Intervista al generale Fabio Mini di Marco Cedolin
Le guerre del passato e le guerre del futuro
rappresentano due elementi radicalmente differenti fra loro, oppure in
fondo a prescindere dall’evoluzione tecnologica si tratta sempre della
solita “sporca guerra” che purtroppo ben conosciamo? E la pace
che ci viene “venduta” come tale nel corso degli ultimi decenni lo è
davvero o si tratta semplicemente di una guerra combattuta in forme
differenti?
Ne parliamo con il generale Fabio Mini, esperto conoscitore di questioni geopolitiche e strategia militare
e oggi autore di svariate pubblicazioni su questi argomenti, dopo
essere stato capo di Stato maggiore del comando Nato per il Sud Europa,
comandante della missione di pace interforze in Kosovo nel 2003, oltre
ad avere svolto molti altri incarichi di primaria importanza.
Le guerre del XXI secolo saranno un’evoluzione di quelle del
passato o si svolgeranno su un piano inclinato radicalmente differente?
È già passato il primo ventennio del XXI secolo e la guerra non
è cambiata. Anzi i potenziali cambiamenti offerti dall’evoluzione
tecnologica devono fare i conti con l’involuzione dei conflitti sempre
più caratterizzati dal ricorso a metodi a dir poco barbarici. Abbiamo
fatto passi indietro nella regolamentazione degli usi e costumi di
guerra, i potenti hanno fatto ricorso all’eccesso di potenza cercando di
ridurre i rischi e i deboli hanno fatto ricorso all’eccesso della
violenza irrazionale e immotivata. Entrambi hanno usato il terrorismo e
sono tornati i metodi più arcaici di tortura e di sopraffazione fisica. A
questa, come sempre, si è affiancata la sopraffazione economica e
finanziaria. L’asimmetria dei mezzi è stata compensata dall’asimmetria
degli scopi. Le superarmi e la guerra preventiva non hanno assoggettato
gli avversari ma li hanno costretti a modificare il tempo, lo spazio e
le regole del combattimento. È stato modificato lo stesso concetto di
vittoria: non si combatte più per vincere e conquistare, ma per non
perdere forza di dissuasione e supremazia economica. Paradossalmente,
l’impossibilità della vittoria rende i conflitti senza fini e senza
fine.
In questo scenario, che ruolo ha l’intelligenza artificiale?
Nel corso di questo secolo ci saranno sviluppi tecnologici
graduali: le armi del 2050 sono allo studio già da un decennio.
Compariranno i robot e altre armi a super energie, ma non saranno
determinanti per l’evoluzione della guerra. I robot saranno soltanto
copie incomplete di forme biologiche. Il soldato del futuro continuerà a
essere l’uomo anche se sarà “migliorato” e specializzato nell’uso della
violenza. Il suo limite continuerà a essere la sua disponibilità a
morire per qualcosa in cui non crede. L’unico protagonista veramente
pericoloso della guerra del futuro è il ricorso all’arma nucleare che
risale alla metà del secolo precedente. Questo dà la dimensione della
limitazione intellettuale dei pensatori e pianificatori della guerra
moderna e comunque l’intelligenza artificiale non aiuta a immaginare una
guerra meno distruttiva e arcaica di quella pensata dall’intelligenza
naturale.
Noi tutti in Occidente siamo fermamente convinti di vivere
all’interno di un lungo periodo storico di pace. È veramente così o
invece una guerra si sta già da tempo combattendo sopra le nostre teste,
senza che noi si sia assunta consapevolezza della sua esistenza?
In senso generale la guerra non è mai finita. La pace che
percepiamo da una parte è una fase della guerra che si sviluppa da
un’altra. In Occidente siamo paghi e perfino gelosi della pace della
nostra piccola casa. Siamo però noi occidentali che portiamo la guerra a
casa d’altri. O che incitiamo alla guerra, o costringiamo alla guerra.
Lo facciamo con la politica, con gli interventi militari ma anche con la
“negazione” degli altri e con l’indifferenza.
Un po’ tutte le grandi potenze negli ultimi decenni hanno
portato avanti studi ed esperimenti concernenti il controllo del tempo
meteorologico: ci troviamo ancora alla fase degli studi sperimentali o
si è già passati a quella successiva?
Gli studi sono iniziati con la nascita e lo sviluppo
dell’aeronautica militare e dei missili, in particolare di quelli detti
di crociera (cruise) che seguono rotte molto basse secondo l’andamento
della superfice da sorvolare fino all’obiettivo. Da quando l’Air Force
statunitense ha iniziato lo studio di sistemi e metodi per controllare i
fenomeni meteo (1996- Owning the weather) ponendosi il traguardo finale
per il 2025 devono essere stati effettuati buoni progressi altrimenti
non sarebbe stato rifinanziato. Si tratta di metodi e tecnologie che
però agiscono in aree e tempi circoscritti. Il controllo totale e sicuro
che possa consentire alle armi più potenti e ai satelliti di superare
le limitazioni dovute alle perturbazioni atmosferiche è ancora molto
lontano.
Esistono degli esperimenti legati alla guerra ambientale di cui lei sia a conoscenza?
Se lo sapessi non potrei dirlo. Non tanto per il vincolo del
segreto militare in questo campo specifico che nessuno mi ha mai
imposto, quanto per la mancanza oggettiva di prove e di fatti accertati
da fonti scientifiche indipendenti. Alcune riflessioni e dubbi sono
legittimi, ma si possono avanzare soltanto per via indiretta. Ad
esempio, per gli aspetti militari, non ci sarebbe stato bisogno che le
Nazioni Unite si prendessero la briga di studiare una definizione di
guerra ambientale e quindi di proibirla se fosse soltanto una cosa
campata in aria.
Intorno a questo tema si trovano le teorie più strane, come se
si stesse cercando un colpevole davanti ai sempre più frequenti
cataclismi che ci colgono impreparati.
Personalmente ritengo che stiamo attraversando uno dei tanti
periodi di assestamento climatico globale in una fase fortemente
influenzata dalle attività umane e in particolare da quelle più avanzate
che consumano e disperdono quantità enormi di agenti inquinanti.
Accanto agli eventi ciclici naturali e alle responsabilità umane
nell’alterazione dell’equilibrio biologico globale, i disastri sono
amplificati dalla progressiva perdita di capacità di adattamento ai
cambiamenti da parte dell’uomo e da parte dello stesso ambiente
naturale. C’è stata la pretesa umana di considerare l’ambiente
immutabile e di poterlo rendere immutabile. Tutti gli sforzi per
mantenere “inalterato” l’ambiente che si vuole sfruttare hanno fatto
aumentare la violenza esercitata sull’ecosistema. Più che l’aspetto
militare su cui tutti puntano il dito, mi preoccupa quello civile: è
vero che le grandi potenze hanno apparati militari ben organizzati e ben
finanziati, ma rispondono sempre ai governi e, nelle democrazie, anche
ai cittadini. Nel campo cosiddetto civile, invece, operano ugualmente
grandi organizzazioni economiche e finanziarie che hanno enormi risorse e
non rispondono a nessuno. Almeno fino a quando producono ricchezza per i
consociati. Queste organizzazioni hanno interessi nell’alterazione
dell’ambiente sia per aumentare lo sfruttamento delle risorse, sia per
la creazione o la manipolazione dei mercati.
Fonte DolceVita online
Nessun commento:
Posta un commento