Marco Cedolin
L’ultimo rapporto IPCC concernente i cambiamenti climatici ha impietosamente messo in luce lo stato di grave malattia in cui versa il nostro pianeta, devastato pesantemente da oltre 50 anni di pratica sviluppista, passati ad inseguire il miraggio della crescita infinita all’interno di un mondo finito. Non tutti gli scienziati sono concordi nel definire l’entità dell’effetto serra o nel determinare l’esatto ritmo di crescita delle temperature nei decenni a venire, ma al di là di ogni ragionevole dubbio si palesa l’evidenza che esiste un grosso problema al quale occorre porre rimedio in tempi brevi, prima che i processi degenerativi divengano irreversibili.
Sarebbe stato logico attendersi come prima reazione che venisse messo in discussione proprio quel modello di sviluppo ispirato alla crescita che ha ingenerato il problema, ma logica e raziocinio quasi sempre latitano quando ci si trova di fronte ai grandi interessi economici. Così i “sacerdoti del progresso” ormai impossibilitati a negare i risultati catastrofici del loro operato hanno intuito come anche il peggiore dei problemi possa diventare la migliore delle opportunità qualora gestito a proprio uso e consumo e quale occasione potrebbe essere migliore di questa per coniugare crescita dei consumi e crescita “ecologica” in un’ottica d’incremento del loro tornaconto?
La macchina pubblicitaria ed i pennivendoli di ogni razza e colore hanno immediatamente assimilato per osmosi l’importanza del business ecologico e la salvaguardia ambientale è ormai diventata il motivo principe usato ed abusato per sponsorizzare non solo prodotti e servizi ma anche provvedimenti legislativi e scelte politiche.
Un colosso petrolifero come l’ENI, responsabile di alcuni fra i più gravi casi di inquinamento ambientale nel nostro paese, si è presentato in TV con uno spot che lo rendeva simile a un’associazione ambientalista e si è prodigato per mezzo dell’amministratore delegato Paolo Scaroni nel redigere una lista di 24 “comportamenti virtuosi” da suggerire ai cittadini, quasi fossero loro i veri responsabili della catastrofica situazione attuale.
L’ENEL sui teleschermi e sulle pagine dei giornali si è trasformata in un vero e proprio pilastro della pratica ecologica, vanta meriti immaginari e dispensa consigli di ogni tipo al cittadino inquinatore, come farebbe una buona mamma con il figlioletto scapestrato.
Le case automobilistiche pubblicizzano automobili che nuotano come delfini, costruiscono rapporti simbiotici con la natura, germogliano come piante e si colorano come vasi di fiori.
Le banche e le assicurazioni si specchiano dentro a didascalie di prati verdi e cieli tersi, con bambini che corrono incontro ad un futuro bucolico e durante lo spot ci si sorprende a trattenere il fiato per la paura che da un momento all’altro si squarci la didascalia e faccia capolino la realtà rappresentata dagli impiegati della Lehman Brothers che mestamente abbandonano i loro uffici con in mano gli scatoloni degli effetti personali.
Dalle pompe dei distributori fluiscono gasolio pulito e benzina così verde e profumata da fare invidia ad una foresta di conifere. L’acqua minerale sgorga fra montagne incontaminate, pronta ad arrivare in tavola per mezzo del teletrasporto, anziché dopo viaggi infiniti di centinaia di chilometri nel cassone dei TIR sotto il sole cocente. Il latte e la carne provengono da allevamenti dove le mucche pasteggiano allegramente su prati verde smeraldo, le merendine nascono fra campi di grano dorati con le spighe appena mosse dal vento, prodotti di ogni genere manifestano una valenza ecologica mai immaginata prima che contribuisce a renderli indispensabili per il bene dell’umanità.
Perfino le scuderie della Formula Uno, vere regine dell’inquinamento ambientale, si propongono come sponsor dell’ecologia, dipingendo sui propri bolidi distese oceaniche, prati verdeggianti e cieli blu cobalto solcati da bianchi cumuli di panna montata. I marchi che vendono prodotti per i capelli li sponsorizzano come una panacea all’inaridimento delle chiome conseguente all’effetto serra e le aziende di abbigliamento stanno iniziando a proporre collezioni “ecologiche” imperniate sull’uso di tessuti a basso impatto ambientale, quando non addirittura abiti che sono in grado di preservare chi li indossa dagli effetti deleteri dell’inquinamento sulla salute umana.
