Marco Cedolin
Nell’imminenza del processo per la strage avvenuta nello stabilimento Thyssenkrupp di Torino, nella quale persero la vita 7 operai, stanno facendosi sempre più tesi i rapporti fra i sindacati ed i familiari delle vittime che dimostrano di gradire sempre meno il modo con cui le organizzazioni sindacali hanno deciso di rapportarsi con loro.
La scelta delle famiglie delle vittime di accettare il risarcimento di 2 milioni di euro a testa da parte della multinazionale, in cambio della rinuncia a costituirsi parte civile nel processo, è stata accolta dai vertici sindacali con malcelata contrarietà, pur nel rispetto di una decisione comprensibilmente sofferta. La Fiom ha deciso, come dichiarato dal suo segretario Giorgio Cremaschi, di costituirsi comunque parte civile nella speranza che i responsabili vengano puniti in maniera esemplare. Il segretario regionale della Uilm Mario Peverati, martedì ha pubblicamente invitato le famiglie delle vittime a devolvere una parte del risarcimento ottenuto al fondo per l’aiuto delle vedove e degli orfani di altre tragedie sul lavoro, naturalmente gestito da Cgil-Cisl e Uil.
Antonio Mencobello, legale della famiglia di Giuseppe Schiavone, che fu il primo dei sette operai Thyssen a morire, il giorno stesso del tragico rogo il 6 dicembre 2007, ha annunciato stamani di essere in procinto di valutare concretamente la possibilità di procedere ad un’azione legale anche contro Fiom-Fim e Uilm che non hanno preso provvedimenti, pur essendo con tutta probabilità a conoscenza delle mancate condizioni di sicurezza negli impianti, come sarebbe dimostrato dalle motivazioni stesse con cui i sindacati hanno deciso di costituirsi parte civile dichiarando che l’incendio era un evento più che prevedibile, date le condizioni di sicurezza degli impianti. Mencobello ha poi aggiunto che nel caso durante il processo emergessero eventuali responsabilità dell’Asl di competenza o di altri enti potrebbe essere estesa anche a loro l’azione risarcitoria in sede civile.
Pur senza entrare nel merito di una vicenda così drammatica e delicata non si può negare che le parole di Mencobello diano corpo alle domande che molti di noi si stanno facendo da tempo. Dov’erano i sindacati che oggi si ergono ad esempio di rettitudine e dispensano lezioni di generosità alle famiglie delle vittime, quando alla Thyssen si creavano i presupposti della tragedia ed era necessario denunciare la mancanza delle condizioni di sicurezza degli impianti? E dov’erano in quello stesso periodo l’Asl di competenza e gli altri organismi preposti al controllo?
La sensazione che si voglia circoscrivere alla sola multinazionale tedesca, che comunque nonostante le pesanti colpe uscirà in piedi dalla vicenda grazie al suo strapotere economico, la responsabilità di un intero sistema del lavoro marcio e corrotto che nel suo insieme è all’origine della tragedia sta diventando sempre più netta, mentre risulta sempre più difficile comprendere da quale parte del banco processuale saranno destinati a sedersi i rappresentanti dei sindacati.
4 commenti:
Naturalmente caro Marco concordo con tutto quello che dici. Però secondo il mio modestissimo punto di vista, la colpa è anche della scarsa propensione alla sicurezza di molti-troppi lavoratori. La classica frase: " Bè...non è mai successo niente" Quando può bastare anche una sola volta e ci lasci le penne. E poi, senza entrare nel merito della tragedia che bisogna forzatamente vivere per capirne il dramma, ma è giusto lavorare in scarse condizioni di sicurezza, solo perchè si ha paura di perdere il posto di lavoro? Serve che anche i lavoratori inizino a considerare la propria vita più importante di qualsiasi busta paga. Anche perchè da morto, non mantieni più nessuno.
Spero di non aver urtato la sensibilità di nessuno con questo commento.
Un caro saluto
Marco
Caro Marco,
Quello che dici è verissimo, avevo trattato proprio questo problema in un articolo che scrissi a dicembre quando accadde la tragedia Thyssen:
http://marcocedolin.blogspot.com/2007/12/il-lavoro-e-una-guerra-che-uccide.html
Nessun posto di lavoro e nessuna busta paga può valere la vita di una persona.
Un caro saluto
Marco
Conosco questo blog da pochi giorni, precisamente dal post sui formaggi scaduti, quindi scusate se posto solo ora un commento su questo argomento.
Permettete che dica la mia sulla questione sindacale, essendo stato sindacalista molto tempo fa.
Credo che se i sindacati non riescano più a difendere i diritti dei lavoratori, sia proprio per "merito" dei lavoratori stessi...mi spiego meglio;
Quando per qualche tempo mi occupai di sindacato presso la precedente ditta per la quale lavoravo, mi resi conto in pochi mesi che il mestiere di sindacalista è visto come fumo negli occhi NON SOLO DAI PADRONI, ma anche da chi avrebbe tutto l'interesse che il sindacato sia presente in azienda.
Ben presto mi resi conto che alcuni lavoratori percepivano forse dei compensi per "riportare" ai datori di lavoro tutto quanto veniva detto durante le assemblee ad esempio. Addirittura avveniva che gruppi di lavoratori si coalizzassero "contro" chi difendeva i loro diritti per compiacersi il padrone, che li foraggiava con piccole somme per tenerseli buoni e per "isolare" i sindacalisti..(mobbing?)...
Gettai la spugna per non dover fare un trapianto di fegato e me ne andai quando ebbi l'occasione di farlo. Ora quella ditta è chiusa e alcuni lavoratori, compresi i venduti e i ruffiani, si recarono dai sindacati per cercare di salvarsi il posto e il culo, ma fu inutile.
I sindacati hanno le mani legate, si dice, ma chi lega le mani ai sindacati, sono proprio alcuni lavoratori...ho sperimentato su me stesso questa situazione.
E sarà sempre peggio, considerato il diffuso menefreghismo delle nuove generazioni...a meno che qualche problema lavorativo non li tocchi di persona.
Grazie per l'attenzione.
Grazie per avere postato la tua esperienza personale, molto interessante ed utilissima per comprendere le dinamiche di un argomento complesso come questo, sul quale occorre senza dubbio riflettere a 360 gradi.
Un caro saluto
Marco
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