venerdì 23 ottobre 2009
Costruire la decrescita
Marco Cedolin
Tratto da "Grandi Opere"
Una delle maggiori critiche che vengono sistematicamente rivolte alla decrescita è quella di rappresentare un’alternativa troppo estrema rispetto al modello di sviluppo attuale basato sulla crescita, che risulterà per forza di cose inapplicabile in quanto intrisa di utopia.
In realtà basta leggere la storia per rendersi conto che le società basate sui criteri che fanno parte della filosofia della decrescita hanno caratterizzato buona parte del vissuto dell’umanità ed è proprio il modello sviluppista ad avere rappresentato da poco più di un secolo un’alternativa tanto estrema quanto inapplicabile nel lungo periodo. Tutte le società antiche erano profondamente consapevoli di quanto fosse importante tenere nella massima considerazione gli equilibri naturali e creare un rapporto armonico con l’ambiente. Per migliaia di anni fino al XVIII secolo ed anche oltre l’attività contadina si è svolta applicando la riproduzione durevole, volta a garantire la ricostituzione delle risorse naturali che venivano sfruttate per il mantenimento. Gli alberi abbattuti per costruire case e navi venivano sistematicamente ripiantati, perché anche in futuro fosse possibile costruire altre case ed altre navi, contrariamente a quanto avvenuto nel XX secolo quando l’inseguimento della crescita economica ha determinato il dimezzamento della superficie boscosa della terra, passata in soli 100 anni da 5 a 2,9 miliardi di ettari.
Alain de Benoist ci fa notare a questo proposito come in un solo secolo, per sostenere lo sviluppo, l’uomo abbia consumato buona parte delle scorte che la natura aveva impiegato 300 milioni di anni a costruire, senza essersi minimamente premurato di garantirne la rigenerazione per il futuro.
Tutte le culture antiche rifuggivano lo spreco, considerandolo in molti casi un peccato che metteva a repentaglio la sopravvivenza. La sobrietà, la reciprocità e gli scambi non mercantili sono stati largamente praticati per migliaia di anni, mentre solo durante l’ultimo secolo si è assistito alla mercificazione di tutto l’esistente e alla glorificazione dello spreco ritenuto un vero e proprio dovere civico in quanto elemento trainante del consumismo.
Le pratiche che caratterizzano una società della decrescita non costituiscono pertanto delle eccentriche utopie, ma al contrario manifestano un carattere di continuità con gli atteggiamenti che l’umanità ha sempre mantenuto nel corso della propria storia. La decrescita si propone di ridurre i danni provocati da un’alternativa ormai fuori controllo quale è il sistema sviluppista, riportando il rapporto fra l’uomo e l’ambiente in cui vive, all’interno di una logica che consenta la sopravvivenza della biosfera, per il nostro futuro e per quello dei nostri figli. Quella della decrescita si rivela perciò una scelta quanto mai concreta e fattibile, anche se inevitabilmente non mancherà di scontrarsi con i grandi interessi finanziari, industriali e politici.
Per scendere dal treno della crescita e salire a bordo del convoglio che viaggia nella direzione opposta, occorre mettersi in gioco in prima persona ma anche agire collettivamente. Per costruire una società della decrescita è indispensabile un impegno collettivo che riesca ad influenzare le scelte della politica. Qualunque programma di ristrutturazione degli edifici in chiave di risparmio energetico potrà essere applicato con successo ed incidere in maniera concreta solamente qualora appoggiato e sostenuto dalle amministrazioni pubbliche con interventi che vadano nella giusta direzione. Alla stesa stregua occorre una volontà politica perché possa essere incentivata la pratica del riciclaggio eliminando l’incenerimento, perché si possano ottenere dei risparmi energetici attraverso la riduzione degli sprechi e l’autoproduzione di energia, perché si possa riconvertire l’industria automobilistica alla produzione di micro-cogeneratori, perché nelle nuove costruzioni e nelle ristrutturazioni sia privilegiato il riuso dei materiali provenienti dalle demolizioni e l’utilizzo di materiali locali, per creare economie autocentrate e filiere corte, per favorire lo sviluppo delle aziende contadine finalizzate all’autoproduzione, per ridurre la schizofrenica movimentazione delle merci, per riavvicinare i cittadini al proprio luogo di lavoro riducendo così il pendolarismo esasperato, per promuovere un uso virtuoso della tecnologia che prescinda dalla costruzione di grandi opere tanto devastanti quanto inutili.
