Marco Cedolin e Massimo Mazzucco
In un colpo solo la dirigenza di Rifondazione Comunista è riuscita ad offendere la logica, a svelare il grande inganno della "democrazia", e a distruggere quel poco di immagine progressista che ancora riusciva a conservare, se non per merito proprio, per l'affannosa e patetica corsa al centro di tutto il resto della cosiddetta sinistra.
Leggiamo e commentiamo il comunicato ufficiale [link] che il partito ha diramato in occasione dell'"allontanamento" del senatore Turigliatto, per essersi astenuto al momento del voto sulla guerra in Afghanistan:
Allontanamento Turigliatto. Il dispositivo del collegio di garanzia
Il dispositivo è stato approvato con 14 voti favorevoli, sei contrari. Totale membri del collegio di garanzia:
(Visto che quattrodici più sei fa ventuno, vorrà dire che i membri del collegio possono astenersi. Turigliatto no.).
Al Compagno Senatore
Franco Turigliatto
Alla Direzione Nazionale
PRC - sede
Il C.N.G. riunito in seduta plenaria in Roma presso la sede del P.R.C. il giorno 1° marzo 2007 ha esaminato e discusso la posizione del compagno Senatore Franco Turigliatto deferito a questo Collegio dalla Direzione Nazionale del Partito.
Fatto: il compagno Turigliatto non ha partecipato al voto sulla Relazione di politica estera fatta dal Ministro degli esteri a nome del Governo nella seduta del 21. 2. 2007, nonostante che gli organismi dirigenti del PRC ed il gruppo senatoriale avessero deciso di approvare la Relazione stessa.
La Relazione di politica estera non ha avuto i voti necessari per l'approvazione per cui si è aperta la crisi di Governo con le dimissioni del Presidente del Consiglio.
La non partecipazione al voto del compagno Turigliatto se non è stata la causa della caduta del Governo, ha tuttavia creato grave tensione all'interno e difficoltà all'esterno del Partito, indicato come corresponsabile primo della crisi, come quello che avrebbe aperto la porta ad un possibile ritorno della destra alla guida del Governo.
A ben comprendere quindi, la colpa di Turigliatto non sarebbe quella di una astensione "ideologicamente" contraria alla linea politica indicata dalla direzione, ma il rischio di perdere la "cadrega" collettiva.
Sottoposto a procedimento disciplinare il compagno Franco Turigliatto è stato sentito dalla Presidenza del CNG nell'audizione del 28. 2. 2007. Il compagno Turigliatto ha sostenuto il diritto di esprimere le proprie opinioni politiche. E' stato chiesto al compagno se il suo comportamento poteva essere considerato un unicum cui non ne sarebbero seguiti altri. La risposta è stata che certamente lo avrebbe reiterato.
Questo in effetti è abbastanza grave. Un politico che intenda comportarsi una maniera coerente, e che lo dichiari pure in anticipo, è una mina vagante che nessun partito serio oggi si può più permettere.
Diritto: lo Statuto del PRC garantisce ad ogni iscritto il diritto di esprimere anche pubblicamente le proprie opinioni politiche (art. 3) ed il dissenso politico non può essere motivo di applicazione di misure disciplinari (art. 52). Ma accanto a questo diritto universalmente garantito lo Statuto pone dei doveri che attengono non all'universalità degli iscritti ma segnatamente a coloro che sono eletti alle cariche pubbliche.
In altre parole, al bar puoi dire quello che vuoi, ma se vieni eletto dai cittadini per quello che sostieni al bar, in parlamento non puoi più dirlo.
Questi compagni accanto al diritto al dissenso hanno l'obbligo di conformarsi rigorosamente agli orientamenti del Partito e al regolamento del gruppo nell'esercizio del loro mandato (art. 56).
Se Madre Logica avese un fegato, in questo momento starebbe esplodendo. Come sarebbe a dire "accanto al diritto al dissenso" hai il dovere di conformarti? E' come dire "hai diritto di respirare, ma se apri la bocca ti dò una legnata in testa".
Ma poi, gli "orientamenti del partito" non erano contro l'intervento militare? Come ha sottolineato lo stesso Turigliatto, non erano tutti a Vicenaza a marciare per la pace, solo 48 ore prima?
