giovedì 26 giugno 2003

Il lodo Gasparri: la guerra delle TV

Marco Cedolin

Continua la battaglia fra Casa delle Libertà e opposizione, riguardo alla riforma del sistema radiotelevisivo messa a punto dal ministro per le comunicazioni Maurizio Gasparri, già approvata dalla camera il 2 aprile scorso e ora all'esame della commissione Lavori pubblici e Comunicazioni del senato.
I tratti salienti della riforma riguarderanno il passaggio di Retequattro sul satellite, la privatizzazione di una delle tre reti Rai che dovrà finanziarsi solo più attraverso la pubblicità, mentre le altre due resteranno finanziate dal canone, la possibilità per Mediaset di acquisire anche radio e quotidiani, l'aumento del tetto pubblicitario dal 18% al 20% e l'obbligo di recuperare le eventuali eccedenze non più nell'ora precedente o successiva ma durante l'intero arco della giornata (comprese le ore notturne).

L'esclusione dalla nozione di pubblicità degli annunci relativi alla programmazione dell' emittente, quelli di servizio pubblico e gli appelli di beneficenza, una nuova disciplina delle televendite che dalle attuali 1 ora e 12 minuti passano a 3 ore al giorno.
Alcune condizioni riguardanti le nuove tecniche digitali, che anziché garantire il tanto auspicato pluralismo, finiranno per favorire solamente Mediaset, l'unica ad avere un alto numero di frequenze e le risorse utili per acquistare impianti di trasmissione, indispensabili per fare una seria sperimentazione e poter trasmettere contemporaneamente in tecnica digitale e terrestre.

L'impressione che sostanzialmente si può trarre è quella di una Tivù del futuro sempre più complice degli interessi economici di quel Silvio Berlusconi che proprio attraverso il sistema televisivo ha costruito la propria fortuna economica e politica.
Ma le riflessioni vanno ben oltre la preoccupazione per l'asservimento delle leggi italiane ai fini utilitaristici delle reti Mediaset.
Le privatizzazioni selvagge che hanno infettato ogni settore del servizio pubblico si apprestano a sbarcare anche in Rai, il tutto senza nemmeno premurarsi di eliminare quell'assurdo balzello che è il canone.
La Tivù (Rai e Mediaset) sempre più in mano ai grandi gruppi di potere, concentrerà la propria programmazione su due obiettivi che collimano perfettamente fra loro, l'orientamento politico e culturale (sarebbe meglio dire aculturale) del telespettatore e l'indirizzamento dei gusti e degli acquisti dello stesso.

La Tivù del futuro sarà sempre più simile ad un arcipelago di cattivi programmi, pessime fiction e mediocri films che galleggeranno in un mare sconfinato di pubblicità.
La pubblicità, gli sponsor, le televendite, i consigli per gli acquisti, saranno infatti i veri protagonisti della nuova Tivù, da quanto si può evincere dai tratti salienti della riforma.
L'attenzione è infatti focalizzata (tenendo anche conto delle direttive europee che marciano nello stesso senso) sulla maniera di poter monetizzare al massimo il servizio televisivo, senza assolutamente prestare la minima attenzione alla qualità della programmazione.

Comprendo che immaginare il radicale peggioramento di una televisione già oggi infarcita di imbonitori che vendono tutto il possibile e non (qualcuno è riuscito a vendere agli italiani perfino l'illusione del benessere), strapiena di angoli dello sponsor, mini spot, maxi spot, telegiornali che usano la metà del tempo a loro disposizione per pubblicizzare qualcosa o qualcuno, programmi che mutuano il proprio nome in quello dell'azienda che li sponsorizza, è cosa ardua anche per chi gode di un'assai fervida fantasia.Non ci resterà (magari perché poi non farlo da subito) che spegnere l'infernale parallelepipedo infarcito di famigliole del mulino bianco e dedicarci a qualcosa di più costruttivo, le alternative sicuramente non mancano.

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