi dentro i nostri cuori e le nostre coscienze.
Ci sono storie, come quella di Sole, Baleno, Silvano che rimarranno marchiate a fuoco dentro la nostra anima. Storie che raccontano come gli assassini non sempre restino racchiusi dentro al bozzolo degli stereotipi che la nostra società c’impone, ma al contrario vadano ricercati in luoghi dove spesso i nostri occhi si rifiutano di vedere la verità.
Storie che narrano come la pratica dell’omicidio possa passare attraverso i manganelli della polizia, l’inquisizione pretestuosa dei giudici, il vigliacco sciacallaggio dei giornalisti asserviti al potere, i pregiudizi e il meschino atteggiamento di un’opinione pubblica che si rende complice dei mistificatori, sentenziando e condannando senza conoscere la realtà oggettiva dei fatti.

Il 5 marzo 1998 vengono arrestati tre anarchici: Silvano Pelissero, Edoardo Massari (Baleno) e l’argentina Maria Soledad Rosas (Sole). Convivevano nell’ex obitorio del manicomio di Collegno, occupato dal giugno 1996.
La sera dello stesso giorno, poliziotti e carabinieri invadono l’Asilo Occupato di via Alessandria, distruggono ogni cosa, rompono vetri ed impianti igienici, pisciano sui materassi e procedono allo sgombero. I tre anarchici vengono posti in isolamento senza che venga loro comunicato di cosa sono accusati.
Il 7 marzo il giudice per le indagini preliminari Fabrizia Pironti conferma l’arresto con l’accusa di associazione sovversiva con finalità di terrorismo (art. 270 bis).

I Pubblici Ministeri Laudi e Tatangelo, veri registi dell’inchiesta affermano essere in possesso di prove granitiche e costruiscono un “castello accusatorio” alquanto improbabile, confidando nell’aiuto di quella sorta di circo equestre che è l’informazione mediatica di regime.
Proprio l’opera dei giornalisti, alla ricerca dell’effettismo esasperato si rivelerà infatti fondamentale nello screditare e demonizzare i gruppi anarchici vicini ai tre giovani, nell’enfatizzare il ritrovamento di prove che si riveleranno non essere tali, nell’indurre ad una sentenza di condanna l’opinione pubblica prima ancora che il processo sia iniziato.

Il 26 marzo il tribunale respinge ogni istanza di liberazione “in quanto esistono forti contiguità fra i tre indagati e gli autori degli attentati” ed “è elevatissimo il rischio di reiterazione di reati di natura analoga”.
Sabato 28 marzo all’alba, secondo la versione ufficiale, Edoardo Massari (Baleno) viene trovato agonizzante, impiccato con le lenzuola alla sua branda del carcere torinese delle Vallette.
Inquietanti le testimonianze degli abitanti delle case popolari antistanti il carcere che affermano aver sentito arrivare ambulanze e volanti a sirene spiegate già verso la mezzanotte.

Sabato 11 luglio anche Maria Soledad Rosas (Sole) muore suicida impiccandosi con le lenzuola al tubo della doccia nei locali della comunità Sottoiponti di Benevagienna dove era agli arresti domiciliari.
Per una strana ironia della sorte il 23 settembre morirà suicida anche Enrico De Simone, il fondatore della comunità Sottoiponti nella quale aveva trovato la morte Sole.
Il 6 agosto 1999 il consigliere dei verdi Pasquale Cavaliere, un uomo politico che pur agendo all’interno delle istituzioni era sempre stato vicino a Silvano anche nel momento in cui tutti gli davano addosso, muore in Argentina, impiccandosi, secondo la versione ufficiale con un cordone di spugna. Le circostanze della sua morte resteranno per sempre un mistero.