Nel caso del compagno Turigliatto si tratta dunque non di valutarne le opinioni politiche, ma i comportamenti e valutare quindi se questi e non quelle hanno determinato o meno violazioni dello Statuto ovvero pregiudizio al Partito.
Qui bisognerebbe capire secondo quale benedettisimo ragionamento non dovrebbero essere le opinioni politiche a determinare i comportamenti di un parlamentare. Ma forse stiamo chiedendo troppo.
Il Collegio ritiene che vi sia stata violazione grave dello Statuto da parte del compagno Turigliatto. L'orientamento del Partito verso l'attuale Governo è quello di un sostegno al fine di realizzare il programma concordato.
Ah, ora è più chiaro. "L' orientamento del partito" non ha nulla a che vedere con le idee politiche, è inteso solo in senso letterale. Cioè vuol dire "in che direzione è orientato", a seconda del vento che tira.
Da qui discendeva la decisione del gruppo senatoriale di votare a favore della Relazione di politica estera e da qui l'obbligo dei compagni senatori di conformarsi alla decisione.
Il Collegio ritiene altresì che vi sia stato grave pregiudizio all'organizzazione del Partito. L'intero corpo politico che fa capo al Partito (iscritti ed elettori) è stato posto in difficoltà dalle conseguenze del non - voto e dalla crisi di Governo che ne è seguita.
Ma scusate, non avevano appena detto che "la non partecipazione al voto del compagno Turigliatto se non è stata la causa della caduta del Governo"?
Il Partito si è trovato sotto attacco ed indicato come responsabile della crisi e si è potuta tentare una manovra di spostamento dell'asse politico del Governo. Il Collegio nell'audizione del 28. 2. 2007 ha indicato al compagno Turigliatto la possibilità di una soluzione del caso che escludesse la sanzione dell'allontanamento dal Partito, ma purtroppo tale possibilità è stata respinta sia in quella sede, sia con la dichiarazione di voto da lui espressa nella seduta del Senato del 28. 2. 2007.
Ovvero, ha insistito per restare coerente a se stesso. Pazzesco.
P.Q.M.
Il Collegio Nazionale di Garanzia, con decisione a maggioranza, applica nei confronti del compagno Franco Turigliatto la sanzione dell'allontanamento dal Partito.
In Siberia, si immagina.
Agghiaccianti e al tempo stesso affascinanti nella loro anacronistica sonorità, i toni da guerra fredda che traspaiono da ogni sillaba del comunicato.
Stridente il contrasto fra la severità degli ammonimenti e la leggerezza con la quale si auspica il sacrificio delle idee del singolo (che sono quelle da sempre professate dal partito) in virtù di un “bene superiore” identificato nella posizione utilitaristica del partito che arriva a negare la sua stessa ideologia, sublimandosi nell’eroico tentativo di sbarrare la strada alla destra.
Gioielli incastonati fra le sillabe di un tempo passato le intonazioni solenni con le quali Turigliatto viene messo alla gogna nell’incedere stentoreo del processo inquisitorio.
Patetica e al tempo stesso intrisa di vero eroismo la figura di Turigliatto, così simile a un personaggio Kafkiano che in quel processo si ritrova coinvolto suo malgrado, dopo avere fatto il suo dovere che in quanto politico era quello di rappresentare i propri elettori. Un processo di cui Turigliatto non riesce a capire le ragioni, poiché non vi è ragione alcuna di processarlo che non sia la “ragion di stato”. Gli si rimprovera di non essersi uniformato all’orientamento del partito, ma sarebbe più giusto rimproverarlo di essersi uniformato troppo, fino al punto di non accettare che l’orientamento fosse cambiato diametralmente. Si arriva al punto di graziarlo dall’infamante colpa di avere fatto cadere il governo, ma dopo avergli fatto vedere la luce lo si ricaccia nell’ignominia poiché il suo gesto ha scatenato sul partito le ire degli alleati di governo e l’onta non può mancare di essere lavata col sangue.
Gli si offre la possibilità di redenzione, invitandolo a non sbagliare più, dimenticando che è stato proprio lui a non avere sbagliato.
Formidabile il tono chiaroscurale della chiusa, l’uomo e le proprie idee condannati al confino, all’oblio, il compagno che ha sbagliato condannato all’allontanamento dal proprio partito, dai propri compagni che compagni non lo sono più. O forse non lo sono mai stati.
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