mercoledì 6 settembre 2017

Un mondo di plastica

Marco Cedolin

La notizia è di quelle da far rizzare i capelli in testa anche a chi più non ce li ha e poco importa il fatto che Repubblica (primo quotidiano in Italia a metterla in risalto) la banalizzi attraverso un ridicolo vademecum che tenta maldestramente di trasferire sulle spalle del cittadino quelle che sono le pesanti responsabilità della macchina del progresso.
Secondo una ricerca condotta da Orb Media (organizzazione no profit di Washington) in collaborazione con i ricercatori dell’Università statale di New York e dell’Università del Minnesota, in tutta l'acqua che beviamo, a prescindere dal fatto che si viva a Roma, a New York o in Patagonia e che la si beva in bottiglia o dal rubinetto di casa, esistono fibre di microplastica che entrano nel nostro organismo....


senza che gli scienziati ne abbiano individuato l'esatta provenienza o sappiano dare indicazioni sulle conseguenze che l'ingestione potrebbe avere per la nostra salute.

La concentrazione di tali fibre risulterebbe essere tutto sommato omogenea nell'acqua dei cinque continenti e la microplastica non risparmierebbe nessuno, neppure chi monta in casa un filtro ad osmosi inversa. Si tratta della prima indagine accurata concernente la presenza di plastica nell'acqua del rubinetto, anche perché finora la plastica non è mai stata inserita fra le possibili sostanze contaminanti che vengono ricercate all'interno dell'acqua potabile.

Riguardo alla provenienza non ci vuole in fondo molta fantasia, se pensiamo che nel mondo si producono ogni anno 300 milioni tonnellate di plastica e dagli anni 50 ad oggi ne sono stati prodotti oltre 8,3 miliardi di tonnellate. Tenendo conto del fatto che circa il 40% della plastica prodotta viene usata una sola volta, generalmente per pochi minuti, prima di finire nel secchio della spazzatura. E della peculiarità che molti elementi di plastica, in particolare le fibre sintetiche, rilasciano grandi quantità di microplastica nell'aria e circa 700mila fibre nell'acqua ad ogni lavaggio.

Riguardo agli effetti delle fibre di microplastica sul nostro organismo sembra esserci invece soltanto molta confusione. I ricercatori non sono in grado di dire se esista un bioaccumulo all'interno del corpo umano, non sanno se la microplastica all'interno dell'organismo possa influire sulla formazione delle cellule e quindi concorrere all'epidemia di tumori che caratterizza la modernità e neppure se possano rappresentare un vettore per gli agenti patogeni.
Sicuramente costituiscono un elemento estraneo all'interno del nostro corpo, con il quale siamo e saremo costretti a fare i conti giorno dopo giorno.

La macchina del progresso che si muove sull'asse produzione/consumo ha sicuramente delle responsabilità enormi all'interno di questo problema, così come responsabilità enormi le ha il mondo scientifico che da decenni è consapevole dell'accumulo delle fibre di plastica all'interno della vegetazione e degli animali. Scaricare le responsabilità sul cittadino comune, invitandolo a non usare i sacchetti di plastica e le cannucce, a lasciare a casa il proprio pile o portarsi in giro una bottiglia di vetro personale, così come fa Repubblica, è solamente un tentativo puerile di nascondere il vero problema, costituito da un progresso che nel suo sogno di onnipotenza ha perso di vista le più elementari logiche di buonsenso.

La speranza è che la questione venga affrontata scientificamente in maniera seria, possibilmente in tempi brevi, e non utilizzata per false battaglie ecologiche (modello riscaldamento globale) aventi come unico scopo l'imposizione di balzelli e la costruzione di un business ecologico che non eliminerebbe le fibre di microplastica, ma metterebbe un sacco di miliardi nelle tasche di quegli stessi soggetti che il problema l'hanno ingenerato e ora dandocene la colpa avrebbero la presunzione di aiutarci a risolverlo.

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