Il 31 gennaio del 2000 Silvano Pelissero, l’unico dei tre anarchici ad essere ancora in vita, viene condannato a 6 anni e 10 mesi di reclusione.
Il 21 novembre 2001 a Roma la corte di cassazione invalida l’accusa di attività terroristica con finalità eversive.
Il 4 marzo 2002, alla scadenza dei quattro anni di detenzione la magistratura emette l’istanza di scarcerazione di Silvano per decorrenze dei termini, l’anarchico sarà però effettivamente liberato solo il 12 in quanto i carabinieri lasceranno passare un’intera settimana prima di comunicare la notizia all’interessato.

L’intera vicenda, oltre alla drammaticità degli eventi ci rivela uno spaccato oltremodo angosciante sul valore della libertà personale e del rispetto per la vita all’interno di una società come la nostra nella quale i diritti dell’individuo vengono immolati senza pietà sull’altare del potere, un potere che simile ad un’infezione ha ormai intaccato in profondità il tessuto sociale e ci vuole schiavi, condizionati e sussiegosi nella supina accettazione delle regole.
Subito dopo l’arresto dei tre anarchici un presidio di protesta contro gli arresti e gli sgomberi che si sta formando davanti al municipio viene brutalmente caricato dalla polizia, la quale si profonde in una caccia all’uomo per le vie del centro cittadino. Nel corso degli scontri scientemente cercati dalle forze dell’ordine alcune vetrine cadono sotto i sassi.

Ecco l’episodio costruito ad arte per far si che i giornali possano prodursi nell’opera di demonizzazione degli squatter torinesi. Da quel giorno in poi tutti i pennivendoli delle più svariate estrazioni politiche si prodigheranno in un’opera denigratoria sistematica del movimento.
Gli anarchici verranno proposti dai giornalisti all’immaginario collettivo come teppisti, violenti, disadattati, ecoterroristi, schegge impazzite in balia del disagio giovanile e quant’altro. Coadiuvati in quest’opera dagli ospiti dei salotti mediatici della TV di regime, sociologi, psicologi, preti, politici di destra e di sinistra, criminologi, filosofi, ma in fondo sempre e solo patetici figuranti alla ricerca del proprio attimo di notorietà.
Perfino le scritte sui muri verranno enfatizzate quali atti criminali vergognosi e ciò rende il senso della palpabile atmosfera d’inquisizione che era stata creata alla bisogna.
Il ruolo dei media nel gettare discredito sugli squatter, nell’enfatizzare il rinvenimento di fantomatiche prove granitiche che mai verranno presentate al processo e nell’indirizzare in maniera univoca gli umori dell’opinione pubblica rivestì sempre un ruolo preponderante durante tutto il corso della vicenda. Anzi dopo la morte di Baleno, quando gli eventi esplosero in tutta la loro drammaticità “l’interesse” dell’informazione divenne se possibile anche più asfissiante.

Proprio la morbosa protervia dei giornalisti che decisero di non rispettare il desiderio della famiglia Massari di poter seppellire in pace il proprio congiunto in presenza solo dei parenti e degli amici (come era invece accaduto senza problemi al funerale di Giovannino Agnelli) ingenerò incidenti e tensione durante la cerimonia, ne fecero le spese il cronista Daniele Genco e l’auto dell’inviato del Manifesto Paolo Grisieri.
Questa fu l’occasione per un nuovo assalto dell’informazione nei confronti degli squatter (che ora oltre a spaccare le vetrine picchiavano anche i giornalisti) e della piaga dei posti occupati.
Il movimento reagì chiudendo ogni dialogo con la stampa, salvo poi indire una conferenza nella quale alcuni anarchici porsero ai cronisti accorsi libidinosi carcasse di pollo e scarti di macelleria.
Oltremodo curioso ed inquietante fu inoltre lo stato di estremo isolamento nel quale gli squatter vennero a trovarsi per lunghi periodi, anche all’interno della stessa area anarchica e nei confronti dei centri sociali che avevano assunto posizioni di collaborazione con le istituzioni.

