La notizia è di quelle da
far rizzare i capelli in testa anche a chi più non ce li ha e poco
importa il fatto che Repubblica (primo quotidiano in Italia a
metterla in risalto) la banalizzi attraverso un ridicolo vademecum
che tenta maldestramente di trasferire sulle spalle del cittadino
quelle che sono le pesanti responsabilità della macchina del
progresso.
Secondo una ricerca condotta
da Orb Media (organizzazione no profit di Washington) in
collaborazione con i ricercatori dell’Università statale di New
York e dell’Università del Minnesota, in tutta l'acqua che
beviamo, a prescindere dal fatto che si viva a Roma, a New York o in
Patagonia e che la si beva in bottiglia o dal rubinetto di casa,
esistono fibre di microplastica che entrano nel nostro organismo....
senza che gli scienziati ne
abbiano individuato l'esatta provenienza o sappiano dare indicazioni
sulle conseguenze che l'ingestione potrebbe avere per la nostra
salute.
La concentrazione di tali
fibre risulterebbe essere tutto sommato omogenea nell'acqua dei
cinque continenti e la microplastica non risparmierebbe nessuno,
neppure chi monta in casa un filtro ad osmosi inversa. Si tratta
della prima indagine accurata concernente la presenza di plastica
nell'acqua del rubinetto, anche perché finora la plastica non è mai
stata inserita fra le possibili sostanze contaminanti che vengono
ricercate all'interno dell'acqua potabile.
Riguardo alla provenienza
non ci vuole in fondo molta fantasia, se pensiamo che nel mondo si
producono ogni anno 300 milioni tonnellate di plastica e dagli anni
50 ad oggi ne sono stati prodotti oltre 8,3 miliardi di tonnellate.
Tenendo conto del fatto che circa il 40% della plastica prodotta
viene usata una sola volta, generalmente per pochi minuti, prima di
finire nel secchio della spazzatura. E della peculiarità che molti
elementi di plastica, in particolare le fibre sintetiche, rilasciano
grandi quantità di microplastica nell'aria e circa 700mila fibre nell'acqua ad
ogni lavaggio.
Riguardo agli effetti delle
fibre di microplastica sul nostro organismo sembra esserci invece
soltanto molta confusione. I ricercatori non sono in grado di dire se
esista un bioaccumulo all'interno del corpo umano, non sanno se la
microplastica all'interno dell'organismo possa influire sulla
formazione delle cellule e quindi concorrere all'epidemia di tumori
che caratterizza la modernità e neppure se possano rappresentare un
vettore per gli agenti patogeni.
Sicuramente costituiscono un
elemento estraneo all'interno del nostro corpo, con il quale siamo e
saremo costretti a fare i conti giorno dopo giorno.
La macchina del progresso
che si muove sull'asse produzione/consumo ha sicuramente delle
responsabilità enormi all'interno di questo problema, così come
responsabilità enormi le ha il mondo scientifico che da decenni è
consapevole dell'accumulo delle fibre di plastica all'interno della
vegetazione e degli animali. Scaricare le responsabilità sul
cittadino comune, invitandolo a non usare i sacchetti di plastica e
le cannucce, a lasciare a casa il proprio pile o portarsi in giro una
bottiglia di vetro personale, così come fa Repubblica, è solamente
un tentativo puerile di nascondere il vero problema, costituito da un
progresso che nel suo sogno di onnipotenza ha perso di vista le più
elementari logiche di buonsenso.
La speranza è che la
questione venga affrontata scientificamente in maniera seria,
possibilmente in tempi brevi, e non utilizzata per false battaglie
ecologiche (modello riscaldamento globale) aventi come unico scopo
l'imposizione di balzelli e la costruzione di un business ecologico
che non eliminerebbe le fibre di microplastica, ma metterebbe un
sacco di miliardi nelle tasche di quegli stessi soggetti che il
problema l'hanno ingenerato e ora dandocene la colpa avrebbero la
presunzione di aiutarci a risolverlo.
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