Marco Cedolin
Lo sciopero della sanità indetto per lunedì 9 febbraio in tutela del “diritto alla salute” dei cittadini e contro le riforme del governo in materia sanitaria offre lo spunto per una riflessione sull’argomento, osservandolo dall’angolazione del malato, termine per forza di cose omnicomprensivo in quanto prima o poi tutti, ma proprio tutti, ci siamo trovati o ci troveremo in questa condizione.
Imputare al governo Berlusconi tutte le colpe di un sistema sanitario prossimo al collasso, minato da un marasma senza fine di storture e disservizi sarebbe un’operazione semplice ma non renderebbe certo giustizia alla verità. Al cavaliere si può addurre solo la colpa (e non si tratta di cosa da poco) di aver peggiorato una situazione preesistente già molto problematica, rendendo il “curarsi” un’operazione ormai insostenibile per una larga fetta della popolazione.
La riproposizione dei ticket, le liste di attesa che si protraggono in molti casi al limite della vergogna, il drastico taglio dei finanziamenti al servizio sanitario nazionale, mistificato sotto forma di una fantomatica “riorganizzazione”, il patetico tentativo di scimmiottare il discutibile modello americano, senza peraltro che esistano i presupposti per poterlo fare, sono solo alcuni dei punti che contribuiscono a rendere la situazione di chi si ammala ancora più dolorosa e problematica di quanto già essa non lo sia.
L’enorme autonomia di gestione in materia sanitaria che avranno le Regioni alla luce di quella “riforma”, che passa sotto il nome di federalismo o devoluzione pur essendo in realtà solamente un asservimento agli interessi di pochi, contribuirà inoltre a costruire in Italia 21 pessimi servizi sanitari, ognuno dei quali con le proprie regole, all’insegna della sperequazione sociale fra i cittadini.
Chi si ammala insomma sarà costretto sempre più a ricorrere a quell’ignobile confraternita di ricattatori senza scrupolo che costituiscono il sistema sanitario a pagamento, sempre ammesso ovviamente che ne abbia la disponibilità. Visite da 200 euro per garantirsi immediatamente il letto per un intervento altrimenti inarrivabile in una tempistica logica, esami e accertamenti da fare a pagamento il giorno dopo, poiché fra sei mesi potrebbero non servire più. L’alternativa per le classi non abbienti rimane una sola, curarsi male e tardi, senza che venga data loro la possibilità di combattere la malattia nei tempi e nei modi dovuti.
Scioperano dunque i medici, una categoria fra le più variegate e ricca di contraddizioni, una categoria il cui contratto è scaduto da due anni (ma in Italia i contratti scaduti rappresentano ormai la normalità), una categoria che comprende tanti ottimi dottori che percepiscono uno stipendio fra i più bassi d’Europa e altrettanti dottori “di nome” che, se privatamente non operassero totalmente in nero, fatturerebbero come una piccola industria.
Ho sentito da più parti i media dell’informazione esternare preoccupazioni per i disagi nei quali i malati sono incorsi lunedì ma raramente si parla dei disagi che i malati devono affrontare durante tutto l’arco dell’anno.
Persone già minate nel corpo e nello spirito, sulle quali si specula vigliaccamente in un vergognoso mercimonio della salute umana. Ben venga questa giornata di sciopero se, come spero riuscirà a destare l’attenzione dell’opinione pubblica, inebetita nel proprio microcosmo telediversivo.
Ammalarsi e ritrovarsi poveri (magari proprio a causa della malattia) è una disgrazia che può capitare a tutti, negare al malato senza portafoglio il diritto alle cure appropriate nei modi e nei tempi che la malattia stessa impone è solo l’ennesima manifestazione del cinismo col quale l’arrogante società contemporanea tratta le classi più deboli e disagiate. Un cinismo dinanzi al quale ciascuno di noi dovrebbe sentire il dovere d’indignarsi ogni giorno della settimana, di tutte le settimane del mese, di tutti i mesi dell’anno, perché la vergogna non si può relegare ad una data sul calendario.
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