Il Leoncavallo e i centri sociali del nord est ad esempio, manifestarono la propria solidarietà partecipando alla grande manifestazione del 4 aprile ma nel mese di agosto, durante il periodo dei pacchi bomba si dissociarono in una conferenza stampa nella quale invocarono il dialogo con il potere per bocca fra gli altri di Luca Casarini, quale portavoce dei centri sociali del nord est.
Una delle cause di questo isolamento è da ricercarsi nell’atteggiamento colpevolmente miope della stampa di sinistra (Il Manifesto, l’Unità, Liberazione, solo per citare gli esempi più eclatanti) che contribuì a diffondere notizie mistificatorie e senza fondamento alcuno secondo le quali Silvano Pelissero avrebbe avuto un passato di estrema destra ed addirittura delle collusioni con i servizi segreti.

Il mese di agosto fu quello dei pacchi bomba, inviati per posta al PM Laudi, al giornalista Genco, al consigliere regionale dei verdi Pasquale Cavaliere (uno dei pochi politici che subito dopo l’arresto si era interessato alla sorte dei tre squatter), a Giuliano Pisapia e al consigliere di Rifondazione di Milano Umberto Gay, pacchi bomba che come sempre accade non esplosero e non fecero danni né vittime. Tali attentati, se così li si può definire, vennero ovviamente rivendicati dai lupi grigi, la fantomatica organizzazione alla quale i tre anarchici erano stati accusati di appartenere.
Nonostante gli squatter si fossero immediatamente proclamati estranei alla cosa ed anche un bambino sarebbe riuscito facilmente a capire che ben altre mani si celavano dietro ai pacchi bomba, questa diventò l’occasione per criminalizzare ulteriormente il movimento ed isolarlo definitivamente dalla solidarietà della sinistra e dei centri sociali.

Tutta la drammatica storia di Sole, Baleno e Silvano ha come sfondo la costruzione della linea del TAV, adibita ai treni ad alta velocità.
Un progetto nel quale sono in gioco enormi interessi economici, interessi nel nome dei quali s’intende sventrare una delle più belle valli alpine con conseguenze a dir poco drammatiche non solo dal punto di vista ecologico ma anche da quello umano, poiché le realtà abitative dei residenti verranno stravolte in maniera significativa senza oltretutto ci sia per loro alcun genere di ritorno economico. In Valsusa inoltre, fin dai primi anni 90 s’intrecciano oscure vicende legate ai servizi segreti, ai carabinieri ed alla ndrangheta calabrese. Vicende che costituiscono un retroterra nebuloso e intricato, con vari personaggi inquietanti che si muovono nell’ambito della valle, evidentemente attratti dalla grande quantità di denaro che sta per affluirvi.

Fra l’agosto del 1996 ed il gennaio del 1998 in Valle di Susa si verificano numerosi atti di sabotaggio diretti contro centraline elettriche, trivelle, impianti della Sitaf, della Telecom, Omnitel e un ripetitore Mediaset.
Alcuni di essi possono facilmente essere ricondotti, per la scarsa difficoltà nel metterli in atto, all’arrabbiata reazione di qualche valligiano, altri invece sono stati compiuti da mani evidentemente più esperte.
Il furto e conseguente incendio nel municipio del comune di Caprie, l’unico “attentato” avvenuto in Val Susa del quale Laudi e Tatangelo cercano di addossare la responsabilità ai tre anarchici, è un accadimento che appare subito palesemente non avere nulla a che fare con la sequela dei sabotaggi avvenuti fino a quel momento, in quanto l’obiettivo (uno degli 11 comuni che fin dall’inizio si sono opposti all’alta velocità) non ha alcuna contiguità con quelli precedenti.
Innumerevoli furono le incongruenze nelle accuse che venivano mosse ai tre giovani.
Fin dall’inizio fu evidente come le indagini anziché partire da indizi precisi nel tentativo di arrivare ai colpevoli seguissero invece la logica perversa d’iniziare il tutto dai colpevoli preconfezionati per poi costruire intorno a loro delle prove che fossero in grado d’inchiodarli.
Le intercettazioni ambientali e l’uso delle telecamere non fornirono mai agli inquirenti delle prove tangibili ma vennero tuttavia usate in maniera pretestuosa nel tentativo di suffragare una tesi accusatoria che potesse sembrare verosimile. Alla stessa stregua vennero mistificati i risultati delle varie perquisizioni che mai avevano portato al ritrovamento di qualcosa di significativo.

