Marco Cedolin
Il ministro della salute Sirchia ci è ormai da tempo noto per la sua maniera originale di approcciare i problemi.
Dall'alto dello scranno sul quale siede, impegnato a vigilare sull'integrità fisica di noi tutti, pontifica e legifera con tale massimalismo e miopia di visione da lasciare basito chi leggi e leggine deve subirle sulla propria pelle.
Dopo aver perpetrato ogni genere di abominio per quanto riguarda i tagli alla sanità pubblica, i ticket e la classificazione dei farmaci salvavita, dopo essersi profuso nella lotta contro il fumo attraverso un ampio ricorso al cattivo gusto e uno ahimè molto meno ampio a quel bene ormai in disuso che è l'intelligenza, ci offre oggi l'ultima chicca e non occorre essere cinofili per apprezzarne appieno la valenza.
A venire sovvertito è il valore millenario di "miglior amico dell'uomo" che il cane riveste fin dall'antichità.
La suddivisione dei quattrozzampe scodinzolanti in “buoni” e “cattivi”, stilando una sorta di lista di proscrizione della “potenziale pericolosità”, basata esclusivamente sul parametro della dimensione si dimostra fin da subito un approccio sbagliato al problema.
Non è il cane, come erroneamente si potrebbe evincere dal Sirchia pensiero ad aver tradito la fiducia dell'uomo mutando il proprio atteggiamento nei suoi confronti, bensì esattamente il contrario.
Se si dovesse infatti stilare una “lista nera” delle razze da epurare questa comprenderebbe chi adotta un cane con il solo scopo di farne un “oggetto di difesa” (guardie del corpo, antifurti ed altri orpelli tecnologici sarebbero certo più adatti alla bisogna), chi il cane lo “compra” rigorosamente di razza e addestrato per il solo gusto di sfoggiarlo in giro e gode nel prevaricare il proprio prossimo (della serie il mio è più grosso e cattivo e senti come ringhia), chi nel cane non cerca un compagno fedele ma semplicemente una rappresentazione di ciò che non è mai riuscito ad essere (speriamo morda e azzanni come non sono mai riuscito a fare io), chi nel cane non vede altro che una sorta di automa da fare scodinzolare, ringhiare, mordere e accucciare a proprio piacimento, conquistandosi così anche lui un granello d'onnipotenza, chi si serve del cane fintanto che la reciproca compagnia lo aggrada, per poi abbandonarlo magari in autostrada quando il giochino non è più funzionale al suo divertimento. E potrei continuare fino ad arrivare a 100 senza sforzo se non fossi amante della breviloquenza.
100 appunto sono le razze dei “cani cattivi” stilate dal ministro Sirchia e fra di essi compaiono animali sulla cui pericolosità la nostra fantasia mai aveva avuto modo di soffermarsi.
Il Lessie per tradizione amico dei bambini, il San Bernardo che con l'immarcescibile fiaschetta è sempre stato il protagonista dei salvataggi in montagna, perfino il Terranova che ha fama di essere fra i migliori “bagnini di salvataggio” esistenti al mondo.
Come se non bastasse oltre a guinzagli, museruole ed altre amenità varie (comunque rientranti nella logica) i padroni dei “cani cattivi per legge” dovranno stipulare un'assicurazione sui danni eventualmente provocati dagli stessi.
Ecco qui il colpo di genio finale che, oltre ad ingrassare ulteriormente le già pingui pance delle imprese assicurative che ogni anno succhiano una cospicua parte del nostro reddito, finirà per aumentare in maniera esponenziale il drammatico problema dell'abbandono dei poveri animali.
Le troppe aggressioni avvenute negli ultimi anni, non stanno a significare che i cani nel nuovo millennio stanno diventando “cattivi e sanguinari” ma piuttosto che l'uomo sta diventando sempre più stupido, arrogante e prevaricatore. L'assicurazione, caro ministro Sirchia, se proprio intende foraggiare le Compagnie dei tanti suoi amici, sarebbe meglio stipularle non sulla testa dei cani, discriminandoli a seconda della razza (di discriminazioni riguardanti la razza penso ce ne siano a sufficienza già fra noi che camminiamo su due zampe), ma piuttosto sulla testa di quei padroni che hanno completamente travisato quale sia la logica del rapporto fra uomo e animale, un rapporto che andrebbe basato sul reciproco piacere di stare insieme e non su una mera sudditanza del quattrozampe, utilizzato solamente per sopperire alle lacune della nostra caratterialità.
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