Anche la politica si è prontamente adeguata al nuovo trend, coniando ossimori tanto fascinosi quanto improbabili. Sviluppo sostenibile, chimica verde, megainceneritori puliti, ecologia industriale, economia solidale, globalizzazione dal volto umano, guerra pulita, crescita verde, sono solo alcune delle esternazioni prive di senso compiuto che infarciscono i discorsi degli uomini politici di ogni schieramento. In contiguità con il non sense delle parole anche nelle decisioni fattive, grandi opere ad alto impatto ambientale come il TAV, i megainceneritori, le centrali a carbone e turbogas, i rigassificatori, vengono proposte dalla politica come interventi ecologicamente migliorativi.
Si percepisce nettamente la sensazione che quello della valenza ecologica sia soltanto un astuto escamotage usato per veicolare in maniera “virtuosa” quella crescita dei consumi che alla luce delle conclusioni degli scienziati sarebbe altrimenti improponibile. Nel nome dell’ecologia si sta dunque continuando a distruggere l’ambiente, ma lo si distrugge affermando che si sta tentando di salvarlo e per qualche decennio, crisi finanziaria permettendo, il business dovrebbe essere assicurato, poi si vedrà. Sarà comunque sempre possibile addossare ogni colpa agli atteggiamenti dissennati dei cittadini e ricominciare daccapo, magari praticando la lottizzazione del sottosuolo, dove grazie alla tecnologia sarà probabilmente ancora possibile sopravvivere in un’atmosfera controllata.
Sarebbe stato logico attendersi come prima reazione che venisse messo in discussione proprio quel modello di sviluppo ispirato alla crescita che ha ingenerato il problema, ma logica e raziocinio quasi sempre latitano quando ci si trova di fronte ai grandi interessi economici. Così i “sacerdoti del progresso” ormai impossibilitati a negare i risultati catastrofici del loro operato hanno intuito come anche il peggiore dei problemi possa diventare la migliore delle opportunità qualora gestito a proprio uso e consumo e quale occasione potrebbe essere migliore di questa per coniugare crescita dei consumi e crescita “ecologica” in un’ottica d’incremento del loro tornaconto?
La macchina pubblicitaria ed i pennivendoli di ogni razza e colore hanno immediatamente assimilato per osmosi l’importanza del business ecologico e la salvaguardia ambientale è ormai diventata il motivo principe usato ed abusato per sponsorizzare non solo prodotti e servizi ma anche provvedimenti legislativi e scelte politiche.
Un colosso petrolifero come l’ENI, responsabile di alcuni fra i più gravi casi di inquinamento ambientale nel nostro paese, si è presentato in TV con uno spot che lo rendeva simile a un’associazione ambientalista e si è prodigato per mezzo dell’amministratore delegato Paolo Scaroni nel redigere una lista di 24 “comportamenti virtuosi” da suggerire ai cittadini, quasi fossero loro i veri responsabili della catastrofica situazione attuale.
L’ENEL sui teleschermi e sulle pagine dei giornali si è trasformata in un vero e proprio pilastro della pratica ecologica, vanta meriti immaginari e dispensa consigli di ogni tipo al cittadino inquinatore, come farebbe una buona mamma con il figlioletto scapestrato.
Le case automobilistiche pubblicizzano automobili che nuotano come delfini, costruiscono rapporti simbiotici con la natura, germogliano come piante e si colorano come vasi di fiori.
Le banche e le assicurazioni si specchiano dentro a didascalie di prati verdi e cieli tersi, con bambini che corrono incontro ad un futuro bucolico e durante lo spot ci si sorprende a trattenere il fiato per la paura che da un momento all’altro si squarci la didascalia e faccia capolino la realtà rappresentata dagli impiegati della Lehman Brothers che mestamente abbandonano i loro uffici con in mano gli scatoloni degli effetti personali.
Dalle pompe dei distributori fluiscono gasolio pulito e benzina così verde e profumata da fare invidia ad una foresta di conifere. L’acqua minerale sgorga fra montagne incontaminate, pronta ad arrivare in tavola per mezzo del teletrasporto, anziché dopo viaggi infiniti di centinaia di chilometri nel cassone dei TIR sotto il sole cocente. Il latte e la carne provengono da allevamenti dove le mucche pasteggiano allegramente su prati verde smeraldo, le merendine nascono fra campi di grano dorati con le spighe appena mosse dal vento, prodotti di ogni genere manifestano una valenza ecologica mai immaginata prima che contribuisce a renderli indispensabili per il bene dell’umanità.
