Con un
tempismo perfetto anche questo anno la FEE (Foundation for
Environmental Education), ong danese che dal 1987 valuta le spiagge
di 49 paesi europei ed extraeuropei sulla base di un'ampia gamma di
parametri, assegnando l'agognata "bandiera blu" alle
spiagge ed ai comuni più virtuosi, ha reso noto il proprio rapporto
per la stagione 2018.
Con
altrettanto tempismo i grandi media nazionali si sono spesi con toni
entusiastici nel renderci edotti del fatto che i mari italiani
sarebbero sempre più blu, dal momento che ben 175 comuni (a fronte
dei 163 dello scorso anno) e 368 spiagge hanno ricevuto l'ambito
"trofeo", costituendo di fatto circa il 10% delle spiagge
totali premiate a livello mondiale....
Ogni
cittadino avvezzo a masticare in maniera acritica il messaggio
divulgato dai media mainstream non avrebbe dunque che da rallegrarsi
per il fatto che la spiaggia in cui ha affittato il lettino ed il
mare in cui ha fatto il bagno sono sicuramente più puliti dell'anno
precedente e anche nel caso faccia parte di quei "pochi"
milioni d'italiani che le vacanze non hanno più potuto
permettersele, non potrà che gioire comunque per il miglioramento
dello stato di salute dei mari italiani, magari cullando la recondita
speranza di potere un giorno o l'altro tornare a fare le vacanze
anche lui.
Molto
spesso però, ahinoi, la realtà trascende dalla percezione della
stessa che viene creata ad arte sulla base di numeri di comodo e
bandierine colorate, facendo si che come rammenta un antico proverbio
non sia tutto oro quello che luccica ed anche i mari (e le spiagge)
italiani risultino di fatto molto meno blu di quanto non si tenti di
millantare.
La FEE
infatti, prima di distribuire a pioggia le proprie bandiere blu
analizza parametri di ogni genere, che vanno dalla pulizia della
spiaggia da alghe o detriti naturali e dalla disponibilità di
cestini per i rifiuti in numero adeguato e contenitori per la
raccolta differenziata, all'adeguato numero di servizi igienici e
spogliatoi. Dal divieto di campeggio e dal controllo della presenza
di animali domestici, all'esistenza di un numero adeguato di
personale e attrezzature di salvataggio. Dal fatto che esistano
servizi ed accessi dedicati ai disabili alla presenza di mezzi di
trasporto sostenibili, fino all'obbligo di affiggere in bella vista
ogni tipo d'indicazione che possa risultare utile al bagnante. E con
la stessa cura certosina la FEE si occupa anche del livello di
qualità di eventuali approdi dedicati alle barche da diporto, ma la
qualità dell'acqua del mare e della spiaggia che da esso viene
bagnata come viene presa in considerazione?
A
questo riguardo la FEE dice che "la
spiaggia deve rispettare pienamente i requisiti di campionamento e
frequenza relativamente alla qualità delle acque di balneazione",
deve essere in "conformità alle Direttive sul trattamento
delle acque reflue e sulla qualità delle acque di scarico. Nessuno
scarico di acque reflue (urbane o industriali) deve interessare
l’area della spiaggia". E ancora "deve rispettare
i requisiti di Bandiera Blu per i parametri microbiologici
relativamente a Escherichia coli (Coliformi fecali) e agli
Enterococchi intestinali (Streptococchi)" e l'acqua deve
risultare priva di oli e materiali galleggianti in bellavista.
Nessun
cenno insomma per quanto concerne l'eventuale inquinamento chimico e
radioattivo delle acque di balneazione e dell'arenile e non potrebbe
essere diversamente dal momento che per sua stessa ammissione la FEE
non possiede strumenti per effettuare le analisi delle acque e
demanda tale compito alle ARPA regionali che in base alle proprie
analisi dichiarano la balneabilità delle acque costiere a norma di
legge. Le ARPA purtroppo non procedono ad un'analisi chimica delle
acque, perché la normativa europea non glielo impone, ma si limitano
semplicemente a verificare la presenza di due batteri fecali, così
come imposto dalla legge.
