Marco Cedolin
Il rapporto “Ecomafia 2008” redatto da Legambiente è oggi in prima pagina sulla maggior parte dei quotidiani nazionali. I dati raccontati nello studio fotografano una realtà gravissima, per molti versi disarmante per grandezza ed estensione del fenomeno.
Un fatturato di 18,4 miliardi di euro nel solo 2007, 83 reati contro l’ambiente ogni giorno, una quantità di rifiuti speciali equivalente ad una montagna di 2000 metri con base di 3 ettari che “spariscono” ogni anno, 293 clan coinvolti, 30124 gli illeciti accertati, 22069 le persone denunciate, 9074 i sequestri effettuati. Al primo posto per illegalità nel ciclo dei rifiuti è sempre la Campania, seguita dal Veneto e dalla Puglia.
Il presidente generale di Legambiente Vittorio Cogliati Dezza auspica la contrapposizione all’ecomafia di un sistema legale eco sostenibile e propone l’introduzione dei delitti contro l’ambiente nel nostro Codice penale.
Il ministro dell’Ambiente Stefania Prestigiacomo dichiara di ritenere necessario da parte dello Stato riconquistare questo settore alla legalità.
Eppure i confini fra l’ecomafia e le imprese che agiscono illegalmente, lo Stato che dovrebbe reprimere l’illegalità e l’imprenditoria “onesta” che avrebbe interesse ad operare correttamente, non sono così netti come si sarebbe indotti a credere ascoltando le parole degli uomini politici, leggendo gli articoli dei giornali e anche lo stesso rapporto di Legambiente. Si tratta di confini dai contorni sfumati dove molto spesso l’intreccio del malaffare spazia all’interno di quelle stesse istituzioni che avrebbero il compito di combatterlo, erodendo qualsiasi sistema di controllo e coinvolgendo le maggiori imprese del paese.
Una cospicua parte delle 22069 persone denunciate è composta da uomini dello Stato, consiglieri comunali, assessori, sindaci, presidenti di istituzioni pubbliche o pubblico- private e perfino di province e regioni, come il caso di Bassolino sta tristemente a dimostrare. Una cospicua parte dei 30124 illeciti accertati sono stati compiuti da grandi e piccole imprese che operano in regime di general contractor o hanno comunque ricevuto gli appalti da parte dello Stato. Impregilo che ha pesantissime responsabilità nel disastro dei rifiuti di Napoli è stata “premiata” proprio dallo Stato con svariati appalti concernenti le tratte del TAV, linee di metropolitana e il controverso Ponte sullo stretto di Messina. Fra i 9074 siti oggetto di sequestro moltissimi riguardano appalti pubblici dove spesso controllato e controllore coesistevano all’interno di un unico soggetto in palese conflitto d’interesse.
Prima di esplicitare proclami volti alla riconquista della legalità, invocare nuove norme legislative, giustificare qualsiasi disastro ambientale imputandolo alla camorra, quasi si trattasse di un paese straniero e non di un cancro ben presente all’interno delle nostre istituzioni, sarebbe bene fermarsi un attimo a riflettere e porsi una semplice domanda.
Quanta ecomafia è presente all’interno dello Stato e quanto Stato costruisce profitti miliardari operando con l’ecomafia nell’ambito di un unico sodalizio criminale?
Solo dopo avere chiarito questo punto sarà lecito preoccuparsi di come salvaguardare la salute dei cittadini e l’integrità dell’ambiente attraverso l’operato dello Stato, quello Stato che con l’ecomafia non ha nulla a che fare, se ancora esiste.
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