Marco Cedolin
Scongiurata almeno per il momento la possibilità che banchieri ed industriali procedano direttamente al governo del paese senza il bisogno di alcun intermediario, tutto il circo della politica si è gettato con furia belluina fra le pieghe di una campagna elettorale dai contorni ancora sfumati ma che già lascia intuire come il confine fra comicità e tragedia sia davvero una linea molto sottile.Non potendo permettersi di cambiare l’identità dei mestieranti (pena l’acquisizione dello status di disoccupati) la classe politica italiana, imbolsita fino all’inverosimile, ha deciso ancora una volta di cambiare la coreografia dello spettacolo anziché la trama e gli attori, affinché si abbia la percezione illusoria di una qualche novità, mentre il copione anacronistico continua a perpetuare sé stesso.
Simboli liste ed alleanze stanno iniziando a prendere forma in un fantasmagorico crogiuolo di colori, slogan e vessilli, all’interno del quale perfino i simboli più legati alle tradizioni come fiamma e falce e martello rischiano di finire rottamati, quasi si trattasse di un’auto euro 0, per venire sostituiti da tricolori ed arcobaleni assortiti molto più trendy ed accattivanti.
Sullo sfondo di un programma unico, imperniato sulla crescita e lo sviluppo del Paese (proponimento d’obbligo per potere aspirare a raccogliere qualche voto) le parole d’ordine sono fusione, incorporazione, accorpamento, assorbimento, inclusione. Finita l’era delle grandi coalizioni, dove una molteplicità di partiti si raggruppavano intorno a due leader (Berlusconi/Prodi, Rutelli/Berlusconi, Prodi/Berlusconi) sulla base di programmi ai quali non è mai stato dato seguito, sta iniziando l’era dei grandi partiti che fagocitano quelli piccoli introiettandoli al proprio interno, dopo avere imposto loro l’accettazione di un programma precostituito, al quale ovviamente non verrà dato seguito. Gli uomini politici restano gli stessi, i meccanismi del clientelismo anche, le false promesse da disattendere e la manifesta incapacità di leggere le dinamiche socio/economiche del presente pure, ma tutti potranno affermare con grande baldanza che finalmente è nato qualcosa di nuovo.
E’ nato il nuovo Partito Democratico di Walter Veltroni, consumato cabarettista che esclamando “yes we can” e parodiando Barack Obama alle primarie americane, promette la diminuzione delle tasse, ma anche l’aumento dei salari, ma anche la riduzione del debito pubblico, ma anche più infrastrutture, ma anche più ecologia, ma anche…
Appena si smette di cantare yes we can ci si rende però subito conto che il nuovo PD è composto da vecchi componenti della Margherita che a sua volta era formata da ancor più vecchi politici della DC e di altri partiti della prima repubblica, stretti in un abbraccio fraterno con la vecchia classe politica dei DS derivante sostanzialmente da quello che nell’archeologia politica era l’antico PCI. Probabilmente entrerà a farne parte anche l’Italia dei “lavori” di Antonio di Pietro che sembra disponibile a venire incorporato nella nuova infrastruttura, mentre altri soggetti politici meno arrendevoli saranno probabilmente destinati a restarne fuori.
Tranne la passione per la bandiera a stelle e strisce del suo capo comico e l’intenzione di diminuire quelle tasse che ha invece alzato durante gli ultimi 2 anni nei quali è stato al governo, riesce davvero difficile trovare qualche elemento di novità all’interno di un partito come il PD che somiglia a quelle vetture costruite in Yugoslavia negli anni 80, le quali seppur nuove fiammanti venivano allestite assemblando insieme il muso di una vecchia Fiat 128 con la coda di un’altrettanto datata Fiat 127, per la gioia della famiglia Agnelli che aveva trovato il modo di rivendere all’estero le catene di montaggio ormai dismesse.
E’ nato il nuovo Partito delle Libertà di Silvio Berlusconi che ha incorporato i resti di Alleanza Nazionale, ha convinto la Mussolini a spegnere la fiamma, ha concluso una semi annessione della Lega Nord di Bossi e sta cercando d’indurre gli ex DC Casini e Mastella ad entrare nella “famiglia allargata” rinunciando ai propri simboli.
Il Cavaliere più sorridente che mai promette di “rimettere i soldi nelle tasche dei cittadini, per rilanciare i consumi e l’economia”. A guardarlo se cantasse “yes we can” anche lui, potrebbe perfino sembrare un altro, anziché la persona che con gli stessi alleati ha governato l’Italia per 5 anni riuscendo a far crescere solo le spese di cancelleria dei tribunali. Quando poi si cimenta nel suo numero migliore, promettendo “la creazione di nuovi posti di lavoro” ogni italiano si ritrova a fare gesti scaramantici per riflesso condizionato, memore di come andò a finire la volta scorsa.
Un milione? No, davvero, un migliaio bastano e avanzano, altrimenti questa volta c’è il rischio che diventino precari perfino i pensionati.
E’ nata la nuova Sinistra Arcobaleno che poi tutti continuano a chiamare Cosa Rossa, usando un lemmario più rude che però arriva al cuore del problema. Si tratta dell’unione di quei partiti comunemente definiti “sinistra radicale”, derivanti in larga parte dalle scissioni della scissione dell’antico PCI. Rifondazione Comunista, Comunisti Italiani e Verdi non hanno deciso di fondersi fra loro seguendo la strategia del “grande partito” e ricercando la novità, ma hanno dovuto farlo per cause di forza maggiore, non esistendo alcun grande partito intenzionato ad incorporarli. Troppo scomodi perfino quando, come nell’ultima legislatura, hanno sottoscritto supinamente ogni decisione del governo anche qualora completamente antitetica ai propri programmi, fino al punto di arrivare a firmare un dodecalogo che è costato loro la stima di buona parte del proprio elettorato. Hanno cercato fino all’ultimo (e probabilmente continueranno a farlo) un’improbabile alleanza con il PD ma Veltroni sembra irremovibile quando canta in italiano “voi non potete”.
Vagano ancora allo stato brado alcuni piccoli partiti, come la Destra di Storace e la Rosa nel Pugno ma c’è da scommettere che si accaseranno presto quando l’imminenza delle elezioni renderà i “grandi partiti” molto più arrendevoli.Dopo il voto poi, tanta smania di accorpamento e voglia di novità potrebbero debordare e sono in molti che già ipotizzano la fusione delle fusioni che dia vita al partito unico “destrasinistra” dove Veltroni e Berlusconi cammineranno a braccetto fischiettando “yes we can”.
Ma non spingiamoci oltre con la fantasia in quanto troppe novità tutte in una volta potrebbe turbare la tranquillità dei nostri sonni.
A proposito di sonni, c’è una domanda che continua a perseguitarmi ogni volta che poso la testa sul cuscino. Ma il “popolo” di Beppe Grillo, quello impropriamente catalogato come “antipolitica” e quantificato dopo il V. Day dell’8 settembre da alcuni sondaggisti improvvidi nella misura di addirittura il 17% dell’elettorato italiano, quello avrà colto il segnale di novità ed andrà a votare?
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