Fino a quando l’azione politica verrà unicamente determinata dagli interessi dei grandi poteri economici e finanziari non potrà esserci spazio per programmi ed azioni che prescindano dalla costruzione di sempre maggiore crescita e l'incremento del PIL resterà l’unico metro di giudizio attraverso il quale valutare la bontà delle scelte politiche. Qualunque cambiamento d’indirizzo politico che vada nella direzione della decrescita dovrà pertanto essere stimolato partendo “dal basso” attraverso la partecipazione popolare, coinvolgendo per forza di cose quella sempre più ampia parte della società che sta iniziando a manifestare malessere ed insofferenza trovandosi a convivere con gli effetti devastanti della politica sviluppista. La possibilità di un cambiamento reale si giocherà pertanto proprio sul terreno della capacità di partecipazione delle “persone normali” che hanno iniziato ad affrancarsi dai dogmi della crescita e dello sviluppo attraverso l’acquisizione di nuovi saperi e nuove conoscenze. Tanto maggiore sarà il loro grado di consapevolezza e la disponibilità a mettersi in gioco, tanto più incisiva risulterà la loro azione nel determinare scelte politiche che tengano conto dei loro reali interessi.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
6 commenti:
Ti ringrazio ti ho aggiunto al blogroll e a "scambio link". A presto, Edoardo!
Grazie a te Edoardo.
A presto
Marco
Caro Marco, tipico è di questo sistema, etichettare il dissenso e relative alternative come un qualcosa di impossibile o addirittura utopistico. Ma se guardiamo a loro, che per uscire dalla crisi affermano in primis che serve fiducia, e come ben tu sai la fiducia è una sensazione e non una pianificazione concreta,vuol dire che siamo alla frutta. Non hanno alternative, tranne riaffermare un sistema che distrugge ambiente, e svilisce gli esseri umani. Fortunatamente però, non ne escono nemmeno loro. E intanto il pianeta per un po' respira.
Un caro saluto.
Marco.
Caro Marco,
la tua osservazione riguardo alla fiducia che rappresenta una sensazione e non una pianificazione completa, è davvero molto bella e significativa.
Sono alla frutta e lo dimostrano in tanti modi, anche preoccupandosi delle sensazioni anzichè della realtà.
Un caro saluto
Marco
Caro Marco
vorrei segnalarti, con un po' di ritardo, un articolo di Repubblica, risalente ad un paio di settimane fa, riguardante la Cina e il numero sempre crescente di esponenti della classe media. L'estensore dell'articolo (non ricordo il nome, ma non era Rampini)concludeva affermando che sarà l'aumento vertiginoso del numero di consumatori cinesi della classe media a salvare l'economia mondiale, col bel carico di domanda che ne consegue.
Ora io mi chiedo: è possibile una così colossale "ingenuità"? E'così difficile ipotizzare, invece, un ulteriore corsa alla crescita, allo sperpero, alla distruzione sistematica di ambiente e buon senso? Se solo la metà dei cinesi arrivasse a consumare con le stesse modalità degli statunitensi, il nostro pianeta non basterebbe più. Ma sarebbe salva la CRESCITA!
Cosa ne pensi?
Sia ben chiaro: non voglio che i cinesi restino sotto la soglia di sussistenza, ma in qualche misura il fenomeno andrebbe governato, a cominciare da un riequilibrio mondiale delle risorse e delle ricchezze.E qui si sconfina nell'utopia.Ma guai se non ci fosse...
Posta un commento