sabato 1 giugno 2019

Dagli Stati Uniti d’America parte la corsa all’oro verde

Marco Cedolin


Esiste un filo per molti versi indissolubile, teso a legare nel bene e nel male gli Stati Uniti al destino della cannabis, un po' come accade in quei rapporti sentimentali fatti di sensazioni forti dove l'amore e l'odio rappresentano per molti versi le due facce della stessa medaglia.
Il marijuana Tax Act, firmato nel giugno del 1937 dall'allora presidente americano Roosevelt, volto ad impedire la coltivazione di qualunque tipo di canapa anche a scopo medico e terapeutico, determinò di fatto la messa al bando della canapa un po' in tutti i Paesi del mondo che non tardarono a seguire in modo compatto l'esempio statunitense. Il provvedimento rappresentò l'acme di una pesantissima campagna di stampa durata alcuni anni nel corso della quale la marijuana venne demonizzata nella maniera più becera, arrivando perfino ad attribuire ad essa alcuni fra i più sanguinosi fatti di cronaca dell'epoca ed ogni tipo di devianza immaginabile....

Così la canapa, diventata nell’immaginario collettivo marijuana (termine fino ad allora usato solamente in Messico) e messa sullo stesso piano dell’eroina e delle droghe sintetiche ben più pericolose, pur essendo una pianta dalle qualità eccezionali, venne bandita senza alcuna esitazione e l’ostracismo è durato per quasi un secolo, praticamente fino ai giorni nostri.
Alla base di una scelta di questo genere non vi fu ovviamente solo l’onda lunga dello spirito proibizionista che permeava la società americana dell’epoca ma anche la spinta dettata dai magnati dell'industria petrolifera e di quella chimica e farmaceutica che nelle grandi potenzialità di questa pianta vedevano un serio pericolo per i propri interessi presenti e futuri.

Oggi a distanza di oltre 70 anni dalla sua messa al bando, la canapa sta iniziando a risorgere dalle proprie ceneri e paradossalmente proprio gli Stati Uniti che ne avevano decretato la fine rappresentano attualmente il Paese trainante di questa riabilitazione.
La California nel 1996 fu il primo Stato a liberalizzare la cannabis per uso terapeutico, ad esso nel tempo si sono uniti Colorado, Stato di Washington, Oregon, Alaska e Washington D.C. e più recentemente Nevada, Maine, Massachusetts, Florida, Michigan, Arkansas, Montana e North Dakota. Ad oggi ben 29 stati hanno liberalizzato la cannabis esclusivamente per l'uso terapeutico, mentre in altri  10, fra i quali la California, è permesso  anche l’uso per scopo ricreativo ed oggi la marijuana viene considerata alla stessa stregua dell’alcool, la produzione al fine della vendita con regolari licenze concesse dallo stato è tassata con un’accisa del 15% ed è consentita l’autoproduzione per uso personale fino ad un massimo che a seconda dello stato in questione può variare da 6 a 12 piante.

Il presidente americano Donald Trump ha recentemente firmato l'Agriculture improvement act che fra le altre norme legalizza la produzione di canapa negli USA e l’FDA ha dichiarato la propria intenzione di rendere nei prossimi mesi più efficienti i percorsi per chi vuole produrre e commercializzare la cannabis ed i suoi derivati, incluso il cannabidiolo (CBD).
La nuova legge approvata da Donald Trump permetterà l'ingresso sull'intero territorio statunitense di un'infinità di prodotti a base di canapa e per i contadini statunitensi sarà molto più facile ottenere i permessi per coltivare la canapa e portare sul mercato i suoi derivati. Inoltre la nuova legge ha rimosso la canapa dall'elenco delle sostanze controllate a livello federale consentendone una produzione commerciale, ammesso che le piante non contengano più dello 0,3% di THC. Dovrebbero pertanto venire eliminate le difficoltà commerciali e gli ostacoli finanziari che finora avevano interessato l'intero settore a causa della mancanza di una normativa su base federale.

Occorre inoltre ricordare come già nel 2017 l’FDA avesse approvato per la prima volta un farmaco a base di CBD, l'Epidiolex, utilizzato per curare l'epilessia, aprendo in questo modo la strada all'utilizzo dei derivati della canapa in ambito farmacologico.
La coltivazione della canapa per uso industriale, negli Stati Uniti da ormai alcuni anni sta sperimentando una crescita vertiginosa e solamente fra il 2016 ed il 2017 è passata da 10mila acri coltivati ad oltre 23mila.
Nel 2017 la vendita al dettaglio di prodotti derivati dalla canapa ha raggiunto gli 820 milioni di dollari, il 22% dei quali costituito da prodotti per la cosmetica e la cura del corpo, il 17% dagli alimenti, il 13% dal tessile, il 23% dal CBD, il 18% dalle applicazioni industriali ed il 2% dalla produzione di carta e materiali per la bioedilizia.
La maggior parte delle stime prevede che entro il 2022 le vendite di CBD negli Stati Uniti possano raggiungere un fatturato di 22 miliardi di dollari, all'interno di un mercato come quello della canapa che si annuncia nel prossimo decennio in crescita esponenziale.
Non è un caso il fatto che quasi tutti i grandi colossi industriali come Philip Morris, Coca Cola, Pepsi, Guinness e molti altri stiano guardando con estrema attenzione al mercato dei derivati della canapa, considerandolo uno dei settori più promettenti  e ricchi di prospettive nel prossimo futuro. Proprio la Coca Cola, un colosso del settore sempre estremamente attento a cogliere le mode del momento, sembra sia seriamente intenzionata a proporre fra non molto in una partnership con il produttore canadese Aurora Cannabis una versione “alla cannabis” del proprio prodotto, utilizzando il CBD come ingrediente.

Come accadde quasi un secolo fa, quando gli USA furono il Paese trainante nel processo di demonizzazione della canapa e nella sua messa al bando a livello mondiale, oggi dunque proprio gli Stati Uniti sembrano profilarsi  con vigore come i maggiori artefici della sua riscoperta, dal momento che senza dubbio la crescente “voglia di canapa” oggi dilagante in America non tarderà a contaminare ben presto anche il resto del mondo.

1 commento:

Marina ha detto...

meno male!!!!!