mercoledì 14 novembre 2007

Sono tutti terroristi

Marco Cedolin

Bisogna ammetterlo, l’Italia è un paese in balia del terrorismo ed occorre fare subito qualcosa per ristabilire l’ordine sociale. Ai terroristi islamici, presenti a migliaia secondo i ripetuti allarmi lanciati a più riprese in questi anni da servizi segreti e Ministero dell’Interno, si sono aggiunti lo scorso inverno le “BR cgil” e da quest’ultima domenica perfino i “tifosi terroristi” che hanno reagito in maniera scomposta e violenta alle notizie concernenti la morte di Gabriele Sandri.
Il mondo della carta “stracciata” e del “teleimbonimento” schiuma rabbia a più non posso invocando repressione, giri di vite e quant’altro, mentre intellettuali, opinionisti e sociologi si profondono in ardite analisi della società italiana in balia di facinorosi e violenti, volte a giustificare i propri lauti stipendi. Il sociologo Franco Ferrarotti, ardito fra gli arditi, sulle pagine del Corriere della Sera si spinge fino a prefigurare la volontà di costituire un vero e proprio partito trasversale da parte dei tifosi violenti. Un partito che a suo dire intenderebbe cavalcare l’antipolitica, traendo ispirazione da Beppe Grillo per poi unirsi alla destra di Storace e (immaginiamo perché questo Ferrarotti non lo dice ma lo lascia solo intendere) prendere il potere attraverso un “golpe degli ultras” che ponga fine alla nostra democrazia.

Dopo due settimane di emergenza criminalità ed immigrazione, nelle quali giornali e TV si sono resi artefici di un vero e proprio terrorismo psicologico volto a creare panico e disorientamento nei lettori e teleutenti, adesso la fonte del terrore sembra essersi spostata dagli immigrati ai tifosi. Tutto fa brodo, quello che conta è solamente il risultato finale, lastricare le strade di paura e far si che i cittadini non prestino attenzione alle leggi che vengono approvate in parlamento, impegnati come sono a domandare più sicurezza e più repressione. La speranza, neppure troppo recondita, di una politica sempre più moribonda è quella che un popolo terrorizzato dal terrorismo, dalla criminalità e adesso perfino dagli ultras possa essere disposto a barattare qualunque sacrificio in cambio della propria sicurezza.
Tutti coloro che lunedì hanno letto i giornali ed ascoltato i TG sono stati informati fin nei minimi particolari riguardo alla guerriglia urbana dei tifosi romani e bergamaschi, con annesse auto e cassonetti bruciati, poliziotti feriti e cori ingiuriosi, ma la morte di Gabriele Sandri ha continuato a rimanere avvolta nel mistero, pur in presenza di un poliziotto indagato che avrebbe sparato ad altezza uomo senza alcun motivo, da una parte all’altra di un’autostrada trafficata. Man mano che le ore passavano l’uccisione di Gabriele diventava sempre più questione di secondo piano, liquidata come una “tragica fatalità” mentre le violenze dei tifosi passavano alla ribalta fino a diventare l’unico argomento sul quale occorreva riflettere, discutere, analizzare e speculare.

La morte di un automobilista (non di un tifoso, perché un uomo tranquillamente seduto in auto è innanzitutto un automobilista a prescindere da dove sia diretto) ammazzato senza alcun motivo da un poliziotto mentre si trovava all’interno di un’auto che si allontanava da un autogrill non può essere liquidata come una “tragica fatalità” dovuta a circostanze avverse, non è giusto nei suoi confronti, nei confronti della sua famiglia e in quelli dei suoi amici. La morte di Gabriele Sandri avrebbe dovuto essere il vero oggetto delle riflessioni e delle analisi, mentre invece si è preferito spostare l’attenzione unicamente sulle reazioni che in qualche modo l’omicidio ha ingenerato.

