Marco Cedolin
Mentre il neonato governo italiano capitanato da Romano Prodi stava concludendo il proprio conclave nella serenità dell’Umbria, alla ricerca dell’unità perduta, o se preferite mai trovata, in Iraq a un centinaio di chilometri da Nassirija il caporalmaggiore Alessandro Pibiri perdeva la vita nell’esplosione del mezzo blindato sul quale viaggiava insieme a quattro commilitoni che sono rimasti feriti nell’incidente.I soldati italiani stavano scortando un convoglio logistico britannico quando un ordigno telecomandato ha fatto saltare in aria il loro automezzo. Salgono così a 38 i “caduti di guerra” vittime di una missione di pace che se fin dall’inizio ha avuto ben poche ragioni di esistere, oggi non ne possiede veramente più nessuna.Ogni giorno che passa si palesa maggiormente l’assoluta mancanza di motivazioni che sostengano la necessità di mantenere in terra irachena un contingente militare ormai impaludato nelle sabbie mobili di un’occupazione armata priva di senso e di prospettive.
Romano Prodi, esempio inarrivabile di mediazione e diplomazia, sembra in verità l’unico italiano a non essersi ancora accorto ...... (perfino Cossiga ne ha ormai preso coscienza) dell’assoluta necessità di ritirare immediatamente le truppe da un teatro di guerra nel quale si è intesa esportare la democrazia, creando invece i presupposti per una guerra civile senza quartiere alla quale fanno da corollario i massacri e le carneficine messe in atto con sottile sadismo dai soldati occupanti.Quello iracheno è ormai un tunnel senza uscita, vera cartina di tornasole di una malaugurata operazione militare che sta trasmutando in un fallimento totale.Il vero problema che il governo del professore si trova ad affrontare riguarda quei “tempi tecnici” che facevano bella mostra di sé all’interno del programma dell’Unione ed erano deputati a fare convergere tutte le diverse posizioni su un progetto di ritiro del contingente italiano differito nel tempo in maniera così elastica da non scontentare nessuno.
Gli elettori appartenenti alla sinistra più radicale potevano immaginare che i “tempi tecnici” fossero quei pochi giorni che erano stati necessari a Zapatero per richiamare i soldati in terra di Spagna. Gli elettori ulivisti immaginavano “tempi tecnici” un poco più allargati, magari di quei mesi necessari a concordare la cosa in funzione delle esigenze degli alleati inglesi e statunitensi. Gli elettori democristiani e neocon della Rosa nel pugno interpretavano i “tempi tecnici” come attesa del momento nel quale (forse fra un paio d’anni) tutte le truppe d’occupazione avrebbero abbandonato il suolo iracheno.Ma adesso che i “tempi tecnici” tanto utili per raggranellare voti all’interno di un elettorato eterogeneo hanno mietuto la loro prima vittima, nella persona di Alessandro Pibiri, anche Romano Prodi si vedrà costretto ad uscire da quell’inanità che finora è sembrata essere l’unico elemento di condivisione all’interno di questo governo.
La speranza è che il professore fra le tante mediazioni scelga quella giusta, poiché la già ventilata ipotesi di un ritiro della missione Antica Babilonia con la prospettiva di sostituirla con una nuova missione “civile” supportata da 600 soldati in armi significherebbe solo sprofondare ancora un poco di più nelle sabbie mobili della “nuova babilonia” che abbiamo contribuito a creare in terra d’Iraq e questa volta senza lasciarci neppure una via d’uscita.
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