Perfino le scuderie della Formula Uno, vere regine dell’inquinamento ambientale, si propongono come sponsor dell’ecologia, dipingendo sui propri bolidi distese oceaniche, prati verdeggianti e cieli blu cobalto solcati da bianchi cumuli di panna montata. I marchi che vendono prodotti per i capelli li sponsorizzano come una panacea all’inaridimento delle chiome conseguente all’effetto serra e le aziende di abbigliamento stanno iniziando a proporre collezioni “ecologiche” imperniate sull’uso di tessuti a basso impatto ambientale, quando non addirittura abiti che sono in grado di preservare chi li indossa dagli effetti deleteri dell’inquinamento sulla salute umana.
Anche la politica si è prontamente adeguata al nuovo trend, coniando ossimori tanto fascinosi quanto improbabili. Sviluppo sostenibile, chimica verde, megainceneritori puliti, ecologia industriale, economia solidale, globalizzazione dal volto umano, guerra pulita, crescita verde, sono solo alcune delle esternazioni prive di senso compiuto che infarciscono i discorsi degli uomini politici di ogni schieramento. In contiguità con il non sense delle parole anche nelle decisioni fattive, grandi opere ad alto impatto ambientale come il TAV, i megainceneritori, le centrali a carbone e turbogas, i rigassificatori, vengono proposte dalla politica come interventi ecologicamente migliorativi.
Si percepisce nettamente la sensazione che quello della valenza ecologica sia soltanto un astuto escamotage usato per veicolare in maniera “virtuosa” quella crescita dei consumi che alla luce delle conclusioni degli scienziati sarebbe altrimenti improponibile. Nel nome dell’ecologia si sta dunque continuando a distruggere l’ambiente, ma lo si distrugge affermando che si sta tentando di salvarlo e per qualche decennio, crisi finanziaria permettendo, il business dovrebbe essere assicurato, poi si vedrà. Sarà comunque sempre possibile addossare ogni colpa agli atteggiamenti dissennati dei cittadini e ricominciare daccapo, magari praticando la lottizzazione del sottosuolo, dove grazie alla tecnologia sarà probabilmente ancora possibile sopravvivere in un’atmosfera controllata.
11 commenti:
Ottimo post, Marco.
Diciamo che è nata la pubbli-ecologia (da pubbli-politica, eccetera).
Hai visto, da me, oggi ti ho chiamato in causa...
Ciao,
Carlo
Caro Carlo,
pubbli-ecologia come termine mi sembra perfetto.
Come avrai visto ho "abusato" anche io del tuo blog per lasciare una piccola riflessione personale rispondendo al tuo invito. L'idea che hai lanciato mi sembra un'ottima iniziativa per tentare di confrontarci in rete concretamente.
Ciao
Marco
Chi nel 2008 parla di "sviluppo sostenibile", mi ricorda quei
pubblicitari degli anni 80, quando inondarono le tv dei detersivi-senza-fosfati, dopo aver introdotti qualche anno prima i fosfati-"lava più bianco".
In entrambi i casi, il prezzo saliva di qualche lira, con o senza fosfati.
In un Paese che sta andando contro una recessione durissima, le sole risposte possibili sono nei siti di MDF (che sia felice o meno, decrescita deve essere: meglio i pomodori autoprodotti di qualunque altra soluzione), e in chi reclama una politica decente, Comuni Virtuosi e Montanari in primis.
La lista dei miei link, si basa su questo approccio: pragmatico, sistematico.
Cosa che PD-PDL-IDV-UDC-Lega non sanno neppure cosa significhi.
Bellissimo post Marco.
Ciao, Roberto
www.buonsenso.info
Caro Roberto,
l'esempio dei detersivi mi sembra quanto mai calzante.
Sono felice che il post ti sia piaciuto.
Un abbraccio
Marco
Caro Marco,
condivido la tua analisi, ed in certo modo la frustrazione dell'uomo dotato di un minimo di senso critico, di fronte al "greenwashing" di alcune company, petrolifere o multinazionali di ogni sorta, e delle conseguenti scelte di marketing.