Le
acque dei nostri mari potrebbero insomma, pur risultando
esteticamente pulite, contenere mercurio, cromo, manganese, ferro,
piombo, alluminio, arsenico, nichel ed ogni sorta di metallo pesante
o peggio ancora risultare radioattive, senza che nessuna autorità se
ne preoccupi e nessuno di noi ne venga a conoscenza. Così come
accade con le "famose" spiagge bianche di Rosignano Solvay
in provincia di Livorno, dove un secolo d'industrializzazione chimica
ha prodotto una tale quantità di sostanze inquinanti da uccidere
perfino i batteri fecali, facendo si che secondo i parametri presi in
considerazione dalle ARPA la qualità dell'acqua risulti eccellente
ed il mare perfettamente balneabile.
E lo
stesso discorso riguardante le bandiere blu della FEE vale per le
campagne proposte dalle sedicenti organizzazioni ambientaliste,
Legambiente in testa che con la propria campagna "Goletta verde"
ormai da decenni premia le località balneari "virtuose"
analizzando la qualità delle acque esclusivamente dal punto di vista
microbiologico, esattamente come fanno le ARPA e come dispone la
legge.
Eppure
di motivi per "sospettare" che i mari italiani possano
essere oggetto d'inquinamento chimico e perfino radioattivo in verità
ce ne sono una valanga e non soltanto a causa dell'enorme quantità
d'industrie chimiche (L'Ilva di Taranto su tutte) che da oltre mezzo
secolo hanno sversato e sversano rifiuti tossici nei fiumi e nel
mare.
Basti
pensare ad esempio che delle 135 piattaforme galleggianti presenti
nei mari italiani per l'estrazione di gas e petrolio, ben 100 non
sono sottoposte ad alcuna normativa di controllo, nonostante il
rischio sia quello dello sversamento nelle acque di metalli tossici,
idrocarburi policiclici aromatici, composti organici aromatici e
MTBE. E ricordare come il Mediterraneo pur costituendo la centesima
parte delle superfici salate della terra concentri in sè il 50%
dell'inquinamento petrolifero marino mondiale a causa del fatto di
essere un mare "chiuso" le cui acque si rinnovano molto
lentamente.
Se per
quanto concerne le fonti d'inquinamento chimico la situazione non è
certamente rosea, forse risulta anche peggiore in merito
all'inquinamento radioattivo. Basti pensare che solamente fra il 1989
ed il 1995 ben 90 navi sono "state affondate" all'interno
del Mediterraneo nell'ambito del traffico di rifiuti tossici e
radioattivi, attività ben nota all'intelligence militare ed oggetto
di un'inchiesta mai arrivata a compimento a causa della morte
improvvisa e poco chiara del capitano De Grazia che ai tempi la
conduceva. Alla quantità di unità militari nucleari statunitensi
che stazionano e compiono esercitazioni all'interno dei nostri mari.
Alle scorie radioattive francesi che spesso transitano nel
Mediterraneo, alle centrali nucleari militari esistenti (pur in un
Paese che per ben due volte ha abolito il nucleare con un
referendum), come quella di San Piero a Grado in Toscana che scarica
a mare le acque raioattive proprio all'interno di quello che
notoriamente è conosciuto come il "santuario dei cetacei".
Insomma
i mari italiani forse stanno veramente diventando sempre più blu,
per quanto concerne l'aspetto estetico, ma con tutta probabilità
contengono veleni ben più pericolosi di quanto non possano esserlo i
batteri fecali. Sarebbe compito delle autorità verificare lo stato
di contaminazione chimica e radioattiva delle acque in cui nuotano i
bagnanti e gettano le reti i pescatori, ma le ARPA preferiscono
trincerarsi dietro al fatto che la normativa europea non impone
analisi di questo genere, pur demandando però alle autorità locali
il compito di tutelare la salute pubblica.
Molto
meglio fingere che vada tutto bene, distribuire bandierine blu e
raccontare con toni entusiastici quanto stiano diventando puliti i
mari italiani, in fondo la salute pubblica è un concetto vago
facilmente manipolabile, mentre il business turistico al contrario è
una mangiatoia concreta dove è sempre comodo fare il commensale.
1 commento:
Incoraggiante. Pensavo di essere l'unica bestia rara ad aver notato che il meccanismo delle "bandierine" tiene conto in misura residuale dei parametri sanitari/ecologici e in misura massima di quelli commerciali/d'intrattenimento.
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