Nonostante tutto il castello accusatorio fosse palesemente improponibile i colpevoli ormai erano stati scelti ed il teatrino dell’assurdo continuò e si trattò di una rappresentazione intrisa di morte, di rabbia e di dolore.
Credo ci sia una sola maniera di ricordare Sole e Baleno ed è la maniera nella quale da sempre lo fanno tutti coloro che gli erano e gli sono vicini.
Credo sia giusto ricordarli con la dignità che spetta a due ragazzi che hanno trovato la morte mentre erano ingiustamente privati della loro libertà. Ammazzati da una macchinazione meschina, da chi l’ha messa in atto e ne ha tirato le fila, da chi l’ha sostenuta rendendola possibile, nonché da tutti coloro che con il proprio vigliacco qualunquismo hanno fatto si che l’urlo della protesta si perdesse nel nulla. Credo la maniera migliore di ricordarli sia quella di non rinunciare mai alla libertà del nostro pensiero, alla convinzione nelle nostre lotte, ad essere uomini e donne che non si lasciano strumentalizzare, che non sono disposti a diventare pedine nelle mani del potere, che non sono disposti ad arrendersi, né ora né mai.

giovedì 29 luglio 2004

Un Fiorino

Marco Cedolin

Negli ultimi 40 anni il potere d'acquisto di un salario in Italia si è ridotto ad un quarto di quello preesistente.
All'inizio degli anni 60 una cena al ristorante per tre persone costava circa 2000 lire (1 euro), oggi 3 persone al ristorante con 100.000 lire (50 euro) faticano a mangiare.
Un salario base nei primi anni 60 era di circa 150.000 lire (75 euro) col quale, poiché la matematica non è un'opinione si poteva cenare in 3 al ristorante la bellezza di 75 volte, nel caso si detestasse proprio restare a casa la sera.
Oggi un salario base si aggira sui 2.000.000 di lire (1000 euro) con i quali 3 persone, se il frigorifero è vuoto, potranno cenare al ristorante 20 volte.
Negli anni 60 una famiglia con un figlio, nella quale lavorava una persona sola, riusciva conducendo una vita normale e dignitosa a destinare al risparmio circa un terzo delle proprie entrate.
Oggi la stessa famiglia, nella quale però lavorano entrambi i coniugi non riesce ad arrivare a fine mese ed il più delle volte sfora il tetto delle proprie entrate, vedendosi costretta a ricorrere al credito al consumo.


Agosto ormai è praticamente arrivato, la TV ed i giornali che da oltre un mese si limitano a tenerci informati, con dovizia di particolari, riguardo alle liti fra AN e UDC, Lega e UDC, AN e Lega, nonché a renderci edotti del fatto che fa caldo, occorre bere molto e seguire la dieta mediterranea, stanno già preparandosi a documentare, con l'enfasi deputata agli eventi di massima importanza, l'evolversi del grande esodo che a fine settimana indurrà milioni d'italiani ad esondare festanti dalle grandi città verso i luoghi di villeggiatura.
Il governo però, o meglio quella congrega d'incompetenti che si stanno profondendo nella non difficile impresa di traghettare l'Italia verso l'Argentina, sembra stia approfittando proprio del comprensibile disimpegno generalizzato, indotto dalla canicola e dal desiderio di vacanza, per scagliare verso il cittadino alcuni colpi ferali che contribuiranno a renderlo sempre più sudamericano.
E' di qualche giorno fa la fiducia imposta sulla manovra finanziaria che ha raddoppiato il coefficiente di rivalutazione catastale sulle seconde case, sui terreni ed altri fabbricati (ai fini dell'imposta di registro) nonchè aumentato le marche da bollo.
E' di ieri la fiducia (la sesta in 3 mesi) imposta ed ottenuta dal governo riguardo alla scandalosa riforma delle pensioni. Una riforma che peserà come un macigno sulle spalle degli italiani e non mancheremo in futuro di analizzare dettagliatamente.
Per ora mi limito a constatare il fatto che gli unici lavoratori per i quali in futuro non varranno le nuove regole, saranno i militari e le forze di polizia, una sorta di “razza eletta” tutelata e coccolata dal governo, sia dal punto di vista economico, sia da quello penale, quando i suoi membri devono rispondere di qualche reato dinanzi alla legge.
Nonché a mettere in evidenza gli assurdi e criminali incentivi previsti per coloro che resteranno al lavoro pur avendo maturato i requisiti per la pensione d'anzianità. Più 32,7% in busta paga per questi signori che contribuiranno a lasciare senza lavoro i propri figli e nipoti.

