Marco Cedolin
Può capitare di soffermarsi a riflettere su quanto sia effimera l’illusione del progresso che ci accompagna fra le pieghe della nostra vita iper tecnologica, fatta di schermi al plasma, lettori dvd, satelliti, sistemi di guida intelligenti, cibi precotti, telefoni cellulari e microchip assortiti ad assisterci lungo tutto l’arco della giornata.
Sono bastati pochi giorni di blocco degli autotrasportatori per portare alla luce molte delle contraddizioni presenti in una società come quella moderna, tanto progredita tecnologicamente quanto estremamente vulnerabile a qualsiasi anomalia che ne possa mettere in crisi i delicati equilibri.
Le immagini dei consumatori che si aggiravano disperati e disperanti fra gli scaffali semivuoti alla ricerca dei pandorini ormai esauriti hanno fatto il paio con quelle delle code chilometriche davanti ai benzinai ormai più a secco di quanto non lo fossero i serbatoi degli automobilisti.Senza TIR niente più benzina e gasolio, niente più merce da consumare, niente più merce da produrre e niente più regali di Natale.
Sarebbero rimaste solamente le luminarie che addobbavano le nostre città rimpolpando i consumi energetici nonostante siano tempi di global warming ed il buon senso consiglierebbe di risparmiare energia.Basterebbero una serie di black out indotti dalla scarsità di risorse energetiche o da qualche catastrofico evento naturale per sprofondare tutto e tutti nel caos. Computer e telefoni relegati al ruolo di soprammobili, elettrodomestici inservibili, trasporti bloccati, case ridotte ad igloo, merci ed alimenti stipati all’interno di magazzini automatizzati ed ipermercati fuori servizio, mancanza assoluta di qualsiasi coordinata necessaria per fare fronte all’emergenza.
La realtà ci sussurra impietosamente che le nostre possibilità di sopravvivenza sono appese ad un filo sottilissimo che potrebbe spezzarsi da un momento all’altro. Il nostro “progredire” ci ha resi totalmente dipendenti dal sistema di produzione e distribuzione globalizzato e dalle immense quantità di energia necessarie per farlo funzionare. Dipendenti perché ormai assolutamente incapaci di autoprodurre qualsiasi bene o servizio indispensabile per consentirci di sopravvivere. “Coltiviamo” le nostre verdure negli ipermercati, così come negli ipermercati “alleviamo” le nostre mucche, i nostri polli ed i nostri maiali ed acquistiamo ogni cosa possa esserci (o sembrarci) utile.
Manteniamo in vita i nostri “cavalli” per mezzo degli oleodotti e sempre tramite gasdotti ed oleodotti riscaldiamo le nostre case, le illuminiamo, comunichiamo fra noi e creiamo quello che ci piace chiamare benessere. Abbiamo rotto tutti i ponti con il nostro passato, relegato generazioni di saperi dentro a un vecchio cassetto di cui abbiamo perso la chiave, messo alla berlina quelle pratiche di sobrietà e riproduzione durevole che avevano consentito all’umanità di sopravvivere e prosperare per millenni. Abbiamo creato il mito del consumo, coccolando lo spreco come una virtù e ridotto l’ambiente allo stato di risorsa da plasmare ed alienare a nostro piacimento. Dimenticato che siamo parte integrante della biosfera e in quanto tali la nostra sopravvivenza è legata indissolubilmente al suo stato d’integrità.Il nostro progresso è come un albero di Natale, addobbato da palline colorate e fantasmagoriche lucine che baluginano ammaliatrici per convincerci che è tutto reale.
Come ogni albero di Natale, quando le feste sono finite e arriva l’Epifania, si spengono le luci, viene riposto in cantina dentro ad uno scatolone e fino all’anno prossimo non ci si pensa più. La nostra Epifania sta sopraggiungendo a grandi passi ma purtroppo non stiamo dimostrando di essercene accorti e un intero “anno” di buio e digiuno rischia di essere davvero molto lungo.
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