Tutti hanno reagito alla morte di Gabriele nella maniera sbagliata. Il questore di Arezzo è stato incapace di fornire una qualche risposta plausibile ad un delitto tanto brutale quanto inspiegabile ed ha continuato per una giornata intera a farfugliare di “colpi sparati in aria” e fantomatiche risse, salvo poi ammettere l’esplosione di un colpo di pistola ad altezza uomo solo il giorno successivo, dopo una testimonianza oculare che inchiodava il poliziotto sparatore alle proprie responsabilità.
I palazzi del calcio, ottenebrati dal miliardario business domenicale, sono stati incapaci di percepire l’estrema gravità dell’accaduto e anziché decidere di sospendere il campionato, come sarebbe stato sacrosanto, hanno scelto di mantenere in vita comunque il circo equestre come se non fosse successo nulla.
I tifosi imbufaliti ed esasperati dall’assoluta inanità dei vertici politici e calcistici (non certo animati dall’antipolitica) si sono abbandonati alla violenza che non è mai giustificata né giustificabile e si sono resi artefici di atti di teppismo ed aggressioni alla polizia durati fino a tarda sera.
E’ stata una domenica di reazioni scomposte, sbagliate, di violenza senza senso, di leggerezze, di errate valutazioni, ma soprattutto la domenica nella quale un ragazzo di 28 anni è stato ammazzato a causa di “una tragica fatalità” in un autogrill di un’autostrada italiana da qualcuno che per mestiere dovrebbe garantirne l’incolumità,.
La morte di Gabriele è il vero terrore, quel terrore che magari per un attimo infinitesimale, baluginerà negli occhi di chiunque si trovi ad incrociare una pattuglia di poliziotti nei pressi di un autogrill, ed è un terrore profondamente sbagliato perché nasce da qualcosa d’incomprensibile e senza senso che nessuno ha cercato di spiegare, in quanto erano tutti troppo occupati a cercare il rimedio per il “terrorismo ultras” che potrebbe mettere in crisi la nostra democrazia, magari coalizzandosi con Beppe Grillo o perfino con Storace.

venerdì 9 novembre 2007

Lasciateci Vivere

Marco Cedolin

Panem et circenses stavano alla base del consenso popolare nell’antica Roma decadente, dove i Veltroni dell’epoca organizzavano le notti bianche all’interno del colosseo e il palinsesto dei Berlusconi imperiali era rigorosamente “in diretta” spaziando dalle contese all’ultimo sangue fra gladiatori, al desco per le belve feroci che anziché paté e bocconcini venivano invitate ad addentare ben più succulenti schiavi in versione croccantini 3 X 2.
Panem et circenses è un motto che calza (o forse calzava) a pennello anche per la nostra società occidentale del turbocapitalismo, quella che se non sei trasgressivo non ti diverti e devi scegliere il modo più cool di trasgredire, magari iniziando con una striscia di coca, un jeans strappato da 300 euro o uno schermo al plasma con annesso home theatre acquistato a rate che termineranno nel 2012. Quella che “basta andare su Second Life per rifarti una vita come vuoi tu” salvo poi scoprire che il mondo virtuale altro non è che una replica fedele fin nei minimi particolari di quello reale, con annesso turbocapitalismo e multinazionali globalizzate, ragione per cui anche lì ti toccherà fare lo sfigato precario che non arriva a fine mese.

Quella che in TV tutti piangono e piangi anche tu perché ti commuovi e poi tutti ridono e ridi anche tu perché “bisogna” divertirsi e il cast di una fiction diventa alla fine la tua famiglia, quella che non hai mai potuto costruire perché ti mancavano i soldi o il tempo o entrambi. Quella che fai di tutto per seguire il “grande sport” e ti dibatti fra parabole, decoder e schede prepagate, per poi scoprire che la competizione sportiva ormai la fanno schiere di avvocati nelle aule dei tribunali che si scontreranno sugli eventi truccati che tu hai visto in TV con il tuo decoder e l’unico elemento vero di tutta la rappresentazione erano i tuoi soldi fagocitati dalla scheda prepagata.

Anche panem et circenses ai giorni nostri sono entrati profondamente in crisi, il primo va centellinato perché ha ormai raggiunto prezzi da capogiro, il secondo rischia di non divertire più, perché con la pancia vuota l’intrattenimento ludico risulta poco efficace.
E allora siccome i cortei per chiedere il “panem” sono un retaggio del passato, troppo retrò e assai poco trendy, meglio una fiaccolata per pretendere il “circenses” come accaduto martedì 6 novembre a Como. Di fronte alla decisione da parte di Mediaset di epurare la fiction “Vivere” dai propri palinsesti, decretandone in questo modo l’eutanasia dopo 8 anni e circa 2000 puntate, un centinaio di persone accorse per assistere all’ultimo ciak, hanno srotolato un lungo striscione recante la scritta “Non chiudete Vivere” e sono partite in corteo fiaccole alla mano per convincere Confalonieri a desistere dal suo intento. Sempre durante questa settimana qualcosa di simile è accaduto anche negli Stati Uniti, dove il cast della fiction Gray’s Anatomy, unitamente a molti telespettatori, ha inscenato una manifestazione di protesta contro la soppressione del programma, con tanto di cartelli colorati e cori ritmati.
Toccate pure il “panem” ma non il “circenses” se volete conservare il consenso popolare, sembra il duro monito suggerito da queste vicende. Gli amanti delle fiction soppresse non sono certo pericolosi no global o giovani violenti che intendono mettere in crisi l’ordine sociale, ma se togli loro il “circenses” potrebbero iniziare a pensare al “panem” e la cosa si rivelerebbe assai più pericolosa.