Marco Cedolin
A partire dall’inizio del secolo scorso l’amianto è stato utilizzato nei più svariati ambiti d’uso,
in virtù delle proprie qualità ignifughe, delle proprietà isolanti e
della duttilità con cui poteva essere lavorato. Nonostante già negli
anni 40 fosse noto come l’esposizione alle fibre di asbesto potesse
provocare il mesotelioma pleurico (un tumore maligno particolarmente
aggressivo con tasso di mortalità del 100%), altre forme di carcinomi maligni
e naturalmente l’asbestosi, fin quasi alla fine del secolo l’amianto
venne estratto e utilizzato in maniera sempre più smodata. Nella
coibentazione degli edifici, così come delle navi e dei treni, come
materiale da costruzione nell’edilizia (il tristemente noto Eternit)
per fabbricare tegole, tubazioni, pavimenti, canne fumarie, ripiani dei
forni per la panificazione, nella produzione delle auto, delle tute dei
Vigili del fuoco, degli assi da stiro, nella fabbricazione della
plastica, dei cartoni, della corda, perfino come coadiuvante nella
filtrazione del vino....
Insomma fino al 1992, anno in cui la produzione, la lavorazione e la vendita dell’amianto sono state messe fuori legge in Italia,
tutti noi abbiamo vissuto immersi in una sostanza killer che
praticamente era presente dappertutto, nelle nostre case, nei mezzi con i
quali ci spostavamo, così come nei luoghi dove lavoravamo. Per non
parlare dei lavoratori che estraevano l’asbesto dalle cave, come a
Balangero, o di coloro che lo lavoravano, come i migliaia di dipendenti
della Eternit di Casale Monferrato. E di tutte le persone che vivevano in prossimità delle cave o delle industrie di produzione.
Bisogna inoltre tenere conto del fatto che una fibra di amianto è
1300 volte più sottile di un capello umano e può pertanto venire
trasportata dai venti a grande distanza, mentre risulta estremamente
difficile bloccarla con dei filtri. Inoltre se è vero che un’esposizione prolungata
nel tempo ad elevate quantità di fibre d’amianto (come accadeva ai
lavoratori e ai loro familiari che venivano a contatto con gli
indumenti) aumenta significativamente la probabilità di contrarre il
mesotelioma o l’asbestosi, lo è altrettanto il fatto che non esiste una
soglia di rischio al di sotto della quale la concentrazione di fibre di
amianto nell’aria non sia pericolosa. Una sola fibra d’amianto, qualora
inalata, potrebbe insomma essere sufficiente per innescare le patologie
di cui sopra.
Abbiamo scritto che dal 1992, in virtù della legge 257 la produzione,
la lavorazione e la vendita dell’amianto sono state dichiarate fuori
legge in Italia, ma questo purtroppo non significa che l’amianto sia
sparito dalle nostre vite e con esso il rischio di
ammalarci. Intorno a noi esistono ancora vecchie case e capannoni con i
tetti in Eternit esposti alle intemperie, moltissimi edifici sono ancora
coibentati con l’amianto senza essere stati bonificati, così come le
vecchie carrozze ferroviarie e molto altro ancora.
Secondo le stime di Cnr-Inail e dell’Osservatorio nazionale amianto,
in Italia esistono ancora circa 40 milioni di tonnellate di amianto da
bonificare e sono ben 96mila i siti contaminati
da amianto censiti dal ministero dell’Ambiente. Ad oggi sono state
censite sul territorio nazionale 370.000 strutture che hanno circa
58.000.000 di m2 di coperture in cemento amianto, ma finora solamente 6
Regioni hanno effettuato il necessario censimento, per cui le cifre
reali saranno per forza di cose molto più alte.
Tra tutti i rifiuti esistenti quelli contenenti amianto
sono secondi solamente ai rifiuti solidi urbani e primi in assoluto nel
novero di quelli nocivi, l’85% di essi è costituito da cemento-amianto.
Proprio per questa ragione in Italia, oltre 25 anni dopo la sua messa al bando, l’amianto provoca ancora 6000 morti ogni anno,
mentre l’Organizzazione mondiale della sanità ha calcolato che nel
mondo sono 125 milioni le persone esposte al rischio amianto e si
calcola che l’impatto economico dell’asbesto nei Paesi della UE sia pari
a 410 miliardi l’anno, lo 0,7% del suo PIL.
Questo accade poiché la legge 257 del 1992 che ha messo al bando
l’amianto non impone l’obbligo di dismissione di tale sostanza o dei
materiali che la contengono, operazione per effettuare la quale
sarebbero necessarie enormi risorse economiche.
L’amianto una volta rimosso dal luogo dove era allocato deve essere
smaltito all’interno di discariche per rifiuti speciali (la tecnica in
assoluto più utilizzata ma che non rappresenta una soluzione definitiva
al problema) o reso inerte attraverso una complessa serie di procedure
che comportano una totale trasformazione cristallochimica delle fibre,
rendendo di fatto il materiale riciclabile, e in entrambi i casi si
tratta di operazioni estremamente costose di cui nessuno intende
assumersi l’onere.
Inoltre le discariche adatte a ospitare i rifiuti contenenti amianto in
Italia sono solamente una ventina e una cospicua parte del materiale
viene “esportata” in Germania con conseguente aggravio dei costi.
Senza
dimenticare che il conferimento dell’amianto in discarica non elimina il
rischio del rilascio di fibre nell’ambiente in quanto l’imballaggio può
lacerarsi per decadimento strutturale e rilasciare un numero notevole
di fibre nei percolati, così come le discariche possono subire
fessurazioni per essiccamento o cedimenti differenziali, generando contaminazioni del suolo o delle acque.
Il risultato di questa situazione determina il fatto che quasi una
trentina d’anni dopo la sua messa al bando l’amianto continui ad
albergare fra noi, come un killer silenzioso che purtroppo non ha
smesso di mietere le proprie vittime. Occorre assolutamente un piano
nazionale serio, sostenuto dai necessari cospicui investimenti, per
mappare a livello nazionale tutte le criticità esistenti e smaltire al
più presto l’enorme quantità di amianto ancora presente, possibilmente
privilegiando le tecniche d’inertizzazione che sono in grado di
risolvere definitivamente il problema, piuttosto che non il conferimento
in discarica.
Occorre farlo e farlo presto, perché 6000 morti evitabili ogni anno sono
un prezzo da pagare davvero troppo alto per un Paese che ha la velleità
di definirsi civile.
Fonte: Dolcevitaonline
1 commento:
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