Inorridisco, come voi tutti, di fronte agli spot della Shell, che in maniera così convincente spaccia un futuro di pace, cultura e sostenibilità a tinte pastello, nel tentativo di nascondere quella putrida scia di sangue e ingiustizie che si trascina dietro.
è piuttosto irritante.
Ma temo che bollare il "green marketing" come falso e viziato a tutto campo, possa rivelarsi una pericolosa generalizzazione. Non è il green marketing in sè il problema; il problema sta nell'uso che viene fatto: balle colossali o reale impegno.
Ma non sono un esperto di marketing quindi mi limito ad esprimere la mia opinione.
Ho solo un piccolo appunto da fare Marco al tuo ultimo post; sono uno studente di Industrial Ecology e di conseguenza mi sento coinvolto nella questione.
Mi riferisco alla tua idea dell'improbabile ossimoro industrial/ecologico, o sviluppo/sostenibile o quant'altro.
è una questione difficile... che "mi hanno fatto studiare" abbondantemente. alla quale mi sono sempre accostato l'occhio dell'uomo in decrescita.
Dal mio punto di vista, lo "sviluppo sostenibile" appare come un primo e timido tentativo di liberarsi dalla stretta di economie multinazionali sanguisughe e inquinatrici. L'idea di sviluppo sostenibile nasce nel 1987.. ed è ancora qui. ed è sicuramente un po'datata, visti i rapidi mutamenti economici e del clima.
L'industrial ecology è la scienza degli ingegneri dello sviluppo sostenibile... dell'IPCC... di tutto quel gruppo che, con o senza un sogno di decrescita in mente, si impegnano a migliorare il contemporaneo sistema produttivo e di sfruttamento pazzo delle risorse.
In parole povere. è vero che questi approcci si inseriscono nell'attuale sistema produttivo/consumistico e che spesso usano i soldi delle grandi aziende per finanziare gli studi. Ma trovo che meritino più attenzione e più "rispetto";
vi assicuro che sono numerose le notti insonni, passate a rimuginare su quanto impercettibile sia il contributo di un piccolo studio sul efficienza energetica, o sull'ottimizzazione della raccolta differenziata in una cittadina, in rapporto alle tendenze globali di ultrasfruttamento dissennato.
E' innegabile che questi ossimori diano per scontato l'esistenza e la resistenza di un sistema economico e produttivo sviluppista. Ma noncuranti ne criticano apertamente (e scientificamente) le contraddizioni e stoicamente cercano di rosicchiarne via le parti malate... un pezzettino per volta.
I piccoli studi degli ecologi/industriali troverebbero la massima espressione in un sistema decrescente... (ma per ora nel sistema svilupposo servono principalmente a far risparmiare energia e soldi alle utility... e di ciò si fa fatica a parlare nei dipartimenti, per non compromettere ulteriormente il sonno).
E' un punto di vista diverso, e talvolta mortificante, ma ho imparato a rispettarlo anche coi miei occhi di decrescita.
E poi chiaramente le multinazionali della paura si appropriano del concetto di "sviluppo sostenibile", e allora insulti il televisore mentre lavi i piatti col detersivo fatto in casa al limone.
un affezionato lettore che si è dilungato un po' troppo.
Ciao
Sebastiano
Sebastiano, scusa se mi permetto di farti notare un fatto, ma tutti coloro che scrivono a Marco è come fossero persone a me vicine.
"sviluppo sostenibile" è uno slogan inventato dalle multinazionali, per continuare a vendere, rassicurando sui loro comportamenti +/- etici.
Uno di coloro che ha inventato questa definizione, è colui che era proprietario del marchio Eternit
che ha impestato il mondo di un noto cancerogeno senza rimedio: l'amianto.
C'è un processo in atto in Piemonte, che cerca di dimostrare che sapevano e hanno nascosto, semplicemente per profitto.
La storia la racconta strabene una recente puntata di Blunotte di Carlo Lucarelli. Mi permetto di consigliare a te e a tutti di vederla se ve la siete persa.
La "risposta", l(E) risposte le troverai in chi pretende un mondo nuovo, concretamente, che al centro non metta il profitto ma una vita che valga la pena di essere vissuta.
L'attuale modello di sviluppo è costruito sulle sofferenze di miliardi di altri individui, a cui noi "occidentali" rubiamo anche l'aria che respirano.
