martedì 5 gennaio 2021

La lunga mano della finanza sull'acqua

 

Marco Cedolin

Da ormai qualche decennio sta crescendo con sempre più forza il convincimento che la “risorsa” acqua, nel futuro prossimo, rappresenterà quello che è stato il petrolio nel corso del XX secolo, e i segnali che inducono a pensarlo sono stati fino ad oggi innumerevoli, ultimo fra i quali la notizia sconvolgente resa nota poche settimane fa, quando il Cme Group, la più grande piazza finanziaria dei contratti a termine del mondo, in collaborazione con il Nasdaq, ha annunciato la creazione del primo future sul mondo sull’acqua, dando la stura alla possibilità che la “merce” acqua venga quotata in borsa attraverso dei titoli derivati, alla stessa stregua di quanto già avviene con il grano, il mais, la soia o il riso. Il tutto con il supporto delle più grandi organizzazioni internazionali, come la Banca Mondiale, il Fondo Monetario Internazionale, l’ONU, la FAO e la stessa Unione Europea...


Già oggi nel mondo un miliardo e quattrocento milioni di persone non hanno accesso all’acqua potabile e altri due miliardi soffrono di carenze sanitarie a causa della scarsità e cattiva gestione delle risorse idriche. Oltre 500 milioni di persone vivono in luoghi dove il consumo di acqua annuo è doppio rispetto alla quantità che la pioggia riesce a reintegrare, portando inevitabilmente al degrado irreversibile delle falde acquifere.

Stando a un rapporto della FAO, negli ultimi 20 anni le riserve di acqua dolce nel mondo sono diminuite di oltre il 20%, mettendo seriamente a repentaglio il futuro dell’intero settore dell’agricoltura che concorre a oltre il 70% dei prelievi di risorse idriche a livello globale.
Secondo un rapporto dell’ONU del 2018 la domanda globale di acqua è sestuplicata negli ultimi 100 anni e continua a crescere al ritmo dell’1% l’anno.
Ogni giorno a causa della mancanza o della cattiva qualità dell’acqua muoiono 10mila persone ed ogni anno per la stessa ragione perdono la vita 200mila bambini, mentre si ritiene che entro il 2030 la metà dell’intera popolazione mondiale soffrirà per la carenza d’acqua, innescata da tutta una serie di concause che vanno dai cambiamenti climatici alla crescente domanda di energia, passando attraverso la crescita della popolazione e l’incapacità della classe dirigente mondiale nel gestire le risorse idriche nell’interesse della collettività.

Allo stato attuale delle cose il problema concernente l’accesso all’acqua, la disponibilità della stessa e la sua qualità, si rivela come una delle questioni che destano maggiore preoccupazione, tanto nell’immediato quanto ancora più in prospettiva futura.
Dovrebbe essere condiviso da tutti il principio secondo cui l’acqua (come l’aria) è un bene primario indispensabile alla sopravvivenza di ciascuno di noi, come riconosciuto dall’ONU nel 2010, e in quanto tale non può essere trasformata in una merce, né tanto meno diventare oggetto di speculazioni finanziarie e scommesse azionarie che potrebbero avere conseguenze devastanti sul diritto alla vita di miliardi di persone.

Nonostante ciò, i grandi mercati finanziari che hanno ormai trasformato in merce qualsiasi cosa, uomo compreso, ritengono di potersi arrogare il diritto di “appropriarsi” anche dell’acqua, come fino ad oggi hanno fatto con qualsiasi altra risorsa del pianeta.

Con tutta probabilità fra non molto tempo, in questa società schizofrenica figlia di una finanza malata, le banche d’investimento e gli speculatori otterranno miliardi di profitti grazie alla siccità che in un determinato periodo devasterà l’Africa o l’Asia o ai mutamenti climatici che determineranno la scomparsa dei ghiacciai alpini, scommetteranno come si trovassero al casinò su milioni di persone che muoiono di sete, o di fame a causa della mancanza dei raccolti, trasformeranno le carestie e i disastri naturali in altrettante occasioni di profitto, lucrando senza remore su qualsiasi calamità, come se il pianeta intero fosse il loro personale tavolo della roulette.

Domandiamoci al più presto se è davvero questo il futuro che vogliamo per noi e per i nostri figli, perché i grandi organismi internazionali che gestiscono ogni cosa sembrano avere già deciso in nostra vece, senza premurarsi di chiedere il permesso agli interessati.

Fonte: DolceVitaonline

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