Come se non fosse già sufficientemente penoso assistere all'ennesimo record raggiunto dal prezzo della benzina, che ha sforato quota euro 1,20 si è pensato di tirare un nuovo calcio in faccia agli automobilisti (termine che racchiude praticamente tutti i cittadini italiani maggiorenni e non ancora ottuagenari) e l'autore del nobile gesto è da ricercarsi nella persona del ministro per le infrastrutture ed i trasporti Pietro Lunardi. Un uomo che in qualunque paese civile sarebbe inibito dal ricoprire questo ruolo, essendo palese e gravissimo il conflitto d'interessi fra la sua attività di ministro e la gestione della Rocksoil, azienda di famiglia, fra le principali imprese di costruzioni autostradali, legata a doppio filo alla Società Autostrade e direttamente impegnata nella costruzione delle “grandi opere.”

Lunardi ha reso edotti gli italiani del suo progetto, già inserito nel “programma infrastrutture strategiche” allegato al documento di programmazione finanziaria, che consisterà nell'estendere il pedaggio autostradale anche a 4500 km. di strade statali gestite dall'Anas. I tratti nei quali sarà imposto il balzello sarebbero perfino già stati scelti dal ministero e saranno, pare di capire, strade statali ad alta percorrenza.
Lunardi ha poi chiuso il proprio intervento affermando trattarsi di un giusto prezzo che i cittadini dovranno pagare per avere servizi di livello e spiegando che le nuove risorse serviranno a finanziare la costruzione delle “grandi opere”.
Nonché additando gli abitanti del sud come sanguisughe che non hanno mai pagato i pedaggi autostradali.

L'automobilista italiano (noi tutti) già vessato dalla piovra delle assicurazioni, dal vergognoso prezzo della benzina (costituito in buona parte da tasse) da quella ridicola messinscena a scopo di lucro che è la patente a punti, dalla vessazione delle super multe comminate illegalmente tramite l'ausilio delle telecamere, dalla tangente dei ticket posteggio che levitano ogni giorno, da un'esosa tassa di circolazione (pagata per avere servizi di livello) e ormai diventata in realtà una tassa di possesso; sarà chiamato dunque a svenarsi, ancora una volta e ancora un po' di più.
A svenarsi per finanziare la vergognosa cementificazione della pianura padana fra Torino e Milano, una delle più aberranti ed inutili opere che siano state intraprese in Italia.
A svenarsi per far si che nel nome del TAV, una vallata alpina come la Valle di Susa, venga sventrata e stuprata in ossequio ad un progetto senza senso.
A svenarsi perché anziché investire nella sanità, nell'occupazione e nella scuola, un governo ebete possa perseguire la costruzione di quella sorta di torre di Babele che sarà il ponte sullo stretto di Messina.
A svenarsi per foraggiare la Rocksoil, proprietà del ministro che disserta di giusti prezzi e grandi opere da finanziare.

Andiamo tutti a goderci i servizi in TV sul gioioso dipanarsi del grande esodo, felici del fatto che la TV si possa finalmente vedere, con piccola spesa, anche sullo schermo del nostro telefonino, che emozione la tecnologia.
Chi siete? Quanti siete? Cosa trasportate?, si, ma quanti siete? Un fiorino!