Quando
si cominciò a parlare di TAV Torino - Lione sul finire degli anni
90, il progetto in questione aveva per oggetto una nuova linea ad
alta velocità/capacità tecnicamente assimilabile a quella allora in
fase di costruzione sulla direttrice Torino - Milano - Roma - Napoli,
che sarebbe andata ad aggiungersi alla ferrovia internazionale già
esistente in Val di Susa che consentiva il collegamento fra Torino e
Lione ai convogli tradizionali ed anche ai TGV (treni passeggeri ad
alta velocità francesi). Il progetto primigenio avrebbe avuto
origine nella cintura est del capoluogo piemontese, dove ci sarebbe
stato l'interscambio con la linea TAV Torino - Milano in quel momento
in costruzione e si sarebbe inerpicato attraverso il lato destro
della Valle di Susa, in parte attraverso una serie di gallerie
all'interno di montagne ricche di rocce amiantifere, fino ad arrivare
alla cittadina di Venaus dove sarebbe stato scavato il tunnel di base
di 52 km. Nel complesso l'intero tracciato prevedeva 254 km di cui 47
di tratta nazionale italiana affidata ad RFI, 72 di tratta
internazionale affidata ad LTF (da Borgone a Sain Jean de Maurienne)
e 135 di tratta nazionale francese. Il tutto per un costo previsto
che si aggirava sui 16 miliardi di euro, la metà dei quali a carico
dello Stato italiano....
Il TAV
Torino - Lione fu contestato duramente fin da subito dalla
popolazione valsusina e anche da parte della politica, sia a causa
degli enormi impatti ambientali che un'opera di questo genere avrebbe
determinato sul territorio, sia per ragione della evidente
"inutilità" di un progetto estremamente costoso privo di
motivazioni oggettive, dal momento che il traffico merci usato per
giustificarlo si manifestava estremamente esiguo ed in costante
diminuzione, sia perché bypassava la città di Torino rendendo di
fatto inutile l'interporto di Orbassano nel quale l'amministrazione
aveva investito ingenti somme di denaro.
Dopo
avere effettuato i primi sondaggi nella Valle, nonostante le
contestazioni crescenti, il governo fu costretto ad arrendersi
definitivamente l'8 dicembre 2005 quando oltre 50.000 persone
invasero l'area deputata a diventare il futuro cantiere per il tunnel
di base nel paese di Venaus, nonostante fosse presidiata da parecchie
centinaia di poliziotti e carabinieri in tenuta antisommossa.
Nonostante
la pesante debacle in cui incorsero il governo Berlusconi ed il
ministro delle Infrastrutture Lunardi (già implicato nello scandalo
della Rocksoil concernente l'inquinamento delle falde acquifere nel
Mugello durante lo scavo delle gallerie del TAV) appoggiati anche da
larga parte del centrosinistra, il progetto del TAV Torino - Lione
non morì, ma fu messo semplicemente in stand by per qualche anno,
con l'intenzione di venire "ripensato" all'interno di un
osservatorio sull'opera presieduto dall'architetto Mario Virano.
Il TAV
Torino - Lione come per miracolo resuscitò cinque anni più tardi,
sotto forma di un progetto che prevedeva l'entrata della nuova linea
nella città di Torino, l'utilizzo dell'interporto di Orbassano,
l'attraversamento della Valle di Susa sulla sponda opposta della Dora
rispetto al progetto precedente, lo scavo del tunnel di base di 57 km
non più a Venaus ma a Susa e lo scavo di un tunnel geognostico di 8
km (propedeutico a diventare tunnel di servizio) in località
Chiomonte.
Come
accaduto in precedenza i primi sondaggi furono pesantemente
contestati dalla popolazione, ma fin da subito fu evidente un diverso
approccio del governo nei confronti dei cittadini ribelli che nel
frattempo avevano perso molta della "solidarietà politica"
esistente nel 2005. Non più timide cariche degli agenti antisommossa
portate con un occhio di attenzione a non esasperare gli animi, ma
migliaia di lacrimogeni sparati senza lesinare, perquisizioni nelle
abitazioni, arresti e processi sommari che spostarono il grado del
conflitto su un piano profondamente diverso rispetto a quello
sperimentato in precedenza. Proprio questo nuovo approccio diede i
suoi frutti quando il 28 giugno 2011 oltre 1500 uomini delle forze
dell'ordine riuscirono a prendere possesso della Maddalena di
Chiomonte deputata ad ospitare il nuovo cantiere del TAV, nonostante
fosse presidiata da migliaia di attivisti valsusini che occupavano i
terreni da settimane. Ed il 3 luglio 2011, quando migliaia fra
carabinieri e poliziotti disposti a presidio di un cantiere ancora in
nuce riuscirono a resistere all'assalto di oltre 80.000 manifestanti
che tentarono fino a sera di occupare nuovamente i terreni.
Si
trattò di fatto dell'ultima grande battaglia fra NO TAV e forze
dell'ordine, alla quale negli anni seguenti fecero seguito solo
scaramucce estemporanee e manifestazioni pacifiche, mentre il
cantiere si era ormai trasformato in un fortino inespugnabile
presidiato fra gli altri anche dai militari.
Oggi il
problema maggiore per chi vuole costruire il TAV Torino - Lione non
sembra più essere costituito dalla contestazione popolare, ma dal
fatto che l'inutilità dell'opera è ormai palesemente sotto agli
occhi di tutti ed il traffico merci fra l'Italia e la Francia non
potrebbe più giustificare investimenti di questa portata neppure con
l'ausilio della più fervida fantasia.
Così
il progetto sembra essere mutato radicalmente una terza volta, anche
alla luce del fatto che in Francia il governo Macron sta riflettendo
profondamente sull'opportunità di costruire una nuova linea in
territorio francese ed in Italia oggi governa il Movimento 5 Stelle,
da sempre contrario all'opera.
Il
progetto TAV in realtà non esiste più, o meglio si è ridotto ad un
buco di 57 km deputato ad ospitare binari e treni non necessariamente
ad alta velocità. La tratta fra Torino e Susa per il momento è
stata abortita. Il tunnel di base non verrà scavato a Susa ma a
Chiomonte, dove già esiste un cantiere fortino ed è possibile
evitare ogni conflittualità con i valligiani. I treni che un giorno
usciranno dal megatunnel transiteranno nella nuova stazione
internazionale di Susa e poi si immetteranno sulla linea già
esistente per giungere a Torino esattamente come fanno oggi.
Il TAV
Torino - Lione si è insomma trasformato in un buco a bassa velocità
del costo previsto di 8,3 miliardi di euro (il 35% dei quali a carico
dell'Italia) totalmente disancorato ed alieno al sistema TAV
italiano, ma comunque in grado di generare impatti ambientali
rilevanti nel territorio alpino interessato (amianto, uranio, radon,
falde acquifere prosciugate) e soprattutto cospicui profitti
miliardari per la mafia del tondino e del cemento e per i propri
camerieri politici, l'unica vera ragione per cui oltre 20 anni fa è
stato intrapreso un progetto oggettivamente privo di senso come
quello che da decenni turba il sonno dei residenti in Valle di Susa.
Nel
caso lo facesse, Toninelli non fermerà il TAV, morto da molto tempo
in Val di Susa, ma semplicemente un buco a bassa velocità, utile
solamente ad ingrassare la mafia del cemento e del tondino e nulla
più.
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