1 miliardo di persone non hanno accesso all'acqua, e non riesco a non pensarci ogni volta che ho il piacere di farmi una doccia.
Marco è uno di coloro che meglio lo racconta un nuovo modello che non solo è necessario, ma è conveniente a livello collettivo: al benessere, non per lo "sviluppo".
Permettimi di consigliarti un sito in particolare:
www.comunivirtuosi.org
Un mondo nuovo comincia pian piano a realizzarsi.
Ciao, Roberto
www.buonsenso.info
non sono stato chiarissimo in effetti...
L'Industrial Ecology studia le attività umane di oggi, e cerca di ridurre il loro peso,
la loro influenza sull'ecosistema, mettendo a punto la soluzione più "sostenibile".
Se una manifattura produce rifiuti in eccesso... qualcuno potrebbe pensare ad un riutilizzo di quel materiale.
Se abbiamo dei soldi da spendere per ridurre lo spreco casalingo... su cosa è meglio concentrarsi...? sulla caldaia, sul frigo vecchio che succhia energia inutilmente, sui doppi vetri e sull'isolamento termico o magari comprare una stufa...
questi sono solo 2 esempi degli studi che vengono condotti su ogni sfera delle attività e inattività umane.
Si fanno i conti con la realtà, e si cerca di mettere toppe, ove possibile, suggerendo la soluzione più adatta. (e i suggerimenti sono diretti a singoli cittadini quanto alle megaindustrie).
tutto questo per dire che l'industrial ecology, a mio avviso, non merita di essere annoverata nel gruppo delle "esternazioni politiche senza senso" o degli "ossimori improbabili" (cit. dal post).
Ha un nome contraddittorio ma rappresenta un gruppo di persone vere, che si stanno impegnando proprio come voi tutti!
Ciao a tutti.
Sebastiano
Caro Sebastiano,
personalmente ritengo quello dello sviluppo sostenibile un ossimoro assolutamente privo di senso, dal momento che il concetto stesso di sviluppo si presenta di una violenza inaudita. Lo sviluppo può essere reso un poco meno tossico, alla stessa stregua di un inceneritore o di una centrale a carbone, ma rimane comunque un elemento di tossicità che non potrà mai essere sostenibile.
Detto ciò sicuramente all'interno del marketing ecologico vanno sicuramente fatti dei distinguo, come hai giustamente evidenziato tu, dal momento che un'azienda impegnata a produrre profitto vendendo pannelli solari per autoproduzione o studiando metodi per ridurre gli sprechi energetici (come mi pare di capire quella all'interno della quale operi tu)costruisce qualcosa di positivo e certo non può essere stigmatizzata al pari dei truffatori che vendono i filtri antiparticolato FAP o dei produttori automobilistici, delle multinazionali dell'energia o dei gruppi finanziari che "usano" l'ecologia semplicemente come strumento di promozione per prodotti dagli altissimi impatti ambientali.
Il mio articolo (per quanto comprenderai che in un breve articolo non si può spaziare come si vorrebbe) non intendeva affatto essere irrispettoso nei confronti di chi come te comunque (anche se finanziato dall'industria dello sviluppo) lavora nel tentativo di ridurre l'impatto dello sviluppo, dal momento che sta comunque facendo qualcosa di buono.
L'articolo mirava semplicemente a stigmatizzare come oggi praticamente tutto venga "venduto" come ecologico, verde e sostenibile, pur non possedendo nella maggior parte dei casi alcun requisito ecologico.
Non ti sei affatto dilungato (almeno non più di me :-))e confrontarci mi ha fatto molto piacere.
Un caro saluto e continua a seguirmi.
Marco
Marco,
hai capito benissimo quali erano i miei dubbi e mi trovi assolutamente d'accordo.
A titolo di cronaca Industrial Ecology è una disciplina universitaria, e materia di ricerca; molto attiva di recente. Ci sono numerose pubblicazioni in rete, un giorno dateci un occhio!
Grazie per la risposta e per il gran lavoro di informazione che fai.
Sebastiano
Caro Sebastiano,
sono contento di essere riuscito a chiarire il mio pensiero.
Ti chiedo scusa se la mia cronica idiosincrasia all'inglese mi ha portato ad equivocare la natura di Industrial Ecology, non mancherò di dare un'occhiata alle pubblicazioni in rete, puoi contarci.
Grazie a te per i commenti che spero porterai spesso in questo blog.
A presto
Marco
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